Atto eccedente l’ordinaria amministrazione ed atto in frode nel concordato: spunti e riflessioni

09 Maggio 2014

La violazione del divieto contenuto nell'art. 167, comma 2, l. fall. di compimento di atto eccedente l'ordinaria amministrazione senza autorizzazione (in specie pagamento di debiti anteriori alla proposta concordataria) non può determinare ex se l'improcedibilità della domanda di concordato.Nel caso di riscontrata insussistenza in concreto degli atti frodatori indicati dall'art. 173 l. fall., richiamato dall'art. 161, comma 6, l. fall. (nel testo risultate dalla modificazione recata dal d.l. n. 69 del 2013 convertito con legge n. 98 del 2013), non sussistono i presupposti per dichiarare improcedibile la domanda di autorizzazione.
Massima

La violazione del divieto contenuto nell'art. 167, comma 2, l. fall. di compimento di atto eccedente l'ordinaria amministrazione senza autorizzazione (in specie pagamento di debiti anteriori alla proposta concordataria) non può determinare ex se l'improcedibilità della domanda di concordato.
Nel caso di riscontrata insussistenza in concreto degli atti frodatori indicati dall'art. 173 l. fall., richiamato dall'art. 161, comma 6, l. fall. (nel testo risultate dalla modificazione recata dal d.l. n. 69 del 2013 convertito con legge n. 98 del 2013), non sussistono i presupposti per dichiarare improcedibile la domanda di autorizzazione.

Il caso

Successivamente al deposito della domanda di concordato preventivo con riserva ex art. 161, comma 6, l.fall. ed anteriormente all'emissione del decreto di cui all'art.161, sesto e decimo comma, l.fall. contenente la nomina del Commissario Giudiziale, la ricorrente, dopo aver richiesto al Tribunale l'autorizzazione al pagamento di debiti sorti anteriormente al deposito della domanda di concordato, ha proceduto ugualmente a pagare ai medesimi creditori, beneficiari dell'istanza, gli importi senza attendere l'emissione del richiesto provvedimento, ed avendo peraltro taciuto, nella suddetta istanza – come poi accertato dal Commissario Giudiziale - di aver già eseguito ulteriori pagamenti di debiti anteriori in favore degli stessi creditori nell'intervallo di tempo intercorso tra il deposito della domanda di concordato ed il deposito della predetta domanda di autorizzazione al pagamento di debiti anteriori.
Dopo aver respinto la richiesta di autorizzazione al pagamento dei debiti anteriori alla domanda, poiché, in quanto successiva al compimento di tali atti, avrebbe costituito ratifica di atti solutori compiuti dall'imprenditore, il Tribunale di Roma ha affrontato il tema delle conseguenze derivanti dal compimento di atti privi della previa autorizzazione del tribunale e della identificazione degli stessi quali atti in frode ex art. 173 l. fall., tenendo contestualmente in considerazione la presenza nella procedura del Commissario Giudiziale e la funzione di controllo e verifica da questi svolta.

