Ancora sul concordato di gruppo: competenza territoriale e dichiarazione di insolvenza

22 Maggio 2014

L'esistenza di un rapporto di gruppo in senso stretto fra diverse società non determina il venir meno dell'autonoma personalità giuridica e dell'autonoma qualità di imprenditore di ciascuna società, che solo con il proprio patrimonio risponde esclusivamente dei propri debiti, con la conseguenza che l'accertamento dello stato di insolvenza non può che riferirsi alla sola situazione economica della società nei confronti della quale lo stesso è sollecitato, nonostante il controllo cui la stessa è assoggettata. Ai sensi dell'art. 9, primo comma, l. fall., la competenza per la dichiarazione di fallimento di una società appartiene al tribunale del luogo ove, secondo le iscrizioni eseguite nel registro delle imprese, si trova la sede (c.d. “sede legale”) della società medesima al momento del deposito del ricorso, dovendosi presumere che nello stesso luogo si trovi anche la sede effettiva (la “sede principale dell'impresa”, menzionata nella citata disposizione di legge), salva la prova del contrario, di cui è onerata la parte che afferma la competenza di un tribunale diverso da quello adito sulla base delle iscrizioni in questione.La competenza ad accertare lo stato d'insolvenza di una grande impresa commerciale appartiene al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la sede principale, senza che a tale criterio possa derogarsi per ragioni di connessione con altre procedure relative a società diverse dello stesso gruppo.
Massima

L'esistenza di un rapporto di gruppo in senso stretto fra diverse società non determina il venir meno dell'autonoma personalità giuridica e dell'autonoma qualità di imprenditore di ciascuna società, che solo con il proprio patrimonio risponde esclusivamente dei propri debiti, con la conseguenza che l'accertamento dello stato di insolvenza non può che riferirsi alla sola situazione economica della società nei confronti della quale lo stesso è sollecitato, nonostante il controllo cui la stessa è assoggettata.

Ai sensi dell'art. 9, comma 1, l. fall., la competenza per la dichiarazione di fallimento di una società appartiene al tribunale del luogo ove, secondo le iscrizioni eseguite nel registro delle imprese, si trova la sede (c.d. “sede legale”) della società medesima al momento del deposito del ricorso, dovendosi presumere che nello stesso luogo si trovi anche la sede effettiva (la “sede principale dell'impresa”, menzionata nella citata disposizione di legge), salva la prova del contrario, di cui è onerata la parte che afferma la competenza di un tribunale diverso da quello adito sulla base delle iscrizioni in questione.

La competenza ad accertare lo stato d'insolvenza di una grande impresa commerciale appartiene al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la sede principale, senza che a tale criterio possa derogarsi per ragioni di connessione con altre procedure relative a società diverse dello stesso gruppo.

È ammissibile il regolamento di ufficio di competenza richiesto dal tribunale investito di istanza di fallimento nei confronti di società già dichiarata insolvente – in vista dell'eventuale ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria – con sentenza di altro tribunale, atteso che, per un verso, il conflitto positivo di competenza può essere denunciato anche qualora pendano, davanti a giudici diversi, procedure concorsuali di diverso tipo, e che, per altro verso, il conflitto positivo può rivestire carattere non solo reale ma anche virtuale, mentre non è di ostacolo alla proponibilità del regolamento la circostanza che sia già stata pronunciata sentenza dichiarativa del fallimento – ovvero sentenza di carattere corrispondente, nell'ambito dei diversi tipi di procedure concorsuali, come quella dichiarativa dello stato di insolvenza – passata in giudicato, la quale è destinata ad essere cassata senza rinvio ove la S.C. accerti, in sede di regolamento, che è stata emessa da giudice incompetente..

Il caso

Con il provvedimento in esame il Tribunale di Roma, davanti al quale pendeva una procedura di concordato preventivo relativa a una società facente parte di un gruppo di imprese, rilevato che la medesima società era stata nel frattempo dichiarata insolvente, ai sensi dell'art. 4, comma 1, del d.l. 347/2003, convertito dalla legge n. 39/2004 (c.d. “legge Marzano”), dal Tribunale di Arezzo - il quale aveva ritenuto la propria competenza ad emettere tale provvedimento sul presupposto che la società in questione, pur avendo la sede legale in Roma, avesse tuttavia la sede effettiva in Arezzo - ha sollevato d'ufficio, ai sensi degli artt. 45 e 47, comma 4, c.p.c., un regolamento di competenza avanti alla S. Corte, chiamandola ad indicare il Tribunale competente a dichiarare lo stato di insolvenza.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Come indicato nella prima massima, con l'ordinanza in commento il Tribunale di Roma ribadisce il principio, già affermato in una sua precedente pronuncia (Trib. Roma, 18 aprile 2013, pubblicata su questo stesso portale), dell'autonoma personalità giuridica di ciascuna delle società facenti parte di un gruppo di imprese, ai fini dell'accertamento del loro stato di insolvenza. Dopodiché i giudici capitolini delineano i corollari processuali di tale principio, riaffermando, in primis, la presunzione di coincidenza, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente per la dichiarazione di fallimento, della “sede principale” dell'impresa ex art. 9 l. fall. con la sede legale della stessa, fatta salva la prova contraria con onere a carico dell'instante (seconda massima), e, in secondo luogo, l'inderogabilità del criterio suindicato per ragioni di connessione con altre procedure relative a diverse società facenti parte del medesimo gruppo (terza massima).
Il Tribunale di Roma affronta poi, come si evince dalla quarta massima, la delicata questione relativa ai conflitti di competenza che insorgono laddove una stessa società (nella specie, facente parte di un gruppo di imprese) venga sottoposta a più procedure concorsuali di tipo diverso (nel caso in esame, concordato preventivo e amministrazione straordinaria) davanti a giudici diversi; sul punto, il Tribunale ritiene ammissibile il ricorso al regolamento d'ufficio di competenza da parte del tribunale investito di un'istanza di fallimento proposta nei confronti di una società già dichiarata insolvente da un altro giudice, affermando l'applicabilità di tale principio anche all'ipotesi in cui la società dichiarata insolvente sia contemporaneamente assoggettata a una procedura di concordato preventivo pendente davanti a un diverso giudice.

