L'indistinta ammissibilità del pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione

Filippo Lamanna
04 Giugno 2014

Sono ammissibili la proposta ed il piano di concordato preventivo che prevedano il pagamento con dilazione dei creditori muniti di prelazione, anche se la dilazione sia superiore a quella imposta, in caso di concordato liquidatorio, dai tempi tecnici della liquidazione.Siccome il pagamento con dilazione equivale alla soddisfazione non integrale dei creditori muniti di prelazione prevista dall'art. 160, comma 2, l. fall., essi hanno anche in tal caso diritto di voto – potendo parimenti assimilarsi ai creditori chirografari - in una misura (corrispondente alla perdita economica derivante dal ritardato pagamento) che compete al giudice di merito determinare in concreto anche alla luce della relazione giurata di cui all'articolo 160, comma 2, l. fall., degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati dal privilegio nell'ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta nonché della disciplina degli interessi di cui agli articoli 54 e 55 l. fall.
Massima

Sono ammissibili la proposta ed il piano di concordato preventivo che prevedano il pagamento con dilazione dei creditori muniti di prelazione, anche se la dilazione sia superiore a quella imposta, in caso di concordato liquidatorio, dai tempi tecnici della liquidazione.

Siccome il pagamento con dilazione equivale alla soddisfazione non integrale dei creditori muniti di prelazione prevista dall'art. 160, comma 2, l. fall., essi hanno anche in tal caso diritto di voto – potendo parimenti assimilarsi ai creditori chirografari - in una misura (corrispondente alla perdita economica derivante dal ritardato pagamento) che compete al giudice di merito determinare in concreto anche alla luce della relazione giurata di cui all'articolo 160, comma 2, l. fall., degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati dal privilegio nell'ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta nonché della disciplina degli interessi di cui agli articoli 54 e 55 l. fall.

Il caso

La S. Corte ha cassato – davvero sorprendentemente, per la ragioni che di seguito si esporranno – un decreto con cui il Tribunale di Roma aveva (ineccepibilmente) dichiarato inammissibile una proposta di concordato preventivo di tipo liquidatorio, che prevedeva il pagamento dilazionato dei creditori prelazionari anche oltre i tempi tecnici della liquidazione, sia pure non oltre un quadriennio dall'omologa e con promessa di pagamento degli interessi dilatori.
Secondo la S. Corte il pagamento dilazionato dei creditori muniti di prelazione sarebbe sempre ammissibile nel concordato preventivo alla luce delle modifiche introdotte dal “decreto correttivo” (D.lgs. n. 169/2007), avendo questo modificato l'art. 160 l. fall. consentendo un pagamento anche non integrale dei creditori prelazionari, ipotesi cui sarebbe appunto assimilabile quella del pagamento dilazionato. In tal caso i creditori con prelazione avrebbero diritto di voto per una somma, che spetterebbe al singolo giudice determinare in concreto ragguagliandola alla perdita economica subita dai creditori stessi per effetto della dilazione, con valutazione da effettuare sulla base della relazione giurata di cui al secondo comma dell'art. 160 l. fall., degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di realizzo dei beni gravati dal privilegio nell'ipotesi di soluzione alternativa al concordato, oltre che del contenuto concreto della proposta e della disciplina degli interessi di cui agli articoli 54 e 55 l. fall.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Come si legge nella motivazione della sentenza, la Suprema Corte ha affrontato quattro profili problematici, che essa ha così testualmente articolato: a) se sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati; b) in caso affermativo, se essi abbiano diritto di voto nel concordato in quanto equiparabili ai creditori privilegiati non soddisfatti integralmente; c) in ipotesi di riconoscimento del diritto di voto, quale sia la misura del credito in relazione alla quale computare il diritto di voto; d) l'incidenza ai fini di tale computo dell'eventuale riconoscimento di interessi legali in favore dei creditori soddisfatti con notevole dilazione rispetto ai tempi della procedura.
Al primo quesito la Suprema Corte ha dato positiva risposta, evocando - secondo i suggerimenti di una parte della dottrina favorevole alla possibilità di pagamento con dilazione dei creditori privilegiati - l'art. 182 – ter l. fall., quale norma che disciplina espressamente la possibilità di proporre un “pagamento parziale o anche dilazionato” dei crediti tributari, e l'art. 186 - bis, comma 2, lett. c), l. fall., quale norma che a sua volta ammette, in sede di concordato con continuità aziendale, una moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, escludendo questi dal voto.
Risposta positiva ha quindi dato anche al secondo quesito, ma senza spendere in tal caso alcuna specifica motivazione. La S. Corte, infatti, si è limitata a ritenere di palmare evidenza, alla luce delle finalità perseguite dal legislatore con il “correttivo”, che la previsione di un pagamento con una dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici della liquidazione equivalga a quel pagamento non integrale dei creditori previsto dall'art. 160, secondo comma, l. fall., in ragione della perdita economica conseguente al ritardo. Da ciò la ritenuta assimilabilità, ai fini del voto, dei creditori soddisfatti con dilazione ai creditori chirografari in relazione all'art. 177, comma 3, l. fall..
