Pagamenti non autorizzati, sanabilità (a posteriori)

26 Maggio 2014

I pagamenti di acconti in favore dei professionisti effettuati dopo il deposito del ricorso “in bianco”, seppur funzionali al deposito della proposta e del piano, in difetto di qualsiasi autorizzazione da parte del tribunale, sono atti illegittimi. L'irregolarità tuttavia può essere sanata a posteriori con il decreto di ammissione della società alla procedura di concordato ex art. 163 l. fall.
Massima

I pagamenti di acconti in favore dei professionisti effettuati dopo il deposito del ricorso “in bianco”, seppur funzionali al deposito della proposta e del piano, in difetto di qualsiasi autorizzazione da parte del tribunale, sono atti illegittimi. L'irregolarità tuttavia può essere sanata a posteriori con il decreto di ammissione della società alla procedura di concordato ex art. 163 l. fall.

Il caso

Il Tribunale modenese, a seguito del deposito di una domanda di preconcordato, della successiva presentazione della proposta e del piano, dell'approvazione dello stesso da parte dei creditori, radicato il giudizio di omologazione, nel verificare la regolarità della procedura ex art. 180, comma 3, l. fall. ha accertato che, in assenza di espressa autorizzazione del tribunale, erano stati effettuati dei pagamenti in acconto nel periodo tra il deposito della domanda prenotativa e il deposito della proposta e del piano, in favore di professionisti che avevano assistito la proponente nella predisposizione della domanda di concordato.
La debitrice, alla quale erano stati chiesti chiarimenti, giustificava il proprio operato affermando che si era trattato del pagamento di acconti per prestazioni effettuate dopo il deposito del preconcordato e, in quanto funzionali alla proposta ed al piano, prededucibili ex art. 111 l. fall., ritenendo in ogni caso che si trattasse di atti di ordinaria amministrazione.
Peraltro è stato evidenziato che nell'effettuare i pagamenti suddetti, la società si era mantenuta al di sotto della soglia di € 10.000 fissata dal Tribunale e che, a riprova della buona fede della proponente, di tali pagamenti era stata fatta espressa menzione nella proposta.
Il Tribunale, alla luce dei chiarimenti forniti, ha ribadito che il pagamento di acconti sui crediti dei professionisti non poteva essere effettuato in assenza di preventiva autorizzazione, poiché la funzionalità degli stessi alla procedura, e quindi la loro prededucibilità, sorge soltanto a seguito dell'ammissione alla procedura di concordato, con l'effetto che l'atto doveva essere qualificato come di straordinaria amministrazione e quindi considerato alla stregua di un atto illegittimo, rilevante ex art. 173 l. fall..
Il Tribunale, tuttavia, ha considerato come autorizzati in fatto i pagamenti, seppure a posteriori, con l'effetto del venir meno dell'irregolarità rilevata, evidenziando da un lato che la società ricorrente, nel depositare la proposta concordataria, aveva indicato i pagamenti effettuati e, dall'altro, che essa era stata poi ammessa alla procedura di concordato ex art. 163 l. fall., così avverandosi il presupposto della prededucibilità dei crediti.
Conseguentemente è stato omologato il concordato.