La questione giuridica

Il provvedimento in questione si segnala in quanto, pur individuando il pagamento di un debito anteriore alla domanda di concordato quale atto eccedente l'ordinaria amministrazione, esclude la configurabilità di tale atto quale atto in frode ex art. 173 l. fall., allorquando, pur privo della autorizzazione giudiziale, non sia risultato in concreto idoneo a cagionare danno.
La vicenda scaturisce dalla circostanza che, in esito al deposito della domanda di concordato preventivo, il debitore, per tutta la procedura, conserva l'amministrazione dei propri beni nonché l'esercizio e la gestione dell'impresa, sia pure sotto la vigilanza del Commissario Giudiziale e condizionatamente, quanto agli atti di straordinaria amministrazione, all'autorizzazione del Giudice Delegato.
La dottrina e la giurisprudenza definiscono la posizione del debitore concordatario come di “spossessamento attenuato”, con ciò differenziandolo dal vero e proprio spossessamento del patrimonio che subisce il debitore dichiarato fallito, al quale è altresì sottratta l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni.
Si ritiene che, in quanto teso al soddisfacimento del piano e della proposta concordataria, lo spossessamento affievolito coinvolga l'intero patrimonio del debitore, ivi compresi i beni futuri – che costituiscono il logico prodotto dell'attività di impresa – eccezion fatta per i beni indicati nell'art. 46 l. fall.
Incidentalmente si segnala che si registrano diverse ed opposte posizioni circa il coinvolgimento dei beni dei soci illimitatamente responsabili nel predetto spossessamento: a fianco di opinioni positive sia in dottrina che in giurisprudenza, si ravvisano voci che negano una simile eventualità.
Il debitore quindi non perde la propria capacità sostanziale e processuale. L'autonomia del debitore, tuttavia, è solo relativa, poiché soggetta all'attività di vigilanza del Commissario ed all'autorizzazione del Giudice delegato (quanto agli atti straordinari), pur rimanendo condizionata oggettivamente dalla congruità della medesima rispetto al piano.
Venuta meno l'attività di direzione di cui era titolare il Giudice Delegato ante D.L. 14.3.2005, n. 35, l'attività di vigilanza del Commissario Giudiziale è stata introdotta anche per i concordati con riserva, in ragione della modifica introdotta dal D.L. n. 69/2013 convertito con legge n. 98/2013.
Va tuttavia segnalato che il venir meno di tale attività di direzione non è stato riequilibrato con l'attribuzione al Commissario di ulteriori poteri.
L'attività di vigilanza del Commissario si esplica infatti in attività di controllo sugli atti e sull'attività del debitore, al fine di prevenire o di riferire al Tribunale il compimento da parte del proponente di atti non autorizzati ovvero di atti in frode delle ragioni dei creditori.
Pur estendendosi agli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, l'attività di vigilanza non comporta alcuna ingerenza nella gestione dei beni, né implica una limitazione assoluta nelle scelte operative e di amministrazione. A supporto di ciò si segnala che il legislatore non attribuisce al Commissario Giudiziale alcun potere di veto in ordine alla realizzazione degli atti di ordinaria amministrazione.
In relazione agli atti straordinari, accanto all'attività di vigilanza del Commissario Giudiziale è prescritta dall'art. 167, secondo comma, l. fall. l'autorizzazione del Giudice Delegato.
Tale provvedimento autorizzativo – ritenuto atto di volontaria giurisdizione – non influenza la validità dell'atto del debitore, ma ha la funzione di integrare l'efficacia e la legittimità interna dell'atto medesimo; ha la funzione quindi di verificare in concreto l'utilità di tale atto per la procedura ed il rispetto di quei principi (par condicio creditorum, protezione del patrimonio) eretti a cardine della procedura.
Come correttamente osservato in giurisprudenza, l'autorizzazione del tribunale ha la funzione di rimuovere un ostacolo giuridico alla piena efficacia dell'atto e non anche quella di imporre il compimento dello stesso, compimento al quale il debitore istante non è obbligato ben potendo decidere, in base ad un diverso apprezzamento dei propri interessi, di non esercitare il diritto.
