Concordato con continuità: spunti sul miglior soddisfacimento dei creditori e sui crediti privilegiati

Alessandro Lendvai
15 Aprile 2014

Nell'ipotesi in cui l'imprenditore proponga un concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l. fall., costituisce motivo d'inammissibilità della domanda di concordato, anche in sede di giudizio di omologazione, la mancanza di una concreta ed effettiva attestazione in relazione alla funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori. Tale contenuto ha carattere obbligatorio ed essenziale ed implica un raffronto tra le prospettive di pagamento derivanti (anche) dalla prosecuzione dell'attività d'impresa con le prospettive di liquidazione dell'intero patrimonio del debitore, compresi i beni facenti parte dell'azienda, o del ramo d'azienda, che l'imprenditore non cede proprio per poter proseguire l'attività (massima).Le risorse di cassa derivanti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa non integrano “finanza esterna” in quanto scaturiscono dall'impiego di beni strumentali all'attività medesima, che sono di proprietà e nella disponibilità del debitore. Pertanto, sia che il patrimonio di quest'ultimo venga liquidato, sia che venga impiegato a fini produttivi, le risorse in tal modo acquisite sono “interne”, e in quanto tali non autorizzano il soddisfacimento dei creditori chirografari fino a che tutti i privilegiati non abbiano avuto pieno soddisfacimento.
Massima

Nell'ipotesi in cui l'imprenditore proponga un concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l. fall., costituisce motivo d'inammissibilità della domanda di concordato, anche in sede di giudizio di omologazione, la mancanza di una concreta ed effettiva attestazione in relazione alla funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori. Tale contenuto ha carattere obbligatorio ed essenziale ed implica un raffronto tra le prospettive di pagamento derivanti (anche) dalla prosecuzione dell'attività d'impresa con le prospettive di liquidazione dell'intero patrimonio del debitore, compresi i beni facenti parte dell'azienda, o del ramo d'azienda, che l'imprenditore non cede proprio per poter proseguire l'attività.

Le risorse di cassa derivanti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa non integrano “finanza esterna” in quanto scaturiscono dall'impiego di beni strumentali all'attività medesima, che sono di proprietà e nella disponibilità del debitore. Pertanto, sia che il patrimonio di quest'ultimo venga liquidato, sia che venga impiegato a fini produttivi, le risorse in tal modo acquisite sono “interne”, e in quanto tali non autorizzano il soddisfacimento dei creditori chirografari fino a che tutti i privilegiati non abbiano avuto pieno soddisfacimento.

Il caso

Con decreto del 26 settembre 2013 il tribunale di Bergamo rigettava sulla base di molteplici rilievi critici la domanda di omologazione del concordato preventivo proposta da una s.p.a.
Il piano di concordato, caratterizzato dalla continuità aziendale ex art. 186-bis l. fall., prevedeva il pagamento integrale dei crediti prededucibili e privilegiati sino ad esaurimento del ricavato dalla liquidazione del patrimonio del debitore ed il pagamento percentuale dei restanti creditori chirografari, compreso il credito erariale insoddisfatto degradato al chirografo, con i ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività aziendale, prevedendo per questi quattro distinte classi di voto.
In sede di adunanza la proposta raccoglieva il voto favorevole di tre delle quattro classi, nonché dei creditori titolari della maggioranza assoluta dei crediti.
Si giungeva, quindi, al giudizio di omologazione, nell'ambito del quale il tribunale, nell'esercizio dei propri poteri officiosi, effettuava uno scrutinio di legittimità della procedura e, vista l'opposizione all'omologazione da parte dell'unica classe dissenziente (erario), svolgeva anche un giudizio comparativo sulla convenienza della proposta concordataria rispetto alle altre soluzioni concretamente praticabili (c.d. “cram down”), in applicazione dell'art. 180, comma 4, l. fall.
Individuate numerose censure sotto il primo profilo e facendo una valutazione negativa sotto il secondo, il tribunale pronunciava il rigetto della domanda di omologazione del concordato.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il primo rilievo critico riguardante la regolarità della procedura viene fondato dal Tribunale sulla mancanza, nella relazione del professionista, di una concreta ed effettiva attestazione in ordine alla funzionalità del proseguimento dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori, come richiesto dall'art. 186-bis, comma 2, lett. b), l. fall. Più nello specifico, si rileva il difetto di un puntuale raffronto tra il valore dei beni che, in quanto strumentali all'attività d'impresa, non vengono sottratti al ciclo produttivo per essere liquidati e l'entità dei profitti attesi dal proseguimento dell'attività.
Il secondo ordine di rilievi censura il trattamento complessivamente riservato al credito erariale, degradato al chirografo per incapienza del patrimonio, falcidiato anche per le ritenute d'acconto e soddisfatto in misura inferiore rispetto ad alcuni creditori chirografari c.d. “strategici”, sul presupposto, assunto dalla ricorrente, di poter liberamente destinare i ricavi generati dalla prosecuzione dell'attività d'impresa.
Tale ultimo profilo integra, per il tribunale lombardo, chiara violazione del principio disposto dall'art. 160, comma 2, l. fall. in base al quale non è ammessa la soddisfazione (nemmeno parziale) dei creditori chirografari, se non previo pagamento integrale dei creditori di rango poziore.
In senso analogo, il tribunale censura la previsione, nel piano concordatario, del pagamento integrale dei crediti chirografari per canoni di leasing scaduti prima dell'apertura della procedura, senza che fosse stata previamente accertata la possibilità di un soddisfacimento integrale dei crediti privilegiati.
A detti rilievi critici si somma, in conclusione, un giudizio di non convenienza della proposta, con riguardo all'unico creditore opponente, in quanto destinata ad offrire allo stesso un livello di soddisfazione inferiore rispetto ad un eventuale contesto fallimentare, nel quale non troverebbero spazio deroghe all'ordine delle cause di prelazione stabilito dall'ordinamento.

Il miglior soddisfacimento dei creditori

La motivazione del decreto offre lo spunto per l'analisi di alcune tematiche, la cui soluzione potrebbe essere anche discordante da quella proposta dal Tribunale bergamasco, secondo diverse impostazioni.
Il primo tema riguarda – a prescindere dalla sua rilevanza in termini di ammissibilità (come ritenuto dal Tribunale di Bergamo) o invece della mera non attribuibilità dei benefici connessi alla continuità aziendale - l'attestazione del professionista che, ex art. 186-bis, comma 2, lett. b), l. fall., deve contenere l'ulteriore valutazione circa la funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori.
Tale attestazione si risolve, secondo il tribunale, in una valutazione comparativa, in termini di entità del soddisfacimento, della proposta di concordato rispetto alla prospettiva di liquidazione del patrimonio sociale, finalizzata ad accertare che i proventi dell'attività caratteristica consentano di corrispondere ai creditori un importo più elevato di quello che, verosimilmente, riceverebbero in un ambito liquidatorio.
A completare l'analisi sul punto, va ricordato che il concordato con continuità comporta anche la necessità, secondo la previsione dell'art. 186-bis, comma 2, lett. a), che il piano contenga un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.
La prescrizione di tali contenuti peculiari dell'attestazione del professionista e del piano si spiega in ragione delle maggiori cautele che il legislatore vuole imporre nell'accesso al concordato con continuità aziendale. Se la continuità può favorire, infatti, il recupero dell'equilibrio aziendale, allo stesso modo non è scevra dal rischio di generare, in brevissimo tempo, un ulteriore depauperamento del patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori, sotto il profilo delle perdite prodotte o dell'eccesso di debiti prededucibili realizzati.
Da ciò l'esigenza di responsabilizzare maggiormente tanto l'imprenditore che presenta il piano, quanto il professionista che rende l'asseverazione e la conseguente imposizione di una specificità di contenuti nel concordato in esame rispetto a quello senza continuità, in funzione appunto del miglior soddisfacimento dei creditori.
La ripetuta previsione del “miglior soddisfacimento dei creditori” – richiamato, come noto, anche dall'art. 182-quinquies, commi 1 e 4, l. fall. - ha indotto a configurare tale locuzione come clausola generale, al pari di quella di buona fede, che contribuisce a determinare il contenuto e gli effetti del contratto, assurgendo a fonte di obblighi giuridici per il debitore nella prospettazione delle proprie richieste e per il giudice nel concedere le autorizzazioni (PATTI, 1106).
In questo contesto, potrebbe essere riduttivo rapportare il miglior soddisfacimento al solo aspetto realizzativo, in termini monetari, del diritto del creditore, posto che il dato letterale dell'art. 186-bis, comma 2, lett. b), per la sua formulazione, non è incompatibile con un giudizio favorevole anche in tutte quelle ipotesi in cui la minore soddisfazione sia compensata dall'attribuzione al creditore di una qualche diversa “utilità esterna” (RANALLI, 3).
Per quanto, infatti, la valutazione dell'attestatore possa offrire un puntuale termine di paragone tra la prosecuzione dell'attività d'impresa e l'alternativa liquidatoria, residua pur sempre una componente soggettiva tipica nel giudizio di convenienza operato dal creditore. Non necessariamente, infatti, la soluzione che ad un giudizio esterno appare più funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori è anche quella che, con riferimento alla sfera giuridica del diretto interessato, questi abbia intenzione di perseguire. Anche perché il concetto di soddisfacimento non equivale sic et simpliciter a quello di pagamento, ma può comprendere anche altre utilità, non necessariamente dotate di valore economico diretto, ma che possono piuttosto concretizzarsi in vantaggi diversi per il creditore come, ad esempio, la ricchezza indiretta derivante da una mancata dispersione legata alla dissoluzione dell'impresa.
Anche prima dell'art. 186-bis, l'art. 160 era considerato strumento sufficientemente duttile per consentire forme concordatarie con effetto di ristrutturazione finanziaria ed industriale e mantenimento dell'impresa in capo al debitore. Infatti, per il comma 1, lett. a) di tale articolo, in una formulazione rimasta immutata dal 2005, il piano concordatario può prevedere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito”. Si è affermato correttamente che ‹‹la locuzione “attraverso qualsiasi forma” denota una elevatissima autonomia nell'immaginare le soluzioni possibili attraverso le quali addivenire all'obiettivo tipico del concordato nel senso che la fantasia economico-finanziaria del proponente può assumere qualsiasi forma dando corpo a proposte “a contenuto atipico” ovvero a “geometria variabile”›› (ESPOSITO, 543).
Non può escludersi, pertanto, che il creditore preferisca mantenere i rapporti con l'imprenditore in crisi, pur di assicurarsi un sicuro sbocco sul mercato, anche a costo di rinunciare nell'immediato ad una soluzione che vedrebbe maggiormente soddisfatte, in termini monetari, le proprie aspettative.
L'analisi del tema, sotto altra angolazione, induce ad indagare se, come è stato ritenuto, valutare se un piano sia più funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori equivalga a sindacarne la convenienza, con ciò creandosi, in materia di concordato con continuità, un'ulteriore ipotesi di scrutinio del tribunale in materia, oltre a quello previsto in caso di cram down (LAMANNA, 8, in nota).
Vi è anche chi, valorizzando la disposizione citata dell'ultimo comma dell'art. 186-bis, ha sottolineato che il controllo giudiziario più penetrante riguarda una patologia della fattibilità con riguardo alla prosecuzione aziendale (venir meno della stessa o sua manifesta dannosità), mentre in condizioni fisiologiche il giudizio necessariamente arriverebbe al voto dei creditori senza alcuna alterazione sulla valutazione di convenienza (VELLA, 14).
Al riguardo, anche sulla scorta di quanto ha recentemente opinato la Suprema Corte (

Cass. S.U. n. 1521/2013),

può sostenersi che la valutazione del giudice dovrà sì estendersi all'esistenza di una coerente previsione di costi e ricavi e delle risorse finanziarie necessarie e alla funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori, ma nell'ottica di un'idoneità effettiva a regolare la crisi e a riconoscere ai creditori un sia pur minimale recupero del credito, vigilando che, al contrario, pretese di continuità velleitarie o infondate non espongano i creditori stessi al rischio di perdita e al rischio di prededuzione che, una volta giunti il piano e la proposta al loro vaglio, potrebbero essersi già realizzati con conseguenze irreparabili.
Tale preoccupazione appare evidente anche nel citato ultimo comma dell'art. 186-bis, in cui, lungi dal sovrapporre il giudice ai creditori nel decidere sulla convenienza, si vuole evitare che una continuazione di attività d'impresa erroneamente ritenuta vantaggiosa, ma rivelatasi invece dannosa, aggravi la situazione ed arrechi pregiudizio alle aspettative dei creditori.
Chiaro come il legislatore si preoccupi, nell'ammettere l'impresa in crisi alla procedura, che venga attentamente valutata la sostenibilità del costo della prosecuzione dell'attività. Correttamente è stato posto l'accento sulla necessità che l'accertamento venga condotto non solo in relazione all'interesse dei creditori al massimo realizzo, ma anche all'accertamento dell'effettivo ripristino delle condizioni di equilibrio finanziario dell'impresa; ciò al fine di scongiurare “situazioni di disequilibrio che possono dar luogo ad una non sostenibilità del debito, quale condizione sintomatica, a sua volta, di fenomeni di insolvenza prospettica” (QUATTROCCHIO–RANALLI, 8). E non solo. Anche in vista della continuazione dell'attività in bonis, una volta che saranno definitivamente onorati gli impegni assunti con la proposta di concordato, soprattutto nell'ipotesi in cui le modalità di soddisfacimento prevedano in tutto o in parte la conversione del debito in strumenti finanziari partecipativi.
Posto, invece, che il piano in continuità appaia coerente, fondato su solide basi economiche e finanziarie e si riveli tale anche al vaglio penetrante del commissario giudiziale, lo stesso potrebbe essere considerato, ai fini del giudizio di fattibilità, funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
Così la valutazione che sia comunque preferibile continuare l'attività invece di cessarla e di procedere ad una definizione volta alla liquidazione del patrimonio, cioè, in altri termini, che sia più conveniente la continuazione dell'impresa rispetto ad una procedura liquidatoria, resterebbe giudizio appunto di convenienza rimesso come sempre esclusivamente ai creditori.
Sufficiente presidio di legalità, da parte del tribunale, parrebbe il controllo sul rispetto dei principi di fattibilità giuridica, senza necessità di giungere ad un giudizio di convenienza.

La destinazione dei flussi di cassa

Il secondo spunto di riflessione è offerto dalla censura del tribunale in ordine alla libera ripartizione dei flussi di cassa (c.d. “cash flow”) operata dalla ricorrente e destinata a soddisfare in misura maggiore una classe di creditori chirografari c.d. “strategici” rispetto a quanto riservato al creditore di rango poziore (erario). In particolare, il tribunale considera erroneo il convincimento del debitore di poter liberamente allocare, al pari della finanza esterna, i flussi di cassa attesi dalla prosecuzione dell'attività.
Tale orientamento appare coerente con l'insegnamento della Suprema Corte (Cass. 8 giugno 2012 n. 9373) incline a qualificare la finanza come “esterna” e, in quanto tale, liberamente allocabile dal debitore, quando l'apporto risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società debitrice, non comportando né un incremento dell'attivo, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo. Tutto ciò che, invece, transita nel patrimonio del debitore prima di essere ripartito, non può prescindere dal principio di inderogabilità della graduatoria legale delle cause di prelazione e viene pertanto distribuito tra i creditori secondo le norme del concorso.
Il legislatore del 2006, nell'ammettere per la prima volta la falcidia dei crediti privilegiati, si è preoccupato di far sì che a questi ultimi non venga riservato un trattamento deteriore rispetto ai creditori di rango inferiore per causa e titolo. E lo ha fatto ancorando la percentuale offerta in pagamento nel piano di concordato su livelli non inferiori a quelli realizzabili “in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione” (art. 160,comma 2, l. fall.), fermo restando, in un'eventuale suddivisione in classi, che il trattamento stabilito per ciascuna di queste “non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione” (art. 160, comma 2, ultimo parte, l. fall.).
In base all'applicazione più rigorosa di tali principi, il creditore di rango inferiore non potrebbe essere soddisfatto con le risorse provenienti dal bene posto a garanzia fino a che non sia stato integralmente soddisfatto il creditore di rango superiore, nemmeno quando tali risorse vengano incrementate grazie al concordato.
L'onere del previo integrale soddisfacimento del credito privilegiato non viene meno neppure in ipotesi di inesistenza del bene su cui grava il privilegio (speciale) medesimo nel patrimonio del debitore; il credito sorge privilegiato in ragione della sua causa secondo le disposizioni di legge e tale qualità conserva in tutta la procedura di concordato preventivo (così Cass. 17 maggio 2013, n. 12064). E il discorso non muterebbe neppure per i creditori assistiti da privilegio generale, in riferimento ai quali, non esistendo una perimetrazione del patrimonio posto a garanzia, dovrebbe prevalere la tesi che li vuole soddisfatti integralmente prima che possa essere corrisposto alcunché ai creditori chirografari.
Ciò nonostante, emergono degli interrogativi sui quali è utile confrontarsi.
Ci si chiede in particolare quale sorte spetti ad un'eventuale valorizzazione del patrimonio del debitore (grazie a favorevoli offerte di acquisto condizionate all'omologazione) nel concordato liquidatorio o ad un suo incremento (ad esempio mediante gli utili dell'attività di impresa) nel concordato con continuità.
Un esempio può aiutare a meglio comprendere la problematica (STANGHELLINI, 1240, nota 70).
Supponendo che un bene facente parte del patrimonio del debitore sia gravato da ipoteca per un capitale residuo di € 1.500.000,00, ipotizziamo quindi che in prospettiva liquidatoria venga stimato un valore di realizzo pari ad € 1.000.000,00, mentre nella proposta di concordato viene inclusa un'offerta per il medesimo bene di € 1.500.000,00. In tale ultima fattispecie, € 500.000,00 secondo un'ipotesi interpretativa potrebbero essere destinati a creditori diversi dall'ipotecario, al pari della finanza esterna liberamente allocabile dal debitore. In altri termini, una volta ricavato un valore di realizzo pari a quello che potrebbe presumibilmente ricavarsi dalla liquidazione del bene, il debitore potrebbe destinare liberamente la risorsa in eccedenza, magari corrispondendola ad un creditore che, seppur chirografario, abbia carattere strategico per la vitalità dell'impresa, favorendo così la continuità aziendale. Tale chiave di lettura – si sostiene - potrebbe non essere in contrasto con l'art. 160, comma 2, l. fall., ove è specificato che la causa di prelazione sussiste nei limiti del valore del bene, mentre la porzione di credito insoddisfatta segue le sorti del trattamento riservato ai chirografari.
Per altri versi, è stato rilevato come la problematica possa apparire superflua in quanto, in ogni caso, il valore del bene, seppur attestato da un professionista avente i requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., è dato in definitiva dal prezzo concordato tra le parti ed effettivamente ricavato dalla vendita, di talché non sarebbe ammissibile la parametrazione ad un valore presunto, come quello di stima, tratto sulla base del giudizio comparativo offerto dall'asseveratore. Sicché nessun dubbio potrebbe sorgere sull'appartenenza di detto surplus al titolare della garanzia sul cespite (IVONE).
Secondo altri, al contrario, la “stima ex art. 160, co. 2, l.fall. viene effettuata in relazione ad una astratta prospettiva liquidativa, senza che poi rilevi la circostanza che la previsione risulti o non risulti confermata a seguito della effettiva esecuzione della proposta concordataria” (BONFATTI, 37 s.).
Nella direzione di trovare una soluzione, definita “innovativa” (BONFATTI, 22), al problema dell'utilizzo della maggior valorizzazione del patrimonio del debitore derivante dall'esecuzione del concordato, si segnala una sentenza di merito (Trib. Monza 22 dicembre 2011) che ha ancorato al momento di presentazione della domanda di accesso alla procedura la verifica della consistenza del patrimonio del debitore, escludendo che vi possano rientrare i futuri utili dell'attività d'impresa. In base a tale teoria, costituisce finanza esterna (ed in quanto tale liberamente destinabile ai creditori), il maggior attivo realizzabile nel concordato preventivo rispetto alla prospettiva fallimentare. La pronuncia qui richiamata, seppur calata in un contesto del tutto peculiare (si trattava, infatti, di un concordato con continuità aziendale in cui i soci avevano offerto gratuitamente la loro opera per portare a conclusione dei prodotti semilavorati), pone l'accento sul dato di fatto che detto surplus dipenderebbe dalla particolare modalità di concordato prescelto e non sarebbe realizzabile in un concordato con cessione dei beni.
In ogni caso, secondo la giurisprudenza ad oggi prevalente, la circostanza che il patrimonio del debitore possa acquisire valore per mezzo del concordato, non giustificherebbe un'alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione. Secondo alcuni, però, siffatta impostazione sembra tenere da conto soltanto l'interesse alla soddisfazione dei creditori privilegiati, mostrandosi disinteressata “rispetto a una soluzione concordata della crisi d'impresa e – in astratto – anche rispetto ad una potenziale conservazione e tutela dell'integrità aziendale” (BIANCHI, 1413).

Il pagamento dei crediti anteriori

In maniera del tutto speculare alla tematica appena affrontata, si pone un ulteriore profilo d'inammissibilità della proposta, individuato dal tribunale nella prevista soddisfazione integrale di alcuni crediti concorsuali di rango chirografario, per canoni di leasing scaduti prima dell'apertura del concorso dei creditori. Più nello specifico, si tratta di creditori chirografari, considerati dalla ricorrente “strategici” ed “essenziali” per la prosecuzione dell'attività d'impresa. Anche in tale ipotesi, l'applicazione rigorosa dei principi dettati in tema di graduazione delle cause legittime di prelazione non ammette, in sostanza, il pagamento dei crediti chirografari, se non previo integrale soddisfacimento pieno del ceto creditorio privilegiato.
In quest'ordine di idee, nemmeno l'autorizzazione prevista dall'art. 182-quinquies, comma 4, l. fall. potrebbe mai essere concessa - precisa il tribunale - ove si prospettasse un pagamento del credito c.d. “strategico”, se non vi fosse certezza in merito alla possibilità di pagare integralmente i creditori assistiti da una causa legittima di prelazione.
Fino all'introduzione dell'articolo di legge da ultimo citato, avvenuta ad opera del “Decreto Sviluppo” (L. 7 agosto 2012, n. 134), si reputava che i pagamenti dei crediti anteriori potessero essere autorizzati (eccezionalmente) dal giudice delegato ex art. 167 l. fall, ogni qualvolta si riferissero ad atti di straordinaria amministrazione e fintantoché non avessero come effetto quello di sovvertire l'ordine delle cause legittime di prelazione. La regola generale, pertanto, non ammetteva pagamenti in spregio della “par condicio creditorum”, se non per comprovate esigenze di prosecuzione dell'attività aziendale e fermi i limiti di cui si è appena detto (Cass. 12 gennaio 2007, n. 578). Tale divieto, non espressamente previsto nell'ordinamento, veniva ricavato da una lettura congiunta di alcuni articoli della legge fallimentare tra cui, in primis, l'art. 167 l. fall., il quale, subordinando il compimento degli atti di straordinaria amministrazione all'autorizzazione del giudice delegato, sottende l'esigenza di un'oculata amministrazione del patrimonio in funzione del soddisfacimento di tutti i creditori secondo le regole della par condicio. Ulteriori argomentazioni, poi, venivano tratte da una lettura a contrario dell'art. 168 l. fall.: se i creditori non possono esercitare le azioni esecutive o cautelari per ottenere il soddisfacimento delle proprie pretese, a maggior ragione non possono conseguire ciò che gli è inibito in virtù di un adempimento spontaneo del debitore. Infine, l'art. 184 l. fall., nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, limita ad ipotesi eccezionali il pagamento del debito al di fuori del concorso.
Ora, con l'introduzione dell'art. 182-quinquies, comma 4, l. fall., il legislatore ha scelto di regolare espressamente tale fattispecie solo all'interno del concordato con continuità aziendale, ammettendo la possibilità di pagamento dei crediti anteriori per beni e servizi, purché, dietro debita attestazione del professionista, ne venga acclarata l'essenzialità e la funzionalità alla miglior soddisfazione dei creditori.
A tale proposito si è ritenuto che non necessariamente una prestazione “essenziale” può dirsi al contempo funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, mentre sicuramente una prestazione funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori rivestirà anche un ruolo essenziale nella prosecuzione dell'attività d'impresa, rendendo in definitiva superfluo quest'ultimo giudizio. In altre parole, “minori difficoltà si incontrerebbero a ritenere che ciò che più rileva sia il giudizio (positivo) in termini di funzionalità del pagamento al miglior soddisfacimento dei creditori” (DI MARZIO).
Peraltro la dottrina è ferma nel considerare contra legem i pagamenti effettuati verso un fornitore chirografario, che sortiscano come effetto quello di preferirlo ai privilegiati, sia sotto il profilo quantitativo, sia da un punto di vista temporale (AMBROSINI, 21; FINARDI-SANDRINI, 13).
Non può non rilevarsi, però, il dato fattuale per cui, nella stragrande maggioranza dei casi, i creditori strategici ed essenziali, di cui può essere eccezionalmente ammesso il pagamento, sono creditori di rango chirografario. Una così rigida applicazione del divieto di alterazione dell'ordine di pagamento dei creditori rischia quindi di lasciare in larga parte inattuato l'istituto di cui all'art. 182-quinquies, l. fall., posto che un suo uso in aderenza ai principi richiamati presuppone l'accertamento della possibilità di poter comunque soddisfare in pieno le ragioni dei privilegiati (salvo l'intervento di finanza esterna).
L'interrogativo che si pone è quello di stabilire fino a che punto sia corretto dire che i creditori chirografari debbano essere pagati solo in presenza dei descritti presupposti. Anche perché, se è vero che i) la continuità aziendale può essere accordata solo se funzionale a garantire una maggior aspettativa di soddisfacimento per il ceto creditorio, è anche vero che ii) detta continuità potrebbe venir meno in assenza dell'apporto dei creditori strategici ed essenziali. Ed allora, come sembra talvolta emergere nella riflessione sul punto (ABETE, 1113), la possibilità del pagamento extraconcorsuale del creditore chirografario potrebbe comunque ammettersi sul presupposto che l'atto solutorio, rivolto ad immediato vantaggio del medesimo, valga ad assicurare la protrazione dell'attività economica, così che, in definitiva, la mancata interruzione dell'attività spieghi beneficio anche nei confronti di coloro che vengono pagati secondo le norme del concorso, anche se non integralmente.
Dal canto suo, l'art. 182-quinquies, comma 4, l. fall., non offre indici testuali di certa soluzione. Tace, ad esempio, sulla natura del creditore (privilegiato o chirografario) che può beneficiare del pagamento in deroga alle norme sul concorso, focalizzando piuttosto l'attenzione sulla natura essenziale della prestazione; non fa riferimento, in ogni caso, ai consueti parametri di cui all'art. 161, comma 2, e 177, commi 2 e 3, l. fall., in tema di ordine delle cause legittime di prelazione. Come, del resto, è dubbio se la possibilità di pagare i crediti anteriori sia intesa in misura pari a quanto offerto in sede concordataria (in tal modo il beneficio, rispetto agli altri creditori, riguarderebbe soltanto il tempo dell'adempimento) ovvero se si riferisca all'intera pretesa (e dunque il beneficio riguarderebbe anche il quantum di soddisfacimento). La questione viene risolta dalla prevalente giurisprudenza di merito aderendo alla seconda delle soluzioni proposte e considerando il credito in questione alla stregua di un credito prededucibile, in modo coerente a un contesto di normale esecuzione del rapporto pendente alla data di deposito della domanda e destinato a proseguire in costanza di procedura (Trib. Piacenza 12 ottobre 2012; Trib. Treviso 7 dicembre 2012; Trib. Roma 7 novembre 2012; di contrario avviso Trib. Milano 20 settembre 2012).

