La fallibilità della holding individuale

Antonella Musuraca
14 Gennaio 2014

Qualora la holding facente capo ad una persona fisica abbia accentrato in sé la direzione ed il coordinamento del gruppo che aveva una sua qualificazione identitaria proprio nel nominativo della persona fisica, si deve ritenere che l'insolvenza della società formale capogruppo e delle plurime controllate, accertata con diverse sentenze, sia prova evidente del fatto che anche l'holder persona fisica versasse in stato di insolvenza.
Massima

Qualora la holding facente capo ad una persona fisica abbia accentrato in sé la direzione ed il coordinamento del gruppo che aveva una sua qualificazione identitaria proprio nel nominativo della persona fisica, si deve ritenere che l'insolvenza della società formale capogruppo e delle plurime controllate, accertata con diverse sentenze, sia prova evidente del fatto che anche l'holder persona fisica versasse in stato di insolvenza.

Il caso

La sentenza in commento riguarda l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento da parte di una persona fisica ed in particolare i presupposti dell'assoggettabilità a fallimento della c.d. holding individuale.
Il fallimento della persona fisica veniva richiesto dal curatore di una procedura concorsuale sul presupposto che questa avesse agito creando una holding di tipo personale costituente impresa commerciale suscettibile di fallimento avendo la stessa operato in nome proprio per perseguire risultati economici attraverso un'attività svolta professionalmente con l'organizzazione ed il coordinamento dei fattori produttivi relativi ad un proprio gruppo di imprese.
Nella specie, in particolare, la persona fisica (c.d. holder) aveva esercitato su una pluralità di società azionarie un'attività di direzione e coordinamento assumendo così la veste di capogruppo ovvero di holding individuale. Detta direzione e coordinamento si era estrinsecata in una serie di operazioni “anomale”, quali, ad esempio, compravendite immobiliari, acquisto di terreni, emissione di fatture per operazioni inesistenti, rilascio da parte di società di capitali di una fideiussione a garanzia di obbligazioni personali della persona fisica. La suddetta persona fisica ne aveva ricavato plurimi vantaggi diretti consistenti in benefit aziendali, fideiussioni personali e pagamento a suo favore di compensi ordinari e straordinari.
Inoltre, la concessione di fidi e finanziamenti ottenuti dalle banche a favore delle società dirette e coordinate dalla persona fisica avveniva in ragione del collegamento tra le varie imprese e della riconducibilità delle stesse alla persona fisica, che era riconosciuta dagli istituti di credito come capogruppo, riponendo essi fiducia non tanto nelle imprese operanti nel mercato quanto piuttosto nell'imprenditore persona fisica che le guidava e che con il proprio nome riusciva a garantire il buon esito delle operazioni concordate per il risanamento.
L'holder si era avvalso di una organizzazione ben definita che si articolava nella collaborazione di una serie di soggetti legati al medesimo holder da vincoli di parentela o di collaborazione ai quali era attribuito, a rotazione, il ruolo di legali rappresentanti o membri dei CDA delle singole società e che operavano sotto le sue direttive. L'organizzazione professionale dell'attività di holder- persona fisica si poteva altresì dedurre dal fatto che la gestione della cassa del gruppo di società era accentrata e finalizzata ad un obiettivo unitario tanto che le risorse finanziarie venivano spostate da una società all'altra a seconda delle esigenze .
Inoltre la persona fisica capogruppo aveva prestato a favore di alcune società “figlie” garanzie personali assumendo cosi la veste di vera e propria holding operativa ovvero di holding che oltre ad esercitare l'attività di direzione unitaria prestava altresì assistenza finanziaria alle società dirette e coordinate.
Il Tribunale di Roma conclude dichiarando il fallimento dello holder, persona fisica, sul presupposto che le operazioni anomale poste in essere, direttamente o indirettamente, dal medesimo hanno creato un danno ai creditori della procedura concorsuale, danno che si è manifestato attraverso una scorretta azione di direzione e di coordinamento delle imprese del suo gruppo.

