Revoca del concordato preventivo ex art. 173 l. fall. per mancata autorizzazione di finanziamento interinale

Roberto Amatore
02 Settembre 2013

Il finanziamento c.d. interinale, e cioè quello erogato nel corso del procedimento di concordato tra il deposito della domanda e l'omologa, è soggetto ad autorizzazione preventiva ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall., sicché - in assenza di istanza preventiva, con corredo di apposita attestazione in ordine alla funzionalità del finanziamento al miglior soddisfacimento dei creditori, e della consequenziale autorizzazione giudiziale - il finanziamento in parola integra fattispecie di atto vietato ex art. 173, ultimo comma, l. fall., dovendo trovare applicazione tale ultima norma in ogni ipotesi in cui un atto soggetto ad autorizzazione (non solo ai sensi dell'art. 167 l. fall., ma anche in relazione ad ogni altra norma che ne legittimi il compimento previa autorizzazione giudiziale) venga posto in essere in mancanza di tale condizione legittimante e non potendosi neanche ammettete una sanatoria dell'atto non autorizzato tramite successiva ratifica.
Massima

Il finanziamento c.d. interinale, e cioè quello erogato nel corso del procedimento di concordato tra il deposito della domanda e l'omologa, è soggetto ad autorizzazione preventiva ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall., sicché - in assenza di istanza preventiva, con corredo di apposita attestazione in ordine alla funzionalità del finanziamento al miglior soddisfacimento dei creditori, e della consequenziale autorizzazione giudiziale - il finanziamento in parola integra fattispecie di atto vietato ex art. 173, ultimo comma, l. fall., dovendo trovare applicazione tale ultima norma in ogni ipotesi in cui un atto soggetto ad autorizzazione (non solo ai sensi dell'art. 167 l. fall., ma anche in relazione ad ogni altra norma che ne legittimi il compimento previa autorizzazione giudiziale) venga posto in essere in mancanza di tale condizione legittimante e non potendosi neanche ammettete una sanatoria dell'atto non autorizzato tramite successiva ratifica.

Il caso

A seguito degli accertamenti effettuati dal collegio commissariale, quest'ultimo aveva segnalato al tribunale il compimento da parte della società debitrice ammessa alla procedura di concordato preventivo sia di atti non autorizzati, sia di atti frode in relazione alla falsificazione dell'attivo e alla omessa dichiarazione e all'occultamento di una parte del passivo.
Più in particolare, ed in relazione al primo profilo di illegittimità, la società ammessa alla procedura concorsuale aveva effettuato il deposito della cauzione per le spese di giustizia utilizzando somme liquide erogate da terzi a titolo di finanziamento dopo il decreto di ammissione, somme la cui restituzione aveva indicato come oggetto di un credito prededucibile del finanziatore e dunque qualificabile giuridicamente come finanziamento c.d. interinale ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall.
Peraltro, la società debitrice, ancorché autorizzata dal tribunale a sciogliersi da un contratto pendente di leasing, non aveva provveduto alla riconsegna tempestiva del relativo immobile alla società di leasing, così determinando un aggravio degli oneri della procedura da soddisfarsi in prededuzione ed ingenerando conseguentemente una valutazione negativa da parte del collegio dei commissari e del tribunale in ordine alla fattibilità del piano concordatario.

Le questioni giuridiche

La sentenza del tribunale ambrosiano, qui in commento, del tutto convincente e condivisibile nella ricostruzione delle fattispecie giuridiche esaminate, richiede, in primo luogo, l'approfondimento dell'istituto della revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell'art. 173, comma 3, l. fall. (in relazione, cioè, a quelle ipotesi di revoca per il compimento da parte del debitore di atti non autorizzati ovvero diretti a frodare le ragioni dei creditori), ed esige, in seconda battuta, l'esame anche dell'istituto del finanziamento c.d. interinale e del relativo regime autorizzatorio.
Sotto il primo profilo, giova ricordare, per un obbligo di inquadramento sistematico, che l'art. 173 l. fall., come modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 e dal D.L.18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, dispone espressamente che “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori”, e, al terzo comma, che “le disposizioni (...) si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato”.
Ebbene, alla stregua della norma da ultimo citata la procedura di concordato preventivo può arrestarsi in tre ipotesi: il compimento di atti di frode anteriori o posteriori al decreto ammissivo; l'esecuzione, durante la procedura, di atti straordinari non autorizzati ai sensi dell'art. 167 l. fall.; la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti di ammissibilità (GALLETTI, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, I, 730 e ss ).
Sul punto, è il caso di ricordare, per completezza di indagine, che, sebbene l'art. 173 l. fall. attribuisca al commissario giudiziale l'iniziativa per la revoca del concordato, non può escludersi un intervento autonomo del Tribunale, atteso che l'ultima parte del primo periodo del comma 1 di questa norma prevede il potere d'aprire d'ufficio il procedimento di revoca, anche se la prassi è nel senso che il Tribunale, qualora acquisisca notizia di una delle superiori ipotesi, chieda comunque una relazione al commissario giudiziale (AMBROSINI, DEMARCHI, VITIELLO, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 132 ).
Entrando, ora, in medias res, va precisato che il debitore, dopo l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, conserva l'amministrazione dell'impresa, ma deve conseguire l'autorizzazione del Giudice delegato per compiere atti di straordinaria amministrazione.
In mancanza, l'atto non solo è inefficace, ma trova applicazione, come già sopra detto, la sanzione di cui all'art. 173, comma 3, l. fall.
In realtà, la disposizione in esame sembrerebbe individuare negli atti straordinari non autorizzati un'ipotesi di atti di frode, ma così non sempre è, atteso che un atto straordinario non autorizzato potrebbe, a rigore, anche essere favorevole per la massa dei creditori concorsuali e, pertanto, non giustificare un provvedimento di revoca (cfr. anche Trib. Catanzaro, decr., 18 marzo 2013; AMBROSINI, DEMARCHI, VITIELLO, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, cit., 139).
In dottrina, si è pertanto concluso nel senso che, in subiecta materia, sarebbe preferibile ritenere che un atto straordinario non autorizzato sia sempre inefficace ai sensi dell'art. 167, comma 2, l. fall. e possa determinare l'arresto della procedura concordataria soltanto se sia intenzionalmente diretto a ledere le ragioni dei creditori (per una ricostruzione della materia mi sia consentito fare rinvio ad un lavoro di prossima pubblicazione: R. Amatore - L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo come strumento per la soluzione della crisi di impresa, Collana “Guida al diritto”, ed. Giuffrè, 2013).
Sub Julio, si discuteva se il compimento di atti non autorizzati a norma dell'art. 167, comma 2, l. fall., comportasse automaticamente la dichiarazione di fallimento, senza la necessità di verificare se gli atti fossero diretti a frodare le ragioni dei creditori (in questo senso, Trib. Lucca 26.7.1979, in Fall. 1980, 713 ; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Giuffrè, 1974, IV, 2253) ovvero se fosse consentito al tribunale la valutazione della convenienza dell'applicazione della sanzione del fallimento (in questo senso, sebbene in relazione all'amministrazione controllata, cfr. Cass. 1988/4278; Ragusa Maggiore, Diritto Fallimentare, Napoli, II, 1019).
Deve dirsi che la tesi maggiormente liberale risulterebbe, oggi, più coerente con le finalità della disciplina dell'istituto, dovendosi valutare la corrispondenza dell'atto rispetto al piano e dunque la sua utilità in funzione dell'obiettivo soddisfacimento dei creditori (cfr. anche Lo Cascio, Il concordato preventivo, Giuffrè, 2011, 547).
