Preconcordato “abortito” e prededuzione dei crediti

Salvo Leuzzi
20 Febbraio 2014

L'art. 161, comma, 7, l.fall., laddove attribuisce ai crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore la prededucibilità ai sensi dell'articolo 111 l.fall., non deve intendersi nel senso che tale beneficiosia condizionato all'effettivo deposito della proposta completa di concordato preventivo entro il termine assegnato dal Tribunale, poichè altrimenti una condotta omissiva del debitore verrebbe ad incidere negativamente (e retroattivamente) non già sul debitore medesimo, bensì sui terzi che incolpevolmente abbiano fatto affidamento sulla prededucibilità riconosciuta dalla legge ai loro crediti, in quanto sorti per effetto degli “atti legalmente compiuti” dal debitore (atti di ordinaria amministrazione ed atti urgenti di straordinaria amministrazione autorizzati dal tribunale), con conseguente pregiudizio alla certezza dei rapporti giuridici e depotenziamento della fiducia nel modulo pre-concordatario, su cui il legislatore delle riforme ha invece fatto leva per il rilancio delle soluzioni concordate della crisi di impresa.
Massima

L'art. 161, comma, 7, l.fall., laddove attribuisce ai crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore la prededucibilità ai sensi dell'articolo 111 l.fall., non deve intendersi nel senso che tale beneficio sia condizionato all'effettivo deposito della proposta completa di concordato preventivo entro il termine assegnato dal Tribunale, poichè altrimenti una condotta omissiva del debitore verrebbe ad incidere negativamente (e retroattivamente) non già sul debitore medesimo, bensì sui terzi che incolpevolmente abbiano fatto affidamento sulla prededucibilità riconosciuta dalla legge ai loro crediti, in quanto sorti per effetto degli “atti legalmente compiuti” dal debitore (atti di ordinaria amministrazione ed atti urgenti di straordinaria amministrazione autorizzati dal tribunale), con conseguente pregiudizio alla certezza dei rapporti giuridici e depotenziamento della fiducia nel modulo pre-concordatario, su cui il legislatore delle riforme ha invece fatto leva per il rilancio delle soluzioni concordate della crisi di impresa.

Il caso

Il caso portato all'attenzione del tribunale umbro poneva il problema della sorte dei crediti sorti come “prededucibili” nel periodo di “preconcordato”, nell'ipotesi in cui, non essendosi dato sèguito al termine assegnato ex art. 161, comma 6, l.fall., era stata successivamente presentata ed ammessa una differente proposta.
Nello specifico, la fattispecie ternana atteneva, dunque, ad un concordato con riserva non seguìto da tempestivo deposito della proposta, e chiedeva di accertare a posizione da riconoscersi ai “prededucibili” dell'originaria, tramontata prospettiva (pre-)concordataria.
In relazione alla domanda di preconcordato, il collegio umbro adottava, nel caso in discorso, una declaratoria di mera improcedibilità, constatando l'assenza di istanze di fallimento.
Solo successivamente alla definizione in rito del procedimento preconcordatario inizialmente intrapreso, la debitrice, che di fatto vi aveva abdicato, addiveniva, pure con uno scarto esiguo di tempo, al deposito di una nuova e distinta proposta rivolta ai creditori.
Nel dichiarare aperta la procedura di concordato ex art. 163 l.fall. , il collegio ternano ha riconosciuto la prededuzione endoconcordataria in relazione agli “esborsi” per atti legalmente compiuti nell'àmbito del preconcordato (pure sanzionato per improcedibilità), trattandosi, a suo avviso, di prededuzione disposta espressamente ope legis.
