Dubbi e incertezze sull’autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione nel nuovo preconcordato

08 Agosto 2013

Non può essere concessa l'autorizzazione prevista dall'art. 161, comma 7, l. fall. in assenza di indicazione esplicative in merito al piano di concordato e dell'attestazione in merito alla coerenza dell'atto autorizzando con la fattibilità del piano.
Massima

Non può essere concessa l'autorizzazione prevista dall'art. 161, comma 7, l. fall. in assenza di indicazione esplicative in merito al piano di concordato e dell'attestazione in merito alla coerenza dell'atto autorizzando con la fattibilità del piano.

Non può essere eseguita in difetto di autorizzazione un'operazione di fusione pur se deliberata prima della domanda di concordato, in quanto si tratta di atto di straordinaria amministrazione, che non può essere concessa in difetto di prova dell'assenza di opposizioni.

Il caso

Viene chiesto al Tribunale di Roma di consentire ad una società che aveva depositato domanda di “pre-concordato” ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. di dare corso ad una operazione di fusione, sostenendosi in via principale che - essendo stata assunta la decisione prima della presentazione della domanda “prenotativa” - si trattasse di mero adempimento rientrante nell'ordinaria amministrazione.
In via subordinata la società chiede al Tribunale di autorizzare l'esecuzione dell'atto in quanto vantaggioso per le società coinvolte nella crisi della società concordataria.
Il Tribunale romano, anzitutto (invertendo in un certo senso l'esame delle domande), respinge l'istanza di autorizzazione ex art. 161, comma 7, l. fall., rilevando come il nuovo istituto del “concordato in bianco” (e così abbiamo utilizzato tutte le espressioni usate per definire la domanda prevista dell'art. 161, comma 6, l. fall., assimilata dai comparatisti alla face sheet petition della normativa statunitense) consenta sì al debitore di depositare una domanda che si risolve in una sorta di dichiarazione di intenti, priva di anticipazioni sul contenuto del piano concordatario, ma precisa che in tal caso l'autorizzabilità di atti di straordinaria amministrazione incontra precise limitazioni.
In particolare, il Tribunale muove dalla nota corrente della giurisprudenza di legittimità che limita decisamente il sindacato del Giudice sulla fattibilità del concordato per dedurne quasi a contrariis che, se quella valutazione è preclusa al Tribunale, per autorizzare preventivamente atti di particolare delicatezza per la società occorrerebbe investire l'organo giudiziario di una potestà di stabilire che, essendo fattibile il piano concordatario, si può dare da subito corso alle attività programmate dal debitore.
In sostanza, sul presupposto che il giudizio di fattibilità del concordato è rimesso all'esperto, i giudici capitolini escludono che con una richiesta di autorizzazione appoggiata ad una domanda “in bianco” il debitore possa in sostanza onerare il Tribunale di un giudizio preventivo circa la coerenza di atti con il piano concordatario non ancora formulato e del compito di anticipare una valutazione sulla sua fattibilità che non gli compete.
Per altro verso, il Tribunale romano esclude che la fusione - che si sviluppa come procedimento a formazione progressiva - possa essere perfezionata come se si trattasse di attività di ordinaria amministrazione sol perché alcune delle attività sono state già compiute. Rileva, poi, il decreto in commento come la richiesta della società in concordato postuli anche una inammissibile invasione del tribunale fallimentare in decisioni rimesse al tribunale delle imprese, laddove la società aveva prodotto solo una dichiarazione sostitutiva circa la mancata notifica di opposizione, essendo astrattamente possibile che taluna opposizione fosse ancora in itinere.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Una delle innovazioni introdotte dal Decreto Sviluppo (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134) che ha avuto immediato successo, è senza dubbio il cosiddetto “concordato in bianco”, ovvero la possibilità di realizzare a favore dell'impresa in crisi gli effetti protettivi tipici del concordato mediante una domanda “prenotativa” assai sintetica, con la quale il debitore si riserva di depositare il piano ed in generale tutti i documenti che occorrono per conseguire l'ammissione al concordato.
