Concordato preventivo: inammissibilità per irragionevole durata della liquidazione

31 Gennaio 2014

La valutazione sull'irragionevole durata del concordato spetta al giudice, in quanto costituisce una condizione di ammissibilità della domanda, investendo un giudizio sulla fattibilità giuridica del piano.Il concordato preventivo deve concludersi in un termine ragionevolmente contenuto che, per il concordato avente natura liquidatoria, comparabile al procedimento di esecuzione forzata, è inferiore al termine indicato dal legislatore per il concordato in continuità aziendale, per il quale occorre far riferimento, in termini temporali, alla procedura fallimentare).
Massima

La valutazione sull'irragionevole durata del concordato spetta al giudice, in quanto costituisce una condizione di ammissibilità della domanda, investendo un giudizio sulla fattibilità giuridica del piano.



Il concordato preventivo deve concludersi in un termine ragionevolmente contenuto che, per il concordato avente natura liquidatoria, comparabile al procedimento di esecuzione forzata, è inferiore al termine indicato dal legislatore per il concordato in continuità aziendale, per il quale occorre far riferimento, in termini temporali, alla procedura fallimentare).

Il caso

Una s.r.l. presentava una domanda di concordato con riserva e, successivamente, il piano e la proposta.
Il piano, di natura liquidatoria, prevedeva l'incasso delle rate relative ad un contratto d'affitto di ramo d'azienda, stipulato prima della domanda, di durata quinquennale.
Era stato inoltre previsto l'incasso di crediti, tra i quali un credito contestato, che rappresentava quasi i due terzi dell'intero attivo, realizzabile in un termine ipotizzato di quattro anni, commisurato alla prevista durata del solo primo grado di giudizio.
Il tribunale modenese, nell'evidenziare che l'incasso del credito litigioso era decisivo per la riuscita del concordato, ha proceduto a valutare le implicazioni giuridiche dei prospettati tempi di realizzo dell'attivo concordatario, con riferimento sia ai principi statuiti dalla Corte di Cassazione nella nota sentenza delle SS.UU. n. 1521 del gennaio 2013, in merito alla distinzione tra giudizio di fattibilità giuridica (o valutazione di legalità) spettante al giudice, e di fattibilità economica spettante ai creditori, sia con riferimento alla cd. Legge Pinto sulla durata del giudizio.
Il Tribunale di Modena, pertanto, ha ritenuto che i tempi di realizzazione del concordato non fossero conformi al dettato legislativo, ex art. 2 legge 24/03/2001 n. 89, come modificato con il D.L. 22/06/2012 n. 83, ed ha dichiarato l'inammissibilità della proposta, affermando che tale aspetto implicasse una valutazione connessa alla fattibilità giuridica spettante solo all'organo giudicante.

Le questioni giuridiche esaminate e le soluzioni

La Corte di cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 1521/2013, è intervenuta in merito all'estensione dei poteri del tribunale nell'esame di un piano concordatario, per dirimere i contrasti emersi sul punto fra i giudici di merito.
La Corte, nel chiarire che “…la fattibilità non va confusa con la convenienza della proposta, vale a dire con il giudizio di merito certamente sottratto al tribunale...” , ha enucleato nell'ambito del generale concetto di fattibilità un'ulteriore distinzione “…fra la fattibilità giuridica e quella economica…” affermando che “…non è dubbio che spetti al giudice verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all'ammissibilità quando le modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili…”.
Ne consegue che, alla luce dell'arresto giurisprudenziale, ove un piano preveda che il soddisfacimento dei creditori avverrà in un arco temporale superiore ai tempi massimi fissati dal legislatore nella cd. Legge Pinto (tre anni per un concordato di natura liquidatoria, parametrato ai tempi di un'esecuzione forzata; sei anni per un concordato con continuità aziendale, assimilato invece ai tempi di una procedura fallimentare), il giudice dovrebbe dichiarare l'inammissibilità della proposta, rientrando i tempi del pagamento fra le precondizioni oggetto di valutazione da parte del tribunale.
A tal proposito occorre rammentare le reiterate pronunce per danni connessi all'irragionevole durata del processo (tra le altre, Cass. 7 giugno 2012 n. 9254 e Cass. 28 maggio 2012 n. 8468 che ha quantificato, ad esempio, secondo lo standard ricavato dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, in sette anni i tempi di durata di una procedura fallimentare complessa e in cinque anni quelli di una procedura di media complessità).
Il Tribunale di Modena ha dunque ritenuto applicabile la disciplina sull'irragionevole durata dei processi anche ai fini della valutazione dei tempi di esecuzione del concordato programmati nel piano, valutando come inammissibile il piano che prevedeva, ai fini della sua realizzazione, l'incasso di crediti relativi ad un contratto d'affitto di durata quinquennale e la riscossione di un credito litigioso di cui era stata pronosticata in quattro anni la durata del primo grado di giudizio, omettendo ogni valutazione circa i tempi degli eventuali ulteriori gradi di giudizio (oltre che in relazione all'ulteriore durata connessa all'esazione del credito successivamente alla costituzione del titolo esecutivo).
Ad analoghe conclusioni, nel medesimo periodo, è giunto anche il Tribunale di Monza che, con decreto dell'11 giugno 2013 (in IlFallimentarista, con nota di Jeantet-Covino, Il concordato con continuità aziendale: compatibilità con l'affitto d'azienda e durata poliennale del piano), relativamente ad un concordato con continuità aziendale, ha dichiarato l'inammissibilità di una proposta concordataria che prevedeva la realizzazione di un piano industriale avente la finalità di preservare il valore dell'azienda ed il soddisfacimento dei creditori in un arco temporale compreso tra dieci e vent'anni dall'omologa.