A supporto di tale assunto vi è la previsione di cui al secondo comma dell'art. 167 L.fall., che prevede quale sanzione l'inefficacia degli atti straordinari compiuti senza la prescritta autorizzazione nei confronti dei creditori anteriori: gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti senza la prescritta autorizzazione sono quindi perfettamente validi tra le parti.
L'art. 167, secondo comma non precisa se l'autorizzazione debba precedere necessariamente il compimento dell'atto o possa altresì seguirla, valendo in tal senso come ratifica o come sanatoria. Sul punto si registrano sia in giurisprudenza che in dottrina opinioni opposte: a fianco dell'orientamento, quale quello espresso dal provvedimento in esame, che ritiene necessario che l'autorizzazione abbia luogo in un momento temporalmente anteriore, vi sono pareri opposti, che ammettono la possibilità di un provvedimento successivo, giungendo a ritenere che, seppur non espressa, l'autorizzazione possa essere data implicitamente da un provvedimento che la presupponga necessariamente.
In tale secondo comma dell'art. 167 il legislatore elenca, in modo esemplificativo e non esaustivo, alcuni negozi (quali transazioni, rinunzie, etc.), che hanno quale denominatore comune il fatto di incidere in modo negativo sul patrimonio dell'imprenditore. La prescrizione normativa è conclusa con la previsione della categoria residuale degli “atti eccedenti l'ordinaria amministrazione”.
Circa l'individuazione degli “atti eccedenti l'ordinaria amministrazione”, si ritiene che gli stessi siano da identificarsi in quegli atti che, condividendo il comune denominatore con le altre figure negoziali contenute nel secondo comma dell'art. 167, risultino suscettibili di incidere in concreto negativamente sul patrimonio del debitore in modo da ridurlo, da pregiudicarne la consistenza o comunque da compromettere la capacità di soddisfazione dei creditori.
Viene solitamente ricondotto nella categoria degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione il pagamento di debiti anteriori al domanda di concordato, il quale necessita pertanto dell'autorizzazione del tribunale.
Il pagamento di un debito anteriore al concordato privo della prescritta autorizzazione - pur subendo la succitata sanzione dell'inefficacia - è comunemente ritenuto integrare quegli “altri atti di frode”, che comportano la revoca dell'ammissione al concordato ex art. 173 l. fall.
L'accertamento dell'atto frodatorio è rimesso al potere di vigilanza e controllo del Commissario Giudiziale, il quale deve riferirne immediatamente al Tribunale.
Il riscontro dell'intervenuto atto in frode, tuttavia, non determina in modo automatico la sanzione della revoca del concordato e, ricorrendo i presupposti di cui al comma 2 dell'art. 173, del fallimento.
Dottrina e giurisprudenza ritengono infatti che debba ricorrere, oltre alla violazione della prescrizione normativa, anche la realizzazione di un danno concreto alla procedura, risolvendosi l'atto in frode ai creditori proprio nella realizzazione di un danno per i medesimi creditori.
Il Giudizio sull'idoneità dell'atto a cagionare danno alla procedura è compiuto dal Giudice in concreto, tenendo quindi in debito conto non solo la diminuzione del patrimonio, ma anche la concreta utilità alla procedura che possa derivare da tale atto.
Sul punto va sottolineato che l'oggettiva utilità per la procedura può essere diversamente rilevata dal Giudice, fermo restando il criterio generale della par condicio creditorum e del beneficio concreto per il patrimonio.
Tale valutazione giudiziale si ritiene vada compiuta anche in relazione a quegli atti effettuati dal debitore in spregio al provvedimento di cui al terzo comma dell'art. 167 .
L'introduzione di tale previsione, avvenuta con il D.Lgs. n.5/06, ha indotto alcuni osservatori a rilevare come tale comma abbia reintrodotto di fatto un residuale potere di direzione del giudice, potendo questi stabilire ab origine un valore al di sotto del quale l'autorizzazione non è dovuta.
In applicazione dei principi sopra esposti, il compimento di un atto in violazione della richiesta autorizzazione di cui al terzo comma dell'art. 167 integra atto in frode solo allorquando si risolva in un danno oggettivo per la procedura.