E' importante notare che, per effetto della presentazione della domanda “prenotativa” - come viene spesso definita -, non solo sono precluse ai creditori le iniziative che potrebbero pregiudicare il concorso per effetto di una retrodatazione degli effetti previsti dall'art. 168 l.fall., ma la presentazione della domanda ha anche l'effetto di rendere “prededucibili” i crediti che conseguano ad atti compiuti “legalmente”.
Il successivo settimo comma dell'art. 161 l. fall., in tal senso, fissa anche le conseguenze della presentazione della domanda: il debitore dovrà limitarsi agli atti di ordinaria amministrazione - di cui peraltro viene espressamente confermata la legittimità, di modo che non vi è dubbio che l'impresa possa contrarre obbligazioni ed effettuare pagamenti nell'ambito della gestione di impresa proseguita -, laddove gli atti di straordinaria amministrazione sono soggetti ad autorizzazione; è fondamentale notare che entrambe le tipologie di atti - atti di ordinaria amministrazione ed atti autorizzati - rientrano nell'ambito di quegli atti “legalmente” compiuti che vengono esentati da revocatoria e danno luogo a crediti prededucibili in quanto sorti nell'ambito della procedura concorsuale (E. Bertacchini, Crisi d'impresa tra contraddizioni e giuridica “vaghezza”. Riflessioni a margine del c.d. Decreto Sviluppo, in Contratto e Impr., 2013, 315 ss.; la prededuzione spetta senza limitazioni, come si evince dalla recentissima Cass., sez. I, 8 aprile 2013, n. 8533, in ilFallimentarista con commento di Lamanna).
Allo stesso meccanismo si ispira anche il successivo art. 182-quinquies l.fall. che consente di anticipare alla fase tra il deposito della domanda “prenotativa” e l'ammissione la facoltà di assumere decisioni riguardanti l'acquisizione di finanziamenti, se vengano definiti funzionali al miglior soddisfo dei creditori da un esperto. Ad essi - se autorizzati dal Tribunale previa assunzione di sommarie informazioni - spetta il rango prededucibile. Allo stesso modo, ma solo nel concordato “in continuità”, può essere autorizzato il pagamento di passività pregresse verso fornitori “strategici”.
Peraltro, come è noto, la normativa ha avuto una tiepidissima accoglienza da parte dei Giudici, tanto che addirittura il tribunale milanese, con un circolare di ottobre 2012, si è premurato di limitare drasticamente alcune delle possibilità concesse al debitore in crisi, ritenendo che a fronte di una domanda “in bianco”, il Tribunale non disponga degli elementi necessari per statuire che una serie di atti o pagamenti sarà funzionale al piano concordatario a quel momento ignoto (sulla stessa linea si muove Trib. Ravenna, 24 dicembre 2012, in Ilcaso.it, che non ritiene autorizzabile lo scioglimento di contratti ex art. 169-bis l.fall. in assenza di indicazioni sulla coerenza di tale scelta rispetto ad un piano di cui non sia anticipato il contenuto).
Anche il Tribunale romano, nella decisione in commento, sottolinea come la concessione di autorizzazioni nella fase “anticipatoria” del deposito del piano potrebbe costituire di fatto un'invasione dei giudici rispetto a valutazione e decisioni rimesse ad altre fasi del concordato; soprattutto, i giudici capitolini evidenziano come, in assenza di un piano e di una attestazione dell'esperto, verrebbe demandato al Tribunale un giudizio preventivo circa la fattibilità del concordato che dovrebbe poi basarsi su una struttura che solo in ipotesi dovrebbe prevedere le operazioni che si chiede di autorizzare.
In tal senso, il Tribunale rileva che la richiesta autorizzativa non contiene una previsione espressa in merito alla collocazione dell'operazione straordinaria all'interno del piano di concordato, di cui la società in crisi non avrebbe anticipato il contenuto, e per tale ragione ritiene irrilevanti le ragioni di opportunità esposte nella richiesta di autorizzazione, in quanto avulse da una valutazione sull'assetto globale dell'attività di impresa nell'ambito del piano e prive del supporto delle attestazioni di fattibilità dell'esperto indipendente.

Osservazioni

A chi scrive pare sicuramente corretta la decisione in commento per quel che concerne la ritenuta necessità di autorizzazione per dare compimento ad atti di straordinaria amministrazione, pur se già siano state compiute le attività ad esse prodromiche: se è vero che la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione si fonda anzitutto sulle conseguenze dell'atto rispetto al patrimonio, è indubbio che è il momento dell'esecuzione di una operazione, pur se già pattuita, che comporta tali effetti; nello stesso senso, in passato si è sanzionata la stipula non autorizzata di un atto di vendita pur se costituiva adempimento di preliminare (Cass., sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1357).
Per quel che concerne, invece, l'individuazione dei limiti entro i quali il decreto ipotizza possa essere concessa l'autorizzazione prevista dall'art. 161, comma 7, l. fall., è necessario spendere qualche parola in più.
Anzitutto, si potrebbe prendere spunto a contrariis dall'art. 169-bis legge fall. introdotto anch'esso dal D.L. n. 83/2012 per ritenere confermata la tesi, del resto già ampiamente seguita, secondo la quale nel concordato non vige la disciplina “sospensiva” dei rapporti pendenti tipica del fallimento: il debitore concordatario non subisce lo spossessamento (in realtà, lo subisce, seppure in forma “attenuata” proprio perché non può liberamente gestire la straordinaria amministrazione, come precisa S. Poli, Gli effetti del concordato in bianco, ovvero costi ed opportunità del nuovo istituto, in ilFallimentarista) e come contraltare non può sottrarsi all'adempimento degli obblighi contrattuali, salvo che venga autorizzato - e qui sta la novità della nuova disposizione, che peraltro non richiama espressamente il “concordato in bianco” (tanto che taluno dubita possa essere applicata prima dell'ammissione) - a sciogliersi da alcuni contratti che si ritengano non convenienti.
Vero è che la delibera di fusione non è un contratto da eseguire, ma in via interpretativa non si potrebbe escludere a priori che quella continuità gestionale (qui prescindiamo dal concetto di “continuità” utilizzato nell'art. 186-bis l. fall.) che dovrebbe caratterizzare il concordato potrebbe legittimare la richiesta di dare attuazione ad un progetto già deciso dalla società. In tal senso, l'intervento del tribunale previsto all'art. 161, comma 7, l. fall. è meramente “vicario” rispetto ad un potere autorizzativo che dopo l'ammissione torna in capo al Giudice delegato a norma dell'art. 167 l. fall. ed è pertanto evidente che quella disposizione è proprio dettata per consentire di compiere atti straordinari nel periodo anteriore all'ammissione (in tal senso, la norma risponde ad un dubbio che già si poneva in passato per gli atti tra il deposito della domanda “piena” e l'ammissione: un'isolata Trib. Roma, 14 luglio 1989, in Dir. Fall., 1990, II, 597 aveva, infatti, sostenuto che in quel periodo si potesse chiedere al Tribunale un autorizzazione, anche se - in difetto di una precisazione normativa che oggi si trae dall'art. 161, comma , l.fall., era una soluzione difficile da supportare), sul presupposto - questo sì imprescindibile - che si tratti di atti urgenti, ovvero non differibili al momento successivo all'ammissione (sul punto, v. F. Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità, in ilFallimentarista; la necessità dell'urgenza è anche confermata da Trib. Torino, 3 gennaio 2013, con nota di Baldassarre, Preconcordato e criteri per autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione, in ilFallimentarista).
Ma v'è di più: non si può non cogliere la differente scelta normativa che ispira il settimo comma dell'art. 161 l.fall. rispetto a quella che si evince dall'art. 182-quinquies l.fall.: solo in quest'ultima norma il legislatore ha sentito la necessità di imporre che la richiesta di anticipare nella fase del pre-concordato l'autorizzazione a richiedere nuova finanza o ad effettuare pagamenti altrimenti vietati venga supportata dal parere di un attestatore in merito alla funzionalità degli atti al miglior soddisfo dei creditori. Se si considera che la stessa prescrizione non viene ripetuta per gli atti urgenti di straordinaria amministrazione si può ritenere che il legislatore non abbia ritenuto necessario in quel caso se non una valutazione sommaria del Tribunale che quell'organo non può esimersi da compiere.