Peraltro, va aggiunto, per quanto interessa più in particolare la odierna trattazione, il quadro degli atti gestionali compiuti in pendenza di procedura dev'essere completato, a seguito della promulgazione del Decreto Sviluppo, col riferimento agli atti di cui all'art. 161, comma 7, l. fall., ai finanziamenti di cui all'art. 182-quinquies l. fall. e all'attività cessata o dannosa, di cui all'art. 186-bis l. fall. (CENSONI, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo dopo le riforme della legge fallimentare, 8 e ss.).
Proprio in ordine a quest'ultimo profilo e alla questione trattata esemplarmente dal Tribunale di Milano, il cui provvedimento è qui in commento, occorre ricordare che con l'introduzione dell'art. 182-quinquies, e quindi con la nuova disciplina dettata ad hoc per i finanziamenti “interinali”, si è definitivamente chiarito che i finanziamenti deliberati prima della domanda non possono considerarsi quali finanziamenti-ponte, se materialmente erogati dopo la stessa. Ed invero, l'erogazione successiva integra per definizione normativa la nozione di finanziamenti interinali, risultando di converso incompatibile con la nozione di finanziamenti-ponte. La questione, si badi, non è solo nominalistica. In realtà, ogni tipologia di finanziamento, per poter aspirare alla tutela della prededuzione, deve rispondere a determinati e distinti requisiti.
Quanto ai finanziamenti-ponte nel concordato, essi devono essere considerati “funzionali” dal tribunale con il decreto di ammissione, ma senza che sia previsto alcun altro requisito formale o sostanziale aggiuntivo. Che è previsto, invece, per i finanziamenti interinali, i quali godono della prededuzione solo se ed in quanto autorizzati dal tribunale in via preventiva sulla base di un'attestazione speciale dell'esperto, il quale deve certificare motivatamente che essi sono funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori, ossia che sono per essi convenienti.
Proprio la necessità che la richiesta di autorizzazione al finanziamento sia accompagnata da un'attestazione speciale, e che il finanziamento sia giustificato dalla sua convenienza, rende dunque inevitabile, per differenza, l'enucleazione restrittiva del concetto di finanziamenti-ponte, poiché essi, al contrario, non abbisognano di un'attestazione speciale, con la conseguenza che non potrebbe eludersi la norma - l'art. 182-quinquies - che tale attestazione impone, facendo passare per finanziamenti “in funzione”, ovvero per “finanziamenti-ponte”, quelli che, deliberati prima della domanda, fossero erogati dopo, giacché il momento successivo dell'erogazione segna la necessità irrefragabile di presentare la detta attestazione speciale (LAMANNA, La definizione normativamente restrittiva dei finanziamenti interinali in contrapposizione ai finanziamenti ponte”, in ilFallimentarista, 18.3.2013).
I primi tre commi dell'art. 182-quinquies, nella prima stesura risalente al disegno di decreto-legge diffuso prima dell'emanazione di quest'ultimo, apprestavano il beneficio della prededuzione anche ai finanziamenti erogati dopo la presentazione di domande ed accordi, ma solo nell'ipotesi di programmata prosecuzione delle attività di impresa, disponendosi, in tal modo, tale vantaggio solo ai concordati ed accordi di ristrutturazione con continuità aziendale, e ciò nell'ottica del favor che si intendeva offrire soltanto di essi. Ciò si ricavava chiaramente anche dall'ulteriore circostanza che, ai sensi del primo comma, il tribunale poteva autorizzare l'impresa a contrarre finanziamenti solo qualora l'esperto asseveratore avesse attestato che tali finanziamenti sarebbero stati funzionali alla prosecuzione dell'attività di impresa fino all'omologazione (condizione quest'ultima successivamente espunta) e che tale prosecuzione sarebbe stata a sua volta funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori.
La stesura definitiva del decreto legge ha eliminato questa limitazione, con la conseguenza che ora l'autorizzazione può essere concessa dal tribunale anche qualora i concordati e gli accordi prevedano sic et simpliciter la liquidazione dell'impresa, e dunque la sua cessazione.