Osservazioni

Dalla lettura del provvedimento in esame emerge quale orientamento del Tribunale di Roma, quello secondo cui l'autorizzazione di cui all'art. 167 deve anzitutto necessariamente precedere il compimento dell'atto, poiché non spetta al Giudice ratificare atti solutori del debitore realizzati in assenza della prescritta autorizzazione.
Il Tribunale di Roma, inoltre, con il provvedimento in esame, ha aderito all'opinione secondo la quale l'atto compiuto, pur privo di autorizzazione, può integrare atto frodatorio ex art 173 solo in presenza di un danno effettivo per la procedura. In tal senso, il Tribunale ha evidenziato come, ai fini della valutazione della ricorrenza o meno di tale danno, il Giudice debba tener conto di ogni utilità che possa conseguire alla procedura dall'atto in esame.
In specie, il Giudice Romano ha sussunto il pagamento di debiti anteriori alla domanda di concordato sotto la figura degli atti privi di autorizzazione, procedendo quindi a valutare se tali atti avessero concretizzato gli atti in frode ai creditori di cui all'art.173.
Individuando l'atto in frode ai creditori quale atto che deve concretizzare un danno effettivo ai creditori, il Tribunale ha ritenuto che nella specie dall'atto fosse in realtà scaturita un'utilità per la procedura, pur premettendo che il pagamento dei debiti anteriori identifica una diminuzione del patrimonio. Il Tribunale si è infatti soffermato sui vari aspetti positivi derivati per la procedura quale l'incasso del prezzo delle compravendite e l'efficace gestione del magazzino, ritenendo gli stessi essere una utilità per la procedura prevalente rispetto alla constatata diminuzione.
Il Tribunale ha omesso però nel caso concreto di tenere in debito conto la complessiva condotta del debitore nonché l'effettiva lesione della par condicio creditorum.
Dalla lettura del provvedimento, infatti, emerge che, nell'istanza di autorizzazione al pagamento di debiti pregressi, il debitore aveva taciuto di aver già pagato ai vettori (creditori beneficiari) ulteriori cospicui importi successivamente al deposito della domanda di concordato.
Risulta altresì che la prestazione oggetto di contratto di trasporto avrebbe potuto essere eseguita anche da soggetti diversi rispetto a coloro che vantavano crediti già al momento della domanda di concordato: il Tribunale, in via incidentale, ha infatti rilevato che non vi era la necessità di dover incaricare proprio quei vettori (già creditori).
Tale considerazione è quantomai rilevante. Non è quindi in discussione il corrispettivo per l'attività svolta successivamente alla domanda di concordato, perché il saldo del relativo debito concretizzava un atto ordinario.
Va al contrario evidenziato in modo adeguato che il pagamento dei crediti pregressi in favore di detti vettori, in quanto non supportato dalla necessità di incaricare proprio quei vettori, configura una incancellabile condotta lesiva della par condicio creditorum e del patrimonio.
Tali importi – pagati senza autorizzazione – hanno avuto infatti l'effetto sia di depauperare il patrimonio destinato a soddisfare il ceto creditorio, poiché l'utilità finale considerata dal Tribunale poteva esser realizzata limitandosi a sostenere la sola spesa del trasporto laddove l'incarico fosse stato conferito ad altri vettori, sia di alterare la par condicio creditorum, realizzando un pregiudizio per i creditori non beneficiari dei suddetti adempimenti solutori.
La consapevolezza del danno arrecato agli altri creditori è peraltro data dalla circostanza, risultante anch'essa dalla narrativa del provvedimento, che, nell'istanza, il debitore aveva taciuto di aver già saldato altri crediti pregressi in favore degli stessi vettori successivamente al deposito della domanda di concordato; circostanza certamente sentita dal debitore come contra legem, se si considera altresì che è emersa solo ed esclusivamente in virtù della attività compiuta dal Commissario Giudiziale.
La circostanza dell'utilità apportata alla procedura dalla illegittima condotta del debitore appare quindi non assorbente: il danno cagionato ai creditori sussisteva nella specie e non era nemmeno giustificato da una attività necessaria e urgente.

Conclusioni

L'esame del provvedimento in rassegna evidenzia come la valutazione del Giudice debba svilupparsi sul piano concreto – e non formale – sia per l'individuazione di quale atto ecceda l'ordinaria amministrazione, sia per l'identificazione dell'atto in frode ex art. 173 L.fall.
Tale valutazione risulta non strettamente correlata ad una diminuzione in senso stretto, potendosi ben individuare tale diminuzione quale uno strumento obbligato per realizzare un'utilità per la procedura, superiore al danno ed assorbente il pregiudizio.
Proprio tale aspetto, in quanto collegato ad atti compiuti senza la prescritta autorizzazione giudiziale, pone la problematica, assai delicata, della possibile ricorrenza di atti compiuti in fronde dei creditori.
E' certa sul punto la preminenza dell'attività di accertamento svolta dal Commissario Giudiziale ed il parere da questi espresso al fine della determinazione giudiziale.
Tuttavia, accanto a tali risultanze deve costituire elemento altrettanto importante la valutazione circa la condotta tenuta dal debitore e la sua idoneità ad ingannare gli organi della procedura ed i creditori.
Con ciò non si intende certo ripristinare quel giudizio di meritevolezza oggi espunto dal legislatore: non appare tuttavia conforme al fine della tutela dei creditori e del patrimonio limitare l'apprezzamento della condotta tenuta dal debitore soggiogandola di fatto alla valutazione circa l'utilità dell'atto illegittimo per la procedura.

Minimi riferimenti giurisprudenziali

Si segnalano per la giurisprudenza: Cass. 23.6.2011, n. 13817; Cass. Sez. Trib. 25.2.2008, n. 4728; Cass. 20.10.2005, n.20291; Cass. 5.7.2004, n. 12286; Cass. 19.11.1998, n. 11662; Cass.29.11.1995, n.12405; Cass. Sez. Lav. 7.2.1992, n.1346; Cass 24.7.1980, n. 4798; Trib. Padova 14.3.2013 (inedita); Trib. Vicenza 26.2. 2009.

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