Le questioni giuridiche e la soluzione - L'esercizio di attività di direzione e coordinamento da parte di soggetti diversi dalle società e dagli enti: l'holding persona fisica

La giurisprudenza ha più volte riconosciuto che l'attività di direzione unitaria possa essere esercitata non solo da società, come di regola avviene, ma anche da persone fisiche (cfr. la ben nota Cass. 5/2/1990 n. 1439 sul caso Caltagirone, in Fall. 1990, 510 e ss. con nota di Lamanna, La holding quale impresa commerciale (anche individuale) e il dogma della personalità giuridica), nonostante in dottrina tale orientamento abbia suscitato non poche perplessità (Fava, I gruppi di società e la responsabilità da direzione unitaria, 2003, in Riv. Soc.,1197 e Circolare Assonime 44/07 in Riv. Soc., 2006, 1100; in giurisprudenza, cfr., Cass. Civ. 7/7/1992, n. 8721; Cass. 9/8/2009, n. 12113; Cass. Civ. 13/3/2003, n. 3724; Cass. Civ. 18/11/2010, n.23344).
Come correttamente rilevato dal Tribunale di Roma, dunque, la configurazione della holding ha ricevuto pieno riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità a partire dalla cit. Cass. Sez. Unite n. 1439/90 che ha enunciato un principio, in seguito ripreso e ribadito nelle pronunce successive surrichiamate, secondo cui il ruolo di holding, al vertice di un gruppo di società, può essere assunto anche da una persona fisica o da più individui che fra loro concludono una società di fatto e tali soggetti possono quindi essere qualificati imprenditori commerciali e dichiarati falliti in caso di insolvenza.
Di questo dictum aveva fatto applicazione anche la Giurisprudenza di merito (cfr, Trib. Torino, 29/3/1996 e App. Torino 30/7/1999).
La Cassazione (cfr. Cass. nn. 405/99; 12113/2002; 3724/2003; 23344/2010) ha dato soluzione al problema dell'ammissibilità della gestione in forma d'impresa, anche individuale, dell'attività di direzione e coordinamento di un gruppo di società affermando che in ipotesi di holding di tipo personale, cioè di persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie e che svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l'indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle medesime (non limitandosi così al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio) la configurabilità di un'autonoma impresa, come tale assoggettabile a fallimento, postula che la suddetta attività, sia essa di sola gestione del gruppo (c.d. holding pura) ovvero pure di natura ausiliaria o finanziaria (c.d. holding operativa) si esplichi, in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio, quindi fonte di responsabilità diretta del loro autore e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo o le sue componenti, causalmente ricollegabili all'attività medesima.
Alcuni autori (cfr. Panzani, I fenomeni del dominus abusivo e della etero direzione dell'impresa societaria, in Fall., 2009, 9) hanno sottolineato che non costituisce ostacolo in genere per poter configurare la sussistenza dell'attività di impresa l'esistenza dei requisiti richiesti dall'art. 2082 c.c. in particolare la professionalità, l'organizzazione, il fine di lucro. Ciò perché sovente alla gestione unitaria da parte della holding si accompagna un sistema di flussi finanziari accentrati diretti dalla holding e rispetto ai quali le delibere assunte dalle singole società dipendenti assumono carattere puramente strumentale. In genere, come del resto avviene anche nei gruppi in cui la capogruppo è una società di capitali, anche la cassa delle singole società è accentrata e gestita dalla holding.
Per quanto riguarda il requisito della professionalità esso sussiste qualora l'attività sia esercitata in modo stabile e continuativo (sul requisito della professionalità come elemento essenziale della nozione generale di imprenditore, Campobasso, Diritto Commerciale, a cura di M. Campobasso, Torino, vol. I, 32; Spada, Diritto Commerciale, Padova, vol. I, il quale afferma che “per professionalità si intende un impegno stabile nell'esercizio dell'attività” e precisa che “solo alle iniziative produttive che non si presentino occasionali e saltuarie si applica lo statuto dell'imprenditore”).
Il requisito in questione non deve dunque essere inteso come sinonimo di esclusività o di prevalenza potendo ben essere stabile e continuativa anche un'attività non qualificabile come prevalente o esclusiva (in questo senso, Campobasso, op. loc. cit.; in giurisprudenza, tra le molte, Cass, 17.03.1997, n. 2321; Trib. Torino, 4/7/1980, in Fall., 1981, 762).