Le questioni giuridiche esaminate e le soluzioni

La vicenda esaminata dal Tribunale di Modena contribuisce al più ampio dibattito relativo agli atti rilevanti ai fini della revoca dell'ammissione al concordato preventivo ex art. 173 l. fall.
Dal punto di vista temporale, il primo comma dell'art. 173 l. fall. si riferisce a condotte poste in essere antecedentemente al deposito della domanda di concordato volte a diminuire le garanzie per i creditori e/o ad alterarne la formazione della volontà, mentre il terzo comma sanziona gli atti, eccedenti l'ordinaria amministrazione, effettuati successivamente al deposito della domanda ex art. 161 l. fall. in assenza della preventiva autorizzazione dell'organo giudiziario ex artt. 167 e 182-quinques, comma 4, l. fall., e comunque tutti gli atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.
In buona sostanza l'ultimo comma dell'art. 173 l. fall. sanziona, con la revoca del beneficio del concordato, tutti quegli atti che possono intaccare i beni destinati ai creditori concorsuali, diminuendone le prospettive di soddisfacimento.
La Corte di legittimità, con la pronuncia n. 13817/2011, relativamente agli atti in frode di cui al primo periodo temporale, ha affermato che “…l'atto di frode, per avere rilievo ai fini della revoca dell'ammissione, deve essere accertato dal commissario giudiziale e quindi dallo stesso scoperto essendo prima ignorato dagli organi della procedura e dai creditori […] ipotesi questa che deve escludersi in relazione a condotte chiaramente individuate e rese note agli interessati al concordato…”. La S. Corte ha sostenuto che, in considerazione dell'avvenuta “privatizzazione” dell'istituto, ai fini dell'eventuale revoca non rilevano tutti quegli atti che, seppure illegittimi, siano stati espressamente resi noti ai creditori dalla proponente con il deposito della domanda, con la sola eccezione del limite connesso all'abuso del diritto dell'istituto concordatario.
La prevalente giurisprudenza di merito, relativamente agli atti posti in essere nel periodo antecedente al deposito della domanda e di cui al primo comma dell'art. 173 l. fall., si è dissociata dal pensiero della Suprema Corte.
Il nostro ordinamento ha memoria di provvedimenti premiali a fronte di condotte variamente illegittime (condoni fiscali per gli evasori, sanatorie per abusivismo edilizio, sconti di pena in favore dei collaboratori di giustizia). I diversi provvedimenti tuttavia, proprio perché eccezionali, sono sempre stati specificatamente previsti dal legislatore quali eccezioni alla regola.
La disciplina del concordato preventivo, pur nell'avvenuta privatizzazione dell'istituto, non contempla alcuna ipotesi di condono automatico degli atti fraudolenti anteriori quale effetto del riconoscimento fattone dal proponente.
Pare possibile sostenere, anzi, che il legislatore, con l'art. 173, comma 1, l. fall. abbia mostrato di volerli sanzionare con l'inammissibilità della proposta concordataria, laddove abbiano rilevanza attuale sulla proposta.
Diversamente non si comprenderebbero le ragioni in virtù delle quali il commissario giudiziale, ai sensi dell'art. 172 l. fall., debba redigere una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e sulla condotta del debitore, nonostante il fatto che, con la Riforma del 2005, sia stato eliminato ai fini dell'ammissibilità alla procedura di concordato il requisito della meritevolezza.
Per la fase successiva alla presentazione della domanda la giurisprudenza è invece unanime nel sanzionare con la revoca l'eventuale compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione e non debitamente autorizzati dal tribunale, quali ad esempio il pagamento di crediti anteriori in violazione della par condicio, o sorti in pendenza ed in funzione della procedura ma non autorizzati dall'organo giudiziario, potendosi ravvisare in tali condotte un abuso del diritto da parte del debitore.
L'ordinamento infatti non può tollerare che il proponente soddisfi le ragioni di taluni creditori a discapito di altri, con un uso distorto degli effetti protettivi del deposito della domanda ex art. 161, comma 6, l. fall., poiché il divieto di azioni esecutive e cautelari serve ad assicurare all'imprenditore il tempo necessario per allestire un piano ragionevole e fattibile di gestione della crisi dell'impresa, e non certo per consentirgli di scegliere a proprio piacimento chi soddisfare tra i suoi creditori.
La decisione del Tribunale di Modena, che afferisce all'ipotesi di cui all'art. 173, comma 3, l. fall., in linea con la costante giurisprudenza di merito ha ritenuto di qualificare come atto illegittimo finanche il pagamento non autorizzato di acconti in favore dei professionisti, pur essendo sorti tali crediti successivamente al deposito della domanda di preconcordato per prestazioni funzionali al concordato stesso.
Tuttavia, con una scelta alla fine pragmatica, e rispettosa peraltro della volontà dei creditori che avevano già votato a maggioranza la proposta concordataria nella quale erano stati segnalati gli avvenuti pagamenti, il Tribunale ha ritenuto sanati a posteriori con il decreto di ammissione alla procedura di concordato ex art. 163 l. fall. i suddetti pagamenti, seppure in contrasto con la rigorosa previsione della norma.
L'esiguità dei pagamenti effettuati nel caso di specie ha probabilmente influito sulla decisione del tribunale modenese, che ha ritenuto di far prevalere la volontà dei creditori a fronte del rigore formale della legge.
Si noti che il Tribunale di Milano, con decreto del 2/05/2013, in una fattispecie analoga di pagamento non autorizzato ex art. 173, comma 3, l. fall., in netto contrasto con la pronuncia modenese ha statuito che “…la mancanza di previa autorizzazione non può essere poi sanata con ratifica successiva. La detta violazione determina ex se, in modo necessario e sufficiente, la revoca del concordato…”.

Conclusioni

E' presumibile attendersi che la decisione del Tribunale di Modena verrà strumentalmente invocata per giustificare pagamenti arbitrari non autorizzati in costanza di procedura, con conseguente stravolgimento del ribadito principio dell'illegittimità degli atti di straordinaria amministrazione posti in essere in assenza della preventiva autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria, a prescindere dalle ragioni pragmatiche che rendevano accettabile la soluzione concreta adottata nella vicenda in esame.
È lecito chiedersi però se sia corretto qualificare come atti di straordinaria amministrazione i pagamenti di acconti effettuati in favore dei professionisti che hanno attestato il piano e predisposto il ricorso per l'ammissione al concordato, in considerazione della circostanza che, in mancanza di tali attività, per le quali è necessario prevedere quantomeno degli acconti ai professionisti incaricati, all'imprenditore sarebbe di fatto impedito di avvalersi dello strumento concordatario, non potendo essere dato per scontato che si trovino professionisti disponibili a lavorare “a credito” e neanche che il Tribunale autorizzi preventivamente i pagamenti.
È possibile ipotizzare infatti che venga depositato un ricorso per un preconcordato, il tribunale conceda i termini per il deposito della domanda e del piano, che il debitore individui il professionista per l'attestazione del piano il quale chieda un acconto per la predisposizione dello stesso, che a tal fine venga richiesta ex art. 161, comma 7 , l. fall., la preventiva autorizzazione del tribunale per il pagamento e che il tribunale non la conceda. In tale ipotesi si determinerebbe un'ingiustificata compressione di diritti costituzionalmente garantiti, poiché verrebbe impedito al debitore di accedere all'istituto del concordato.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per una disamina degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione che devono essere autorizzati preventivamente dal tribunale, si rimanda a F. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, Giuffré, 2012; L. Panzani, Il concordato in bianco, in Il Fallimentarista.it, 14/09/2012.
Sulla rilevanza degli atti in frode ai fini della revoca ex art. 173 l. fall. si segnala Cass. 23 giugno 2011 n. 13817 e la “gemella” n. 13818; in senso conforme, fra la giurisprudenza di merito, Tribunale di Padova, 30 maggio 2013 in Il Fallimentarista.it. In senso difforme, fra le altre, Tribunale di Monza, 2 settembre 2011, su il Caso.it; Tribunale di Milano, 14 febbraio 2013, Tribunale di Milano, 28 febbraio 2013, Tribunale di Milano, 2 maggio 2013, Tribunale di Bologna, 27 febbraio 2013, Il Fallimentarista.it, Tribunale di Udine, 16 aprile 2013

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