Il concordato con continuità aziendale: linee guida e sindacato del Tribunale nella fase ammissiva

Gabriella Covino
Luca Jeantet
03 Settembre 2013

Il Tribunale, nella fase di ammissione d'un debitore ad un concordato preventivo con continuità aziendale, deve valutare se la prosecuzione dell'attività d'impresa sia effettivamente funzionale a garantire la più ampia soddisfazione dei crediti concorsuali, verificando la completezza del piano, in termini di sviluppo d'una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi nel periodo di riferimento, e l'esaustività dell'attestazione, in termini non solo di affermazione della veridicità dei dati aziendali, ma anche di accertamento, con puntualità e coerenza logica nella prospettiva della massimizzazione dei ricavi a beneficio del ceto creditorio, della preferenza della prosecuzione dell'esercizio aziendale rispetto alla liquidazione.
Massima

Il Tribunale, nella fase di ammissione d'un debitore ad un concordato preventivo con continuità aziendale, deve valutare se la prosecuzione dell'attività d'impresa sia effettivamente funzionale a garantire la più ampia soddisfazione dei crediti concorsuali, verificando la completezza del piano, in termini di sviluppo d'una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi nel periodo di riferimento, e l'esaustività dell'attestazione, in termini non solo di affermazione della veridicità dei dati aziendali, ma anche di accertamento, con puntualità e coerenza logica nella prospettiva della massimizzazione dei ricavi a beneficio del ceto creditorio, della preferenza della prosecuzione dell'esercizio aziendale rispetto alla liquidazione.

Il caso

Una società deposita ricorso ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. e, nel termine fissato dal Tribunale, presenta una proposta ed un piano con continuità aziendale. Il Tribunale giudica la domanda concordataria inammissibile, nega l'ammissione e convoca il debitore in camera di consiglio ai sensi dell'art. 162 l. fall. contestando che: manca l'indicazione di chi, avente i requisiti di cui all'art. 28 l. fall., debba procedere alla liquidazione dei beni aziendali; è ipotizzata una moratoria ultrannuale per il pagamento dei creditori privilegiati senza che sia prevista la cessione di tutti i cespiti gravati da prelazione; è omessa l'indicazione d'un credito nei conti concordatari; il piano non sviluppa l'analisi dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'esercizio d'impresa nel periodo di riferimento; l'attestazione non indaga il profilo della convenienza della continuità aziendale per i creditori.

La questione giuridica e la soluzione

Il decreto affronta il tema del sindacato giudiziale nella fase ammissiva d'un debitore ad un concordato preventivo con continuità aziendale, individuando, quali elementi soggetti a scrutinio e da cui dipende l'ammissibilità della domanda, l'indicazione del soggetto dotato dei requisiti di cui all'art. 28 l. fall., cui demandare la liquidazione dei beni aziendali; la previsione d'una moratoria massima di un anno per il pagamento dei creditori privilegiati qualora manchi la cessione di tutti i beni su cui insiste la prelazione; la completezza dell'elenco dei creditori, anche se soggetti a contestazione; lo sviluppo nel piano concordatario dei costi e dei ricavi; e l'accertamento da parte dell'attestatore non solo della veridicità dei dati aziendali, ma anche, e soprattutto, della preferenza della soluzione “con continuità” rispetto a quella “con liquidazione”.