A tal proposito il Tribunale di Monza ha affermato che “….una previsione di pagamento dei debiti in termini così dilatati non risulta compatibile non solo con i tempi di durata di una normale procedura espropriativa forzosa […] ma neppure con gli obblighi imposti dalla Legge Pinto e dalla giurisprudenza relativa per la definizione dei processi che prevedono, per l'alternativa fallimentare, un limite interno di durata di sette anni….”.
Il Tribunale brianteo, a supporto della propria decisione, ha richiamato le “Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi” pubblicate da Università di Firenze, Assonime, CNDC, e in particolare la raccomandazione n. 5 (arco temporale del piano), la quale opina che l'esecuzione del piano non debba estendersi oltre i tre/cinque anni, corrispondenti al termine massimo di durata come individuato nella Legge Pinto, affermando che “un piano di pagamenti dalle tempistiche così dilatate come quello qui esaminato sfugge a qualsiasi sindacato di convenienza del risultato economico conseguibile dai creditori […] In concreto non si realizzerebbe il rapporto sinallagmatico peculiare della procedura di concordato tra soddisfacimento, sia pure ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un lato, e risoluzione della crisi con esdebitazione dell'imprenditore, dall'altro. E ciò determinerebbe il venir meno della causa concreta della proposta rendendo la stessa inidonea all'ammissione ed alla successiva omologa…”.
Il Tribunale di Monza ha confermato il proprio orientamento con una successiva pronuncia del 2 ottobre 2013.
In senso analogo si è pronunciato inoltre il Tribunale di Siracusa, che, con una decisione del novembre 2013, dopo aver ammesso la proponente alla procedura di concordato preventivo, non ha omologato il concordato a fronte della rituale opposizione di un creditore (seppure per un credito di modesto importo), in considerazione dell'esorbitante durata del piano e della incongrua dilatazione dei tempi di soddisfazione dei creditori, ritenendo non vantaggiosa una prospettiva di pagamento che superasse i tempi di una normale liquidazione, e ciò sempre alla luce del precedente giurisprudenziale della Corte di legittimità e della Legge Pinto.
In senso difforme, invece, si sono pronunciati il Tribunale di Terni, decr. 7 novembre 2013, ed il Tribunale di Siracusa (in composizione collegiale parzialmente diversa da quella della decisione precedentemente richiamata).
Il Tribunale di Terni, dopo aver affermato che, sebbene dalla lettura della sentenza delle Sezioni Unite parrebbe essere stata introdotta una nuova forma di controllo giudiziale sulla tempistica concordataria tale da comportare una pronuncia d'inammissibilità a fronte di dilazioni dei pagamenti non ragionevolmente contenute, ha motivato che la relativa valutazione di convenienza è riservata ai creditori.
Il Tribunale di Siracusa, a sua volta, con una laconica pronuncia del 2 ottobre 2013, ha sostenuto che ove sia previsto un termine quinquennale per la liquidazione dei beni, la relativa proposta va sottoposta al vaglio dei creditori.
Il contrasto tra le pronunce segnalate sorge forse da una non coordinata lettura della lunga motivazione della più volte citata sentenza delle SS.UU. laddove è stato affermato che “la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali e i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione è rimessa al giudizio dei creditori...”.
Occorre tuttavia rilevare che se la Corte di legittimità ha certamente ed inequivocabilmente affermato che la valutazione sulla convenienza economica del piano concordatario spetta ai creditori, ha altresì stabilito che tale valutazione è subordinata al preventivo vaglio sulla sussistenza dei prerequisiti giuridici, la cui verifica spetta indefettibilmente all'organo giudiziale, che dovrà effettuarla accertando che la proposta non confligga con norme inderogabili, quali forse possono essere considerate, per l'appunto, in tema di durata del processo, le norme della Legge Pinto.

