Prova della scientia decoctionis dell’istituto di credito convenuto in revocatoria

18 Febbraio 2014

Ai fini della revocatoria di rimesse bancarie ex art. 67, comma 2, l. fall., la prova della scientia decoctionis della banca incombe sul curatore e non può essere dedotta solo dalla costante scopertura di conto corrente della fallita – in quanto circostanza equivoca – né da supposte segnalazioni in Centrale Rischi neppure dimostrate dal fallimento attore.
Massima

Ai fini della revocatoria di rimesse bancarie ex art. 67, comma 2, l. fall.., la prova della scientia decoctionis della banca incombe sul curatore e non può essere dedotta solo dalla costante scopertura di conto corrente della fallita – in quanto circostanza equivoca – né da supposte segnalazioni in Centrale Rischi neppure dimostrate dal fallimento attore.

Il caso

Il curatore di una società fallita agiva nei confronti di una banca ex art. 67, comma 2, l. fall. per ottenere la revoca di alcune rimesse solutorie affluite sul conto corrente della società nel periodo sospetto anteriore il fallimento. La questione giungeva al cospetto della Corte di cassazione dopo che il Tribunale e la Corte d'Appello avevano accolto la domanda del curatore.

Le questioni giuridiche

La sentenza in commento consente di ripercorrere i principi cardine elaborati dalla giurisprudenza in merito al requisito soggettivo della scientia decoctionis nell'ipotesi di azione revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall. promossa nei riguardi di un istituto di credito per rimesse affluite sul conto corrente del debitore poi fallito.
Secondo l'opinione più accreditata in dottrina (Alessi, Diritto Fallimentare, 68, II, 33; De Martini, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, 331; Pazzaglia, Diritto Fallimentare, 67, II, 191) e in giurisprudenza (Cass. s.u. n. 7928/2006), la legge fallimentare ha istituito una presunzione assoluta (iuris et de iure) di insolvenza dell'imprenditore nel cosiddetto “periodo sospetto” (cfr. Cass. n. 14087/2002; Trib. Milano, 21.9.2000). Ciò significa che se l'atto è stato compiuto un anno o sei mesi prima del fallimento (in base alle diverse ipotesi dell'art. 67 l. fall.), si presume che a quel tempo il debitore fosse insolvente, senza possibilità di fornire la prova contraria.
Data per “assodata” l'insolvenza nel periodo sospetto, essenziale diviene fornire la prova della conoscenza di simile condizione in capo al terzo.
Infatti, in ipotesi di atti revocabili ex art. 67, comma 2, l. fall. (cioè i cosiddetti atti a titolo oneroso in regime probatorio ordinario), quali le rimesse su conto corrente del caso in esame, l'onere della prova grava esclusivamente sul fallimento attore.
Come ribadito dalla sentenza in commento, il curatore deve dimostrare che la conoscenza dello stato di insolvenza sia effettiva e non meramente potenziale, ossia che tale condizione del debitore fosse concretamente conosciuta dal terzo e non semplicemente verificare se essa fosse “conoscibile”.
In altre parole, secondo formule “tralatizie” contenute negli arresti giurisprudenziali, decisiva è “la conoscibilità in concreto, secondo l'ordinaria diligenza e le particolari condizioni economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali in cui operi il terzo, ma non quella in astratto” (App. Roma 18.3.2013). La ratio è infatti quella di “punire” i terzi che, pur sapendo della situazione di dissesto, hanno continuato a contrattare con il debitore poi fallito.
Trattandosi di uno stato psicologico, la prova può essere fornita anche indirettamente attraverso l'utilizzo di indizi e presunzioni che fanno ritenere che una persona dotata di normale avvedutezza in quella determinata fattispecie non avrebbe potuto ignorare lo stato di insolvenza di quel debitore (cfr. Cass. n. 2557/2008 e Cass. n. 9903/2007).