Ed invero, è del tutto evidente che tutti gli atti per i quali è stata concessa la facoltà di chiedere l'autorizzazione preventiva sono di natura straordinaria e per certo sono già di per sé attuativi del futuro piano concordatario: il fatto che le due norme citate prevedano esplicitamente che l'autorizzazione “anticipata” è ammessa, implica che il diniego di autorizzazione non potrebbe essere fondato su una inammissibilità “sistematica” della decisione che il Tribunale è chiamato a compiere, dovendosi invece ipotizzare un esame e semmai una reiezione per ragioni di merito.
D'altro canto, anche nell'art. 182-quinquies l. fall., l'intervento dell'attestatore non si estende a valutare anticipatamente la fattibilità del piano in relazione ai finanziamenti e/o ai pagamenti ipotizzati: per entrambe le tipologie è richiesto solo che si attesti che gli atti non andranno a pregiudicare il soddisfo dei creditori, condizione cui si aggiunge per i pagamenti l'attestazione sulla loro essenzialità ai fini della prosecuzione dell'attività.
A questo punto, vien da dubitare che la decisione di autorizzare anticipatamente il compimento di alcuni atti di straordinaria amministrazione (neppur ricompresi tra quelli previsti dall'art. 182-quinquies l. fall.) sia - come afferma il provvedimento in commento - legata ad una valutazione di fattibilità del concordato: si dovrebbe piuttosto ritenere che l'analisi sia limitata alla convenienza o meno della scelta specifica, così come avviene per la decisione di sciogliersi da un contratto pendente ex art. 169-bis l. fall., che comporta anch'essa una minusvalenza (essendo previsto l'indennizzo a favore della controparte negoziale, tanto che Trib. Piacenza, 5 aprile 2013, in Ilcaso.it ritiene che l'autorizzazione si fondi sul contemperamento delle reciproche posizioni delle parti negoziali), ma che può essere autorizzata in virtù della sua intrinseca convenienza (in tal senso, si veda la recente Trib. Torino, 3 gennaio 2013, in ilfallimentarista, cit., che ritiene autorizzabili gli atti se non sia necessario un esame del piano non ancora depositato). In tale prospettiva, se è vero che il piano concordatario può prevedere il soddisfo dei creditori a mezzo di operazioni straordinarie, occorre considerare che tali iniziative sono del tutto comuni nella vita normale di un'impresa e quindi anche una fusione può prescindere dal contesto di crisi e rispondere a ragioni di opportunità gestionale e quindi essere suscettibile di autorizzazione anche se scissa dal piano (in tal senso, arg. anche da Trib. Salerno, 25 ottobre 2012).
Ebbene, dal testo del provvedimento in commento emerge che la società in crisi aveva esposto nel proprio ricorso autorizzativo una serie di motivazioni pratico-economiche che rendevano conveniente - in senso oggettivo non necessariamente riferito al contesto concordatario - l'operazione di fusione; resta il dubbio sul fatto che tali esigenze siano state ritenute irrilevanti ai fini dell'autorizzazione.

Questioni aperte

L'impressione è che, al di là della questione specifica, che postula una conoscenza della condivisibilità nel merito delle deduzioni del debitore concordatario sui vantaggi dell'operazione, ci pare che la pronuncia capitolina sia la manifestazione delle incertezze scaturite dalla disciplina non sempre chiarissima introdotta dal legislatore con il “Decreto Sviluppo”.
Come detto, al momento l'unico intervento “strutturato” sulla disciplina del concordato in bianco sembra essere quello del Tribunale di Milano, che con la citata circolare del 18 ottobre 2012 ha fornito un'interpretazione assai restrittiva delle iniziative concesse al debitore tra il deposito della “domanda in bianco” e l'ammissione al concordato, escludendo nella maggior parte dei casi la possibilità di ottenere l'autorizzazione - pur se espressamente consentita dalle nuove norme anche a seguito della mera domanda ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. - a compiere una serie di atti in assenza di un piano che consenta di valutare la conformità delle scelte autorizzande alla struttura del concordato (tesi condivisa da E. Bertacchini, Crisi d'impresa tra contraddizioni e giuridica “vaghezza”, cit., 330 che sottolinea la necessità che le linee del piano siano quantomeno note all'esperto chiamato alle attestazioni previste dall'art. 182-quinquies l. fall.).
Si tratta di un sostanziale invito alla cautela, tanto più necessaria quanto più la domanda depositata ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. sia generica (non a caso, taluno ha parlato giustamente di domande “in bianco” e di domande tendenti al grigio che già anticipano la struttura del concordato) e, in tal senso, forse il legislatore avrebbe dovuto sviluppare meglio il testo delle due norme (l'art. 161, comma 7 e l'art. 182-quinquies l. fall.) che consentono al debitore di investire il Tribunale di scelte “urgenti” che possono risultare particolarmente delicate e che talora possono essere influenzate da una conoscenza ancora incerta circa la struttura che assumerà il concordato e da convinzioni errate dello stesso debitore (lo scrivente ha avuto l'esperienza diretta di un caso in cui è stato chiesto di autorizzare il pagamento parziale a fornitori strategici nell'ambito di una procedura che sarebbe stata sicuramente “in continuità”, in base alla convinzione del management sul fatto che i fornitori avrebbero in caso contrario bloccato le consegne: ebbene, negata l'autorizzazione dal Tribunale, solo pochissimi fornitori hanno creato problemi, laddove la maggioranza si è accontentata di ottenere il pagamento alla consegna anziché differito, soluzione che genera qualche difficoltà sui flussi, ma non compromette la produzione).
Peraltro, la questione è più generale: non vi è dubbio che con le modifiche apportate alla normativa concorsuale il legislatore ha voluto, per un verso, affrontare una situazione di crisi generale concedendo all'impresa in difficoltà un più agevole accesso a procedure di composizione negoziale del dissesto e, di contro, proseguire nella politica già collaudata volta a rendere il fallimento un'ipotesi residuale, nella corretta convinzione (che forse trae origine anche dalla previsione di istituti di allerta contenuta nel “progetto Trevisanato”, mai poi specificamente disciplinati, come osserva G. Lo Cascio, Percorsi virtuosi ed abusi nel concordato preventivo, in Fall. 2012, 891 ss.) che solo favorendo soluzioni anticipatorie si potrà eradicare il vizio dell'imprenditore italiano di ricorrere alle procedure solo quando ormai è troppo tardi per salvare l'attività e fors'anche per tutelare i creditori.
Se così è, anche nell'interpretare norme come l'art. 161, comma 6, l. fall. e quelle che sono ad esso collegate, occorre prendere atto che esse rispondono ad una precisa scelta (disperata, forse, e non necessariamente condivisibile) e si ispirano ad una ratio normativa che deve essere considerata, anche quando ciò comporta paradossalmente un ritorno a forme di intervento giudiziario che sembravano avversate (e che, invece vengono condivise da M. Fabiani, La prima disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Foro it., 2013, I, 1352 con riguardo specifico all'autorizzazione di cui all'art. 169-bis l .fall.); in sostanza, sembra che il legislatore abbia affidato al Tribunale, nell'ambito di una procedura concorsuale - che si apre “al buio” e che , in effetti potrebbe non divenire mai tale (pare che nella prassi non sia affatto raro che al ricorso “in bianco” non segua alcun deposito di piani concordatari o accordi di ristrutturazione, come segnala S. Poli, Gli effetti del concordato in bianco, ovvero costi ed opportunità del nuovo istituto, cit.) - una funzione tutoria più ampia, consentendo al debitore di gestire con una certa dinamicità l'attività di impresa anche compiendo atti di straordinaria amministrazione, ma solo previa autorizzazione del tribunale.
A riprova di ciò, si deve sottolineare che, nei casi previsti dall'art. 182-quinquies l. fall., il testo normativo sembra riservare esclusivamente al Tribunale - con l'ausilio di una attestazione indipendente che non ritengo possa essere censurata nel merito, ma solo nei limiti di sindacato individuati dalla citata sentenza 8533/2012 della Suprema Corte - e non al solo Giudice delegato (che invece dovrebbe essere tuttora competente ad autorizzare ex art. 167 l.fall. gli atti di straordinaria amministrazione dopo l'ammissione) la decisione sulla acquisizione di nuova finanza prededucibile e sul pagamento anticipato di debiti pregressi in deroga alla cristallizzazione del passivo.