Al terzo ed al quarto quesito, infine, la Suprema Corte ha risposto, anche in tal caso senza maggior chiarimento motivazionale, accollando al Giudice di merito il compito di calcolare in concreto la perdita causata dalla dilazione ai fini del computo del diritto (chirografario) di voto, facendo ricorso alla relazione giurata di cui al secondo comma dell'art. 160 l. fall. e tenendo conto degli altri elementi diacritici sopra ricordati.

Osservazioni

Poteva considerarsi quale orientamento da gran tempo acquisito in giurisprudenza che i crediti muniti di prelazione, per la parte suscettibile di effettiva soddisfazione (tenuto conto che ormai il debitore, a partire dell'emanazione del decreto correttivo del 2007, può proporre un pagamento non integrale di tali crediti nei casi d'incapienza totale o parziale del bene su cui la prelazione dovrebbe esercitarsi), dovessero essere pagati, dopo l'omologa, nel più breve tempo possibile, ossia senza dilazione, quantomeno nei casi di concordato “per ristrutturazione” (nuova formula omnicomprensiva in cui può annoverarsi qualunque figura prima classificabile come concordato a percentuale, o promissorio, o per garanzia, o misto, et similia), ossia di concordato in cui il debitore conserva la disponibilità dei suoi beni (che è libero di tenere per sé o vendere), ma in cui al tempo stesso s'impegna, pena il rischio di risoluzione per inadempimento, ad effettuare a favore dei creditori con prelazione un pagamento immediato, appunto, ed integrale (salva incapienza del bene oggetto di garanzia) e a favore dei creditori chirografari un pagamento in percentuale (e/o con dilazione).
Si è sempre reputato che tale regola fosse soggetta ad un'applicazione solo parzialmente diversa nei casi di concordato liquidatorio classico (cessio bonorum a carattere gestorio), poiché in tale ipotesi il debitore “cede” i suoi beni ai creditori e la relativa liquidazione è affidata ad un liquidatore giudiziale, con la conseguenza che i creditori con prelazione possono essere pagati solo dopo l'avvenuta vendita dei beni oggetto della garanzia, ma pur sempre immediatamente (vale a dire in occasione del primo riparto subito successivo alla vendita), attribuendosi al requisito di “immediatezza” del pagamento, in tal caso, la connotazione necessariamente relativistica collegata ai tempi tecnici della liquidazione [Cass., 11 aprile 1989, n. 1737: “la necessità della liquidazione patrimoniale che non consente esatte previsioni di adempimento (…) ha portato, nella figura, alla previsione delle ulteriori caratteristiche essenziali dello schema consistenti: (…) c) nella mancata fissazione di un termine di adempimento, non diversamente coordinabile con le situazioni future ed incerte inerenti alle esigenze della liquidazione patrimoniale”].
Proprio in relazione a tale evenienza, del resto, l'art. 169 l. fall. richiama, tra gli altri, l'art. 55 l. fall., che, nell'ambito del fallimento, pone la regola dell'immediata (ed anticipata) scadenza delle obbligazioni pecuniarie e della sospensione degli interessi endo-concorsuali salvo che per i crediti muniti di prelazione, conseguendone che a questi ultimi sono dovuti gli interessi di legge fino al momento dell'avvenuta liquidazione dei beni oggetto di garanzia o fino al primo riparto anche solo parzialmente satisfattivo, secondo i due distinti criteri di computo indicati nell'art. 54 l. fall., come richiamato dall'art. 55, primo comma.
Le più recenti riforme, successive al decreto correttivo, hanno poi previsto due eccezioni a tale disciplina di carattere generale, quelle contenute nelle norme - gli artt. 182 - ter e 186 - bis l. fall. – per l'appunto richiamate, come s'è visto, dalla Suprema Corte, sebbene in modo non pertinente.
Se, infatti, è vero che tali norme hanno disciplinato espressamente la possibilità di proporre un pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione, tale possibilità è stata però strettamente limitata ai crediti tributari e – rispettivamente - al periodo di un anno nel concordato con continuità aziendale quando il relativo piano non preveda la liquidazione dei beni oggetto della prelazione.
Si tratta quindi di palesi eccezioni alla regola generale del pagamento immediato, che, come tali, sono, e dovrebbero considerarsi, di stretta interpretazione (se le regole sull'interpretazione hanno ancora un senso).
Da questo punto di vista deve anzi osservarsi che se l'art. 182 - ter, introdotto con il “correttivo” del 2007 (contestualmente, dunque, alla previsione di pagamento non integrale di cui all'art. 160, comma 2), avrebbe potuto in effetti offrire un sia pure assai modesto appiglio alla tesi consentanea alla dilazione dei crediti prelazionari a causa della sua ambigua formulazione letterale, laddove in particolare poteva lasciar credere che la possibilità di pagamento in percentuale o dilazionato previsto per i crediti privilegiati fiscali potesse riguardare anche altri crediti privilegiati (“Se il credito tributario è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali”), una pur così evanescente eventualità è stata poi comunque radicalmente eliminata proprio con la più recente introduzione, dovuta al “Decreto Sviluppo” (D.L. n. 83/2012 conv. in L. n. 134/2012) dell'art. 186 - bis, poiché tale norma, contemplando chiaramente a titolo di eccezione la possibilità di moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, limitandolo solo ai concordati con continuità aziendale, ha mostrato per ciò stesso di rivestire un indubbio carattere confermativo per ogni altra ipotesi del precedente orientamento che escludeva la possibilità di dilazione e conformativo dello schema normotipico del concordato con continuità aziendale (appunto anche attraverso l'eccezionale previsione della moratoria, implicitamente esclusa per ogni altra ipotesi concordataria).
Invece la Suprema Corte, invertendo – potremmo dire - l'ordine logico dei fattori, ha considerato inopinatamente queste, che sono indiscutibilmente eccezioni, come disposizioni indicative di una nuova regola di portata generale contrapposta a quella generale preesistente dell'immediato pagamento, tale da contrastare quest'ultima fino al punto da sopprimerla del tutto.
È infatti questa la paradossale conseguenza che deriva dall'affermare, da un lato, come pure fa la Suprema Corte, che la regola generale sia ancor oggi quella del pagamento immediato dei privilegiati (“se la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati, allora …”), assumendo però, al tempo stesso, dall'altro lato, che il debitore possa comunque impunemente violarla proponendo un pagamento dilazionato dei creditori con prelazione (di tutti, e quindi non solo dei creditori privilegiati, come inappropriatamente si afferma nella motivazione della sentenza, ma appunto anche dei creditori ipotecari e pignoratizi, che solo impropriamente o metaforicamente possono definirsi privilegiati; per definirli tutti in modo unitario è dunque più pertinente discorrere di creditori prelazionari), anche oltre i tempi tecnici della liquidazione (nel concordato liquidatorio) e comunque senza limitazione alcuna (si suppone per implicito) nel concordato a percentuale (o per garanzia).
In tal modo, infatti, alla prima regola si è di fatto sostituita la seconda, ammettendosi, in ultima analisi, che il debitore possa sempre e comunque proporre il pagamento dilazionato, con l'unica contromisura costituita dal diritto di voto, che andrebbe riconosciuto in ragione del sacrificio economico determinato dalla dilazione in danno dei creditori prelazionari.
L'apice dell'incongruenza logica si registra in modo particolare in due passaggi argomentativi.
Anzitutto quando la Suprema Corte richiama (oltre all'art. 182 - ter, anche) l'art. 186 - bis, laddove tale norma esclude dal voto i creditori cui venga imposta la moratoria di un anno. Essa assume che tale esclusione dal voto confermerebbe “a contrario” che nei concordati senza continuità aziendale l'esclusione dal voto non opererebbe e sarebbe quindi possibile una moratoria (anche più lunga di quella annuale) alla sola condizione di ammettere al voto i creditori muniti di prelazione, secondo il principio generale di cui all'art. 177, comma, 3, l. fall. in forza del quale i creditori con prelazione vanno equiparati ai fini del voto ai creditori chirografari per la parte di credito rimasta insoddisfatta. Ciò in quanto anche la dilazione implicherebbe una situazione analoga al pagamento non integrale.
Il ragionamento è però assolutamente incongruo: una norma pensata chiaramente per aprire solo un piccolo spiraglio alla possibilità di dilazione (la quale prima era assolutamente ed indistintamente esclusa), limitandola ai soli concordati con continuità aziendale pura, si trasforma in una sorta di grimaldello per affermare, in modo palesemente contrario alla ratio normativa, una possibilità di dilazione estesa a qualunque procedura, come se il legislatore avesse voluto dire non già che solo nei limiti di un anno è possibile la moratoria, e che è possibile soltanto nei concordati con continuità aziendale, ma invece che solo in essi il creditore prelazionario non può interloquire (con il voto) se la prelazione è limitata ad un anno, mentre può interloquire in tutti i concordati liquidatori e comunque in ogni altro caso in cui la dilazione abbia una durata maggiore.
La tesi poggia dunque su una premessa del tutto fallace, quella – appunto - secondo cui l'esclusione dal diritto di voto dei creditori che nel concordato con continuità aziendale subiscono la moratoria di un anno implicherebbe “a contrario” la possibilità di una moratoria anche più lunga alla sola condizione dell'attribuzione del diritto di voto.
In realtà il senso logico della norma è esattamente opposto.
L'art. 186 - bis, infatti, escludendo il diritto di voto (“In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto”), da un lato è meramente confermativo della regola contenuta nell'art. 177 l. fall. laddove questa norma dispone che i creditori dotati di privilegio, pegno o ipoteca “non hanno diritto di voto”; dall'altro esclude espressamente che la moratoria possa applicarsi quando sia prevista la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione (“Il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall'articolo 160, secondo comma, una moratoria fino a un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”).
Ciò sta a dimostrare come la norma in esame preveda una regola esattamente contraria a quella estrapolata dalla S. Corte: nel senso che, a parte il caso di concordato con continuità aziendale “puro” (che è necessariamente “a percentuale”, poiché il debitore continua a disporre dei suoi beni e non li cede ai creditori, e per questo, se non potesse fruire della dilazione di un anno ora accordatagli, dovrebbe provvedere all'immediato pagamento, laddove invece, se si trattasse di fattispecie in parte liquidatoria, una dilazione in termine fisso non avrebbe senso, poiché la dilazione nel pagamento dei crediti con prelazione su beni da liquidare sarebbe imposta in misura variabile dai variabili tempi delle procedure di vendita e ripartizione), in ogni altro caso, compreso quello in cui lo stesso concordato con continuità aziendale preveda la liquidazione di una parte dei beni aziendali, e quindi a maggior ragione in tutti i concordati liquidatori (per cessione dei beni) in cui non sia prevista la continuità aziendale (finalizzata all'ottenimento dei benefici previsti dall'art. 186 - bis), una dilazione (o moratoria) prolungantesi oltre i tempi tecnici procedimentali della liquidazione e dei riparti deve intendersi tassativamente esclusa.
Ma siccome (anche) quando la possibilità di dilazione è esclusa trova applicazione il disposto dell'art. 160, secondo comma, ossia la possibilità di un pagamento non integrale del credito in caso di incapienza dei beni oggetto di prelazione, ne risulta viepiù dimostrato come abbia torto la Suprema Corte laddove presume che sussista una biunivoca corrispondenza tra pagamento non integrale e pagamento dilazionato, tale da giustificare in asserto la possibilità di effettuare il secondo in forza della possibilità – testualmente prevista - di effettuare il primo.
D'altra parte la pretesa corrispondenza tra possibilità di dilazione e pagamento non integrale è smentita anche dalla disciplina dell'art. 182 - ter, tenuto conto, ad esempio, che in materia di I.V.A. la dilazione è possibile, ma non il pagamento non integrale (cfr. Andreani, La Cassazione ribadisce l'intangibilità del credito Iva, in ilFallimentarista.it, 26/02/2014, nota a Cass. pen. 31 ottobre 2013, n. 44283).
Ciò senza poi considerare che una tale presunta corrispondenza sarebbe comunque priva di un adeguato fondamento logico. La possibilità di un pagamento non integrale in deroga alla regola generale del pagamento integrale è infatti ancorata dall'art. 160, secondo comma, ad una condizione oggettiva, tassativa e speciale: l'inesistenza o incapienza, specificamente attestata da un esperto con relazione giurata, del bene oggetto di prelazione. Nel caso di pagamento con dilazione non si comprende invece quale condizione oggettiva potrebbe essere utilizzata per giustificare la deroga al pagamento immediato: la legge non considera affatto tale ipotesi, e non potrebbe certo fungere allo scopo, ancora una volta, l'incapienza del bene, che può solo giustificare un pagamento non integrale nel quantum, e non invece un pagamento cronologicamente differito. Del resto, la regola scaturente dal combinato disposto degli artt. 169 e 55-54 l. fall., in base alla quale sono dovuti gli interessi di legge sui crediti muniti di prelazione per tutto il periodo endoconcorsuale andante fino alla vendita dei beni oggetto di prelazione o fino al primo riparto si applica sia in caso di capienza totale, che parziale, il che ulteriormente dimostra come non sia certo la non integralità del pagamento a poter giustificare ex se un pagamento con dilazione, ma semmai solo i tempi tecnici della liquidazione.
La Suprema Corte non si avvede poi della contraddizione in cui essa stessa cade quando ipotizza il superamento della regola del pagamento immediato attraverso il ricorso al voto.
Proprio la Suprema Corte, infatti, ricorda che “solo l'obbligo dell'immediata soddisfazione di tali crediti giustificava l'esclusione dei creditori privilegiati dal voto per l'approvazione del concordato e la necessità, per partecipare ad esso, della loro rinunzia alla prelazione (Sez. I, n. 12632/1992; Sez. I, n. 6901/2010)”. Ma se è così, e tale correlazione logica in effetti non è mai mutata continuando come tale a giustificare anche ora la regola dell'immediata soddisfazione dei creditori prelazionari, non si vede come potrebbe derogarvisi con la semplice concessione interpolativa e creativa di un diritto di voto che non è previsto affatto dalla legge.
