Fattibilità del piano con cessione dei beni e modalità di liquidazione

Manuel Del Linz
19 Giugno 2014

Il controllo del Tribunale nella fase di omologazione del concordato preventivo è circoscritto alla verifica della fattibilità giuridica del piano e alla valutazione dell'effettiva idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento della causa concreta della procedura: il Tribunale deve verificare che non vi sia un'assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati.In caso di concordato con cessione dei beni, l'eventuale divergenza tra la valutazione dell'attivo dell'esperto nominato dalla parte e quella dagli organi della procedura, nonostante ponga in discussione la stessa possibilità di pagare integralmente i creditori privilegiati, e salvo che sia provocata da circostanze obiettive, non determina una fattispecie di assoluta impossibilità di realizzazione del piano rilevabile in qualunque momento della procedura da parte del tribunale, ma riguarda esclusivamente il profilo di fattibilità economica della proposta, rimessa esclusivamente al giudizio dei creditori.Qualora tra i beni ceduti ai creditori afferisca anche un'azienda in esercizio, l'attività di gestione ordinaria dell'impresa e quella finalizzata alla cessione dell'azienda restano distinte: gli organi di gestione della società conservano l'ordinaria amministrazione, mentre le attività finalizzate alla selezione dell'acquirente e di disposizione dell'azienda sono attribuite al liquidatore.
Massima

Il controllo del Tribunale nella fase di omologazione del concordato preventivo è circoscritto alla verifica della fattibilità giuridica del piano e alla valutazione dell'effettiva idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento della causa concreta della procedura: il Tribunale deve verificare che non vi sia un'assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati.

In caso di concordato con cessione dei beni, l'eventuale divergenza tra la valutazione dell'attivo dell'esperto nominato dalla parte e quella dagli organi della procedura, nonostante ponga in discussione la stessa possibilità di pagare integralmente i creditori privilegiati, e salvo che sia provocata da circostanze obiettive, non determina una fattispecie di assoluta impossibilità di realizzazione del piano rilevabile in qualunque momento della procedura da parte del tribunale, ma riguarda esclusivamente il profilo di fattibilità economica della proposta, rimessa esclusivamente al giudizio dei creditori.

Qualora tra i beni ceduti ai creditori afferisca anche un'azienda in esercizio, l'attività di gestione ordinaria dell'impresa e quella finalizzata alla cessione dell'azienda restano distinte: gli organi di gestione della società conservano l'ordinaria amministrazione, mentre le attività finalizzate alla selezione dell'acquirente e di disposizione dell'azienda sono attribuite al liquidatore.

Il soggetto che riveste la carica di liquidatore dell'holding posta a capo del gruppo di cui fa parte la società concordataria è incompatibile con la nomina a liquidatore giudiziario, in quanto in evidente situazione di potenziale conflitto d'interessi.