I problemi più rilevanti sorgono, soprattutto, nel ricollegare il disposto del nuovo art. 161 l. fall. con la disciplina del “concordato in continuità” che è stato introdotto dal medesimo Decreto Sviluppo ed in funzione del quale è spesso necessario e non solo opportuno attuare iniziative volte a garantire la prosecuzione dell'attività, anche sul presupposto sottinteso - che del resto ispira anche gli artt. 104, 104-bis e 105 l. fall. - che sia sempre più conveniente per i creditori che si possa cedere aziende attive piuttosto che arrestare l'attività (come sottolinea E. Bertacchini, Crisi d'impresa tra contraddizioni e giuridica “vaghezza”, cit., 332): in questo caso, è ancor più evidente che le decisioni che dovrebbero essere autorizzate ai sensi degli artt. 161, comma 7, e 182-quinquies l. fall. sono spesso correlate ad esigenze conservative della continuità che non necessariamente sono collegate alla situazione concorsuale, ed in tal caso è necessario che tali iniziative vengano anticipate, previa valutazione sulla congruità di tali scelte con la finalità primaria del concordato che resta quella di tutelare il ceto creditorio e sull'effettiva necessità di anticiparne il compimento rispetto all'avvio della procedura vera e propria successivo al deposito del piano e dell'attestazione dell'esperto.

Conclusioni

Sicuramente il legislatore era mosso da lodevoli intenzioni quando ha introdotto la “domanda in bianco” per consentire al debitore di gestire la presentazione di una procedura di composizione della crisi senza l'assillo di iniziative dei creditori, ed il concordato in continuità per ribadire la necessità di tutelare la conservazione dell'azienda; peraltro, qualche parola in più forse avrebbe dovuto spenderla per chiarire quali documenti dovrebbero essere depositati per fare in modo che il Tribunale possa avere gli strumenti per comprendere almeno quale tipologia di procedura verrà poi proposta in concreto.
Occorre anche dare atto che la domanda prenotativa non necessariamente prelude ad un concordato preventivo, in quanto il debitore ha facoltà nel termine dilatorio concesso dal Tribunale di depositare un accordo di ristrutturazione per l'omologa e sotto tale profilo è comprensibile la preoccupazione del Tribunale di non influire con decisioni riconducibili ad una attività comunque “processuale” su rapporti che, in ipotesi, potrebbero poi essere lasciati al di fuori dell'accordo con i creditori a norma dell'art. 182-bis l. fall., che di fatto non necessariamente si estende a tutti i soggetti in rapporto con l'impresa.
Chi scrive ritiene, peraltro, che tale eventualità non influisca poi in modo così rilevante sulle possibili autorizzazioni del Tribunale, in quanto l'accordo di ristrutturazione si fonda su una più marcata dinamica negoziale, in forza della quale, comunque, i creditori non aderenti non dovrebbero subire pregiudizio dall'esecuzione dell'accordo omologato, laddove, di contro, il consenso dei creditori aderenti dovrebbe superare le perplessità sul compimento di atti prodromici che siano poi ricompresi nell'accordo stesso.
