Risanamento della crisi da sovraindebitamento del consumatore e par condicio creditorum

15 Maggio 2014

Ai fini dell'omologa del piano del consumatore ai sensi dell'art. 12-bis L. 3/2012 non è richiesta l'espressione del consenso dei creditori, i quali possono unicamente contestare la convenienza del trattamento loro riservato rispetto al soddisfo ottenibile nell'ambito della procedura liquidatoria prevista agli artt. 14-ter e segg. L. 3/2012 (massima).La L. 3/2012 non impone al consumatore di rispettare la par condicio creditorum, potendo essere proposto un soddisfo diversificato per le singole posizioni creditorie.
Massima

Ai fini dell'omologa del piano del consumatore ai sensi dell'art. 12-bis L. 3/2012 non è richiesta l'espressione del consenso dei creditori, i quali possono unicamente contestare la convenienza del trattamento loro riservato rispetto al soddisfo ottenibile nell'ambito della procedura liquidatoria prevista agli artt. 14-ter e segg. L. 3/2012.

La L. 3/2012 non impone al consumatore di rispettare la par condicio creditorum, potendo essere proposto un soddisfo diversificato per le singole posizioni creditorie.

Il caso

Il Giudice del Tribunale di Ascoli Piceno designato a seguire la procedura ai sensi dell'art. 7 L. 3/2012 viene chiamato ad omologare il piano di un consumatore che si sostanziava nell'offerta ai creditori di una quota del reddito del debitore per un quinquennio, in assenza di ulteriori beni suscettibili di aggressione esecutiva, anche tenuto conto dei limiti previsti per l'esecuzione sui redditi retributivi e pensionistici del privato.
Il Giudice individua, anzitutto, quali siano i presupposti imprescindibili di ammissibilità del piano del consumatore e, in tal senso, conferma nelle premesse di aver già compiuto l'analisi preliminare e di aver dato atto con precedente decreto dell'assenza di atti in frode, dovendosi quindi escludere l'esistenza di tali situazioni, che costituiscono un primo elemento ostativo all'ammissione del consumatore ai benefici della L. 3/2012.
Una volta superato questo “sbarramento” preliminare, poi, il Giudice precisa che l'omologa del piano del consumatore non postula il consenso dei creditori, ma solo un duplice requisito: la fattibilità del piano e l'assenza di circostanze che possano minare la meritevolezza del debitore, nel senso previsto dall'art. 12-bis L. 3/2012, laddove detta disposizione prevede che “il giudice, quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali, omologa il piano”.
In particolare, quanto alla meritevolezza, il Giudice applica correttamente la norma ora richiamata, che prevede appunto una valutazione “in negativo”, andando quindi a verificare che il debitore non sia incorso nel sovraindebitamento per aver assunto obbligazioni ultra vires o avendo colpevolmente determinato tale situazione; a tal fine, viene proposto un metodo aritmetico mirato a verificare quale fosse all'epoca in cui furono contratti i debiti la percentuale del proprio reddito che il debitore avrebbe dovuto impegnare per coprire le rate dei finanziamenti accesi: in sostanza, non viene ritenuto “immeritevole” il soggetto che si sia indebitato sulla base di una prospettiva ragionevole di poter far fronte all'esposizione senza dover utilizzare una porzione eccessiva delle proprie entrate reddituali sulle quali in quel momento il debitore poteva fare affidamento.
Il Giudice viene, peraltro, sollecitato anche ad una valutazione di convenienza da parte di due creditori bancari che avevano lamentato a norma dell'art. 12-bis L. 3/2012 di ricevere un trattamento deteriore rispetto ad altri creditori: il provvedimento in commento respinge la doglianza rapportando il soddisfo offerto alle banche non a quello degli altri creditori – sul presupposto che non sussista nella procedura di sovraindebitamento alcun vincolo al rispetto della par condicio creditorum – bensì alle prospettive concrete di soddisfo nell'ambito della procedura liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda della L. 3/2012, osservando che, in quella sede, non sarebbe stata presumibilmente destinata ai creditori che contestavano il trattamento loro riservato una quota del reddito del debitore superiore a quella spontaneamente offerta con il piano del consumatore. Da notare che la comparazione tra prospettive di soddisfo viene compiuta, con interpretazione della norma a mio avviso ineccepibile, non in linea generale, bensì con riguardo alla posizione precipua del creditore che solleva contestazioni. Si tratta, del resto, di una soluzione in linea con quella che pare l'interpretazione più plausibile dell'art. 180 l.fall., che regola la valutazione di convenienza in sede di omologa del concordato, laddove il Tribunale, a fronte dell'opposizione di un creditore che ne contesti la convenienza, “può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili”: la comparazione, in tal senso, concerne la prospettiva di miglior soddisfo del credito precipuamente vantato dall'opponente, sempre che questi faccia parte di una classe dissenziente o che rappresenti oltre il 20% dei crediti in un concordato senza classi.