Conclusioni

Pare in linea teorica condivisibile l'orientamento giurisprudenziale di merito, al quale aderisce la pronuncia in esame, che ritiene in potere del Tribunale dichiarare inammissibile la proposta concordataria che preveda irragionevoli tempi di durata del piano.
Resta però controverso quando scatti – ai fini del piano concordatario - il carattere di irragionevole durata.
Sotto questo aspetto non può non rilevarsi l'incongruenza fra la Legge Pinto e la realtà fattuale, allorché fra gli attivi concordatari siano ricompresi crediti, magari solo strumentalmente contestati e per il cui accertamento e successivo incasso debba necessariamente essere radicato un giudizio che si svolga in tutti i suoi gradi.
Infatti, ipotizzando la rigida applicazione della legge sulla durata dei processi, che prevede quattro anni per i primi due gradi di giudizio, un anno per il giudizio di legittimità e tre anni per l'eventuale fase esecutiva, occorre concludere che una proposta concordataria per la cui durata è previsto un termine di tre/cinque anni dovrebbe essere dichiarata inammissibile ogni qualvolta nell'attivo concordatario risultino crediti litigiosi.
In tale ipotesi, in mancanza di finanza esterna, l'alternativa sarebbe sempre e soltanto la dichiarazione di fallimento, in contrasto con il principio negoziale sotteso alla riforma dell'istituto del concordato.
Peraltro anche con riferimento al fallimento si presenterebbero i medesimi problemi di durata, essendo previsto che il fallimento debba avere una durata non superiore a sette anni, e ciò a fronte di un tempo di accertamento del credito ed esecuzione del titolo che la medesima Legge prevede in un tempo massimo di otto anni, con l'effetto che provocatoriamente è possibile affermare che il recupero dei crediti litigiosi risulti in contrasto con le procedure concorsuali.
La sentenza modenese pertanto è certamente frutto di una rigorosa applicazione della legge, ciò nondimeno non può omettersi di rilevare come essa faccia emergere il contrasto tra due principi normativi, durata del giusto processo e composizione “negoziale” della crisi d'impresa, risultando evidente che il rigido rispetto del primo rischia di comprimere significativamente il campo di applicabilità del secondo, con conseguente riduzione del contenuto innovativo della riforma concordataria.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sulla valutazione proposta concordataria e sui limiti del controllo del tribunale si segnalano, fra le altre, Cass. 15 dicembre 2011 n. 27063 su Il fallimentarista.it, con nota di Lamanna (con la quale è stato denunciato il contrasto interpretativo), Cass. 18 settembre 2012 n. 15628 su diritto24.ilsole24ore.com e il recentissimo intervento delle Sezioni Unite in Cass. SS.UU. 23 gennaio 2013 n. 1521 su IlFallimentarista.it.; Vitiello, Il problema dei limiti di controllo del Tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite in Il Fallimentarista.it.
Massimo Fabiani, La questione “fattibilità” del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, in Il Fallimento, 2013, 149 e segg.
Sullo stesso argomento, in dottrina, Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, Dir. Fall. e delle Società Commerciali, 1° bimestre 2012; Linee Guida per il finanziamento delle imprese in crisi, Università di Firenze, Assonime, CNDC.
Tribunale di Monza, decreto 11 giugno 2013, Tribunale di Monza, decreto 2 ottobre 2013, Tribunale di Siracusa, decreto 13 novembre 2013, Tribunale di Terni, 7 novembre 2013, Tribunale di Siracusa, decreto 2 ottobre 2013.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario