Rapporti tra dichiarazione di fallimento ed apertura del concordato preventivo

24 Gennaio 2014

E' inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso il provvedimento con cui il Tribunale sospende il procedimento per dichiarazione di fallimento a seguito dell'ammissione della società debitrice alla procedura di concordato preventivo, in quanto il rimedio di cui all'art. 295 c.p.c. non è suscettibile di interpretazione estensiva e non trova applicazione in fattispecie di “sospensione impropria”
Massima

E' inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso il provvedimento con cui il Tribunale sospende il procedimento per dichiarazione di fallimento a seguito dell'ammissione della società debitrice alla procedura di concordato preventivo, in quanto il rimedio di cui all'art. 295 c.p.c. non è suscettibile di interpretazione estensiva e non trova applicazione in fattispecie di “sospensione impropria”.

Il caso

La laconicità della decisione della Suprema Corte rende praticamente impossibile operare una ulteriore sintesi del provvedimento e genera, semmai, criticità nella ricostruzione della vicenda concreta. Indubbio è il fatto che contro una società fosse stata presentata istanza di fallimento. Altrettanto indubbio è che essa avesse presentato domanda di concordato c.d. “in bianco”, e che il tribunale le avesse concesso il termine per la presentazione della domanda definitiva. Meno chiaro è il tenore del provvedimento impugnato, il quale avrebbe “sospeso” il procedimento per dichiarazione di fallimento “ai sensi degli artt. 161, comma 9 e 168 l. fall.”, rilevando la impossibilità di proseguire contro la società in pre-concordato azioni esecutive, tra le quali era da annoverarsi la domanda per declaratoria di fallimento.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La questione all'origine della decisione in esame è quella, ormai ripetutamente affrontata in giurisprudenza, del “trattamento” da riservare all'istanza di fallimento, allorquando il debitore presenti ricorso per l'ammissione al concordato o – come ormai avviene nella maggior parte dei casi – ricorso per “pre-concordato”. Come è dato evidenziare dalla lettura della snella motivazione, il tribunale aveva optato per una non meglio determinata “sospensione impropria”, sulla base del postulato della improcedibilità di una istanza di fallimento.
In sintesi, quindi, le questioni erano: 1) stabilire se l'art. 168 l. fall. operi anche per le istanze di fallimento; 2) individuare lo strumento per coordinare le due procedure concorsuali.
Nel dichiarare sbrigativamente inammissibile il ricorso, la Suprema Corte sembra adottare una motivazione “difensiva”, nel senso che - dopo aver dichiarato l'estraneità della sospensione disposta dal giudice spezino alle ipotesi di sospensione ex art. 295 c.p.c., e dopo aver conseguentemente dichiarato la inammissibilità del regolamento di competenza - finisce poi per manifestare una sorta di adesione alla soluzione in concreto adottata, preoccupandosi persino di salvaguardare la coerenza sistematica dei propri orientamenti, e quindi proponendo una sorta di “interpretazione autentica” del proprio precedente 3059/2011.

Osservazioni

Come accennato anche precedentemente, la prima perplessità scaturisce dal provvedimento adottato dal Tribunale spezino e dalla motivazione che sarebbe alla base del provvedimento stesso. Si parla, infatti, di una sospensione disposta alla luce dell'art. 168 l. fall., e cioè di una norma che – in realtà – non contempla alcuna ipotesi di sospensione, propria o impropria, bensì la declaratoria di improcedibilità delle procedure esecutive pendenti al momento della presentazione del ricorso per concordato. Risulta quindi difficilmente inquadrabile, sul piano normativo e sistematico, una decisione di “sospensione” adottata – per di più – non per ragioni di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., ma nelle forme della “sospensione impropria”.
L'intrico ermeneutico non viene certo risolto dalla Suprema Corte che, nel mostrare adesione alla decisione del Tribunale, da un lato conferma l'inapplicabilità della sospensione per pregiudizialità, ma, nel contempo, aderisce alla soluzione concretamente adottata, affermando, testualmente, che “l'unica soluzione alternativa alla cd. sospensione impropria sia quella di dichiarare detta domanda improcedibile, ai sensi dell'art. 168 l. fall.”, così, neppure tanto implicitamente, dando per scontato ciò che, forse, andava argomentato sia dal giudice di primo grado sia dalla stessa Suprema Corte, e cioè che il procedimento per dichiarazione di fallimento rientri nella sfera di operatività dell'art. 168 l. fall., in quanto assimilabile ad una procedura esecutiva.
Non è il caso, in questa sede, di ripercorrere l'articolato dibattito che ha investito l'interpretazione della previsione appena citata, e soprattutto il problema se essa possa concernere anche la c.d. “prefallimentare”, sul postulato dell'assimilabilità del fallimento ad una procedura esecutiva. Ciò che rileva è che le sintetiche considerazioni della Suprema Corte sembrano riaprire una questione che poteva invece dirsi già definita con le prime decisioni adottate dal Tribunale di Milano sul tema, ed in particolare con l'adozione dello schema della riunione, e cioè di quel meccanismo che veniva a garantire in modo ottimale il rispetto di quel rapporto di pregiudizialità funzionale tra concordato e fallimento che costituisce, invece, dato incontestabile, e che la stessa Suprema Corte richiama (sia pure per relationem rispetto al decisum di Cass. 24 ottobre 2012, n. 18190) nel provvedimento in commento.
Si deve osservare, del resto, come la Cassazione finisca pressoché immediatamente per smentire tale ultima affermazione, con una ulteriore argomentazione che costituisce nuova fonte di perplessità. Ci si riferisce al passaggio in cui la Corte nega la “concepibilità” di “una concomitante attività istruttoria e decisoria su due fronti giudiziari strettamente connessi ma aventi presupposti ed esiti totalmente divergenti”, di fatto implicitamente negando quell'esigenza di coordinamento che era stata recepita in altri precedenti di legittimità. Che gli esiti delle due procedure possano essere divergenti, infatti, costituisce affermazione condivisibile. Che, invece, i presupposti - e l'attività istruttoria che mira al loro accertamento – possano essere concepiti come scissi e divergenti, è affermazione che non appare condivisibile. Si deve, per contro, ribadire come le due procedure concorsuali – allorquando venga dedotto uno stato di insolvenza e non di mera crisi - abbiano presupposti comuni, costituiti: a) dall'accertamento della sussistenza o meno di uno stato di insolvenza; b) dall'accertamento della reversibilità o meno di tale insolvenza. È proprio da tale sovrapposizione che sorge l'esigenza del coordinamento tra le due procedure, giacché la procedura concorsuale "minore" potrebbe rivelarsi idonea ad elidere quello stato di insolvenza che costituisce tuttora imprescindibile presupposto per la dichiarazione di fallimento, così come la declaratoria di fallimento viene a contenere necessariamente un giudizio anche implicito sulla (in)idoneità della procedura concordataria ad eliminare l'insolvenza medesima. Da questo punto di vista si potrebbe osare l'affermazione che il rapporto tra i due ricorsi è lo stesso rapporto che può porsi tra domanda principale e domanda subordinata, essendo possibile l'approdo alla seconda solo una volta superata la prima. Non, quindi, due distinti accertamenti divergenti, ma un unico accertamento unitario, al punto che dovrebbe riuscire evidente che – una volta riunite le procedure – l'istruttoria del concordato è anche istruttoria della prefallimentare, risultando in tal modo ancor più evidente l'incoerenza della sospensione di quest'ultima.
Con l'affermazione che in questa sede si è cercato di analizzare, la decisione in commento finisce, invece, per ribaltare anche il principio espresso da Cass. 18190/2012, e cioè la possibilità che, pendente la procedura di concordato preventivo, il Tribunale venga comunque a dichiarare il fallimento dell'impresa. Con l'introduzione della sospensione impropria si viene di fatto a stabilire un rigido ordine di priorità, non logica e decisionale, ma strettamente procedurale, come tale idoneo a paralizzare la prefallimentare sino alla formale definizione del concordato. In tal modo, quel rapporto ottimale di coordinamento che sembrava rggiunto dalla riunione e trattazione unitaria viene rovesciato in un meccansimo di sostanziale separazione delle due procedure, con esiti di dubbia compatibilità anche solo con un principio di economia processuale.

Le questioni aperte

Resta, poi, aperto il problema della riattivazione della procedura “congelata”, una volta che il concordato sia stato dichiarato eventualmente inammissibile; ed in particolare se occorra la presentazione di una “nuova” (o “rinnovata”) istanza, o se, in qualche modo, riviva l'istanza precedentemente formulata. Rimane, ulteriormente, il problema della tutela del creditore istante (o degli interessi pubblicistici di cui è portatore il Pubblico Ministero istante) a fronte di una sospensione che sarà pure definita “impropria”, ma che ha tutti i caratteri della sospensione “propria”. Su tale profilo la risposta della Suprema Corte appare netta, ma poco convincente, anche sul piano della compatibilità con il diritto di difesa della parte.

Conclusioni

Chi scrive ha in più occasioni manifestato la propria adesione all'orientamento del tribunale ambrosiano, cercando di evidenziare come il rapporto tra prefallimentare e concordato sia un problema meno complesso di quanto a volte venga percepito, e trovi una soluzione lineare nella riunione dei procedimenti e nell'inevitabile coordinamento che ne deriva. Le ipotesi alternative sembrano condurre ad esiti di dubbia compatibilità complessiva di sistema, come indirettamente dimostrato dal piccolo tour de force che la decisione in commento è stata costretta a fare per mantenere una coerenza sistematica che tuttavia sembra comunque finire per essere compromessa.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sul piano normativo assumono rilievo le previsioni di cui agli artt. 295 c.p.c.; 161 e 168 l. fall.
Per i precedenti vanno richiamate Cass. 24 ottobre 2012, n. 18190, in ilFallimentarista, con nota di Rolfi, I rapporti tra concordato preventivo e dichiarazione di fallimento: equivoci processuali di una questione sostanziale; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3059, in Fall. 2011, 10, con nota di De Santis, Rapporti tra giudizio prefallimentare e concordato preventivo - ancora sui rapporti tra istruttoria prefallimentare e procedura concordata di soluzione della crisi d'impresa; Cass. 5 giugno 2009, n. 12986, ivi, 2010, 4 con nota di Genoviva,

Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.

Per la giurisprudenza del Tribunale di Milano, cfr. Trib. Milano 25 marzo 2010, in Fall. 2011, 1 con nota di Rolfi,

Art. 182-bis tra diritto processuale, contenuti sostanziali e controllo giurisdizionale

- gli accordi di r

istrutturazione: profili processuali e ricadute sostanziali
, nonché il Verbale del Plenum 18.10.2012, in ilFallimentarista.it. Per altre corti di merito cfr. Trib. Velletri 18 settembre 2012, in

ilFallimentarista.it

con nota di Vitiello,

Domanda di concordato con riserva in pendenza di un procedimento prefallimentare: limiti del sindacato e poteri del Tribunale

.


Per la dottrina: Lamanna, P

re-concordato e procedura prefallimentare pendente: il termine minimo e l'oscuro riferimento al decreto di rigetto dell'istanza di fallimento,

in

ilFallimentarista.it;

Panzani, Il concordato in bianco, in ilFallimentarista.it



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