In buona sostanza, la pronuncia in commento ha fatto fulcro su una affermazione: la qualifica prededucibile sorta nel "periodo bianco", ossia nella fase che segue il ricorso “in prevenzione” ai sensi del richiamato comma 6 dell'art. 161 l. fall., non è condizionata all'effettivo deposito della proposta completa di concordato preventivo entro il termine assegnato dal Tribunale.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il quesito precipuo al cui cospetto veniva posto il collegio umbro era, in linea di sintesi, il seguente: se una procedura di concordato preventivo con riserva “abortisce”, i crediti sorti come “prededucibili” in detto procedimento mantengono detta qualificazione pur quando, defungendo quel preconcordato, si addiviene all'“apertura” di un'altra procedura concordataria sulla base di una nuova autonoma domanda? In altri termini, i crediti “prededucibili” del primo (pre)concordato, vanificato per rinuncia anche implicita, sono “preferiti” agli altri pure nel secondo concordato di esito fausto?
Al problema il tribunale di Terni fornisce una risposta affermativa.
Certamente, la posizione favorevole assunta dal collegio umbro sembrerebbe rispondere, di primo acchito, ad un'esigenza tanto di certezza, quanto di giustizia, potendo giudicarsi poco accettabile che la condotta omissiva del debitore, che non abbia depositato la proposta nel primo concordato preventivo, si faccia pesare sui creditori che si sono sentiti singolarmente "garantiti" dalla prededuzione e che, proprio su quel rassicurante presupposto, hanno offerto al debitore medesimo le proprie prestazioni anche in seguito alla discovery della crisi connessa alla presentazione del ricorso “in prevenzione”.
È senz'altro vero che riconoscere la prededucibilità a detti creditori nell'alveo distinto della seconda proposta, non strettamente consecutiva alla prima nemmeno dal punto di vista temporale, permetterebbe di dare salvaguardia ad interessi che si colgono come "sensibili".
E tuttavia, a ben guardare, nella fattispecie vagliata dal tribunale di Terni si ravvisano subito due piani di interessi, certamente contrapposti, ma, in fin dei conti, parimenti rilevanti: da un lato viene in evidenza senz'altro – come sottolineato dal collegio umbro – la tutela dei creditori che si rapportano con l'imprenditore in crisi e sono incentivati a farlo sulla base di una salvaguardia di posizioni; dall'altro si staglia, tuttavia – ed è aspetto di non poco momento – l'interesse della massa dei creditori concorsuali (della procedura suggellata dall'ammissione) a non essere gravati dal fardello schiacciante delle prededuzioni, suscettibile di diminuire, anche drasticamente, le loro possibilità fisiologiche di recupero.

Osservazioni

È indubbio che i crediti prededuttivi processualmente sorti in costanza di un preconcordato, inopinatamente svanito, non possano esporsi, con disinvoltura, al rischio dei ripensamenti apodittici del debitore. Ed è certamente ingiusto reputare che i “prededuttivi” perdano la propria qualifica in concomitanza con l'arbitraria, eventuale abdicazione del debitore alla primigenia opzione concordataria. La decisione del tribunale di Terni si muove senz'altro entro un percorso di apprezzabile impronta sostanzialistica.
Tuttavia, la soluzione ternana non convince del tutto.
Sul piano del sistema, in effetti, è inevitabile e imprescindibile verificare se tra il primo “abortito” concordato e quello che si compendia nella seconda, differente, “nuova” proposta, possa trovarsi un sia pur sottile fil rouge, tale da correlare le due vicende processuali nel senso della consecutio.
In altri termini, non sembra, a chi scrive, che la certezza dei traffici giuridici, che in via immediata suggerisce una visione tesa al “recupero” della prededucibilità di crediti connessi ad un concordato pure “andato a male” (in ipotesi per volontà del debitore), possa imporsi in prevalenza rispetto ai principi del diritto processuale.
Lo iato tra il passaggio da una procedura all'altra non sembra colmabile unicamente sulla base di un presupposto sostanzialistico, non rinvenendosi omogeneità sufficiente fra le due vicende concorsuali e non riscontrandosi, tra di esse, quel principio di unitarietà che, in via esclusiva, può giovare a tenerle insieme.
Ora, nella questione analizzata dal tribunale ternano, si condensa un interrogativo saliente: guardando alla locuzione adoperata all'art. 161, comma 7, l.fall. , che cosa deve intendersi per “prededucibili ai sensi dell'art. 111”?.
Si guardi al tessuto normativo: ciò che appare prededucibile, nel fallimento, di ciò che sorge in occasione del concordato, sono i crediti sorti per l'attività di ordinaria amministrazione, i crediti per gli atti di straordinaria amministrazione autorizzati dal tribunale, i finanziamenti interinali autorizzati (182-quinquies, comma 1, l. fall.), i finanziamenti funzionali alla procedura e riconosciuti come tali (art. 182-quater, comma 2 l. fall.).
Sulla base dell'attuale ordito normativo, si sarebbe portati tutt'oggi a ritenere, in assenza di elementi perspicui che depongano per il contrario, che la prededuzione operi di massima esclusivamente all'interno del fallimento. Il che sembrerebbe di per sè suggerire la conclusione, "facile", che i primi prededotti siano destinati a smarrire la propria originaria qualifica, laddove all'originario concordato preventivo “in bianco” non segua alcunchè, oppure faccia sèguito una seconda, ma autonoma proposta concordataria, che dalla prima ontologicamente si smarchi, e per ciò solo riveli un oggetto e un contenuto distinti e autonomamente apprezzabili.
L'art. 161, comma 7, non contempla una prededuzione ex lege, imponendo piuttosto al giudice competente di verificare se i crediti di terzi, eventualmente sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore, siano nondimeno occasionati dalla procedura concorsuale nella quale vengono trasfusi, ovvero siano funzionali rispetto a quest'ultima e al suo corso. E d'altronde, non si ravvisa, né sul piano della littera legis, né su quello della ratio legis, alcun elemento che valga ad “esonerare” i crediti preconcordatari dalla verifica imposta dal secondo comma dell'art. 111 l. fall., ai fini del riconoscimento di prededucibilità endofallimentare. Non v'è addentellato normativo che certifichi (e giustifichi) un'omissione di verifica sul fatto che, a corroborare il credito preconcordatario che ambisce a sopravanzare tutti gli altri, concorrano le condizioni dell'occasionalità rispetto alla procedura al vaglio del tribunale e della funzionalità rispetto alla stessa.
La previsione di cui all'art. 111, comma 3, non è affatto idonea a comprendere i crediti del primo concordato nell'ambito della prededuzione da travasare nel secondo. Non sembra, infatti, sostenibile che i crediti sorti nell'alveo di una determinata procedura concorsuale defunta siano sussumibili fra quelli “sorti in occasione o in funzione” di una procedura successiva ma non consecutiva. Il pericolo sarebbe, infatti, quello di fare assumere alla suddetta previsione un alveo applicativo tanto dilatato da apparire fumoso e determinabile ad libitum (e alla bisogna) dal medesimo proponente che alla norma deve soggiacere. In tal senso, la prededuzione, anziché agganciarsi alle previsioni espresse delle legge, finirebbe per correlarsi inopinatamente alla volontà del debitore che pure si rivolge al tribunale con la domanda di concordato.
Ciò detto, sono anche altre le considerazioni che suscitano il dubbio sulla tenuta "sistemica" della pur acuta decisione ternana.
Va considerato, infatti, che la prededuzione assurge ad una sorta di "superprivilegio", il che, tuttavia, non la sottrae alla sua originaria indole, che è e rimane eminentemente processualistica.
La prededuzione, infatti, è contrassegnata e giustificata da un'intima e non obliterabile connessione alla singola procedura concorsuale cui attiene.
Il che viene in evidenza per ciò stesso, che la prededuzione rappresenta un "costo" essenziale della sua procedura di riferimento.
In altri termini, è l'accennata intima connessione a giustificare la sorte “superprivilegiata” della prededuzione, trattandosi di elevare ad un rango poziore rispetto a tutti gli altri e in dissonanza dal supremo postulato della par condicio, quello che si connota alla stregua di costo "essenziale" e comunque "necessario" del singolo processo concorsuale.
Ora, a monitorare il sistema emerso dalle stratificate riforme in materia degli anni recenti, un dato sembra rimanere netto e nitido: non si registrano prededuzioni che siano "sostanzialisticamente" giustificate in relazione alla causa del credito che vengono ad assistere.
Non rileva mai, in altre parole, ai fini della prededucibilità, la natura del credito, bensì il fatto che quest'ultimo sia sorto “dentro” una specifica procedura concorsuale e in funzione (essenziale e saliente) di essa, tanto da guadagnarsi, per via del tempo e del “luogo” processuale in cui è venuto in essere (ossia della sua correlazione strumentale al processo), una "preferenza" satisfattiva preponderante all'interno di quest'ultimo.
Ora, se quello compendiato è il tratto distintivo delle prededuzioni, non sembra esservi nè adito, nè spazio per "preminenze" satisfattive che non siano sancite e blindate dalla legge.
In quest'ottica, l'aspirazione a salvaguardare la prededucibilità di un credito che si è legato al "tempo" di una procedura concordataria vanificatasi in un epilogo infruttuoso (pure per deliberata scelta del debitore che vi aveva inizialmente optato), sembra possedere un addentellato di puro "favore" sostanzialistico, che si rivela, tuttavia, piuttosto malfermo sul piano dei principi processualcivilistici, che pure devono governare per quanto s'è detto le "prededuzioni", segnandone l'indubbia matrice giustappunto processuale.
Si noti bene allora: sol che si consideri che il concordato preventivo si atteggia ad esecuzione forzata collettiva e a strumento, in certo senso, di attuazione della garanzia patrimoniale di tutti – proprio tutti – i creditori, si percepisce, con ancor maggiore pregnanza, come un credito possa assumere preminenza rispetto agli altri solo in relazione al procedimento cui attiene; rimane salva la sua idoneità a palesarsi prededucibile in un procedimento diverso, di regola conseguente, soltanto quando è la legge che lo stabilisce a chiare lettere, oppure quando a tanto conduca l' assorbente fenomeno della consecuzione fra le procedure.
È d'uopo, allora, verificare, proprio al lume dell'accennato principio, se e quando tra l'iniziale e sfumata vicenda processuale concordataria e l'eventuale concordato o fallimento successivo possa dirsi sussistente quella consecuzione di procedure idonea a dare luogo e origine alla "prededuzione ai sensi dell'art. 111", che l'art. 161, comma 7, evoca.
Non deve sottacersi che il testo attuale dell'art. 111 si limita a recepire un indirizzo interpretativo maggioritario, in tema di conversione di procedure, ovvero quello secondo il quale le spese contratte legittimamente nel corso di una procedura concordataria ricevono il trattamento prededucibile nella procedura fallimentare in cui la prima si sia convertita (Cass. 3.10.1983, n. 5753).
Né deve trascurarsi come una prospettiva ermeneutica, che voglia essere insieme coerente e dirimente, suggerisca di rintracciare la consecutio solo in ipotesi di consecuzione logica e non strettamente cronologica.
Ora, nel caso vagliato dal tribunale umbro, non sembrerebbe potersi dire che i due concordati – quello ammesso e omologato e quello in bianco "abdicato" – si siano susseguiti tanto da mostrarsi l'uno la conseguenza dell'altro.
A “disimpegnare” la seconda vicenda concordataria dalla prima concorrevano due convergenti elementi: innanzitutto la soluzione di continuità data dalla rinuncia (anche implicita) al primo concordato, che per ciò stesso si volatilizzava; in secondo luogo la cesura evidenziata dall'atteggiarsi della domanda che sorreggeva l'ammissione e l'omologa del secondo concordato a domanda ontologicamente "nuova".
Se la prima domanda di concordato preventivo è venuta meno, in quanto a soppiantarla ne è intervenuta, separatamente, una differente, non sembra potersi revocare in dubbio che gli effetti di cui agli artt. 168 e 169 l.fall. siano necessariamente decorsi ex novo proprio da quest'ultima.