Le questioni giuridiche e la soluzione

In quasi totale assenza di precedenti applicativi, il decreto in commento costituisce un'utile palestra circa l'attuazione concreta della disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, che – a seguito delle modifiche apportate alla L. 27 gennaio 2012, n. 3 dall'art. 18 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito in L. 17 dicembre 2012, n. 221) – costituisce di fatto una seconda tipologia “semplificata” di procedura utilizzabile (quale alternativa alla procedura dedicata più in generale al debitore non fallibile, cui peraltro potrebbe anche ricorrere il “consumatore”), da un soggetto che l'art. 6 della normativa identifica come “debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” per risolvere una crisi da sovraindebitamento che la stessa norma definisce come “situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.
La pronunzia pone, anzitutto, l'accento sulla caratteristica più evidente che distingue il piano del consumatore dalle procedure concorsuali tipiche e, pervero, anche rispetto alle modalità di soluzione della crisi del debitore non fallibile cui è primariamente dedicata la L. 3/2012: non è, infatti, prevista una fase di espressione del voto dei creditori sulla proposta del debitore, bensì solo la facoltà di proporre contestazioni.
Si tratta, come osservavo in altra occasione, dell'estremizzazione dell'istituto del “silenzio-assenso”, che dopo le riforme concorsuali impera non solo più nell'ambito del concordato fallimentare, ma anche ai fini del computo delle maggioranze del concordato preventivo e, per espressa previsione dell'art. 11 L. 3/2012, anche all'interno del procedimento di composizione della crisi del debitore non fallibile: nel caso dell'accordo del consumatore, addirittura, il voto non è richiesto né previsto, ponendosi in capo al creditore l'onere di contestare, a norma del quarto comma dell'art. 12-bis L. 3/2012, la convenienza del piano; opposizione che, peraltro, come precisa la stessa disposizione citata, non preclude l'omologa, che sarà comunque pronunziata dal Giudice se questi “ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda del presente capo”.
L'altra sottolineatura rilevante che si rinviene nel decreto in commento concerne l'esclusione della necessità di un trattamento paritario dei creditori: la normativa, invero, concede al debitore la massima libertà nello strutturare la soluzione della crisi da sovraindebitamento, con l'unico vincolo del rispetto dell'ordine dei privilegi e con poche eccezioni previste all'art. 7 L. 3/2012. Detta norma - applicabile per richiamo anche al consumatore, come il Giudice ascolano non manca di rammentare – vincola, infatti, l'omologa del piano al pagamento dei privilegiati salvo “che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi. In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”.
Peraltro, nell'interpretazione della pronunzia in commento, le modalità mediante le quali può essere proposto il soddisfo nell'ambito del piano del consumatore potrebbero essere ancor più ampie rispetto alle altre procedure più “strutturate”: invero, come osserva il giudice marchigiano, la norma non prevede espressamente il rispetto della par condicio, di modo che parrebbe ammissibile una proposta che, senza raggruppare i creditori in classi, semplicemente offra un soddisfo diverso per singole posizioni creditorie.

Osservazioni

La decisione in commento appare sicuramente condivisibile nel ripercorrere la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento e nel fissare i presupposti per l'ammissibilità del piano proposto dal consumatore, in particolare laddove il Giudice va a valutare se - all'epoca in cui il debitore ebbe a contrarre le obbligazioni poi lasciate inadempiute - le sue previsioni reddituali consentissero ragionevolmente di ipotizzare la disponibilità di un reddito sufficiente a coprire le rate dovute; lo stesso criterio è stato del resto utilizzato da altra recente pronunzia in materia quali, Trib. Pistoia, 27 dicembre 2013, in ilFallimentarista.it, con nota di G. Rojas Elgueta, peraltro commentata in senso sfavorevole per non aver rilevato appunto come il debitore avesse incrementato il proprio indebitamento in modo imprudente ed indi riformata da Trib. Pistoia, 28 febbraio 2014, ivi, proprio in forza di un ricalcolo della quota di reddito disponibile impegnata dal debitore con gli impegni di restituzione dei mutui; decisione che, in tal senso, conferma (al di là di una presa di posizione più rigida del tribunale toscano sul concetto di "indebitamento colpevole") la correttezza in se del metodo utilizzato dal decreto che qui si commenta.
Corretta anche la valutazione sulla “convenienza” contestata da due creditori: la normativa sul sovraindebitamento, infatti, prevede una valutazione comparativa tra il piano proposto da debitore e l'alternativa della liquidazione, intesa precipuamente come riferita all'ipotesi di procedura liquidativa disciplinata (dopo l'intervento integrativo del D.L. 179/2012) dagli artt. 14-ter e seguenti L. 3/2012; in tal senso, in particolare, si esprime anche la pocanzi citata pronunzia del Trib. Pistoia, 27 dicembre 2013.
E, come nel caso esaminato da quest'ultimo precedente, il Giudice deve considerare che nulla autorizza il creditore a richiedere di valutare la convenienza in base alla possibilità di esecutare il debitore secondo le norme ordinarie che regolano le esecuzioni individuali, poiché occorrerà, da un lato, operare il raffronto con il risultato conseguibile dal creditore nell'ambito della procedura specificamente disciplinata dagli artt. 14-ter e segg. L. 3/2012 per la liquidazione del patrimonio del consumatore e, di contro, tener conto in ogni caso dei limiti alla pignorabilità di stipendi, pensioni e diritti assimilati.
Più in generale, poi, pare indiscutibile anche il punto di partenza da cui muove il decreto in commento, laddove sottolinea l'ampia libertà concessa al debitore di risolvere la propria crisi proponendo trattamenti diversificati. Al riguardo, anzi, è agevole reperire conferma circa la derogabilità del principio che impone il rispetto della par condicio non solo nella disciplina specifica del sovraindebitamento, ma più in genere se si considera tutto il sistema delle procedure concorsuali minori scaturito dalle riforme, che si fonda sulla possibilità di suddividere i creditori in classi con trattamento differenziato, anche se si tratti di posizioni con lo stesso “rango”, con il solo vincolo del rispetto dell'ordine dei privilegi, derogabile peraltro in relazione all'incapienza certificata dei beni o diritti sui quali grava la prelazione, che consente di falcidiare anche i crediti privilegiati.
Tuttavia, proprio per tale considerazione sistematica, non mi trova del tutto d'accordo l'assunto secondo il quale la normativa non lascerebbe al debitore la decisione di proporre trattamenti differenziati dei creditori senza la formazione di classi. Sicuramente, è corretto porre l'accento sulla libertà del debitore di fissare la misura del soddisfo proposto, ma è altrettanto vero che – proprio alla luce del rilievo sopra sottolineato della mancanza, nella procedura del consumatore, di una fase di voto e quindi di un riscontro circa l'adesione dei creditori – si potrebbero ipotizzare proposte che, pur essendo convenienti, vengono di fatto imposte ai creditori ai quali spetterà l'onere di avviare iniziative contestative che potrebbero peraltro essere respinte, pur se di fatto venisse loro riservato, senza una valida motivazione discretiva, un trattamento deteriore rispetto ad altri soggetti che si trovano nella stessa situazione.
Per valutare la condivisibilità o meno dell'interpretazione “elastica” ora cennata, ad avviso di chi scrive si potrebbe muovere dalla dizione letterale dell'art. 7 L. 3/2012, laddove al primo comma è previsto che il debitore non fallibile può proporre un piano che “preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi…”; il successivo comma 1-bis, poi, prevede che il consumatore possa proporre “un piano contenente le previsioni di cui al comma 1”. Se così è, non è possibile affermare che per il piano del consumatore non sia previsto il classamento: semmai, il problema è se si possa interpretare l'espressione “anche se suddivisi in classi” come riferita alla mera eventualità di non formare classi, piuttosto che non all'alternativa di proporre un soddisfo sperequato tra creditori pur senza la formazione di classi omogenee.
Va precisato che non si tratta, in questo senso, di riproporre la questione del “classamento obbligatorio”, di cui si è occupata la giurisprudenza in tema di concordato preventivo, in relazione al quale qualche giudice ha sancito l'obbligatorietà di attribuire un trattamento differenziato in caso di posizioni sperequate dei creditori, forse non a caso proprio in una situazione affine a quella di cui si occupa il decreto in commento (posto che il Giudice ascolano dà atto che le banche, che si lamentavano del trattamento deteriore, in realtà mantenevano pretese per garanzie verso terzi). Se, infatti, la Suprema Corte si è espressa in senso contrario, ribadendo che la suddivisione in classi è sempre una facoltà e non un obbligo (Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274), ciò non esclude che paia invece essere restato fermo il principio opposto: per creare trattamenti differenziati nei concordati è necessario che i creditori siano suddivisi in classi omogenee, tant'è che al giudice è concesso il sindacato sulla legittimità dei criteri utilizzati per la formazione delle classi stesse.
Se così è, resta da stabilire se, invece, nelle procedure regolate dalla L. 3/2012 si possa procedere ad una sorta di “classamento individuale”, proponendo ai creditori un trattamento diversificato senza formazione di classi e se, in tal caso, si possa superare la prescrizione di omogeneità di trattamento.
Ed invero, così come si è opinato a commento dell'art. 160 l.fall. in tema di concordato preventivo, si deve ritenere che la formazione di classi a trattamento differenziato costituisca un'eccezione ad un principio generale dettato dall'art. 2741 c.c. (cfr. C. Trentini, I concordati preventivi, Milano, 2014, 182 ss.) ed in quanto tale utilizzabile con parsimonia, ed in tal senso è dubbio che si possa ipotizzare la deroga a detta prescrizione senza rispettare le disposizioni formali in tema di classamento.
D'altro canto, si potrebbe trattare di una questione più di forma che di sostanza: poiché si tende ad ammettere che una classe di creditori possa anche essere formata da un unico soggetto, ben potrebbe il consumatore proporre un soddisfo maggiore o minore per una singola posizione; la differenza, peraltro, sta nella stessa modalità formale: per inserire anche un solo creditore in una classe a soddisfo diversificato, quantomeno il debitore dovrà esporre le ragioni che lo inducono a derogare all'art. 2741 c.c., in modo che sia sempre possibile una verifica sulla legittimità del trattamento differenziato.

Questioni aperte

Il decreto in commento, peraltro, contiene anche uno spunto che sarebbe interessante sviluppare con riferimento alla possibilità di offrire un trattamento differenziato ai creditori anche sulla base di una valutazione del loro “ruolo” nella formazione del sovraindebitamento.
Si evince, infatti, dalla parte finale del provvedimento che una delle banche, che aveva lamentato di subire un trattamento deteriore, veniva accusata dal debitore di avere in parte concorso a cagionare il sovraindebitamento, inducendo il consumatore ad investimenti (non a caso, in obbligazioni della stessa banca) dai quali era poi derivata la sua crisi a causa del lievitare dell'onere per il mutuo acceso.
In effetti, nel commentare le disposizioni contenute nella L. 3/2012, ho avuto modo di chiedermi se e con quale influenza sulla procedura, come contraltare della verifica di meritevolezza sull'addebitabilità del sovraindebitamento al soggetto che risulta incapiente, vi sia anche la possibilità di coinvolgere nella procedura i soggetti che abbiano concorso o addirittura provocato il sovraindebitamento; l'esempio più eclatante è quello della contestazione al sistema finanziario dell'applicazione di interessi lato sensu “usurari” o della indebita capitalizzazione che faccia lievitare l'indebitamento (situazione sulla quale per la verità si riscontra un proliferare di iniziative non sempre fondate), ma si potrebbe anche pensare al debitore che si trovi in crisi a causa di investimenti in perdita (mal) consigliati da promotori finanziari o anche per le modalità di rimborso proposte dal sistema bancario al momento dell'accensione di mutui (si pensi all'utilizzo talora improvvido di “derivati” a copertura del rischio finanziario che si risolvano invece in un incremento inopinato dell'esposizione).
Peraltro, non credo che la soluzione ottimale di tali situazioni sia un utilizzo “punitivo” del classamento o addirittura il trattamento diversificato individuale di tali situazioni, posto che in tal modo il debitore quasi si fa accusatore e giudice dell'altrui responsabilità, senza che sia possibile un sindacato sulla fondatezza dell'addebito, proprio in quanto la disciplina sul sovraindebitamento prevede appunto che l'unico limite al trattamento deteriore riservato al singolo creditore sia la valutazione dell'alternativa liquidatoria. Proprio l'imposizione del classamento – inteso come ipotesi di trattamento diversificato, ma giustificato dalla omogeneità di posizioni di gruppi di creditori che presentano tra di loro diversità – andrebbe ad evitare che il debitore offra un soddisfo inferiore a taluni creditori in base a valutazioni non acclarate che giustifichino la diversificazione. In tal senso, si dovrebbe muovere dalla considerazione che, come la Suprema Corte ha statuito nell'ambito del concordato preventivo, anche i creditori in contenzioso devono considerarsi tali, in attesa dell'accertamento giudiziale del diritto (Cass., Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13284): pertanto, non sarebbe consentito tout court non considerare quei crediti nel novero di quelli da soddisfare, ma nulla vieta di tener conto della natura incerta del diritto per raggruppare quei creditori in contenzioso in una classe alla quale potrebbe essere offerto un soddisfo percentuale inferiore rispetto ai crediti certi.
Piuttosto, vien da chiedersi se – quando si verifichino reali situazioni di concorso di terzi nel provocare l'indebitamento – il debitore non debba anche valutare come un credito potenziale l'addebito di responsabilità e quindi considerare se un'eventuale azione nei confronti del debitore possa, in alternativa, dare vita solo ad un controcredito risarcitorio che andrebbe a limitare il soddisfo (non perché venga offerta una percentuale minore, ma in quanto si ridurrebbe il credito da soddisfare) oppure, addirittura, creare una posizione di pretesa verso il terzo che sarebbe corretto azionare anche a beneficio degli altri creditori incolpevoli che potrebbero così vedere incrementare il proprio soddisfo.

Conclusioni

L'impressione generale che si trae dalle prime applicazioni della nuova disciplina dedicata al consumatore sovraindebitato è comunque che i Giudici abbiano correttamente percepito che – avuto riguardo alle finalità della normativa – l'intento del legislatore è quello di favorire il più possibile l'accesso dei soggetti in crisi alle procedure previste dalla L. 3/2012, anche con un'applicazione meno rigorosa sia dei limiti di ammissibilità, sia evitando rigidità formali.
D'altro canto, la normativa introdotta nel 2012 vuole essere innanzi tutto una risposta ad una situazione di crisi che colpisce non solo gli imprenditori fallibili e non (è di questi giorni la notizia dell'ulteriore incremento dei fallimenti), ma anche i professionisti ed i privati nella loro vita quotidiana e, se per la prima categoria le procedure di composizione negoziale della crisi rappresentano l'alternativa (auspicata dal legislatore come soluzione primaria) al fallimento, si potrebbe dire che per i soggetti non fallibili, in realtà, l'applicazione della L. 3/2012 costituisce l'unica alternativa all'assoggettamento ad azioni esecutive singole che, anche in quanto disorganiche, non farebbero che peggiorare la situazione del debitore, con il rischio di favorire non solo quei fenomeni di usura che il legislatore del 2012 ha inteso espressamente prevenire, ma anche tentativi di “gestione” dell'incapienza patrimoniale attuati con il ricorso ad atti dispersivi (simulati e non) del patrimonio - che la normativa sul sovraindebitamento va non a caso a disincentivare, sanzionando eventuali atti in frode e prevedendo espressamente che l'organismo di composizione della crisi indichi la presenza di eventuali atti del debitore impugnati dai creditori (al comma 3-bis, lett. d) dell'art. 9 L. 3/2012) -, non foss'altro perché tali tentativi di sottrarre i propri beni alla responsabilità prevista dall'art. 2740 c.c. spesso non fanno altro che dare luogo ad ulteriori onerosi contenziosi revocatori a norma dell'art. 2901 c.c., che riducono ulteriormente le risorse disponibili per il soddisfo dei creditori.
L'auspicio è, in tal senso, che l'accesso a procedure compositive del sovraindebitamento venga effettivamente incentivato e che tale soluzione “legale” non sia vista come una scelta imbarazzante, ma come (spesso l'unico) strumento per consentire al debitore, ed al consumatore in particolare, di riprendere una vita normale.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In generale, sui procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento, si vedano: I. Arcuri – P. Bosticco, Il piano di risanamento attestato e il nuovo sovraindebitamento, Milano, 2014, 141 ss.; F. Di Marzio – F. Macario – G. Terranova, La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, Speciale riforma, ne Il Civilista, 2013; G. Lo Cascio, L'ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3), in Fall., 2013, 813 ss.; D. Manente, Gli stumenti di regolazione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori non fallibili. Introduzione alla disciplina della l. 27 gennaio 2012, n. 3, dopo il c.d. “Decreto Crescita-bis”, in Dir.Fall., 2013, I, 557; R. Donzelli, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir.Fall., 2013, I, 609.
Pressochè pacifico che il contenuto del piano del consumatore sia regolato per rinvio dalle stesse disposizioni che vincolano la proposta del debitore non fallibile a norma dell'art. 7 L. 3/2012 (M. Rispoli Farina, I rimedi alla crisi da sovraindebitamento: un assetto definitivo alla crisi del consumatore, in S. Bonfatti – G. Falcone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale della crisi e del sovraindebitamento, Milano, 2014, 282 ss.)
Sui presupposti per l'ammissibilità del consumatore al beneficio compositivo, sotto il profilo dell'assenza di atti di frode e della valutazione circa la “colpevolezza” per l'insorgere della situazione di sovraindebitamento: G. Rojas Elgueta, I presupposti di accesso alla procedura di “piano del consumatore”, in ilFallimentarista.it; G. Piepoli, Sovraindebitamento e credito responsabile, in Banca, Borsa, 2013, 38 ss.; I. Arcuri – P. Bosticco, Il piano di risanamento attestato e il nuovo sovraindebitamento, cit., 199 ss.
Sull'assenza della fase di voto nella procedura del consumatore e le sue ragioni: L. Panzani, La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, in ilFallimentarista.it; P.F. Marcucci, La procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore: tra esperienza nazionale e riflessioni comunitarie, in S. Bonfatti – G. Falcone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale della crisi, cit., 302 ss.; I. Arcuri – P. Bosticco, Il piano di risanamento attestato e il nuovo sovraindebitamento, cit., 202 ss.
Prendendo a prestito dalla giurisprudenza in tema di concordato preventivo alcuni spunti sulle modalità di formazione delle classi di creditori: sulla necessità che i creditori vengano organizzati in classi per prevederne il trattamento differenziato in deroga alla par condicio, arg. da Trib. Latina, 30 luglio 2012, in ilFallimentarista.it; e Trib. Padova, 16 maggio 2011, ilFallimentarista.it; la possibilità di imporre il classamento per diversificare posizioni non omogenee, sostenuta da Trib. Monza 27 novembre 2009, in ilFallimentarista.it (e da Trib. Monza, 5 agosto 2010, in ilFallimentarista.it; peraltro solo in caso di opposizione) è rimasta tesi isolata (oltre alla sentenza della Suprema Corte citata nel testo, il classamento obbligatorio è escluso da Trib. Mantova, 7 marzo 2013, in ilcaso.it e Trib. Bari, 26 ottobre 2009, in Fallim., 2010, 377); peraltro, si ritiene possibile diversificare il trattamento di creditori apparentemente omogenei in funzione di valutazioni quali la presenza di garanzie di terzi (Trib. Mantova, 8 aprile 2010, in ilcaso.it), ma anche la sussistenza di un contenzioso sul credito (Trib. Catania, 21 novembre 2013, in ilcaso.it) ed è ammessa la formazione di una classe formata da un solo creditore (Trib. Mantova, 7 marzo 2013, in ilcaso.it; Trib. Firenze, 28 aprile 2010, in Fall., 2010, 998)
Quanto, invece, alla valutazione comparativa di convenienza, è pressochè pacifico in seno alla disciplina del concordato che l'organo giurisdizionale, se sollecitato dall'opposizione di un creditore sotto il profilo della convenienza, debba valutare se quel singolo credito possa trovare miglior soddisfo con il ricorso a procedure alternative, intese principalmente come l'assoggettamento a fallimento (Trib. Firenze, 26 aprile 2010, in ilFallimentarista.it), con la precisazione, peraltro, che la legittimità in sé della formazione delle classi implica che l'opposizione debba essere svolta nell'interesse generale dei creditori e quindi un creditore non potrebbe tout court fondatamente contestare un trattamento che deriva appunto dalla sua collocazione in quella classe, bensì dovrebbe dimostrare che quel trattamento risulta peggiorativo rispetto al soddisfo che i creditori che formano la classe stessa riceverebbero in caso di fallimento e quindi di ridistribuzione dell'attivo ripartibile indistintamente su tutti i creditori aventi il medesimo rango (arg. da Trib. Bari, 26 ottobre 2009, in Fall, 2010, 377).

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