Conclusioni

Come si è detto, le soluzioni adottate dal tribunale di Bergamo sembrano in gran parte in linea con le interpretazioni prevalenti dei temi trattati. Esse comunque danno lo spunto per sondare la possibilità di ipotizzare risultati esegetici diversi, stimolati a monte, tra l'altro, dalla riflessione di un illustre Autore secondo cui “la via delle soluzioni concordatarie non potrà essere percorsa con quell'agevolezza, che meriterebbe, fino a quando non si risolverà il problema dei crediti muniti di prelazione (soprattutto di origine legale), che, a mio avviso, nel nostro ordinamento sono troppi e troppo intensamente tutelati, con la conseguenza di dare poco spazio di manovra al debitore, quando deve proporre una percentuale di realizzo, che invogli i creditori chirografari a prestare il loro consenso” (TERRANOVA, 245).

Minimi riferimenti dottrinari e giurisprudenziali

In dottrina si vedano: L. ABETE, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in Fall., 2013, 9, 1108 ss; S. AMBROSINI, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in Il Caso.it, Crisi d'impresa e fallimento, 4 agosto 2013; D. BIANCHI, L'utilizzo della “nuova finanza” e il necessario rispetto dell'ordine legale delle prelazioni, in Fall., 2012, 12, 1411 ss.; S. BONFATTI, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale, Il Caso.it, Crisi d'impresa e fallimento, 28 ottobre 2013; F. DI MARZIO, Attestazione sul pagamento dei crediti per prestazioni di beni e servizi anteriori alla presentazione della domanda di concordato, in Il Fallimentarista.it, Blog, 15 ottobre 2012; C. ESPOSITO, Il piano del concordato preventivo tra autonomia privata e limiti legali, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2008; D. FINARDI – G. SANDRINI, La deroga alla par condicio creditorum nel concordato in continuità aziendale: il pagamento dei debiti pregressi, in Il Caso.it, Crisi d'impresa e fallimento, 9 ottobre 2013; G. IVONE, Sulla qualificazione di finanza esterna nel concordato preventivo, in Il Fallimentarista, Giurisprudenza commentata, 20 febbraio 2012; F. LAMANNA, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: “Così è se vi pare”, in Il Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti, 26 febbraio 2013; A. PATTI, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 9, 1099 ss.; L. QUATTROCCHIO – R. RANALLI, Speciale decreto sviluppo, Concordato in continuità e ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in Il Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti, 3 agosto 2012; R. RANALLI, Il giudizio integrativo sul miglior soddisfacimento dei creditori nei concordati in continuità: un profilo centrale nell'attestazione del professionista, in Il Fallimentarista.it, Focus e approfondimenti, 18 dicembre 2013; L. STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, 10, 1222 ss.; G. TERRANOVA, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. Fall., 2006, I, 243 ss.; P. VELLA, L'accrescimento dei controlli giudiziali di merito e degli strumenti protettivi nel nuovo concordato preventivo (dopo la legge n. 134/12), Il Caso.it, II, doc. 320/12.
Per la giurisprudenza: Cass. Sez. Un. 23 gennaio 2013 n. 1521; Trib Monza 22 dicembre 2011; Cass. 17 maggio 2013 n. 12064; Cass. 8 giugno 2012 n. 9373; Cass. 12 gennaio 2007 n. 578; Trib. Treviso 7 dicembre 2012; Trib. Roma 7 novembre 2012; Trib. Piacenza 12 ottobre 2012; Trib. Milano 20 settembre 2012.

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