Gli effetti della presentazione del ricorso per l'accesso al concordato, scolpiti dall'art. 169 anzidetto, sono significativi e ragguardevoli in rapporto alle posizioni dei creditori, ma, proprio per ciò, appaiono rigorosamente provvisori: è incongruo avallare la perpetuazione e il consolidamento degli effetti correlati ad una domanda di accesso “con riserva” al concordato, al netto della rinuncia in cui quella domanda sia sfociata.
Quegli effetti (e quelle prededuzioni), essendo senz'altro pregiudizievoli per i titolari delle ragioni di credito, in tanto paiono giustificati (e giustificabili), in quanto a sorreggerli vi siano, a monte una domanda, e a valle il suggello di un provvedimento che a quella domanda abbia dato un utile corso nel senso dell'ammissione o, comunque, un sèguito logico, se del caso con la dichiarazione di fallimento ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 162, comma 2, l.fall.
Quella qui prospettata, in distonia con la conclusione del tribunale umbro, è una soluzione allineata alla ratio intrinseca all'art. 161, comma 7. Detta norma si spiega con l'esigenza di colmare, in senso incentivante per la prospettiva concordataria, il segmento temporale intercorrente fra la domanda di concordato e il decreto di (eventuale) ammissione. Quel lasso di tempo, entro il quale l'impresa si trova fisiologicamente esposta, nei confronti dei propri interlocutori negoziali, a pagar lo scotto della compiuta discovery della propria crisi, è ora preservato dall'"ombrello" della prededuzione, che sospinge gli interlocutori dell'impresa a mantenere aperti i canali di comunicazione con quest'ultima, proprio in virtù del rassicurante anelito alla prededucibilità delle proprie ragioni.
Tuttavia, il principio della stabilità degli atti che l'art. 161 pone a presidio della fase endoconcordataria, in un'ottica di agevolazione delle soluzioni concordate delle crisi di impresa e di eliminazione del rischio della "fuga" dei fornitori dell'impresa stessa, non sembra suscettibile di essere estremizzato, tanto da farlo tracimare rispetto ai margini intrinseci al processo concordatario. Di converso, in tanto quel principio di stabilità si tiene in piedi, in quanto quella medesima fase endoconcordataria viva (abbia vissuto) il suo naturale epilogo procedimentale: quello che, indefettibilmente, la vede culminare nel decreto di ammissione o, in ipotesi meno fausta, nella dichiarazione di fallimento.
Una seconda domanda di concordato non può che dirsi autonoma, distinta e nuova rispetto alla precedente nella misura in cui il minimo comune denominatore tra le due si esaurisca nella mera identità del soggetto richiedente. La saldatura, se non cronologica, perlomeno logica, fra due procedure si nutre – immancabilmente – di un nesso di unitarietà e strumentalità tra le procedure stesse, che difficilmente si rintraccia laddove la prima non sia sfociata nella seconda, bensì dalla seconda sia stata autonomamente scavalcata e surrogata.
Anche a ragionare per inconvenienti (anziché per principi), una prospettiva contraria incontra il serio deficit di avvantaggiare la precostituzione di posizioni di "preminenza" estranee al piano che in ultima analisi riceve il sigillo del tribunale, in luogo di quello in origine abbozzato e “rinunciato” con la prima domanda.
L'imprenditore, del resto, potrebbe negoziare con i fornitori, in concomitanza con i periodi di crisi di liquidità, semplicemente offrendo ad essi una fluida corsia preferenziale “prededuttiva” in un eventuale futuribile concordato preventivo. In tal guisa, il debitore sceglierebbe, nella piena sostanza, chi pagare per intero e chi no, senza che alcuna espressa previsione di legge possa arginarne l'arbitrio.

Le questioni aperte

Se si ritiene che la prededuzione operi solo all'interno del fallimento, non può che, coerentemente, concludersi che i primi "prededotti" (legati alla fase “preconcordataria” abortita) perdono la propria qualifica laddove al periodo “bianco” non segua nulla o segua, per conto proprio, una seconda, distinta proposta concordataria.