In buona sostanza, quando siano presentate domande di concordati e di omologazione di accordi, ed anche quando si tratti di semplici proposte di pre-concordato, il tribunale, su richiesta del debitore, e a condizione che si tratti di finanziamenti funzionali, secondo l'ultima definizione normativa, alla migliore soddisfazione dei creditori, sulla base di una specifica attestazione eseguita a tal riguardo dal professionista, può autorizzare il debitore ad acquisire finanziamenti anche solo genericamente indicati per tipologia e identità - tenuto altresì conto che la richiesta può riguardare pre-concordati e pre-accordi, e dunque riguardare una fase temporale in cui di solito non è facile rappresentare agli istituti di credito la tipologia di finanziamento necessaria -, e ciò con il beneficio della prededucibilità, con l'ulteriore specificazione che i menzionati finanziamenti possono essere anche garantiti - a scanso di ogni possibile residuo rischio di incapacità di pagare le prededuzioni - da pegno ovvero ipoteca su beni del debitore (LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “decreto sviluppo”, Milano, 2012, 28). Sul punto, è stato giustamente osservato in dottrina che l'autorizzazione del tribunale non può mai riguardare i finanziamenti erogati successivamente alla omologazione, ancorché funzionali alla continuità aziendale, perché essi godono per loro stessa natura, attesa la collocazione temporale, del summenzionato carattere (così, QUATTROCCHIO-RANALLI, Concordato in continuità e ruolo dell'attestatore: poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in ilFallimentarista, 3.8.2012, 13).
Non è, tuttavia, dato intendere se, invece, nella ipotesi di concordato, l'autorizzazione del tribunale debba e possa essere rilasciata soltanto nell'arco temporale compreso tra il deposito della domanda fino al decreto di ammissione al concordato.
Al quesito prospettato sembrerebbe preferibile fornire una risposta affermativa, atteso che, nel concordato preventivo, per la fase successiva al decreto di ammissione, i finanziamenti sono già erogabili, con il beneficio della prededuzione, previa autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell'art. 167 l. fall.
Deve, tuttavia, farsi notare che l'attestazione del professionista deve considerare l'utilità e la funzionalità dei finanziamenti, in forza di quanto espressamente previsto dalla norma in esame, con un orizzonte temporale del fabbisogno che si estende comunque sino alla omologazione, spiegandosi ciò con la strumentalità degli stessi a consentire lo svolgimento della procedura proprio al fine di giungere alla meta dell'omologazione (LAMANNA, La legge fallimentare, cit., 28).
Quanto, poi, alla attestazione circa la funzionalità dei finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori, deve segnalarsi che, mentre l'esperto deve attestare solo tale attitudine nei concordati e negli accordi liquidativi, deve, al contrario, attestare anche questa attitudine nella ipotesi di concordati ed accordi con continuità, atteso che, in tal caso, è già necessaria una relazione ai sensi dell'art. 186-bis, comma 2, lett. b), la quale deve attestare che la prosecuzione dell'attività di impresa prevista dal piano concordatario sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (v. anche Trib. Como 11.12.2012) . Quando poi il debitore, nell'ipotesi di continuità, chieda anche l'autorizzazione ad acquisire finanziamenti interinali, l'esperto deve attestare che l'erogazione di tali finanziamenti, nonostante il loro carattere prededucibile, conduca ad un risultato più vantaggioso per i creditori rispetto all'ipotesi alternativa in cui i finanziamenti non siano erogati, e dunque in una prospettiva di valutazione di una utilità “marginale” in più rispetto a quella che già deriva dalla continuità aziendale (QUATTROCCHIO-RANALLI, Concordato in continuità, cit., ibidem).
Deve ritenersi ancor più complessa questa “attestazione speciale” nell'ipotesi in cui venga richiesta l'autorizzazione a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei finanziamenti, atteso che l'incapacità dei flussi di cassa a coprire il servizio del debito relativo ai finanziamenti prededucibili potrebbe compromettere le ragioni creditorie, soprattutto ove l'oggetto della garanzia pignoratizia ovvero ipotecaria sia costituito da assets non strategici, compromettendo definitivamente le ragioni di altri creditori prededucibili (QUATTROCCHIO-RANALLI, Concordato in continuità, cit., ibidem; cfr. anche Trib. Treviso, 16.10.2012).

Osservazioni

Così chiarito il perimetro normativo entro il quale si muove il pronunciamento in esame, devono ritenersi pianamente condivisibili le conclusioni cui giunge la giurisprudenza ambrosiana nel momento in cui afferma in modo convincente che il finanziamento c.d. interinale, e cioè quello erogato nel corso del procedimento di concordato tra il deposito della domanda e l'omologa, è soggetto ad autorizzazione preventiva ai sensi dell'art. 167 l. fall. ovvero, rectius, trattandosi di atto soggetto a disciplina speciale ad hoc, ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall., sicché - in assenza di istanza preventiva, con corredo di apposita attestazione in ordine alla funzionalità del finanziamento al miglior soddisfacimento dei creditori, e della consequenziale autorizzazione giudiziale - il finanziamento in parola integra fattispecie di atto vietato ex art. 173, ultimo comma, l. fall., dovendo trovare applicazione tale norma in ogni ipotesi in cui un atto soggetto ad autorizzazione (non solo ai sensi dell'art. 167 l. fall., ma anche in relazione ad ogni altra norma che ne legittimi il compimento previa autorizzazione giudiziale) venga posto in essere in mancanza di tale condizione legittimante e non potendosi neanche ammettete una sanatoria dell'atto non autorizzato tramite successiva ratifica.
In termini generali, va detto che, qualora il contratto di finanziamento venga stipulato in assenza di autorizzazione, si potrebbe ipotizzare, per un verso, che, nel concordato preventivo lo stesso sia privo di effetti rispetto ai creditori le cui ragioni di credito siano sorte prima della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di c.p. (soggetti cui l'art. 184 l. fall. estende gli effetti del concordato) e che, nell'eventuale successivo fallimento, non consenta al creditore di godere della prededucibilità e non sia esente da revocatoria, ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. e), ove il riferimento è solo agli atti “legalmente” compiuti.
Ebbene, a ciò deve aggiungersi che, secondo il corretto ragionamento operato nel provvedimento in commento, tale mancata autorizzazione giudiziale integra anche gli estremi, se segnalata dal commissario giudiziale ovvero anche rilevata ex officio dal tribunale fallimentare, della revocabilità dell'ammissione al concordato preventivo ai sensi del sopra richiamato terzo comma dell'art. 173 l. fall., dovendosi equiparare la fattispecie della mancata autorizzazione di un atto a norma dell'art. 167 l. fall. a qualsiasi altra ipotesi di mancata autorizzazione di atti in relazione ad ogni altra norma che ne legittimi il compimento previa autorizzazione giudiziale (come avvenuto nel caso di specie, ove la norma legittimante è quella dettata dall'art. 182-quinquies l. fall. ).
Il provvedimento in esame chiarisce ulteriormente che la sopra indicata violazione determina ex se, in modo necessario e sufficiente, la revoca del concordato.
Il profilo qui da ultimo evidenziato richiama tuttavia il dibattito, già introdotto in dottrina ed in giurisprudenza sotto il precedente regime normativo (e tratteggiato nel paragrafo precedente), in ordine alle conseguenze giuridiche ultime dell'applicazione del regime sanzionatorio previsto dall'art. 173 l. fall.. Ed invero, la sanzione di cui all'art. 173, comma 3, l. fall. sembra individuare negli atti straordinari non autorizzati un'ipotesi di atti di frode, ma tuttavia potrebbe, in ipotesi, prevedersi la possibilità di un atto straordinario non autorizzato con effetti favorevoli per la massa dei creditori concorsuali, la cui adozione, sebbene non autorizzata, non giustificherebbe, a rigore, un provvedimento di revoca (cfr. AMBROSINI, DEMARCHI, VITIELLO, Il concordato preventivo e la transazione fiscale , cit. supra).