Infatti l'art. 177 concede il voto ai creditori prelazionari solo in ragione della degradazione al chirografo causata dal pagamento non integrale e nei limiti di tale degradazione. Al di fuori di questa ipotesi il voto è ammesso da tale norma solo se il creditore rinuncia alla prelazione, ossia solo in forza di un atto volontario di carattere negoziale.
È allora chiaro come sia palesemente strumentale e artificioso il passaggio argomentativo in cui la Suprema Corte, per ammettere la possibilità di dilazione compensandola con l'ammissione al voto, assume che essa, comportando un sacrificio per i creditori prelazionari, equivalga ad un pagamento non integrale. La realtà è tutta diversa, poiché un conto è discutere della soddisfazione in termini quantitativi, altro discuterne in termini cronologici, e assimilare i due aspetti è come sommare fichi e castagne, operazione, come ben si sa, assolutamente contrastante sia con la logica che con l'aritmetica, come ci hanno insegnato alle scuole elementari.
Non vi è dunque alcuna biunivoca corrispondenza tra dilazione e pagamento non integrale, conseguendone che non ha ragione di prospettarsi un'equiparazione tra i creditori che in asserto potrebbero subire la dilazione e i creditori che degradano al chirografo per incapienza dei beni oggetto di garanzia, né la concessione del diritto di voto potrebbe a sua volta fungere da giusta causa (o da corrispettivo o da bilanciamento) della dilazione, giacché il regime di tutela dei privilegiati si conforma su diritti assoluti ed ammette dunque una deroga solo in base ad accordi negoziali (come dimostra l'art. 177 expressis verbis), mentre non può certo eludersi con l'attribuzione del diritto di voto, chè altrimenti la tutela di tale diritto finirebbe per dipendere dal solo arbitrio del debitore.
Merita soggiungere che, secondo quanto precisato dalla più recente e avveduta dottrina, l'esclusione dei creditori privilegiati dal voto “è estrinseca” al diritto della crisi d'impresa, “rinvenendosi nel diritto privato generale che del primo è presupposto” (così Di Marzio, Introduzione al concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccinini, Severini, Torino, Utet, 2010, 226; cfr. anche Inzitari, Il soddisfacimento dei creditori forniti di prelazione e risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni, in Giur. Comm., 1990, I, 385), ed è necessaria e logica conseguenza del fatto che al loro voto non può attribuirsi il valore di adesione alla proposta concordataria, in quanto in ordine alla soddisfazione dei privilegiati non c'è nulla da decidere, essendo la loro posizione regolata inderogabilmente dalla legge, sì che attribuendo ai creditori garantiti il diritto di partecipare alla formazione della maggioranza, si incorrerebbe nell'incongruenza di consentire un voto sulla posizione di terzi. I creditori prelatizi, in altri termini, non sono destinatari della proposta, poiché non risentono in alcun modo degli effetti del concordato; non vi è motivo, dunque, che, votando, partecipino alla decisione sullo stesso ;(così ancora Di Marzio, op. cit., 229; v. anche Galletti, sub art. 160, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, II, Bologna, 2007, 2289; Catallozzi, La falcidia concordataria dei creditori assistiti da prelazione, in Fall., 2008, 1016; Bozza, L'utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti, ivi, 2009, 1443; per valutazioni in parte contrarie cfr. Benedetti, Il trattamento dei creditori con diritti di prelazione nel nuovo concordato preventivo, in Giur. Comm., 2013, 1044). Il fondamentale contenuto del diritto di garanzia è infatti costituito proprio dall'esclusione (Di Marzio, op. cit., 234 e 219, secondo cui “l'attribuzione del voto...che apparentemente riconcilierebbe la tesi sulla dilazionabilità con il sistema, è in realtà antinomica con il già illustrato e fondamentale contenuto del diritto di garanzia, il quale è costituito proprio dall'esclusione, che è anche salvaguardia, dal voto”), conseguendone che il creditore garantito non può essere legittimato al voto per volontà unilaterale del proponente subendo una modifica del proprio diritto originario.