Osservazioni

Il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (c.d. Decreto Sviluppo), ha significativamente modificato la disciplina concorsuale, intervenendo su numerosi profili, tutti contenuti in un capo rubricato “misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali” ed orientati a contenere il ricorso a soluzioni liquidatorie in favore, principale e preferenziale, di soluzioni gestorie concordate. E ciò in vista d'una sempre maggiore privatizzazione dell'insolvenza ed in aderenza alla teoria del c.d. going concern, secondo cui un'impresa operativa genera, a beneficio dei suoi creditori, ricchezza maggiore rispetto a quella ricavabile in un contesto concorsuale liquidatorio. Prosegue, in altri termini, il percorso di protezione dell'imprenditore in stato di crisi con l'intensificazione delle misure atte a conservare il suo patrimonio aziendale, ad evitare aggressioni dei suoi creditori, ad incentivare i terzi (specie finanziatori, anche bancari) a non abbandonarlo nel momento più difficile della sua attività ed a consentirne il salvataggio in continuità aziendale. La direttrice dell'intervento riformatore, come anche espressamente dichiarata nella relazione al Decreto Sviluppo, è dunque “quella di incentivare l'impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi, piuttosto che quella di assoggettarla a misure di controllo esterno che la rilevino”, con l'espresso invito a fare ricorso alla procedura di concordato preventivo.
In questa prospettiva, il legislatore ha tipizzato all'art. 186-bis l. fall., rimasto immutato all'indomani della promulgazione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. Decreto del Fare), il concordato con continuità aziendale, peraltro già attuato nella prassi anteriore, prevedendone tre declinazioni ed assoggettandolo a tre condizioni formali.
La fattispecie concordataria con continuità ricorre in ipotesi di gestione diretta dell'azienda da parte del debitore, oppure di sua cessione in esercizio, oppure ancora di suo conferimento sempre in esercizio in una o più società. Tanto, però, non basta ancora, giacché per potersi parlare di concordato con continuità aziendale sono necessari tre ulteriori elementi, vale a dire che la domanda venga corredata da un piano avente, quale modalità esecutiva, la prosecuzione dell'attività d'impresa; che questo piano contenga un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie per condurla e delle relative modalità di copertura; e che questo stesso piano sia validato da un esperto con attestazione, oltre che della veridicità dei dati aziendali, anche della funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori.
Il concordato con continuità aziendale integra, sostanzialmente, una sorta di esercizio provvisorio dell'impresa nella prospettiva del suo ritorno in bonis oppure del suo trasferimento a terzi, con la conseguenza di potersi distinguere tra “concordato di ristrutturazione” e “concordato con cessione”, anche e comunque ammesso un concordato “misto” il quale coniuga e combina, sempre ovviamente in un contesto c.d. continuativo, le prime due ipotesi attraverso, ad esempio, una gestione diretta nel periodo che si conclude con l'omologazione ed un trasferimento dell'azienda entro un certo termine dalla data di pronuncia del provvedimento di cui all'art. 180 l. fall.
Quale che sia la forma prescelta, il debitore deve indicare se il concordato proposto sia in continuità, potendo il Tribunale procedere ad una sua riqualificazione liquidatoria nel caso in cui il piano non abbia come effettiva modalità esecutiva la gestione, diretta o da parte di terzi, dell'azienda, bensì una sua dismissione, totale od atomistica, fermo il fatto che una domanda costruita in termini contradditori, dunque tali da rendere incerto l'oggetto del piano concordatario, può essere giudicata inammissibile.
Venendo alle condizioni formali dettate dall'art. 186-bis l. fall. ed esaminate nel decreto in commento, occorre anzi tutto considerare il piano. Questo documento, oltre a prevedere la gestione dell'impresa quale modalità di conseguimento dell'attivo concordatario, deve indicare analiticamente costi (anche in termini di oneri dovuti su eventuali finanziamenti prededucibili che siano erogati ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall.) e ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa, le risorse finanziarie necessarie per la sua conduzione e le modalità di loro reperimento. La norma non prevede quale sia l'orizzonte temporale di stima, dipendendo il termine finale dal tipo di concordato con continuità prescelto dal debitore. Questo termine, in caso di gestione dell'attività direttamente da parte del debitore, coinciderà con il momento in cui sia presumibile che l'impresa ritorni in bonis e, quindi, soddisfi i creditori o comunque adempia integralmente i propri obblighi concordatari, mentre, in caso di trasferimento dell'azienda a terzi, coinciderà con la data in cui sia presumibile che venga sottoscritto il negozio traslativo. In definitiva, è necessario che il piano risponda a quattro requisiti: che sia credibile, con esposizione di obiettivi raggiungibili; sostenibile, sotto il profilo della gestione finanziaria ed imprenditoriale degli obiettivi; verificabile, con indicazione del dettaglio dei fattori determinanti dei ricavi e dei costi in modo tale che siano comprensibili le variazioni, anche in termini di migliori performances, rispetto agli anni precedenti; motivato, con esatta e chiara specificazione delle azioni (ad esempio, riduzione dei costi, discontinuità manageriale e riconversione del business) che consentano il raggiungimento degli obiettivi fissati.