La modifica della proposta, in quanto correlata in senso stretto alla domanda, determina indubitabilmente una soluzione di continuità tra le due vicende concordatarie sottoposte, in momenti diversi, al vaglio del tribunale. Il primo concordato ed il concordato successivo (o il fallimento che ne sia la “coda” finale) non sono avvinti da una consecuzione in grado di innescare la prededuzione ai sensi dell'art. 111.
Del resto, come si fa a sostenere che il fallimento è la conseguenza del "primo" concordato, se il "secondo" concordato ha cambiato i connotati della proposta "negoziale" rivolta ai creditori?
Col secondo concordato entrano in campo una nuova domanda e una nuova proposta.
Ora, sebbene anche il tema della prededuzione esiga d'essere affrontato per principi e non per inconvenienti, non può sottacersi che, ad espandere la prededuzione addirittura ai creditori del primo, “evaporato” embrionale progetto concordatario, si alimenta il rischio della precostituzione (volontaria e strategica) di posizioni di preferenza avulse rispetto al piano concordatario infine sottomesso al vaglio dei creditori e del tribunale.
Specularmente, nel momento in cui un ricorrente revoca la sua proposta, ovvero semplicemente abdica all'onere di darvi corso nel termine assegnato dal tribunale, viene meno la possibilità di parlare di procedura concordataria: detta procedura, per il vero, ineluttabilmente si estingue, facendo difetto quella domanda giudiziale che ne sta indefettibilmente alla base.
Mette punto, pertanto, rilevare che, posta, nel caso ternano, la discontinuità e l'autonomia (quantomeno formali) fra la procedura sfociata nel decreto di ammissione e quella subitaneamente morta per abdicazione, non sembra legittimamente plausibile inserire in prededuzione crediti sorti a seguito della primigenia, eclissata procedura.
É noto che nel sistema anteriore alla riforma dei concordati preventivi, la consecutio delle procedure, ai fini del riconoscimento della prededuzione, postulava che il passaggio dall'una all'altra fosse avvenuto senza soluzione di continuità, continuità che, peraltro, non era esclusa da un intervallo temporale tra le procedure la cui consecutio dovesse essere valutata (

Cass. 26.6.1992, n. 801

3).
Nel caso ternano, tuttavia, la consecutio fra le due procedure latita alla luce di una determinante constatazione: non v'è nesso di unitarietà fra due concordati che poggiano su proposte contenutisticamente e oggettivamente divergenti e su autonome domande di giustizia rivolte al tribunale; né v'è strumentalità del primo concordato rispetto al secondo, che, anzi, presuppone proprio la morte processuale del primo concordato ed eleva quella morte a proprio dirimente presupposto.
Nell'ottica “sostanzialistica”, tesa ad allargare i margini della prededuzione endoconcordataria, si evidenzia l'esigenza di affermare la certezza dei traffici giuridici mediante la tutela dell'affidamento dei terzi che, in costanza di procedura concordataria (finanche abortita), abbiano contrattato con il debitore-proponente. In realtà, a guardar bene, non v'è alcun affidamento ragionevole da tutelare. Difatti, nell'odierno sistema concorsuale, il creditore che negozia con l'imprenditore proponente il concordato preventivo non può affatto contare sulla sicurezza della capienza necessaria al soddisfacimento del proprio credito endoconcordatario. D'altronde, nel momento stesso in cui negozia, quel creditore è tenuto, per evidenza di sistema, a considerare come assolutamente percorribile l'eventualità della revoca (o dell'abdicazione) della proposta (e della domanda) concordataria su cui egli ripone le proprie aspettative. Quella eventualità è un'ipotesi che, nell'essere contemplata a chiare lettere dal sistema, è suscettibile di lasciare il creditore speranzoso, infine privo di concrete garanzie a che quel soddisfacimento auspicato davvero si compia.
Il creditore non è deresponsabilizzato dal sistema e, in tal senso, non può, né deve, maturare affidamenti al netto delle eventualità e delle variabili processuali previste dall'ordinamento, tra cui giustappunto quella che ascrive al debitore che accede al concordato (anche con ricorso “in prevenzione”) la possibilità di non dare sèguito ad una domanda di concordato o di rimpiazzarla con un'altra di tenore diverso.