Come opportunamente rilevato in dottrina (Pajardi, Codice del fallimento, 2013, 739) il necessario passaggio dalla conoscibilità alla conoscenza in simili casi può essere compiuto utilizzando criteri di regolarità causale, tenuto conto del tipo di soggetto, delle sue capacità, attitudini, professionalità e mezzi di cui dispone.
Emblematica sul tema è stata Cassazione n. 12736 del 21.12.1998, secondo cui “la prova della conoscenza può essere integrata dalla prova della conoscibilità: dovendosi precisare peraltro che tale principio si giustifica non già perché la mera conoscibilità possa venire in considerazione quale elemento in se stesso rilevante in via sostitutiva di una non provata conoscenza, bensì perché, fermo restando che la conoscenza deve essere effettiva e non solo potenziale, la stessa, attesa la sua natura di dato essenzialmente psicologico non suscettibile di oggettiva diretta rilevazione, può considerarsi dimostrata ogniqualvolta sussistano ragioni per ritenere che il terzo, facendo uso della normale diligenza – da valutarsi alla stregua della sua specifica qualità di operatore in relazione alla natura dell'atto – non abbia potuto non rendersi conto dello stato di dissesto in cui versava la controparte” (in tal senso si ricordano anche Cass. 24.3.2000, n. 3524 e Cass. 27.5.1995, n. 5900).
Essenziale è che gli indizi e le presunzioni siano altresì dotati dei requisiti della gravità, precisione e concordanza come prescritto dall'art. 2729 c.c.
Secondo costante giurisprudenza e dottrina, “gravi” sono gli elementi che resistono alle obiezioni e quindi attendibili; “precisi” sono quelli non equivoci bensì strettamente ed esclusivamente riferibili al caso di specie e alla prova da fornire; “concordanti” infine sono quelli che non contrastano tra loro. In altre parole, sulla base di tali elementi il Giudice dovrebbe essere in grado di giungere alla dimostrazione del fatto ignoto (cioè la conoscenza dello stato di insolvenza) in termini di certezza tali da escludere qualsiasi altra conclusione differente (vedi in tal senso Chiarloni, R. trim. 86, 864; Patti, Comm. SB, 130).
Allo scopo, il curatore-attore in revocatoria può servirsi di due categorie di indizi (così li distingue Verdirame, La prova della scientia decoctionis nella revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, in Fall., 2004, 756 ss.).
Innanzitutto quelli “diretti”. Essi fondano ex se la prova della scientia decoctionis giacché fanno riferimento a iniziative (istanze di fallimento, pignoramenti, procedure esecutive e azioni in giudizio, ecc.) promosse dallo stesso accipiens nei riguardi del proprio debitore.
Esistono poi gli indizi “indiretti”, cioè caratterizzati da una certa pubblicità, ma che non possono per ciò solo essere considerati come conosciuti dal convenuto in revocatoria. Si tratta delle pubblicazioni di protesti, pignoramenti immobiliari, iscrizioni ipotecarie, notizie di stampa, segnalazioni in Centrale Rischi, ecc. Sono quindi certamente elementi sintomatici, ma non decisivi; sarà il curatore a dover integrare gli indizi e dimostrare che essi sono stati effettivamente conosciuti dal convenuto. Solo effettuato questo necessario passaggio si potrà dedurre la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore.
Certamente a questi livelli rileva anche la qualifica professionale del convenuto. Infatti tali indizi sono tanto più idonei a fondare la scientia decoctionis quanto più il creditore è un operatore professionale che con la propria organizzazione e modalità di azione è in grado di verificare simili dati.