Il caso

Innanzi al Tribunale di Roma viene presentata una proposta di concordato preventivo di natura liquidatoria, parzialmente in continuità, con riferimento ad uno specifico ramo di azienda, che prevede l'integrale cessione del patrimonio della società proponente ai creditori, ipotizzando, in modo non vincolante, la possibilità di soddisfare integralmente i creditori prededucibili e privilegiati, nonché il ceto chirografario entro il primo semestre del 2018. La proposta ha trovato l'adesione quasi della totalità dei creditori, nonostante i commissari giudiziali, con la loro stima del compendio immobiliare, abbiano messo in luce un valore di liquidazione sensibilmente più ridotto rispetto a quello evidenziato dall'esperto nominato dal proponente, che poneva in dubbio la stessa fattibilità economica del piano concordatario.
Il Tribunale di Roma, con il decreto in commento, omologa il concordato preventivo proposto, evidenziando che gli eventuali diversi valori risultanti dalle stime non riguardano il profilo di ammissibilità della procedura, ma esclusivamente un profilo di fattibilità economica del piano, che pertanto dev'essere sottoposto solo al vaglio dei creditori, per il corretto esercizio del diritto di voto.
Il Tribunale, poi, osserva che nel caso di concordato con cessione, cui afferisce anche un'azienda in esercizio, per essa si determina una dissociazione tra attività di gestione finalizzata alla liquidazione, attribuita al liquidatore, e attività di ordinaria amministrazione dell'impresa, che permane in capo agli organi della società che ha proposto il concordato, mancando una specifica disposizione che contempli l'esercizio provvisorio dell'impresa da parte del liquidatore concordatario. Ritiene, inoltre, che non possano essere nominati liquidatori giudiziali i soggetti che rivestono, o hanno rivestito, la carica di liquidatori nell'holding posta a capo del gruppo di imprese di cui fa parte la società che ha proposto il concordato, poiché in evidente situazione di potenziale conflitto d'interessi, incompatibile con le regole poste dal combinato disposto dell'art. 28 e 182 l.fall.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Alla luce della novella legislativa attuata con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, e delle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521, appare oggi sufficientemente tracciato il perimetro del sindacato del giudice sulla fattibilità del piano concordatario. Il controllo, infatti, è stato circoscritto alla “fattibilità giuridica”, intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili, e alla “fattibilità economica”, intesa come verifica della sussistenza o meno di un'assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la “causa in concreto” del concordato, che consiste sostanzialmente nel superamento della crisi attraverso un sia pur minimale soddisfacimento dei creditori chirografari in tempi ragionevoli. Pertanto, sotto il profilo della “fattibilità economica” il sindacato officioso del Tribunale è molto più circoscritto rispetto a quello sulla “fattibilità giuridica”, che non incontra alcun limite. Tale limitazione, peraltro, trova la propria ratio nel fatto che l'aspetto economico è intriso di valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e contenenti sempre un margine di errore, nel quale è connaturata una componente di rischio, di cui devono essere arbitri esclusivamente i creditori. Di conseguenza, sotto il profilo della “fattibilità economica”, si può affermare che il controllo del Tribunale si deve necessariamente arrestare ad una valutazione di manifesta irrealizzabilità del piano, senza scendere in apprezzamenti prognostici sui rischi.
Il Tribunale di Roma sembra aver fatto corretta applicazione di tali principi in fase di omologazione del concordato, rilevando correttamente che non può costituire motivo di revoca dell'ammissione alla procedura di concordato la mera divergenza di valutazione dell'attivo, emersa rispettivamente dalle relazioni del professionista nominato dal debitore e dei commissari giudiziali, anche nel caso in cui metta in discussione la stessa possibilità di pagare integralmente i creditori privilegiati, in quanto aspetto attinente esclusivamente al profilo di fattibilità economica del piano, di esclusiva competenza dei creditori.
Al riguardo, infatti, si osserva che il professionista nominato ai sensi dell'art. 161, comma 3, l.fall., come ausiliario del giudice, con la sua relazione svolge la funzione sia di informare correttamente i creditori sugli esatti termini della proposta, sia di riferire all'autorità giudiziaria se il piano risulta in modo prognostico fattibile dal punto di vista economico. Peraltro, si osserva che le valutazioni contenute nella sua relazione devono essere assunte coerentemente alle tecnicità degli strumenti di programmazione e di budgeting, con le analisi predittive dei rischi e con le tecniche di simulazione, che devono essere chiariti nella relazione, al fine di consentire al Tribunale di valutare l'“idoneità dell'attestazione”, che ricade nell'ambito del sindacato di “fattibilità giuridica”. Anche il commissario giudiziale nominato dal Tribunale, come pubblico ufficiale, esercita una funzione a beneficio sia dei creditori, attraverso la relazione informativa di cui all'art. 175 l.fall., sia dell'autorità giudiziaria, ma comunque sempre con una relazione che, come quella del professionista, contiene valutazioni di natura predittiva. Di conseguenza, salvo che la divergenza di previsioni tra le relazioni sia dovuta a circostanze oggettive, come ad esempio la differenza di consistenza giuridica del patrimonio, l'utilizzazione di criteri di valutazione non corretti secondo la prassi professionale ovvero l'illogicità del procedimento motivazionale, il carattere predittivo di tali relazioni impedisce al Tribunale di affermare l'assoluta manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati e, quindi, di negare l'omologazione del concordato. In tal caso, infatti, come correttamente evidenziato dal Tribunale capitolino, spetterà solo ai creditori, debitamente informati sul punto, esprimersi nel merito della “fattibilità economica” del piano e sulla convenienza della proposta.
Tuttavia, ci si deve porre il problema di cosa accade al concordato preventivo omologato se al termine della liquidazione dei beni non si riesca a realizzare quella percentuale inderogabile di soddisfacimento, non minimale, dei creditori chirografari, che trova un appiglio normativo nell'inciso contenuto nell'art. 160, comma 1, lett. a), l.fall., dove fa riferimento alla “soddisfazione dei crediti”. Il concordato preventivo, infatti, non è una procedura diretta come il fallimento a una realizzazione coatta dei diritti di credito; viceversa è una procedura rivolta a rendere possibile l'adempimento del debitore. Si tratta, infatti, di una procedura di favore per il debitore che gli consente di evitare il fallimento e, in deroga ai principi privatistici, di superare la crisi mediante il saldo di tutto il passivo, a prescindere dal consenso della generalità dei creditori. Tale beneficio, però, è ancorato al raggiungimento di un accordo tra debitore e la maggioranza dei creditori chirografari, la cui “causa in concreto”, come evidenziato dalle Sezioni Unite, consiste nel superamento della crisi attraverso un sia pur minimale soddisfacimento dei creditori in tempi ragionevoli. Pertanto, in caso di concordato con cessione dei beni, nonostante il legislatore abbia voluto apparentemente far riferimento all'istituto codicistico della cessio bonorum di cui agli artt. 1977 ss. c.c., non appare possibile applicare sic et simpliciter tali regole alla cessione concordataria, facendo così coincidere, come prospettato da alcuni autori, la “fattibilità giuridica ed economica”, nella mera cessione ai creditori di tutti i beni del debitore concordatario. La disciplina concorsuale, infatti, vive di regole proprie, che nel caso del concordato preventivo sono rintracciabili nell'art. 160 l.fall., il quale detta i presupposti di ammissione alla procedura. Di conseguenza, se al termine della liquidazione dei beni ceduti ai creditori nella procedura concorsuale non si realizza una seppur minima soddisfazione dei creditori, non essendosi verificata nel momento esecutivo proprio la funzione in concreto del concordato preventivo, si ritiene che ciascun creditore potrà richiedere la risoluzione del concordato ai sensi dell'art. 186 l.fall., come peraltro si affermava già sotto la disciplina previgente, che non ammetteva la risoluzione nel caso in cui si fosse ricevuto una percentuale di soddisfazione inferiore al 40%, allora condizione di ammissibilità della procedura stessa.
Il Tribunale di Roma, poi, nel prosieguo del suo provvedimento ha qualificato il concordato in commento come “concordato con cessione dei beni parzialmente in continuità”, in quanto all'interno del patrimonio era presente un ramo di azienda ancora in esercizio al momento dell'omologazione del concordato. Ad avviso del collegio, infatti, la cessione dei beni ai creditori, essendo qualificabile come un mandato irrevocabile, non comporterebbe alcun trasferimento della proprietà dei beni e della titolarità dei rapporti giuridici ai creditori, ma solo l'attribuzione agli organi della procedura di poteri gestori finalizzati alla liquidazione dei beni, in tal modo lasciando in capo al debitore l'ordinaria amministrazione del ramo di azienda in esercizio. Detta interpretazione non convince e, anzi, appare contraddittoria, essendo incompatibile che un piano di regolazione della crisi preveda contestualmente la cessione integrale del patrimonio e la continuità aziendale. Infatti, la continuità aziendale risulta preclusa per definizione, se tutti i beni facenti parte del patrimonio dei debitori devono essere liquidati al fine del soddisfacimento dei creditori. Si osserva, inoltre, che ai fini dell'operatività della norma dettata dall'art. 182 l.fall., il concordato deve essere costruito sulla previsione della cessione dei beni del debitore e la proposta concordataria non deve contenere disposizioni in merito alle modalità di liquidazione dei beni. Tuttavia, in evidente contrasto con quanto appena affermato, il piano con continuità aziendale, diretto alla cessione dell'azienda in esercizio, visti i rischi connessi alla prosecuzione dell'attività