Pure in tal caso, comunque, il sistema non va affatto in cortocircuito: rimane ferma e impregiudicata, difatti, l'opportunità, sussistendone i profili, di ravvisare, nel contegno del debitore che muti repentinamente avviso, un'ipotesi di abuso dello strumento concordatario, quale species correlabile al genus dell'abuso del processo, che assurge, anche nel campo qui in discorso, a idonea valvola di sistema.
In tal senso, la preoccupazione dei fautori della opzione "sostanzialistica" della prededuzione, legata ad una salvaguardia di ragionevolezza – si ribadisce che si vuol evitare di porre a carico di un terzo la "sanzione" per un comportamento omissivo del debitore – è bastevolmente contrastata da un principio di sistema: quello che nega l'ammissibilità del concordato, in ipotesi di conclamato abuso dello strumento.
L'opzione "sostanzialistica" motivata nel precedente ternano non appare accoglibile, nel sistema attuale, anche per ciò, che porrebbe in disparte un profilo saliente: nell'ordinamento odierno gli effetti del concordato "in bianco" – tutti gli effetti, quali che siano, e con la sola eccezione di quelli strettamente irreversibili – sono condizionati in nuce proprio alla presentazione della proposta e del piano, nonchè all'apertura, per decreto di ammissione, della procedura di concordato.
Alla richiesta di concordato in bianco il giudice adito si limita a "rispondere" con la concessione di un termine, che è, tuttavia, ontologicamente funzionale alla presentazione di una proposta e di un piano. In tal senso, ove il termine venga disatteso si interpone un elemento ostativo all'apertura del concordato preventivo, quindi pure alla permanenza di quegli effetti.
Non è accidentale, d'altronde, che, a tenore, dell'art. 161, comma 6, l. fall., in ipotesi di omessa presentazione della proposta "documentata" e del piano in discorso, alla scadenza del termine si applichi l'art. 162, comma 2, in base al quale il tribunale, “sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo dichiara inammissibile la proposta di concordato” e, su istanza dei creditori o del P.M., può dichiarare il fallimento dell'imprenditore, ricorrendone i presupposti.
Si intende dire che, la circostanza che il Legislatore abbia individuato nella sanzione radicale della inammissibilità del concordato la conseguenza necessitata del mancato rispetto del termine, implica una presa d'atto dell'inidoneità dell'originaria domanda di concordato in bianco a condurre all'apertura del concordato, quindi pure a supportare, anche solo interinalmente, i propri effetti. Questi ultimi, proprio in virtù della radicale sanzione processuale prescelta dal Legislatore, non possono significativamente permanere (per una ricostruzione generale del problema della reiterazione di domande in successione cfr. Lamanna, Profili di abuso e limiti nella reiterazione di domande di preconcordato, di concordato e di omologa di accordi, in ilFallimentarista.it, 13/11/2013).
Un'ultima notazione: l'opzione ermeneutica per la prededuzione "a tutto spiano" ha due vizi d'origine. Intanto, non rivela la tendenza recondita a ragionare per inconvenienti o per casi di scuola, anzichè per principi, attingendo elasticamente ad essi, semmai si tratti di risolvere inconvenienti e casi scolastici. In secondo luogo, perchè accarezza l'idea di trovare coerenza nel sistema partorito dal legislatore nel travaglio di sette anni. Al legislatore delle riforme è però mancata la visione d'insieme: si è pensato di attaccare nel corpo di un settantenne, la testolina di un neonato. Il concordato, da rimedio dell'imprenditore onesto e sfortunato, è divenuto refugium peccatorum dell'imprenditore “inguaiato”. In un contesto denso di aporie, quando la composizione non è dentro le regole, nè all'interno delle fattispecie, è necessariamente nei principi: par condicio, fisiologia del processo, abuso del processo stesso, quale valvola (eventuale) di sistema.