La soluzione della Corte

Proprio su questi aspetti si sofferma il ragionamento della Corte di cassazione che ha portato al rigetto del ricorso.
Il curatore “sfruttava” gli indizi a sua disposizione e sosteneva che la banca era a conoscenza dello stato di insolvenza: 1) per via della costante scopertura del conto corrente; 2) per l'ingente indebitamento complessivo del fallito risultante dal bilancio di esercizio pubblicato in data successiva alle rimesse contestate; 3) per gli efficaci sistemi di controllo (tra cui la Centrale Rischi) che gli istituti di credito hanno a disposizione e che l'istituto convenuto non avrebbe potuto ignorare nel caso di specie.
La banca come operatore qualificato - In effetti non mancano precedenti in cui la posizione della Banca è stata vista con “sospetto”, stante la particolare natura di “operatore qualificato”.
In tal senso il Tribunale di Milano, con provvedimento 25.5.2009 (in Fall., 2009, 1480), ebbe a precisare che “ai fini della valutazione della scientia decoctionis, va ritenuto fatto notorio che le banche siano dotate di strutture finalizzate ad accertare l'esistenza contro i loro clienti di procedimenti monitori ovvero azioni esecutive, la cui conoscenza deve presumersi iuris tantum” e poi ancora con decisione 21.7.2008 osservò che, “qualora il convenuto sia una banca, ai classici elementi presuntivi della scientia decoctions (esistenza di protesti, pendenza di esecuzioni e procedure monitorie, dati sfavorevoli emergenti dalla disamina del bilancio) va riconosciuta valenza indiziaria potenziata”.
Nonostante la “lente di ingrandimento” appena descritta, la S. Corte nel caso di specie “smonta” le considerazioni del fallimento attore ricorrendo ai principi costanti elaborati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.
Lo scoperto di conto corrente - In primo luogo si è osservato che, come da opinione comunemente condivisa, lo scoperto di conto corrente, per quanto abbondante, non è in realtà elemento decisivo per la dimostrazione della scientia decoctionis.
Esso è al contrario un dato “ambiguo”, giacché può essere sintomo dell'insolvenza, ma anche di fiducia della banca nelle possibilità e capacità di ripresa del correntista (vedi ex multis Tribunale di Bologna 26.4.2010; Cass. 22.1.2009, n. 1617).
Diverse conseguenze invece si sarebbero potute trarre nel caso in cui l'istituto di credito avesse improvvisamente revocato i fidi o non avesse più concesso credito pur mantenendo aperto il rapporto di conto corrente al solo scopo di far affluire rimesse per ridurre l'esposizione debitoria complessiva con la banca. Simili condotte infatti sono state considerate prova della conoscenza dello stato di insolvenza del correntista (vedi in tal senso Trib. Napoli, 17.2.2009 in Fall., 2009, 1002).
I dati di bilancio - Per quanto concerne i dati di bilancio, dalla sentenza in realtà emerge come i documenti relativi fossero stati pubblicati solo in epoca successiva all'effettuazione delle rimesse revocabili, pertanto in tal caso la banca ha potuto sostenere agevolmente di non avere avuto notizia dell'indebitamento complessivo del proprio cliente. In realtà in altre situazioni l'indagine dei giudici è stata anche più severa e rigorosa, facendo leva sul fatto che un istituto di credito dovrebbe verificare la situazione economica e finanziaria dei propri clienti (quantomeno di quelli più importanti) con scadenza almeno trimestrale, secondo l'ordinaria diligenza, acquisendo e analizzando tempestivamente i relativi bilanci e le situazioni patrimoniali aggiornate (così Trib. Latina, 9.9.2011 in ilFallimentarista con nota di Terenghi).
In altri casi invece si è ritenuto che la situazione emergente dai bilanci non fosse sufficiente a dimostrare la scientia decoctionis, perché spesso sono redatti in modo tale da salvaguardare la situazione e la stabilità societaria, né si può richiedere che il terzo, seppure soggetto qualificato, possa effettuare un'analisi critica dei bilanci del debitore (App. Roma, 25.3.2002; Di Iulio, L'azione revocatoria fallimentare in Ghia, Piccininni, Severini, Trattato delle procedure concorsuali, Vol. II, 2010, 199).
La segnalazione in Centrale Rischi - Interessante infine è il passaggio della decisione relativo alle informazioni risultanti dalla Centrale Rischi.
Il curatore sosteneva infatti che la banca era consapevole dello stato di decozione del proprio correntista per via delle segnalazioni in Centrali Rischi che l'istituto di credito, data la sua natura, avrebbe dovuto conoscere.
Si sfruttava in altre parole il sistema sopra delineato degli indizi “indiretti” deducendo dalla segnalazione la scientia decoctionis della banca.
In realtà il passaggio logico dell'attore non era corretto, poiché desumeva la sussistenza di un fatto ignoto (la scientia decoctionis) da un fatto altrettanto ignoto, cioè la conoscenza da parte della banca delle risultanze della centrale rischi.
Il curatore infatti parlava solo di ipotetiche “iscrizioni”, ma ometteva addirittura di provarle e allegarle.
Per dimostrare la conoscenza di tali dati però non basta sottolineare semplicemente la qualità di operatore qualificato della banca, tanto più che in molti casi neppure l'accertata conoscenza della registrazione in centrale rischi è stata giudicata sempre segnale univoco di scientia decoctionis.
L'iscrizione infatti è sintomo solo dell'eventuale riduzione degli affidamenti da parte del singolo istituto di credito, senza specificazione dei soggetti interessati, né della cause della riduzione.
Non può dunque esserle attribuito un significato univoco, per così dire erga omnes, potendo essere al contrario legata a differenti fattori (Trib. Parma 27.5.1998, in Fall. 5/1999 con nota di Enrico De Risio, Prova della scientia decoctionis e pubblicità presso la centrale rischi).
Anzi si è notato che la struttura della Centrale addirittura “spersonalizza” i rapporti con trasmissione alle singole banche di posizioni complessive “aggregate” di credito/rischio e non di singoli rapporti (così Terenghi, cit.). Tali dati quindi possono tutt'al più essere rilevanti ai fini della scientia decoctionis solo nei riguardi dell'istituto segnalante o affidante, ma non nei confronti della generalità del sistema creditizio (in tal senso Trib. Milano, 23.5.2007 e 8.2.2007, nonché Pajardi, Codice del Fallimento, 2013, 745).

Conclusioni

In conclusione la Suprema Corte ha giustamente rilevato le “falle” dal punto di vista probatorio dell'azione instaurata dal curatore del fallimento, il quale aveva convenuto l'istituto di credito senza curarsi di fornire adeguata dimostrazione della scientia decoctionis del medesimo, soffermandosi invece su semplici supposizioni o presunzioni non caratterizzate dai requisiti della gravità precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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