Quanto all'autonoma economicità dell'attività della holding, è opportuno ricordare che, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, il requisito deve ritenersi sussistente in tutti i casi in cui l'attività direttiva possa dirsi idonea al perseguimento di un risultato economico (inteso come differenza positiva o perlomeno come pareggio, tra i ricavi e i costi dell'attività) ulteriore rispetto a quello raggiungibile dalle singole società ed imputabile direttamente al capogruppo.
Il requisito dell'organizzazione deve ritenersi presente in tutte le ipotesi in cui il capogruppo eserciti l'attività di direzione, coordinando tra loro una pluralità di fattori produttivi che sono il capitale (proprio/altrui), il lavoro proprio e il lavoro altrui. Non è però necessario che tutti i fattori produttivi vengano congiuntamente utilizzati nell'attività economica essendo al contrario sufficiente che siano tra loro coordinati anche soltanto due di essi : ad es. il capitale ed il proprio lavoro.
Nel caso concreto risulta che la capogruppo utilizzava nello svolgimento dell'attività tutti e tre i fattori summenzionati. La struttura imprenditoriale della holding- riferisce il Tribunale di Roma nell'annotata sentenza- sebbene caratterizzata da una organizzazione rudimentale, era definita e si concretizzava nell'attività di una serie di persone di fiducia dell'holder che contribuivano al buon andamento dell'impresa holding attraverso la posizione di preminenza assunta nelle società controllate dallo holder.
Nel caso di specie, lo holder perseguiva un fine di lucro atteso che non solo operava nella direzione e nel coordinamento delle società controllate del gruppo per aumentare il valore delle sue partecipazioni, ma utilizzava beni aziendali per sé e per i suoi parenti ottenendo non solo il rilascio di fideiussioni a garanzia delle proprie obbligazioni, ma anche pagamenti da conti correnti bancari intestati a società del gruppo.
Secondo il tradizionale insegnamento della giurisprudenza di legittimità - a cui anche il Tribunale di Roma nell'annotata sentenza si conforma- la spendita del nome da parte della holding individuale (o societaria) è requisito fondamentale ai fini della qualificazione dell'attività di direzione e coordinamento come attività di impresa e della assoggettabilità a fallimento del soggetto capogruppo (cfr. Cass. 5/2/1990, n. 1439; Cass. 9/8/2002, n. 12113; Cass. 13/3/2003, n. 3724; Trib. Genova 26/9/2005; Trib. Napoli, 8/1/2007; App. Mi, 17/7/2008, in Fall., 2009, 169 e ss. Ritengono invece irrilevante il requisite della spendita del nome, Trib. Vicenza, 23/11/2006, in Fall. 2007, Trib. Padova, 200, in Fall., 2002,1218 che sostiene altresì l'irrilevanza dei requisiti dell'autonoma economicità e dell'organizzazione di mezzi propri; Fimmanò, Dal socio tiranno al dominus abusivo, in Fall., 2007, 419; Penta, La fallibilità dell'holder persona fisica, in Fall., 2009, 172 ss.).
Questo orientamento giurisprudenziale sostiene che la holding e in particolare quella individuale, è assoggettabile a fallimento in quanto imprenditore commerciale solo ed esclusivamente nel caso in cui essa, nell'esercizio dell'attività di direzione, abbia posto in essere in nome proprio atti, anche negoziali, che siano fonte di obbligazioni. In sostanza, la holding può fallire solo se ha contratto direttamente obbligazioni in nome proprio delle quali risponderà, ex art. 2740 c.c., con l'intero suo patrimonio.
La responsabilità patrimoniale della holding individuale presuppone l'agire in nome proprio; la holding dunque può essere chiamata a rispondere soltanto delle obbligazioni da essa direttamente assunte spendendo il proprio nome e non anche delle obbligazioni contratte dalle, e in nome delle, società dirette e coordinate.
Di conseguenza, l'insolvenza del capogruppo, ovvero la sua impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, deve essere valutata con riguardo alle sole obbligazioni personali e quindi alle sole obbligazioni direttamente assunte attraverso la spendita del nome; non potrà invece valutarsi tenendo in considerazione anche le obbligazioni contratte in nome delle società dirette e coordinate.
Un importante corollario di questa tesi è che i creditori che possono utilmente chiedere il fallimento e insinuarsi al passivo della holding insolvente sono esclusivamente quelli che hanno direttamente contrattato con l'impresa capogruppo, non invece i creditori che hanno intrattenuto rapporti creditizi solamente con le singole società del gruppo (cfr. Giovannini, nota a Cass. n. 12113/2012, in Giur. comm., 2004, II, 23).
Si tratta di una soluzione che garantisce una forma di tutela soltanto ai creditori i cui crediti trovino origine in atti compiuti dal capogruppo in nome proprio. I creditori delle singole società i quali non abbiano avuto alcun rapporto con la holding rimangono invece sprovvisti di qualsiasi rimedio fallimentare nei confronti del socio di controllo.