Conclusioni

Far venir meno la prededuzione qualora non venga aperto il concordato, significa far ricadere, come afferma il tribunale di Terni, la condotta omissiva del debitore sui terzi che confidato nel largo “ombrello” della prededucibilità dei loro crediti, nati per effetto di “atti legalmente compiuti” dal debitore. Di egual rilievo è il rischio, paventato parimenti dal collegio umbro, di pregiudizio alla certezza dei rapporti giuridici e di svilimento della fiducia nel modello del concordato "in bianco", su cui pure il Legislatore sembra aver ampiamente scommesso nell'ottica dell'implentazione delle soluzioni concordate alle crisi d'impresa.
Pur tuttavia, considerato l'ordinamento attuale, non sembra plausibile che, "a bocce ferme", sia il giudice a potersi dar carico di siffatte criticità, selezionando egli stesso quelli tra i creditori che sembrano meritare una maggior tutela.
Difetta una norma chiaramente regolamentatrice della fattispecie, che sapientemente contemperi il ventaglio di esigenze pure antitetiche che vengono in evidenza.
In detto contesto, pertanto, sembra corretto assumere l'opportunità di decidere, non sulla base degli inconvenienti, ma tornando cautamente ai principi. E il principio dovrebbe voler dire che la prededuzione è interna al singolo procedimento esecutivo e si diffonde su quello successivo entro gli stretti binari in cui vi sia effettiva consecutività, pur a prescindere dal distacco cronologico.
A rafforzare la soluzione qui patrocinata parrebbe militare il testo dell'emendamento al Decreto Destinazione Italia (145/2012), approvato dalla Camera dei Deputati ed anche dal Senato della Repubblica, nella serata del 19 febbraio, in sede di definitiva conversione in legge. Secondo l'art. 3-quater, infatti: “La disposizione di cui all'articolo 111, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che i crediti sorti in occasione o in funzione della procedura di concordato preventivo aperta ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, e successive modificazioni, sono prededucibili alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell'articolo 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161, sesto comma”.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In giurisprudenza si vedano, in particolare, Trib. Parma, 12 dicembre 2013 e App. 9 gennaio 2014, entrambe edite su ilcaso.it.. In dottrina, sulla dilatazione della prededucibilità e sull'analisi delle specifiche ipotesi di credito prededucibile nel concordato con riserva, v. in particolare P. VELLA, Le nuove prededuzioni nel concordato con riserva e in continuità. I crediti dei professionisti, in Fall., 2013, 1141; A. DIDONE, La prededuzione dopo la L. 134/2012 (prededuzione "ai sensi" e prededuzione "ai sensi e per gli effetti"?), ibidem, 913. Sulla materia della prededuzione in rapporto al concordato preventivo, nella vasta letteratura sviluppatasi, v.: G. FILOCAMO, La prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione, in Fall., 2013, 1149; L. STANGHELLINI, Finanziamenti ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, ibidem, 2010, 12, 1346; A. DIDONE, Il controllo giudiziale sulla nuova prededuzione del finanziamento soci "postergabile", in Società, 2011, 9, 1085 e ss.; B. ARMELI, I finanziamenti dei soci in esecuzione di concordato preventivo tra prededucibilità e postergazione, in Fall., 2011, 8, 889 e ss.; G. TARZIA, La nuova tutela del debitore e dei finanziatori negli strumenti di prevenzione del fallimento, in Dir. fall., 2010, I, pag. 543 segg.; S. BONFATTI, Il sostegno finanziario delle imprese in crisi, in La ristrutturazione dei debiti civili e commerciali, a cura di S. Bonfatti-G. Falcone, Milano, 2011, pag. 98 segg.; C. COSTA, Esenzione dall'azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. Fall., 2010, 531 ss.; A. BASSI, La illusione della prededuzione, in Giur. comm., 2011, I, pag. 342 segg.; S. AMBROSINI, Appunti flash sull'art. 182-quater legge fallim., in ilcaso.it; A. PATTI, La prededuzione dei crediti funzionali al concordato preventivo tra art. 111 ed art. 182-quater l. fall, in Fallimento, 2011, pag. 1340 segg.; Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista, Milano, 2012.

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