d'impresa, deve indicare analiticamente non solo i beni non necessari che si intende liquidare immediatamente, ma anche i costi ed i ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura, per non parlare poi della peculiare attestazione del professionista, che in tal caso deve specificare non solo la fattibilità del piano ma anche la funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori. Per di più, non va dimenticato che l'indeterminatezza della percentuale assicurata ai creditori chirografari nella proposta di concordato con cessione di beni, ritenuta legittima anche dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite, trova giustificazione proprio nella perdita di disponibilità del patrimonio da parte del debitore. Diversamente, sia nel caso di predeterminazione delle modalità di cessione dei beni, destinati a rimanere nella piena disponibilità del proponente, in deroga all'art. 182 l.fall., sia nel caso di concordato con continuità aziendale, il debitore deve necessariamente assumere nella proposta l'impegno di pagamento di una determinata percentuale, a pena d'inammissibilità per assoluta indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto della proposta.
Dall'affermato principio d'incompatibilità fra continuazione dell'attività aziendale e cessio bonorum deriva anche l'impossibilità di riconoscere in capo al debitore proponente i poteri di ordinaria amministrazione sull'azienda in esercizio. Si ritiene, infatti, che la stessa forma della cessione dei beni ex art. 182 l.fall., assimilabile per certi aspetti a una liquidazione fallimentare, escluda la permanenza in capo al debitore di poteri di ordinaria amministrazione sulle eventuali aziende in esercizio comprese nel suo patrimonio. Con l'omologazione del concordato, infatti, il debitore si priva volontariamente dei propri poteri non solo dispositivi, ma anche gestori su tutti i beni oggetto di cessione, indipendentemente dalla loro natura, che vengono trasferiti in capo al liquidatore giudiziale. Di conseguenza, sarà quest'ultimo a proseguire l'amministrazione dell'azienda in esercizio mediante una sorta di esercizio provvisorio, nella prospettiva della migliore liquidazione, similarmente al curatore fallimentare, a cui sono inequivocabilmente accostate le sue funzioni, visti anche i rinvii oggi operati dall'art. 182 l.fall.
Altra questione particolarmente interessante affrontata dal Tribunale di Roma nel decreto in commento è quella concernente il profilo d'incompatibilità a rivestire il ruolo di liquidatore giudiziale da parte dei liquidatori della società holding, indicati nel piano concordatario dal proponente. Il nuovo testo dell'art. 182 l.fall., infatti, prescrive l'applicabilità al liquidatore di alcune norme della legge fallimentare dettate per il curatore, in quanto compatibili, tra cui l'art. 28 l.fall., relativa ai requisiti per la nomina a curatore. Richiamo, questo, che ad avviso della Cassazione è inderogabile, tanto da consentire l'esercizio del potere conformativo da parte del Tribunale. Si osserva, peraltro, che il Supremo Collegio, intervenendo in due situazioni omologhe, nelle quali si proponeva la nomina a liquidatore della persona già in carica come commissario giudiziale, ha affermato che la carica di commissario giudiziale collide con il combinato disposto degli artt. 182, comma 2, e 28, comma 2, l.fall., in quanto il liquidatore deve necessariamente essere immune da conflitto d'interessi, anche solo potenziale, che nelle ipotesi al vaglio erano evidenti, visto che nel medesimo soggetto si cumulavano la funzione di gestione e di sorveglianza dell'adempimento del concordato ex art. 185 l.fall.
Non va, però, dimenticato che per conflitto d'interessi s'intende la situazione in cui versa un soggetto tale da indurlo ad assolvere il ruolo a lui attribuito in modo da arrecare danno alle ragioni di tutti o parte dei creditori ovvero in modo da ricavare per se o altri soggetti un'utilità, con conseguente sacrificio per le ragioni di tutti o alcuni dei creditori. E che, nel concordato preventivo, in cui vigono peraltro particolari norme di funzionamento della procedura e regole di salvaguardia, l'interesse del debitore è sostanzialmente allineato con quello dei creditori. Infatti, i creditori hanno l'interesse a veder soddisfatto il loro credito secondo la proposta approvata mentre il debitore ha l'interesse a conservare gli effetti del concordato omologato.
Venendo al caso esaminato dal Tribunale capitolino, la situazione di potenziale conflitto d'interessi dei liquidatori della società holding, che ad avviso dei giudici emergerebbe sostanzialmente dalla mera posizione di controllo rivestita dalla società al vertice del gruppo, non sembra per nulla certa. Al contrario, infatti, la medesima holding in liquidazione avrebbe un interesse sostanzialmente allineato a quello dei creditori, in quanto beneficiaria di un eventuale esubero derivante dalla liquidazione. Di conseguenza, i liquidatori della società al vertice del gruppo hanno tutto l'interesse di liquidare il patrimonio della società proponente nel miglior modo possibile e soddisfare al massimo i creditori per conservare gli effetti del concordato.