Osservazioni

Merita particolare attenzione l'ultima massima, in particolare quanto alle problematiche processuali che insorgono allorché una società venga sottoposta a più procedure concorsuali di tipo diverso pendenti contemporaneamente davanti a giudici diversi.
Con il provvedimento in commento il Tribunale di Roma ha promosso d'ufficio un regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c., ritenendosi territorialmente competente a dichiarare l'insolvenza di una società, facente parte di un gruppo di imprese, già dichiarata insolvente da un diverso giudice. Nel caso in esame, dunque, i giudici capitolini hanno chiamato la Suprema Corte a dirimere un conflitto positivo di competenza tra sé e il Tribunale di Arezzo; trattasi, più precisamente, di un conflitto reale e non meramente virtuale, posto che entrambi i giudici avevano già dichiarato la propria competenza territoriale, rispettivamente con il decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, emesso dal Tribunale di Roma, e con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, successivamente pronunciata dal Tribunale di Arezzo.
La disciplina normativa di questo tipo di conflitti è estremamente lacunosa, sicché i principî applicati in materia sono in gran parte di matrice giurisprudenziale. Le sole norme che disciplinano il fenomeno in ambito concorsuale sono gli artt. 9-bis e 9-ter l. fall., introdotti dal D. Lgs. n. 5/2006; quest'ultimo articolo, in particolare, indica quale criterio risolutivo dei conflitti positivi di competenza fra giudici diversi, in ordine alla dichiarazione di fallimento della medesima società, quello della prevenzione (comma 1), attribuendo però al giudice successivamente adito la facoltà di sollevare d'ufficio il regolamento di competenza ai sensi dell'art. 45 c.p.c. (comma 2). Con quest'ultima previsione, dunque, il legislatore ha recepito il consolidato orientamento giurisprudenziale che, al fine di assicurare l'indefettibile esigenza dell'unicità della procedura concorsuale, estendeva l'applicazione dello stesso art. 45 c.p.c. - peraltro, con una palese forzatura della lettera della norma codicistica - anche alle ipotesi di conflitto positivo di competenza (reale o virtuale) tra due giudici chiamati a dichiarare il fallimento della medesima società. L'elaborazione giurisprudenziale ha poi progressivamente esteso l'applicabilità di tale disciplina anche alle procedure concorsuali minori, nonché ai rapporti tra procedure di tipo diverso (cfr. Cass., 30 settembre 2005, n. 19198, richiamata nella motivazione della pronuncia in commento), lasciando però irrisolti i problemi che si pongono allorché il giudice successivamente adito ometta di promuovere il regolamento di competenza, così determinando la persistente pendenza, davanti a giudici diversi, di una pluralità di procedure relative alla medesima società. Ebbene, il provvedimento in commento sembra proprio inserirsi in una situazione di questo genere; nel caso in esame, infatti, il primo giudice ad affermare la propria competenza è stato il Tribunale di Roma, in sede di pronuncia del decreto di ammissione al concordato preventivo, sicché legittimato a proporre il regolamento di competenza sarebbe stato, a rigore, il Tribunale di Arezzo, chiamato successivamente a pronunciarsi in merito all'accesso della medesima società alla procedura di amministrazione straordinaria. E' dunque ipotizzabile che il Tribunale di Roma, vista l'inerzia del Tribunale di Arezzo nell'assumere tale iniziativa, abbia ritenuto di esercitare una sorta di funzione suppletiva, al fine di assicurare la sopra richiamata esigenza di unicità della procedura concorsuale, salvaguardando nel contempo il potere di affermazione della propria competenza da parte di ogni autorità giudiziaria.
Ciò premesso, nel merito il Tribunale di Roma, al fine di affermare la propria competenza territoriale a dichiarare l'insolvenza della società di cui si trattava, ha affermato, in primis, in contrasto con quanto ritenuto dal Tribunale di Arezzo, la coincidenza tra la “sede principale” della società e la sua sede legale, sita in Roma, sulla base di una serie di elementi specificamente indicati nell'ordinanza in commento (tra cui, ad esempio, l'ubicazione degli uffici amministrativi e gestionali), dopodiché ha costruito un complesso ed articolato ragionamento giuridico, basato essenzialmente sull'applicabilità analogica al concordato preventivo del disposto di cui all'art. 84 D. Lgs. 270/1999. Quest'ultima norma (ritenuta dai giudici capitolini applicabile anche alla fattispecie sottoposta al loro esame, in forza del rinvio generale alle disposizioni del decreto legislativo c.d. “Prodi-bis”, operato dall'art. 8 del D.Lgs. n. 39/2004) attribuisce al giudice che ha dichiarato il fallimento di una società facente parte di un gruppo di imprese il potere di convertire il fallimento stesso in amministrazione straordinaria, allorché successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento (nella specie, al decreto di ammissione al concordato preventivo) intervenga il decreto che dichiara aperta la c.d. “procedura madre” di amministrazione straordinaria. Ad ulteriore sostegno della propria tesi, i giudici capitolini richiamano poi la norma generale di cui all'art. 23 l. fall., secondo cui su tutto quanto concerne la procedura concorsuale è competente a decidere il tribunale che ha dichiarato il fallimento (in questo caso, l'ammissione al concordato preventivo).
La tesi, ispirata, come detto, dalla necessità di garantire l'unicità della procedura concorsuale, appare tuttavia di dubbia compatibilità con il dettato normativo, tanto più in considerazione dell'impossibilità di individuare nel caso di specie - come evidenziato dallo stesso Tribunale - una “procedura madre” ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 80 e seguenti del D. Lgs. 270/1999. In alternativa, sarebbe stato forse ipotizzabile il ricorso, da parte del Tribunale di Roma, ad un regolamento di competenza c.d. “virtuale” (come si è visto, ritenuto ormai pacificamente ammissibile dalla giurisprudenza di legittimità anche in ambito concorsuale), in ragione della pendenza davanti a sé - della quale si dà espressamente atto nella pronuncia in commento - di numerose istanze di fallimento proposte nei confronti della società di cui sopra, “che, evidentemente, presuppongono l'accertamento (…) della sussistenza o meno dello stato di insolvenza di tale società” .

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In merito al concordato di gruppo e alle questioni di competenza territoriale ad esso connesse ci si permette di rinviare a PALLADINO, Il concordato di gruppo: presupposti di ammissibilità, questioni di competenza territoriale e rapporti con il procedimento prefallimentare, in ilFallimentarista.it, e la bibliografia ivi citata. Sui conflitti di competenza in ambito concorsuale, si veda, in dottrina, FERRO, La legge fallimentare – commentario teorico-pratico, Padova 2011, 140 e, in giurisprudenza, tra le altre Cass., 30 settembre 2005, n. 19198 (citata nella pronuncia in commento) e Cass., 17 maggio 1991, n. 5527.

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