Parte della dottrina, come pure parte della giurisprudenza di merito (Trib. Ancona 10/8/2009 e App. Ancona, 5/3/2010, in Giur. comm., a cura di M. Prestipino) non aderisce alla succitata tesi precisando che “ai fini dell'assoggettamento della holding individuale a fallimento non occorra alcuna esteriorizzazione dell'attività di direzione e coordinamento in quanto ciò che rileva non è l'imputazione diretta o indiretta degli atti di impresa al dominus ma il dato fattuale o giuridico del governo della condotta unitaria; il sistema normativo delineato non esige ai fini della configurazione della responsabilità l'esteriorizzazione di atti. L'attività di direzione tirannica professionalmente organizzata, in spregio ai principi di corretta gestione imprenditoriale, delle società strumentali etero dirette configura di per sé attività di impresa ed una conseguente responsabilità per tutte le obbligazioni delle società dominate e nei confronti di tutti i creditori” (cfr. in dottrina, Fimmanò secondo il quale ove la holding individuale eserciti abusivamente l'attività direttiva e in più sia qualificabile come imprenditore commerciale insolvente, i titolari di pretese creditorie, in senso lato, delle società dirette e coordinate insolventi potranno agire direttamente contro il dominus e chiederne l'autonomo fallimento. L'attività di direzione e coordinamento, se abusiva, diventa fonte di responsabilità (non solo risarcitoria) anche patrimoniale per le obbligazioni contratte in nome delle società dirette e coordinate”).
Alcuni autori (cfr. Panzani, op. cit.) hanno criticato l'eccessivo rigore della giurisprudenza a tale proposito nel richiedere che la spendita del nome si traduca nel compimento di veri e propri atti negoziali da parte della holding.
Se infatti le ragioni del ricorso a questa struttura organizzata intorno alla figura di una o più persone fisiche di riferimento che organizzano l'attività di varie società sono di non apparire direttamente (detta circostanza, viceversa, non inerisce al caso della sentenza romana nel cui contesto invece lo holder agisce, a più riprese, in nome proprio ponendo in essere numerosi atti che ben si possono qualificare fonte di propria responsabilità diretta, come ad es. l'accordo di ristrutturazione dei debiti tra le società del gruppo e vari istituti di credito a cui prende parte direttamente lo holder non solo come amministratore bensì anche in proprio),è evidente che non si rinverranno mai atti negoziali posti in essere direttamente dalla holding. Se l'attività d'impresa a quest'ultima riferibile è un'attività mediata, che passa attraverso l'operare di una società dipendente, per necessità gli atti negoziali saranno posti in essere dalla società operativa e non dalla holding, salvo il caso, poco probabile, che la o le persone fisiche si risolvano ad intervenire in prima persona magari con la concessione di garanzie, ipotesi che ricorrerà solo ove la situazione di crisi o di dissesto avrà reso indispensabile siffatta forma di intervento (cfr. Spada, Della Permeabilità differenziata della personalità giuridica nell'ultima giurisprudenza commerciale, in Giur. Comm., 1992, I,433; Inzitari, La vulnerabile persona giuridica, in Contr. e impr. , 985, 689; Fimmanò, op. cit.; Esposito, La categoria dell'abuso nella personalità giuridica dopo la riforma del diritto delle società di capitali, in Riv. Dir. Priv., 2006,18).
Se peraltro il requisito della spendita del nome della holding potesse essere inteso, in conformità a quanto avviene nei fatti, nel senso che ai terzi creditori è noto che la società operativa gode dell'appoggio e del sostegno della holding e che pure è noto che le scelte gestionali fanno capo alla holding, si potrebbe affermare che il requisito della spendita del nome è soddisfatto perché i terzi in tanto si sono risolti a contrarre con la società operativa, in quanto sapevano che alle spalle della stessa stava la holding e non hanno trattato con gli amministratori della società operativa ma direttamente con le persone fisiche in cui si sostanzia la holding.
In buona sostanza, solo una minoritaria giurisprudenza di merito e taluni interpreti hanno criticato l'impostazione accolta dalla giurisprudenza di legittimità sostenendo che per la qualificazione dell'impresa come holding non sarebbero necessari né la spendita del nome, né l'organizzazione dei mezzi propri né l'autonoma economicità (cfr. Trib. Padova, 2/11/2001, in Fall., 2002, 1218).
Di contro, invece, la giurisprudenza di merito prevalente si è adeguata alla Suprema Corte (cfr. Trib. Genova, 26/9/2005, in Fall., 2006, 424; Trib. Napoli, 8/1/2007; Trib. Roma, 28/11/2006 e Trib. Vicenza 23/11/2006, tutte in Fall., 2007, 407; App. Bologna 23/5/2007; App. Trieste 12/4/2011, entrambe in ilcaso.it ).