Sembra, pertanto, preferibile la conclusione secondo cui un atto straordinario non autorizzato debba considerarsi sempre inefficace ai sensi dell'art. 167, comma 2, l. fall. e possa determinare invece l'arresto della procedura concordataria, soltanto se sia intenzionalmente diretto a ledere le ragioni dei creditori. Tale opzione ermeneutica avrebbe il sicuro vantaggio di essere maggiormente coerente con le finalità della disciplina dell'istituto qui in esame, dovendosi valutare la corrispondenza dell'atto rispetto al piano e dunque la sua utilità in funzione dell'obiettivo soddisfacimento dei creditori (cfr. anche Lo Cascio, Il concordato preventivo, cit. ; App. Torino 15.7.2009, in Fall., 10, 248, che ha escluso la frode in riferimento alla vendita, in assenza di autorizzazione, di due autovetture per prezzo congruo; contra, Trib. Modena, 14.10.2005, in Dir. fall. 2006, II, 661 ).
Tuttavia, deve ritenersi, a sostegno della tesi accolta dal Tribunale di Milano in ordine alla revocabilità ex se dell'ammissione al concordato preventivo in assenza di una preventiva autorizzazione alla contrazione del finanziamento “interinale” prededucibile ai sensi dell'art. 182-quinquies l. fall, che la mancanza di tale autorizzazione, e dunque della necessaria istanza corredata della obbligatoria attestazione del professionista circa la “funzionalità” di tali finanziamenti alla migliore soddisfazione dei creditori (e ciò anche in ragione del “complessivo fabbisogno finanziario della impresa sino all'omologazione”) determini, sotto il profilo probatorio, una vera e propria presunzione iuris tantum di dolosa preordinazione del debitore alla lesione delle ragioni dei creditori, presunzione superabile, in sede di procedimento instaurato ai sensi dell'art. 173, comma 2, l. fall. (ove vigono, peraltro, tutte le garanzie disposte dall'art. 15 l. fall.), da parte dell'imprenditore ammesso alla procedura di c.p. revocanda attraverso la prova della non lesività dell'atto autorizzato rispetto alle ragioni dei creditori e dunque della sua intrinseca utilità in funzione dell'obiettivo soddisfacimento dei creditori e della potenziale conformità al piano di esdebitamento previsto in favore dei creditori stessi.
Deve pertanto concludersi che se, per un verso, non è discutibile e risulta essere affermazione del tutto condivisibile l'approdo giurisprudenziale contenuto nel provvedimento in commento secondo cui la mancata autorizzazione da parte del tribunale alla conclusione di un contratto di finanziamento c.d. “interinale” ai sensi dell'art. 182-quinques l. fall. determina la revocabilità dell'ammissione dell'imprenditore dalla procedura di concordato preventivo, per altro verso, ciò che merita ancora approfondimento in dottrina e in particolar modo nella giurisprudenza di legittimità riguarda la diversa ed ulteriore questione del se tale revocabilità discenda ex se dall'accertamento giudiziale in ordine alla mera violazione del sopra ricordato precetto ovvero se tale effetto sanzionatorio richieda l'ulteriore accertamento della lesività in concreto dell'atto non autorizzato rispetto agli interessi del ceto creditorio.
Va ulteriormente segnalato che il provvedimento in esame prende, poi, anche in considerazione altre ipotesi di revocabilità del c.p. in relazione all'accertamento di falsificazione dell'attivo patrimoniale e di occultamento delle passività, così integrando il provvedimento sanzionatorio anche le altre fattispecie revocatorie normativamente previste dal primo comma dell'art. 173 l. fall.
Sul punto, occorre ricordare per completezza di indagine che l'art. 173, comma 1, l. fall. identifica gli atti di frode secondo un criterio misto, dato che ne prevede un'elencazione non tassativa e, al tempo stesso, impiega una formula generica a contenuto non determinato.
Questi atti possono essere anteriori o posteriori al decreto ammissivo di cui all'art. 163 l. fall.