Conclusioni

Alla stregua di tutto quanto precede, il provvedimento del Tribunale di Roma sembra aver fatto buona applicazione dei principi sanciti nella sentenza delle Sezioni Unite sul tema del controllo riservato al tribunale sulla “fattibilità” del concordato preventivo. Diversamente, appare censurabile sia per il profilo della qualificazione del concordato come “concordato con cessione parzialmente in continuità”, sia per quanto concerne l'attribuzione dell'ordinaria amministrazione dell'azienda in esercizio al debitore proponente, poiché in evidente contraddizione con la norma dell'art. 182 l.fall.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In tema di controllo del Tribunale ci si limita a rinviare ai contributi più recenti: D. GALLETTI, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?, in ilFallimentarista.it; G. FAROLFI, La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del tribunale, in ilFallimentarista.it; G. BERSANI, Concordato preventivo: il controllo di “fattibilità giuridica” ed i rapporti con l'attestazione del professionista, in ilFallimentarista.it; ID., La valutazione di fattibilità giuridica del concordato nell'interpretazione giurisprudenziale: la verifica del contenuto dell'attestazione del professionista, in ilFallimentarista.it; F. DE SANTIS, Causa «in concreto» della proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilità del piano, in Fall., 2013, 279-286; I. PAGNI, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva “funzionale” aperta dal richiamo della “causa concreta”, in Fall., 2013, 286-290; P. MONTALENTI, La fattibilità del piano nel concordato preventivo, tra giurisprudenza della suprema corte e nuove clausole generali, in Il Nuovo diritto delle Fallimento, 2013, 279-286. In giurisprudenza: Cass. 23 gennaio 2013, n. 1521, in Foro it., 2013, I, 1534 ss.; Cass. 9 maggio 2013, n. 11014, in Mass. Foro it., 2013, 360; Cass. 6 novembre 2013, n. 24970, in Foro it. online; Trib. Busto Arsizio, 29 maggio 2013, in ilFallimentarista.it; App. Milano, 25 ottobre 2013, ivi; Trib. Pescara, 17 gennaio 2014, in IlCaso.it; Trib. Oristano, 21 ottobre 2013, inedita; App. Cagliari, 23 febbraio 2014, inedita.
Sulla qualificazione giuridica del liquidatore e suoi poteri v. in dottrina: F.S. FILOCAMO, Commento sub art. 182 l.fall., in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2011, 2082 ss.; G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 655-663; T.E. CASSANDRO, Gli organi della procedura e la tutela giurisdizionale, in U. Apice (diretto e coordinato da), Trattato di diritto delle procedure concorsuali, vol. III, Torino, 2011, 170-176; N. NISIVOCCIA, Concordato preventivo e continuazione dell'attività aziendale: due decisioni dal contenuto vario e moltemplice, in Fall., 2011, 228-233; A. AUDINO, Commento sub art. 182 l.fall., in A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1208 ss. In giurisprudenza: Cass. 15 luglio 2011, n. 15699, in Fall., 2011, 1291 ss., con nota di NISIVOCCIA; Cass. 13 aprile 2005, n. 7661, in Fall., 2005, 1435 ss.; Cass. 12 maggio 2004, n. 8960, in Mass. Foto it., 2004, che attribuisce espressamente al liquidatore, dopo l'omologazione, un eccezionale potere di gestione dell'impresa; Cass. 11 agosto 2000, n. 10738, in Fall., 2001, 781 ss., con nota di PATTI.
Sul concordato preventivo per cessione dei beni e le modalità di liquidazione v. A. DIDONE, Note minime sulla liquidazione nel concordato preventivo con cessione dei beni dopo il c.d. decreto legge «crescita bis» (decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179), in Dir. fall., 2013, II, 202-212; G.B. NARDECCHIA, Cessione dei beni e liquidazione: la ricerca di un difficile equilibrio tra autonomia privata e controllo giurisdizionale, in Fall., 2012, 92-102; G. BOZZA, La fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, in Fall., 2012, 767-784. In tema di risoluzione del concordato con cessione dei beni v. G. LO CASCIO, op.cit., 690-694; T.E. CASSANDRO, La risoluzione e l'annullamento del concordato preventivo, in U. Apice (diretto e coordinato da), op.cit., 432-438.
In merito alle situazioni ostative alla nomina a liquidatore giudiziale v. Cass. 18 gennaio 2013, n. 1237, in Fall., 2013, 555 ss.; Cass. 15 luglio 2011, n. 15699, in Foro it. online.

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