Osservazioni

Incidenza della riforma del diritto societario e fallimentare con particolare riferimento alle norme di cui all'art. 2497 c.c. e art. 147 l. fall. in relazione all'estensione della fallibilità dello holder - I giudici di merito nella sentenza in commento si sono correttamente posti il problema se alla luce delle modifiche intervenute all'art. 2497 c.c. come novellato dalla riforma del diritto societario e all'art. 147 l. fall. secondo la riforma del D.Lgs. n. 5/2006 sia ancora oggi possibile addivenire alla dichiarazione di fallimento del soggetto persona fisica che abbia svolto attività di coordinamento imprenditoriale e/o di sostegno finanziario di varie società di capitali da costui controllate in estensione dei fallimenti delle società controllate o quale autonomo soggetto imprenditoriale configurandosi un'ipotesi di holding personale di tipo operativo.
L'interpretazione maturata nella vigenza delle precedenti norme, sia di diritto fallimentare sia di diritto societario, si era attestata nel ritenere possibile la dichiarazione di fallimento nei casi di abuso della personalità giuridica, dell'imprenditore occulto, sia esso socio occulto, holding personale di fatto occulta, socio tiranno, azionista sovrano, amministratore di fatto, attraverso l'estensione del fallimento della società dominata nei confronti del soggetto dominante con il meccanismo dell'imputazione sostanziale degli atti, l'abuso di personalità giuridica, la simulazione di società così che, individuato in capo al dominante la riferibilità degli atti dell'impresa fallita ed in conseguenza dell'esercizio di attività di impresa, fosse possibile estenderne il fallimento.
Prima della riforma dell'art. 147 l. fall. la ripercussione del fallimento di una società di capitali sull'imprenditore occulto, sulla holding di fatto ed occulta, passavano, sul piano teorico, attraverso il tentativo di trovare nell'art. 147 l. fall. un principio generale di imputazione diverso dalla spendita del nome. Come è noto, tale teoria arrivava ad affermare, in via analogica, il fallimento dell'imprenditore individuale occulto che dirigeva il suo prestanome. Tale impostazione, attraverso poi la trasposizione in ambito delle società di capitali, arrivava a teorizzare il fallimento del socio tiranno, cioè del socio che si serve della società come cosa propria al fine di perseguire fini ed interessi del tutto personali.
Ora la nuova formulazione dell'art. 147 L.F. non consente più l'estensione di fallimento al socio illimitatamente responsabile della società di capitali che sia divenuto tale al di fuori della forma caratterizzante del tipo.
Il nuovo comma 1 dell'art. 147 infatti circoscrive espressamente la regola dell'estensione ai soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili, di società appartenenti “ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile”.
Così che, fuori da questi casi, non c'è la responsabilità patrimoniale “automatica” in estensione.
Presupposto per la dichiarazione di fallimento del dominus chiamato a rispondere di tutti i debiti delle società etero dirette, i cui creditori concorreranno sul suo patrimonio in concorso con i suoi creditori diretti, è l'autonomo accertamento dell'abuso del dominio sull'impresa.
In questa indagine - precisa la dottrina (Fimmanò, “Dal socio tiranno al dominus abusivo”) il momento centrale non è dato da indici formali come la qualità di socio unico (diretto o indiretto) oppure l'esistenza di un contratto di dominazione, ma dalla configurazione di un'attività di direzione dell'impresa, individuale o collettiva, abusiva. cioè contro l'interesse dell'impresa etero diretta e in violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale.
Così oggi, per effetto delle riforme, la ripercussione del fallimento di una società di capitali sull'imprenditore occulto, sulla holding di fatto od occulta passa attraverso il microsistema normativo di cui all'art. 2497 c.c. risultando disciplinata ed introdotta una nuova forma di responsabilità: quella da abusivo dominio, che potendo talora configurare un esercizio professionale dell'attività di impresa può generare, in caso di insolvenza, l'assoggettamento a procedure concorsuali del dominus.
Si tratta evidentemente di una procedura del tutto autonoma, cui può dare impulso il curatore, i creditori ed anche il P.M. dovendosi ritenere, una volta accertata l'esistenza di uno stato di comprovata insolvenza, che i legittimati ad agire siano tutti i soggetti indicati dall'art. 6 L.F.
La sentenza in commento compie un'ulteriore importante precisazione ovvero che l'invocata norma di cui all'art. 2497 c.c. sia applicabile in virtù di una lettura costituzionalmente orientata della norma anche all'ipotesi in cui il controllo del gruppo sia riconducibile ad una persona fisica - come nel caso di specie - quantunque il tenore letterale della disposizione in esame. utilizzando il concetto di “ente o persona giuridica”, sembri indurre ad escludere tale possibilità.
La giurisprudenza di merito si è in questo senso espressamente pronunciata di recente (cfr. Tribunale di Venezia 11/10/2012 in Le Società 1/2013) affermando che “la disciplina di cui agli art. 2497 c.c. e ss. è applicabile anche nei casi in cui ad esercitare attività di direzione e coordinamento sia una persona fisica o una holding di fatto” rilevando la sussistenza degli indici sintomatici dell'esistenza di una capogruppo di fatto e ciò in quanto le persone fisiche detenevano quote societarie delle società controllate e svolgevano ruoli preponderanti nell'amministrazione delle stesse; le attività e l'organizzazione delle società controllate erano da considerarsi etero dirette attraverso flussi costanti di direttive ed infine in quanto era stato possibile rinvenire ricavi derivanti da fatturati intercompany.

