Scioglimento del contratto internazionale: apertura del fallimento italiano e competenza

Beatrice Armeli
26 Giugno 2014

Le azioni esercitate dal curatore fallimentare, quali conseguenza diretta e immediata dello scioglimento dei contratti pendenti per effetto del meccanismo previsto dagli artt. 72 e 73 l. fall., sono strettamente connesse alla procedura fallimentare aperta in Italia, in quanto aventi “legame diretto” con l'insolvenza del debitore e con gli effetti di essa sui contratti medesimi. Per tale ragione, la competenza giurisdizionale a conoscere di tali azioni rientra nell'ambito di applicabilità del Reg. (CE) 1346/2000, e non del Reg. (CE) 44/2001, e deve pertanto riconoscersi in capo allo stesso tribunale fallimentare italiano.
Massima

Le azioni esercitate dal curatore fallimentare, quali conseguenza diretta e immediata dello scioglimento dei contratti pendenti per effetto del meccanismo previsto dagli artt. 72 e 73 l. fall., sono strettamente connesse alla procedura fallimentare aperta in Italia, in quanto aventi “legame diretto” con l'insolvenza del debitore e con gli effetti di essa sui contratti medesimi. Per tale ragione, la competenza giurisdizionale a conoscere di tali azioni rientra nell'ambito di applicabilità del Reg. (CE) 1346/2000, e non del Reg. (CE) 44/2001, e deve pertanto riconoscersi in capo allo stesso tribunale fallimentare italiano.

Il caso 

Nell'anno 2000, mediante la stipula di due contratti, una società, con sede in Germania, vendeva con riserva di proprietà fino all'integrale pagamento del prezzo alla società poi fallita, con sede in Italia, due beni mobili (nella specie, macchine da stampa), da pagare a rate. Nell'anno 2005 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento del compratore. Alla data di apertura della procedura concorsuale entrambi i contratti erano ancora in corso di esecuzione, posto che il prezzo di vendita di ciascun bene non era stato interamente pagato e i contratti stessi non risultavano risolti per inadempimento del compratore. Il curatore del fallimento, a norma degli artt. 72 e 73 l. fall., ratione temporis, sceglieva di non subentrare nei contratti pendenti, provocandone così lo scioglimento, e, su ordine del giudice delegato, provvedeva alla restituzione al venditore dei beni oggetto dei contratti, per accertata proprietà degli stessi in capo alla società tedesca. Conseguentemente, il curatore adiva il medesimo tribunale fallimentare, domandando la condanna del venditore alla restituzione alla procedura delle rate riscosse, detratto quanto allo stesso dovuto a titolo di equo compenso per l'uso dei beni da parte del compratore poi fallito, in ossequio a quanto disposto dall'art. 1526 c.c. La società convenuta eccepiva in via pregiudiziale la carenza di giurisdizione del giudice italiano, a favore di quello tedesco, invocando l'applicazione del Reg. (CE) 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in primis, in virtù della proroga di giurisdizione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 23, contenuta in entrambi i contratti e convenzionalmente attribuita, per le controversie relative ai medesimi, all'autorità giurisdizionale del luogo della sede del venditore e, subordinatamente, per il caso di non ritenuta sussistenza della proroga di giurisdizione di origine pattizia, in virtù del capo di giurisdizione, di cui all'art. 5, n. 1), lett. b) dello stesso Regolamento, determinato dal luogo di consegna dei beni in base al contratto, avvenuta nella specie in Germania.

La questione giuridica

Al fine di determinare la competenza giurisdizionale a conoscere delle domande proposte dalla curatela, si tratta di accertare se, nel caso prospettato, trovi in effetti applicazione il menzionato Reg. (CE) 44/2001, oppure, esercitandosi le azioni nell'ambito di un fallimento, debba invocarsi il Reg. (CE) 1346/2000, relativo alle procedure di insolvenza.

Il quadro normativo

L'art. 4, par. 1, Reg. (CE) 1346/2000 stabilisce che alla procedura d'insolvenza “e ai suoi effetti” si applica, di regola, la legge dello Stato membro ove è aperta la procedura medesima. In particolare, il par. 2, lett. e) della stessa disposizione precisa che la legge di detto Stato determina “gli effetti della procedura di insolvenza sui contratti in corso di cui il debitore è parte”. Inoltre, a norma del suo sesto considerando, il Reg. (CE) 1346/2000 si prefigge lo scopo di disciplinare le competenze, oltre che per l'apertura delle procedure d'insolvenza, anche “per le decisioni che scaturiscono direttamente da tali procedure e sono ad esse strettamente connesse”. Invero, tale Regolamento non esplicita alcun capo di giurisdizione per le cause traenti origini dalla procedura concorsuale e alla medesima correlate, limitandosi piuttosto a statuire, sub art. 25, par. 1, il riconoscimento automatico delle decisioni derivate e connesse, al pari di quelle di apertura e relative allo svolgimento e alla chiusura della procedura d'insolvenza. Al contempo, tuttavia, l'art. 1, par. 2, lett. b), Reg. (CE) 44/2001 esclude dal suo campo di applicazione, in via generalizzata, le procedure concorsuali, tra cui, espressamente, il fallimento, anche quindi per quanto concerne i criteri determinativi della competenza giurisdizionale. La lacuna così emergente è stata colmata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea.

La giurisprudenza comunitaria

A partire dal caso Gourdain (Corte CE, 22 febbraio 1979, C-133/78) si è chiarito che, affinché le decisioni relative a un fallimento siano escluse dal campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1968 (oggi Reg. (CE) 44/2001) “occorre che esse derivino direttamente dal fallimento e si inseriscano strettamente nell'ambito del procedimento fallimentare” (pto. 4). Successivamente, nel caso SCT Industri (Corte UE, 2 luglio 2009, C-111/08), si è confermato come sia “l'intensità del legame esistente” tra un'azione giurisdizionale e la procedura d'insolvenza a determinare l'applicabilità o meno del Reg. (CE) 44/2001 (pto. 25). In particolare, nel caso Seagon (Corte UE, 12 febbraio 2009, C-339/07), tenuto conto dello scopo perseguito dal Reg. (CE) 1346/2000, esplicitato proprio nel suo sesto considerando, nonché dell'effetto utile di tale Regolamento, si è espressamente riconosciuta, ai giudici dello Stato membro di apertura della procedura d'insolvenza, la competenza giurisdizionale a “conoscere delle azioni che derivano direttamente da detta procedura e che vi si inseriscono strettamente” (pto. 21). Da ultimo, nel caso F-Tex SIA (Corte UE, 19 aprile 2012, C-213/10), si è evidenziata la coerenza di tale interpretazione con le previsioni, contenute nello stesso Reg. (CE) 1346/2000, relative al riconoscimento delle decisioni, per cui al medesimo regime di quelle di apertura, svolgimento e chiusura della procedura, sono soggette pure quelle “che derivano direttamente da essa e le sono strettamente connesse”, laddove invece tutte le altre decisioni (diverse dalle precedenti) restano disciplinate dal Reg. (CE) 44/2001, ove questo si applichi (pto. 28).

La soluzione

Sulla base del citato quadro normativo, completato dalle interpretazioni rese dalla giurisprudenza comunitaria richiamata in sentenza, il giudice adito ha dedotto quanto segue. Il fallimento del compratore è stato aperto in Italia. Alla data di dichiarazione del fallimento i contratti di cui si tratta erano ancora in corso. Gli effetti della procedura d'insolvenza sui contratti pendenti di cui il fallito è parte sono disciplinati, ai sensi dell'art. 4, par. 2, lett. e), Reg. (CE) 1346/2000, dalla legge dello Stato di apertura della procedura medesima, dunque l'Italia (passaggio non esplicitato in pronuncia, ma chiaramente sotteso al ragionamento giudiziale). Il curatore del fallimento, in ossequio alla legge italiana, in particolare agli artt. 72 e 73 l. fall., ha determinato lo scioglimento dei contratti pendenti per mancato subentro nei medesimi. Il giudice delegato ha riconosciuto la proprietà dei beni oggetto dei contratti in questione in capo alla società tedesca e gli stessi beni sono stati alla medesima restituiti dal curatore fallimentare. Legittimamente, dunque, quest'ultimo ha agito nei confronti del venditore, a norma dell'art. 1526 c.c., per la restituzione alla procedura del denaro riscosso a titolo di parte di prezzo, nella misura eccedente l'ammontare dell'equo compenso. In particolare, le azioni esercitate dal curatore sono conseguenza immediata e diretta dello scioglimento dei contratti, a sua volta prodotto dall'operare del meccanismo di cui agli artt. 72 e 73 l. fall. In altri termini, “nella normale dinamica dei rapporti derivati dai due contratti si è […] inserito un elemento strettamente dipendente dal fallimento della società compratrice, costituito dalla scelta, fatta dal curatore, di sciogliersi unilateralmente dai contratti medesimi”. Scelta a lui consentita dalla legge italiana applicabile alla procedura. Pertanto, le azioni del curatore possono dirsi strettamente connesse al fallimento in essere, in quanto aventi un legame diretto con la dichiarata insolvenza del compratore e con gli effetti che la medesima esplica sui contratti pendenti. Per tale ragione, ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale a conoscere di dette azioni, è da escludersi l'applicabilità del Reg. (CE) 44/2001, risultando invece unicamente invocabile il Reg. (CE) 1346/2000. Sulla base quindi della soluzione fornita dalla Corte di Giustizia nel caso Seagon, su cui in definitiva il dispositivo finale, implicitamente, si fonda, è da riconoscersi la giurisdizione italiana a trattare e decidere di azioni, come quelle esercitate dal curatore nel caso di specie, derivanti dalla procedura d'insolvenza aperta in Italia e ad essa strettamente connesse.