Si è anche convincentemente osservato, in quest'ordine di idee, che la regola generale della carenza di legittimazione al voto dei prelatizi può essere annoverata fra gli strumenti che consentono di “immunizzare” la posizione dei creditori portatori di un interesse in conflitto con quello della massa ;(D'Attorre, Il voto nei concordati ed il conflitto d'interessi fra i creditori, in Fall., 2012, 763). In sostanza, dall'oggettiva funzione della garanzia discende il principio di non conformabilità - da parte della proposta - dei crediti garantiti, ossia l'impossibilità di proporre modalità di adempimento dei crediti prelatizi diverse da quelle previste nel titolo costitutivo dell'obbligazione, giacché altrimenti la funzione oggettiva della garanzia resterebbe svuotata, dipendendone l'effettiva operatività — e dunque il suo riconoscimento — non dalla legge (come per i privilegi o per l'ipoteca legale) e nemmeno dal consenso degli interessati (pegno, ipoteca) bensì dalla proposta di concordato e, dunque, dalla volontà del debitore, in palese contraddizione con la sua posizione di soggezione all'esecuzione coattiva derivante proprio dall'esistenza del diritto di prelazione ;.
Sul piano poi delle conseguenze logiche e pratiche, la soluzione della Cassazione impatta in contraddizioni ancor più paradossali.
Dovrebbe infatti a tutti essere chiaro che la moratoria prevista nell'art. 186 - bis ha come causa la tutela della continuità dell'impresa, mentre negli altri casi, riguardanti i concordati senza continuità, al debitore verrebbe data la possibilità di fruire di una moratoria (finanche più lunga) senza che a giustificare tale beneficio soccorra quella, o alcun'altra valida ragione.
Chiaro poi che il parallelo – fatto in motivazione - con la disciplina della moratoria forzosa prevista in passato nell'amministrazione controllata è stata malamente invocata dalla S. Corte come esempio: non soltanto, infatti, la moratoria forzosa non dipendeva dal rango del credito (era infatti imposta ai creditori sia privilegiati, che chirografari), ma comunque solo nel limite di tale moratoria era circoscritto il sacrificio dei creditori, mentre, se il debitore avesse avuto la necessità di disporre di una dilazione maggiore, avrebbe dovuto stipulare appositi accordi (ossia contratti) con tali creditori. La stessa cosa, a ben vedere, accade ora negli accordi di ristrutturazione dei debiti, per i quali l'art. 182 - bis, primo comma, prevede una moratoria forzosa di 120 giorni a danno dei creditori estranei (sia privilegiati che chirografari), la quale è prorogabile solo mediante specifici accordi inter partes (che trasformerebbero per ciò stesso i creditori da estranei ad intranei).
Non si vede pertanto come tale disciplina, che – nel considerare possibile solo attraverso accordi negoziali una dilazione maggiore di quella legalmente prevista - conferma semmai l'indisponibilità dell'altrui diritto da parte del debitore, possa invece giustificare nel concordato preventivo addirittura la soggezione della categoria più garantita di tali creditori (quelli muniti di prelazione) ad una dilazione dipendente non più dal proprio consenso, ma dall'arbitrio del debitore, che potrebbe dunque prevedere tale dilazione nel piano avvalendosi della mera previsione di una procedura di voto (a maggioranza).
Siccome poi sarebbe assurdo, e comunque contrario ai principi costituzionali in tema di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., che il creditore soggetto alla moratoria annuale di cui all'art. 186 - bis non potesse percepire alla fine della moratoria quegli interessi compensativi (prima evidentemente solo soggetti a sospensione) che invece certamente ha diritto a percepire il creditore prelazionario per il quale sia prevista la liquidazione del bene su cui la prelazione può esercitarsi in forza del combinato disposto degli artt. 169 e 55 l. fall. (e anzi a maggior ragione tali interessi dovrebbero essere corrisposti al creditore soggetto alla moratoria annuale se fosse possibile una dilazione maggiore di un anno), resta incomprensibile come possa il semplice diritto di voto giustificare ex se la soggezione ad una dilazione ultrannuale. È singolare dunque anche il ragionare della S. Corte in termini di semplice eventualità quanto alla corresponsione degli interessi a favore dei creditori prelazionari soggetti a moratoria, quando dovrebbe essere a tutti chiaro che se gli interessi compensativi sono dovuti già per legge (ex artt. 169 e 55 l. fall.) in caso di dilazione correlata ai tempi procedimentali, sarebbe a dir poco assurdo che non fossero dovuti in caso di previsione dilatoria dovuta ad una scelta puramente arbitraria del debitore.
Si palesano a questo punto le ulteriori incongruenze che in via derivativa viziano il ragionamento della S. Corte.
Perché, se gli interessi compensativi non potrebbero che a maggior ragione essere corrisposti in caso di dilazione maggiore di un anno, una siffatta maggior dilazione meriterebbe di essere compensata in proporzione del maggior sacrificio che essa comporta; ma allora occorrerebbe prevedere un corrispettivo maggiore dei soli interessi compensativi, e non solo ai fini del calcolo del voto, ma anche affinchè la maggior dilazione possa giustificarsi sul piano economico rispetto alla minore dilazione di un solo anno. Sta di fatto che, sia ai fini della individuazione del quid pluris che il debitore dovrebbe offrire a questo titolo, sia ai fini del correlato computo del credito (chirografario) ai fini del voto, non sono immaginabili criteri controllabili, tanto è vero che quelli suggeriti dalla S. Corte sembrano mero frutto di un fantasioso escamotage puramente formalistico.
Non è chiaro infatti come la relazione giurata ex art. 160, comma 2, che deve solo indicare la capienza o incapienza del bene oggetto di prelazione, possa servire a calcolare il sacrificio di una dilazione ultrannuale, o come possa il confronto con i tempi di una concorrente liquidazione fallimentare fungere da parametro di confronto rispetto ai concordati a percentuale, in cui una liquidazione dei beni non è affatto prevista, o comunque fungere a tale scopo anche nei concordati liquidativi pure al cospetto di una regola generale, ancor oggi riconosciuta come tale dalla Cassazione, che differenzia il concordato dal fallimento in quanto solo nella prima procedura ha ragione di prevedersi un obbligo di pagamento indilato dei creditori con prelazione (laddove semmai un confronto con la liquidazione fallimentare potrebbe in astratto valere per stabilire un invalicabile limite temporale alla dilazione, impedendo cioè che essa possa prolungarsi oltre i limiti di tempo presumibili dell'alternativa liquidazione fallimentare, ma non certo per compensare il maggior ritardo che, in ipotesi, si prevedesse come inevitabile nel concordato preventivo).
La S. Corte non si è posta poi affatto il problema della compatibilità di un'estesa applicazione della dilazione con la durata del procedimento concordatario. In teoria quindi il debitore potrebbe del tutto espropriare il creditore del diritto di prelazione posticipandone di molto il pagamento dietro la semplice previsione della corresponsione di interessi legali (nemmeno di interessi a tasso ultralegale o di interessi composti), sostituendo così di fatto i creditori prelazionari alle banche quali (forzosi) erogatori di credito.
È da notare che nemmeno sarebbe necessaria, alla stregua del pronunciamento di legittimità, la formazione di classi separate per far votare i creditori prelazionari costretti alla dilazione, atteso che, una volta stabilita dal giudice la misura del diritto di voto al chirografo in rapporto all'ipotizzato sacrificio economico determinato dalla dilazione, e dunque solo per una parte (probabilmente piccola) del credito prelazionario originario per sorte capitale, il debitore li potrebbe trattare percentualmente allo stesso modo degli altri creditori chirografari, annegandoli in un'unica massa votante in modo da rendere inoffensivo un loro voto eventualmente negativo. Meglio avrebbe fatto la S. Corte, a questo punto, pur nell'incongruenza della soluzione da essa prospettata, se avesse ipotizzato l'ammissione pura e semplice al chirografo dell'intero credito capitale prelazionario assoggettato a dilazione e la necessaria formazione di una classe ad hoc, in modo da garantire quantomeno con un voto pieno e non soggetto ad elisione per “confusione” (restando così idoneo ad incidere sulla formazione della maggioranza) la posizione d'interesse del creditore pur così brutalmente conculcata dalla proposta dilatoria del debitore.

Conclusioni

È difficile negare che il legislatore non avesse alcuna intenzione di prevedere e consentire il pagamento dilazionato dei creditori prelazionari al di fuori delle ipotesi – palesemente eccezionali - di cui agli artt. 182 - ter e 186 - bis l. fall..
È dunque una grave responsabilità della Suprema Corte aver proposto - con argomenti soggetti a facile confutazione sul piano logico - una soluzione che si pone chiaramente extra legem, così esponendosi ad inevitabili critiche sulla scarsa tenuta interpretativa delle sue decisioni. E tutto ciò solo per perseguire, in modo peraltro alquanto scoordinato, l'assai opinabile disegno di rendere più facile ad ogni costo l'accesso del debitore alla procedura di concordato preventivo, senza vagliare le conseguenze di una siffatta finalità, quasi essa fosse un bene in sè.
In concreto, la Suprema Corte ha aperto ancora una volta una falla in un sistema che appariva già molto problematico e caotico a causa degli scoordinati interventi di un legislatore improvvisato, aumentandone il già elevatissimo tasso di anarchia interpretativa (basti pensare alle incertezze e alle più diverse e contrastanti soluzioni cui potrebbe dar luogo il computo della perdita economica derivante dalla dilazione, cui i giudici di merito dovrebbero commisurare – maccheronicamente lumine nasi, si potrebbe dire, stanti i criteri più arbitrari, che discrezionali o tecnici indicati dalla Suprema Corte -, il diritto di voto; per il passato si considerino ad esempio, da un lato, Trib. Catania, 27 luglio 2007, in Giur. comm., 2008, II, 677, che ha ammesso al voto i privilegiati per l'intero credito da essi vantato, mentre, dall'altro, Trib. Mantova, 16 settembre 2010, in Fall. 2010, 1466, ha consentito al privilegiato dilazionato di votare solo per l'importo corrispondente alla differenza fra il tasso d'interesse applicato in media dalle banche e l'interesse legale).
Nemmeno può escludersi la classica eterogenesi dei fini, stante il rischio che i giudici di merito, dissentendo da questa criticabile soluzione, boccino le proposte di concordato che su di essa si conformino. Ed è solo il caso di ricordare come siano quasi sempre vittorie di Pirro quelle dei debitori che, come nella specie, impugnino i pronunciamenti di merito ottenendo vittoria in Cassazione a distanza di anni. La Suprema Corte, infatti, non attribuisce alle impugnative in materia concordataria quel carattere di urgenza che meriterebbero, e si pronuncia su di esse ancora con i suoi tempi giurassici: basti pensare che nella specie il decreto del Tribunale di Roma poi impugnato fu depositato il 4 maggio del 2011, mentre la pronuncia della Suprema Corte è stata depositata il 9 maggio 2014, e quindi a distanza di oltre tre anni: che ne sarà stato, nel frattempo della società impugnante? Qualcuno può davvero pensare che abbia ancora un senso per essa l'originaria proposta di concordato?
S'impone ed è auspicabile, dunque, un repentino ripensamento.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Le norme di più immediato riferimento sono gli artt. 160, 177, 182-ter e 186-bis l. fall.
Nel testo sono state già inserite, all'occorrenza, le pertinenti citazioni di dottrina e giurisprudenza. Per più ampi riferimenti sulla tematica della dilazione dei crediti prelazionari cfr. anche Bottai, Crediti prelatizi dilazionati e diritto di voto nel concordato: un falso problema, in Fall., 2011, 620 ss.; Filocamo, Le condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, ivi, 2010, 1461; Andreani, Il superamento della crisi e la conclusione della procedura, Torino, 2011, 126 ss.
In passato contro la possibilità di prevedere un adempimento dilazionato nel tempo ; si erano espresse in particolare Cass., 17 novembre 1992, n. 12300, cit.; Cass., 26 novembre 1992, n. 12632; Trib. Milano, 29 maggio, 1997, in Gius, 1997, 3042; e in dottrina Bonsignori, sub 160, Del concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca: legge fallimentare, a cura di Bricola-Galgano, 1979, 56 ss.; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 1986, 633; Ragusa Maggiore, Diritto fallimentare, II, Napoli, 1974, 1003; Lo Cascio, Il nuovo concordato preventivo ed altri filoni giurisprudenziali, in Fall. 2006, 585 ss.; Galletti, Sub art. 160, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, II, Bologna, 2007, 2289.
In senso analogo alla soluzione della Suprema Corte si sono pronunciati App. Palermo, 18 maggio 2007, in ilFallimentarista.it 134; Trib. Catania, 27 luglio 2007, in Giur. Comm., 2008, II, 677; Trib. Modena, 27 febbraio 2009, in Fall. 2009, 1003; Trib. Mantova (decr.), 16 settembre 2010, in Fall. 2010, 1466; Trib. Monza, 10 luglio 2012; in ilcaso.it. Tutte queste pronunce, però, erano anteriori al “Decreto Sviluppo” e quindi non hanno esaminato l'art. 186-bis e valutato la sua funzione restrittiva. Per il periodo successivo al “Decreto Sviluppo” si veda invece Trib. Terni 7 novembre 2013, decr., in ilFallimentarista.it
Contra Trib. Roma (decr.), 29 luglio 2010, in Fall. 2011, 225, con nota di Nisivoccia; Trib. Torino 23 dicembre 2010, annotata da Bottero, Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con parziale cessione dei beni, in ilFallimentarista.it 30/11/2011; Trib. Tolmezzo, 7 luglio 2011, in www.unijuris.it; un'altra pronuncia (in data 5 maggio 2012) del tutto analoga a quella del Tribunale di Roma annullata dalla S. Corte è stata favorevolmente commentata, com'era prevedibile, da E. Staunovo Polacco, Concordato: inammissibilità per difetto di attestazione sulla veridicità dei dati e per pagamento dilazionato dei creditori privilegiati, in ilFallimentarista.it 12/11/2012.
In dottrina il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati è considerato ammissibile, ma a condizione dell'ammissione integrale al voto del credito dilazionato, da Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Padova, 2008, 47 ss.
Per la tesi che limita la durata della moratoria ad un anno (considerandola possibile nel solo concordato con continuità aziendale), escludendo che possa essere prevista una dilazione maggiore anche perché, essendo già previsti per tale durata gli interessi compensativi, la perdurante corresponsione di essi anche per il periodo ultrannuale non basterebbe a giustificare tale sacrificio, cfr. Lamanna, La legge fallimentare dopo il decreto sviluppo, Milano, 2012, 61 ss.

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