Conclusioni

E' evidente che il dominus non sarà automaticamente e necessariamente insolvente e fallibile come accade con il sistema dell'estensione per il socio illimitatamente responsabile nelle ipotesi contemplate dall'art. 147 l. fall., trattandosi di responsabilità comunque risarcitoria. Dall'altra parte il sistema complessivo in materia è sempre più orientato verso il modello della responsabilità risarcitoria piuttosto che della responsabilità patrimoniale. come confermano proprio le suindicate riforme (Nigro evidenzia che il nuovo art. 2476, comma 7, cc. ben può essere valorizzato per colpire con lo strumento della responsabilità risarcitoria forme di “dominio” abusivo del socio sulla società e per “compensare”, nel caso del socio unico, la drastica riduzione della responsabilità illimitata e l'inapplicabilità della regola).
Occorrerà, quindi, accertare se il dominus sia o meno capiente e quindi in grado di soddisfare le pretese creditorie rappresentate dal passivo delle società dominate assoggettate a procedura concorsuale - come nel caso della sentenza in commento - ed in secondo luogo accertare se abbia esercitato l'attività di direzione abusiva con quelle caratteristiche di stabilità, professionalità ed organizzazione che integrano lo status di imprenditore commerciale.
Addirittura la sentenza in commento si spinge oltre precisando che l'holding personale facente capo alla persona fisica accentrava in sé la direzione ed il coordinamento del gruppo, che aveva una sua qualificazione “identitaria” proprio nel nome della persona fisica, di talchè l'insolvenza della società ricorrente che aveva chiesto il fallimento della persona fisica, “formale” capogruppo, come pure quella delle plurime società controllate - accertata con diverse sentenze del Tribunale di Roma - è considerata prova evidente del fatto che anche lo holder persona fisica versasse in stato di insolvenza.
Il tribunale di Roma è arrivato a ritenere, al riguardo, che la decozione delle società partecipate fosse conseguenza dell'insolvenza dello holder, attesa l'esercitata funzione di gestione delle società partecipate.
Le conseguenze del sopradescritto fenomeno sono notevoli, ove si consideri che non si potrà più ammettere il fallimento del socio unico collegato semplicemente allo status di socio, ma solo nel caso in cui lo stesso abbia esercitato un'attività di etero direzione abusiva, in qualunque forma, anche contrattuale.
E così vengono definitivamente superate anche le varie soluzioni offerte in passato dalla dottrina, come quella della supersocietà, cioè della società di fatto tra persone fisiche e giuridiche (cfr. Ascarelli, Imprenditore occulto e partecipazione di una società di capitali ad una società di persone) e della holding tiranna (Trib. Messina, 15/2/1996; Trib. Bologna 23/10/1998, in Dir. Fall., 1999, II, 11254; Trib. Sulmona, 8/11/2005, in Fall., 2005, 952) che, applicando in estensione la regola della responsabilità illimitata del socio unico, ne sanciva l'imputazione dei debiti di ogni società del gruppo (cfr. Weigmann, Oltre l'unico azionista; Rordorf, Socio unico e società di capitali, in Giur. comm., 1994, 596), sino poi ad ammettere il conseguente fallimento in estensione dell'unico socio.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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