Osservazioni

Le argomentazioni addotte a fondamento della decisione sono corrette. Né il giudice si è espresso sulla proroga di competenza, né sulla (alquanto discutibile) interpretazione del diverso capo di giurisdizione prospettato dalla convenuta. La questione, infatti, è stata risolta a monte, con l'esclusione dell'applicabilità del Reg. (CE) 44/2001, per cui i criteri di giurisdizione in esso previsti – a prescindere dall'invocabilità o meno di essi in concreto –, vengono per definizione a cadere. In sostanza, il ragionamento giudiziale si basa sul seguente sillogismo: la competenza giurisdizionale a conoscere delle azioni “direttamente legate” alla procedura d'insolvenza spetta al giudice dello Stato di apertura del fallimento, l'Italia (principio oggi trasfuso nell'art. 3 bis, par. 1, della Proposta di Regolamento modificativa del Reg. (CE) 1346/2000, COM(2012) 744 final); le azioni con cui si fanno valere gli effetti dello scioglimento dei contratti pendenti, di cui il fallito è parte, provocato dalla scelta del curatore, in ossequio alla legge applicabile, sono azioni “direttamente legate” alla procedura d'insolvenza; allora, la competenza giurisdizionale a conoscere di tali azioni spetta al giudice italiano. Dalla giurisprudenza comunitaria (riferita alle azioni revocatorie, ma destinata a trovare applicazione generalizzata) il Tribunale di Roma ha in particolare ricavato i principi idonei a fondare la competenza giurisdizionale ai sensi del Reg. (CE) 1346/2000, inferendo poi autonomamente il legame delle azioni nella specie esercitate con la procedura d'insolvenza. E la qualificazione operata non pare in alcun modo censurabile, risultando coerente anche con l'interpretazione più restrittiva offerta dalla Corte di Giustizia nel caso F-Tex SIA, secondo cui non basta che il fallimento si identifichi in un elemento della fattispecie costitutiva della pretesa vantata, ma è altresì necessario che la procedura fallimentare possa trarre beneficio dall'azione medesima. Il legame tra le azioni esercitate e la procedura si ravvisa infatti tanto sul piano genetico, quanto su quello funzionale.
La circostanza inoltre che i contratti pendenti fossero di vendita con riserva di proprietà non ha inciso sui termini del problema, né sulla soluzione adottata. Da un lato, infatti, non vi è stato bisogno di evocare l'art. 7 Reg. (CE) 1346/2000, a tutela del venditore con riserva di proprietà per il caso in cui i beni, al momento del fallimento, si trovino in uno Stato membro diverso da quello di apertura della procedura (proprio per questo, non applicabile nel caso de quo). Dall'altro, nemmeno è stato citato in sentenza quel precedente, che pure si inserisce nel medesimo solco della giurisprudenza comunitaria richiamata, che ha deciso giusto in merito a una causa con antefatto analogo a quello in esame. Anche lì una società tedesca aveva venduto, con riserva di proprietà, alcuni macchinari ad una società olandese, poi dichiarata fallita. In particolare, il venditore aveva chiesto in Germania la restituzione dei beni di sua proprietà, nella disponibilità del compratore al tempo del fallimento, e ottenuto un provvedimento conservativo poi eseguito in Olanda, ma con opposizione del curatore fallimentare. E al quesito se, a seguito dell'apertura di una procedura d'insolvenza dell'acquirente e allorché il bene su cui grava la clausola di riserva di proprietà si trovi nello Stato di apertura, debba ritenersi che l'azione esperita dal venditore basata su tale clausola sia esclusa dall'ambito di applicazione del Reg. (CE) 44/2001, la Corte di Giustizia ha dato risposta negativa. Poiché infatti l'azione esercitata dalla società tedesca “mirava unicamente a garantire l'applicazione della clausola di riserva di proprietà” a suo favore, la stessa doveva ritenersi un'azione autonoma, indipendente dall'apertura della procedura d'insolvenza, a prescindere dal mero fatto che il curatore fosse parte in giudizio. Nel caso German Graphics, dunque, i giudici del Kirchberg hanno ritenuto che il nesso tra l'azione esperita dal venditore, sulla proprietà dei beni, e il fallimento a carico del compratore, non fosse “né sufficientemente diretto né sufficientemente stretto” da poter escludere l'applicazione del Reg. (CE) 44/2001, pertanto pienamente operativo (Corte UE, 10 settembre 2009, C-292/08, pti. 29-34). Per quanto muovano da fattispecie sostanziali simili, la decisione in commento e la sentenza in epigrafe giungono a conclusioni opposte in quanto diverse sono le azioni prese in considerazione per determinarne l'afferenza, diretta e stretta, con la procedura d'insolvenza, ai fini della competenza giurisdizionale. Il che giustifica il mancato richiamo del caso nella pronuncia qui esaminata. Semmai, sarà opportuno interrogarsi sugli spazi applicativi del principio espresso dalla Corte di Giustizia alla luce del diritto fallimentare italiano, in ossequio al quale anche ogni diritto reale risulta soggetto all'accertamento dello stato passivo (art. 52 l. fall.). E infatti, come riportato in decisione, nella specie, il venditore ben aveva presentato domanda di rivendicazione della proprietà al giudice delegato, trovando peraltro accoglimento.

Conclusioni

Il motivo che impedisce al venditore tedesco, convenuto in giudizio dal curatore per la restituzione delle rate di prezzo pagate dal fallito (detratto l'equo compenso per l'uso dei beni), di avvalersi dei capi di giurisdizione dettati dal Reg. (CE) 44/2001, risiede nel legame diretto delle azioni esercitate con l'insolvenza del compratore e con gli effetti di essa sui contratti in corso. Dette azioni, infatti, in quanto volte a far valere gli effetti dello scioglimento dei contratti, provocato dalla scelta del curatore a norma degli artt. 72 e 73 l. fall., sono strettamente connesse al fallimento italiano, così da radicare la competenza giurisdizionale in capo al giudice dello Stato membro di apertura, secondo il Reg. (CE) 1346/2000 interpretato dalla Corte di Giustizia. Diverso è invece il motivo che avrebbe impedito alla medesima società di avvalersi dei capi di giurisdizione dettati dal Reg. (CE) 44/2001 per la rivendica dei beni di sua proprietà. E ciò, non per (o a prescindere dalla) mancanza di sufficiente legame dell'azione con la procedura d'insolvenza (come ritenuto nel caso German Graphics, su cui si può discutere), bensì perché secondo la legge (fallimentare) italiana, applicabile al fallimento aperto in Italia, (anche) le domande di restituzione (di beni mobili in possesso del fallito) sono soggette alle norme stabilite per la verifica dello stato passivo. Piuttosto, a voler riconciliare la disciplina interna con il principio affermato dalla Corte, qui rilevante nella misura in cui si basa su circostanze fattuali simili alla fattispecie esaminata dal Tribunale di Roma, può ipotizzarsi che la società tedesca avrebbe potuto (salvo verificare l'utilità concreta di una simile opzione) far valere la proroga di giurisdizione pattiziamente convenuta (ove valida ed efficace), e quindi rivolgersi al giudice tedesco territorialmente competente, solo per chiedere il mero accertamento della proprietà basata sulla clausola di riserva, per poi invocare il riconoscimento (comunque automatico) della decisione favorevole nella procedura fallimentare italiana e ottenere così la restituzione dei beni.

Minimi riferimenti bibliografici

A commento della giurisprudenza comunitaria richiamata, limitatamente alla dottrina italiana: A. CASTAGNOLA, Regolamento CE 1346/2000 e vis attractiva concursus: verso un'universalità meno limitata?, in Riv. dir. proc., 2010, 925; F. CORSINI, La Corte di Giustizia “inventa” una (dimezzata) vis attractiva concursus internazionale, in Int'l Lis, 2009, 65; P. DE CESARI, Azioni collegate e strettamente connesse ad una procedura di insolvenza: una nuova nozione europea autonoma, in ilFallimentarista.it, 23.07.2012; F. DIALTI, Giurisdizione in materia di azione del venditore fondata su riserva di proprietà nei confronti dell'acquirente che versa in situazione di fallimento, in Dir. comm. internaz., 2010, 202; M. FARINA, La vis attractiva concursus nel regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, in Fall., 2009, 666; M. MONTANARI, La sottrazione al Reg. n. 44/2001 della materia concorsuale e gli incerti confini delle azioni a tale materia riconducibili, in Int'l Lis, 2012, 127; F. RAVIDÀ, Sull'applicabilità del reg. CE 44/2001 alle azioni revocatorie, in Riv. dir. proc., 2013, 762.

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