Il piano, come ricorda il Tribunale di Roma, può contenere una moratoria fino ad un anno dalla data d'omologazione per il pagamento dei crediti muniti di privilegio, pegno ovvero ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni sui quali insiste la causa di prelazione e, comunque, salvo il disposto dall'art. 160, comma 2, l. fall., vale a dire la possibilità che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca non vengano soddisfatti integralmente in caso di incapienza dei beni oggetto di prelazione, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in sede liquidativa. A fronte del disposto dell'art. 186-bis, comma 2, lettera c), l. fall., la moratoria, quale facoltà accordata dalla legge, non dovrebbe consentire di ritenere il debitore concordatario inadempiente e, pertanto, non dovrebbe comportare l'applicazione di accessori (ad esempio, interessi di mora, interessi compensativi, penali), senza che sia necessaria l'ammissione al voto dei creditori privilegiati “dilazionati” od il loro classamento. Se, però, la moratoria dovesse eccedere il termine annuale, ammesso che sia possibile, allora i creditori privilegiati, al pari di quanto avveniva in passato, sarebbero chiamati ad approvare la proposta di concordato, previo loro eventuale inserimento in un'apposita classe. Per contro, in tutti i casi in cui la moratoria (annuale ovvero ultra annuale) preveda il riconoscimento di interessi, non dovrebbe essere riconosciuto alcun diritto di voto ai creditori privilegiati. Un'ultima notazione merita la questione relativa ai tempi massimi di pagamento. Accade infatti frequentemente, soprattutto nei concordati con cessione a terzi dell'azienda, che l'acquirente si accolli il pagamento dei debiti privilegiati e che il controvalore venga imputato a titolo di prezzo. Se questo fosse il caso, il limite temporale dettato dall'art. 186-bis, comma 2, lettera c), l. fall. andrebbe riferito ai soli crediti scaduti, o perché già scaduti prima dell'apertura della procedura ovvero perché scaduti in forza della procedura (ai sensi dell'art. 55, comma 2, l. fall., come richiamato dall'art. 169 l. fall.). Viceversa, qualora l'acquirente dell'azienda si accolli, ad esempio, un debito ipotecario, allora lo stesso dovrebbe essere pagato al massimo entro un anno dall'omologazione, salvo che un eventuale termine di pagamento più lungo sia stato specificatamente pattuito tra l'acquirente dell'azienda ed il creditore ipotecario, oppure che questo maggior termine sia contenuto nel piano concordatario su cui il creditore privilegiato abbia votato. Nel caso in cui, invece, il piano preveda la liquidazione del bene sul quale grava il privilegio, il pagamento del creditore privilegiato dovrà avvenire simultaneamente all'alienazione del bene, entro il termine di esecuzione del concordato indicato nella proposta e non necessariamente entro un anno dalla sua omologazione. Nel contesto appena descritto, è chiaro che l'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall., determina in concreto la liberazione di risorse finanziarie, consentendo al debitore concordatario con continuità di autofinanziare la propria azienda.
Quanto, infine, all'attestazione, il professionista designato dal debitore deve affermare, oltre alla veridicità dei dati aziendali, anche, e soprattutto, la funzionalità e la convenienza della prosecuzione dell'attività per i creditori rispetto alle altre possibili alternative, tra cui in particolare il concordato “con liquidazione” e, con esso, la dismissione (atomistica od individuale) dei cespiti aziendali. Naturalmente, lo spettro d'indagine e d'attestazione varia a seconda del tipo di concordato con continuità. In caso di “concordato di ristrutturazione”, dunque con gestione diretta dell'impresa da parte del debitore, il professionista deve accertare l'effettivo ripristino delle condizioni di equilibrio finanziario dell'impresa nel termine previsto dal piano. E questa verifica risulta ancor più necessaria se le modalità di soddisfacimento dei creditori prevedano, in tutto od in parte, la conversione del debito in strumenti di equity o di semi-equity, dato che la stima del grado di soddisfacimento dipende dal valore “a regime” dell'impresa, dovendosi così accertare il valore che l'impresa assumerà una volta attuate le azioni previste dal piano e ristabilite le condizioni di equilibrio finanziario. In caso di “concordato con cessione”, l'analisi del professionista potrebbe non essere determinante in ragione dell'uscita dell'azienda dal perimetro concordatario, ma solo e nella misura in cui quest'uscita sia immediata ed integrale (dunque, senza permanenza in capo al debitore concordatario di assets non strategici e/o di contratti in corso d'esecuzione), con contestuale riscossione del corrispettivo ed ininfluenza della gestione “terza” successiva sulle sorti del concordato. Trattandosi però d'ipotesi residuale, la gestione futura mantiene rilievo e deve costituire elemento informativo essenziale ai fini del giudizio di fattibilità e di convenienza del concordato sia in ipotesi di trasferimento dell'azienda, sia in ipotesi di suo affitto in vista d'una sua successiva cessione. Nel primo caso, il professionista deve svolgere, per l'intero arco temporale del piano, una verifica di sostenibilità economica e finanziaria del cessionario per scongiurare ipotesi d'insolvenza futura, eventualmente indotta. Nel secondo caso, il professionista deve invece verificare la sostenibilità del piano aziendale in capo alla cessionaria, rilevando ai fini del soddisfacimento dei creditori, quanto meno sino al momento in cui è previsto l'incasso del prezzo di vendita.

Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Roma si lascia apprezzare per la completezza dell'indagine svolta e rappresenta un utile vademecum del concordato preventivo con continuità, indicando quale sia il contenuto del corredo documentale che il debitore è richiesto di presentare e quale sia lo spettro dell'indagine giudiziale nella fase ammissiva. Il sindacato di fattibilità, anche in considerazione della previsione di cui all'art. 186-bis, comma 3, l. fall. (“se nel corso della procedura di esercizio dell'attività cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell'art. 173”), non può essere limitato ad un mero scrutinio formale e deve avere, pur entro i limiti dettati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, un necessario spettro di merito, competendo al Tribunale, in via anticipata rispetto alla valutazione dei convenienza dei creditori, di verificare la documentazione presentata a corredo d'una ipotesi di risanamento mediante prosecuzione dell'attività d'impresa, con specifico accertamento, tra gli altri profili, della completezza del piano, in termini di sviluppo d'una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi nel periodo di riferimento, e dell'esaustività dell'attestazione, in termini non solo di affermazione della veridicità dei dati aziendali, ma anche di accertamento, con puntualità e coerenza logica nella prospettiva della massimizzazione dei ricavi a beneficio del ceto creditorio, della preferenza della prosecuzione dell'esercizio aziendale rispetto alla liquidazione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Sul contenuto e sulle finalità del Decreto Sviluppo, in dottrina: LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista, 2012, p. 8; BOTTAI, Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale, in Fallimento, 2012, p. 925; AMBROSINI, Contenuto e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012, in ilcaso.it, 2012, p. 2; ROLFI, La generale intensificazione dell'automatic stay, in ilfallimentarista.it, 2012, p. 1; TRENTINI, Un primo commento alle “misure urgenti per la crescita del paese” e alla revisione della l. fall., in ilfallimentarista.it, 2012, pp. 1 e 2; LO CASCIO, Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fallimento, 2013, p. 5.
Sul concordato con continuità aziendale, in giurisprudenza: Trib. Terni, 28 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Catanzaro, 23 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Roma, 16 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Firenze, 7 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Vicenza, decr., 12 novembre 2012, in ilcaso.it, 2012; Trib. Modena, decr., 22 ottobre 2012, in ilcaso.it, 2012; in dottrina: LAMANNA, Concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2013; ID, La problematica relazione tra preconcordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazione del tribunale, in ilfallimentarista.it, 2012; ID., La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista, 2012, pp. 58 e ss.; CAVALLINI, Il concordato preventivo in continuità e autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti : un binomio spesso inscindibile, in ilfallimentarista.it, 2013; ARATO, Il concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2012; QUATTROCCHIO-RANALLI, Il concordato in continuità e ruolo dell'attestatore : poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in ilfallimentarista.it, 2013; BALDASSARRE-PERENO, Prime riflessioni in tema di concordato preventivo in continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2012; CORNO, Debitori, banche e Tribunali di fronte ai concordati in continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2013; DI IULIO, Il caso Richard Ginori e la fattibilità del piano, in ilfallimentarista.it, 2013; VITIELLO, La "nuova" responsabilità penale del professionista attestatore, in ilfallimentarista.it, 2012; LO CASCIO, Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fallimento, 2013, pp. 5 e ss.

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