Tra i primi vengono in evidenza l'occultamento o la dissimulazione di parte dell'attivo, la dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti e l'esposizione di passività inesistenti, di cui per la sola seconda categoria è richiesto l'elemento soggettivo del dolo; e ciò perché l'omessa indicazione d'un credito, a differenza dell'occultamento e dissimulazione d'attivo e dell'esposizione di passività inesistenti, potrebbe anche dipendere da un comportamento involontario od inconsapevole. Tra i secondi vengono, invece, in evidenza tutti gli altri atti diretti a frodare le ragioni dei creditori nel corso della procedura.
Il tema degli atti di frode e della loro rilevanza nella prospettiva di cui all'art. 173 l. fall. è stato oggetto d'un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, il quale ha trovato per il momento composizione ad opera della S. Corte di cassazione (per una ricognizione, v. da ultimo PERRINO, sub art. 173, in LO CASCIO (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2013, 2026 e ss.). In realtà, prima dell'intervento dei Giudici di legittimità si sono registrate due tesi di segno esattamente opposto. Per la prima permane, anche all'indomani della riforma della legge fallimentare, un principio di meritevolezza, se pur in forma attenuata, con la conseguenza che per atti di frode devono intendersi tutti gli atti diretti a causare o aggravare il dissesto, vale a dire atti che comportino accrescimento del passivo o diminuzione dell'attivo, compiuti dal debitore con la consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori (Trib. Roma, 20 aprile 2010; AMBROSINI, DEMARCHI, VITIELLO, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, 135). Per la seconda non qualsiasi fatto fraudolento o astrattamente idoneo a determinare un pregiudizio per i creditori dell'impresa può rilevare ai fini dell'interruzione della procedura, soprattutto se verificatosi prima della proposta di concordato, ma possono contare solo quelle condotte che siano specificatamente finalizzate a trarre in inganno il ceto creditorio in vista dell'adunanza di cui all'art. 174 l. fall., influenzando la manifestazione di voto (Trib. Roma, 21 settembre 2010; Trib. Bari, 7 aprile 2010; ZANICHELLI, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 229 e ss.). Questa seconda tesi ha trovato l'adesione della S. Corte (Cass., 23 giugno 2011, n. 13817; cfr. anche le sentenze nn. 13818/2011 e 13819/2011 ), la quale ha statuito il principio per cui il minimo comune denominatore dei comportamenti indicati dall'art. 173, comma 1, l. fall., ai fini della revoca dell'ammissione al concordato e della dichiarazione di fallimento nel corso della procedura, è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare.
Peraltro, va anche aggiunto come la revoca ex art. 173 l. fall. del provvedimento ammissivo si fondi, nel caso di specie, anche sulla rilevata non fattibilità del piano in ragione della accertata lievitazione dei costi in prededuzione determinati dalla gestione di un contratto di leasing, dal quale la società debitrice era stata autorizzata a sciogliersi.
Ebbene, va osservato che anche in questo caso il provvedimento qui in commento si segnala per essere del tutto convincente e condivisibile, atteso che la lievitazione di tali costi non può non ingenerare una valutazione negativa sulla fattibilità del piano concordatario per la evidente conseguente compressione del grado di soddisfacimento degli altri crediti compresi nel piano di esdebitamento.

Conclusioni

Come già sopra osservato, il provvedimento qui in esame afferma un principio non contestabile in linea astratta, e cioè che la mancata autorizzazione da parte del tribunale alla conclusione di un contratto di finanziamento c.d. “interinale” ai sensi dell'art. 182-quinques l. fall. determina la revocabilità dell'ammissione dell'imprenditore dalla procedura di concordato preventivo. Tuttavia, ciò che richiede ancora un sforzo di approfondimento riguarda la diversa questione del se tale revocabilità discenda ex se dall'accertamento giudiziale della mera violazione del sopra ricordato precetto ovvero se tale effetto sanzionatorio richieda l'ulteriore accertamento della lesività dell'atto non autorizzato rispetto agli interessi del ceto creditorio.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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