Il problema, peraltro, è più generale e riguarda a monte il mancato collegamento tra la domanda “in bianco” e le autorizzazioni che possono essere richieste ai sensi non tanto dell'art. 161, comma 7, l.fall. - che, come accennato, potrebbe anche riguardare atti di per sé utili a prescindere dal contesto concorsuale -, quanto dell'art. 182-quinquies l.fall.; è comprensibile, infatti, che in assenza di specificazioni minimali circa le origini del dissesto e le prospettive sulle quali si basa il concordato - a maggior ragione se “in continuità pura”, ovvero se si prevede la continuazione dell'attività in capo all'impresa in crisi - il Tribunale è chiamato ad una valutazione difficile anche perché il legislatore non ha precisato quali sarebbero le sommarie informazioni che potrebbero essere assunte per giungere alla decisione e che, evidentemente, riguardano proprio l'oggettiva congruità delle operazioni che si vorrebbero anticipare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sulla nuova disciplina sono ancora ovviamente limitati gli interventi: nel solco tracciato dalla citata circolare milanese, si vedano L. Panzani, Concordato in bianco e sospensiva su proposta di accordo di ristrutturazione: prime questioni, in ilFallimentarista, ove si ipotizza che il Tribunale possa subordinare la concessione di autorizzazioni al deposito di anticipazioni sul piano; A. Penta, Il concordato preventivo con continuità aziendale: luci e ombre, in Dir. fall., 2012, 673, che esprime perplessità sul compimento di atti in assenza della possibilità di verificarne la congruità rispetto ad un piano non ancora redatto, opinione espressa anche A. Patti, Rapporti pendenti nel concordato preventivo riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fall. 2013, 261 con riguardo all'autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti, peraltro con la precisazione che il testo della norma non consente di ritenere tout court preclusa l'autorizzazione a seguito della sola domanda “prenotativa”; al riguardo il dubbio sull'applicabilità dell'art. 169-bis l. fall. nel “preconcordato” ha dato vita a tesi contrastanti: contrari all'applicazione Trib. La Spezia, 25 ottobre 2012; F. Lamanna, La problematica relazione tra pre-concordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazioni del tribunale, in IlFallimentarista; P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, in Fall. 2013, 82 ss.; Trib. Pistoia, 30 ottobre 2012, in Fall. 2013, 74 ipotizza invece che sia possibile solo la sospensione e non lo scioglimento; a favore dell'applicazione estesa della norma si esprimono Trib. Salerno, 25 ottobre 2012, in ilFallimentarista e Trib. Monza, 16 gennaio 2013; in quest'ultimo senso v. anche M. Vitiello, Scioglimento e sospensione dei contratti pendenti nel concordato con riserva, in IlFallimentarista, laddove peraltro l'Autore ipotizza la necessità di una anticipazione dei contenuti del piano e della relazione dell'esperto; D. Fico, Applicabilità dell'art. 169-bis al concordato preventivo con riserva: scioglimento di un contratto di interest rate swap, in IlFallimentarista.
In giurisprudenza, la tesi secondo la quale le autorizzazioni del tribunale nell'ambito del periodo tra il deposito della domanda “in bianco” e l'ammissione postulano una disclosure sul contenuto del piano concordatario è sostenuta da Trib. Monza, 21 gennaio 2013, in Ilcaso.it e dalla recente Trib. Roma, 20 febbraio 2013, in IlFallimentarista, con riguardo alla autorizzazione di cui all'art. 169-bis l.fall.; nello stesso senso, E. Marinucci, La domanda di concordato preventivo dopo il «decreto sviluppo»: legge fallimentare e bankruptcy code a confronto, in Riv.dir.Proc., 426 ss. ritiene che le autorizzazioni previste dall'art. 161, comma 7, l.fall. postulino almeno l'anticipazione delle linee del piano concordatario.
Più in generale, sulla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria autorizzazione nell'ambito di procedure aperte dopo il “Decreto Sviluppo”, si vedano Trib. Terni, 10 dicembre 2012; Trib. Modena, 14 novembre 2012; Trib. Terni, 12 ottobre 2012, in Fall. 2013, 99; Trib. Modena, 14 settembre 2012, ibidem, 105; Trib. Milano, 23 novembre 2012; come osserva P. Baldassarre, Preconcordato e criteri per autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione, in IlFallimentarista, la recente giurisprudenza mutua dall'orientamento di legittimità pre-riforma l'interpretazione secondo la quale devono considerarsi di straordinaria amministrazione gli atti che possano incidere in modo negativo sul patrimonio destinato al soddisfo dei creditori (v. anche F. Lo Presti, Preconcordato e autorizzazioni eventualmente necessarie per l'utilizzo di linee di credito a breve termine (cd. autoliquidanti), in IlFallimentarista). Ed invero, in passato si riteneva pacifico che l'elenco degli atti soggetti ad autorizzazione contenuto nell'art. 167 cpv. l.fall. fosse meramente esemplificativo (Cass., 8 agosto 1997, n. 7390; Trib. Foggia, 7 aprile 1989, in Dir.Fall., 1989, II, 960; Trib. Reggio Emilia, 15 gennaio 1981, in Dir.Fall., 1982, II, 1107; Cass., 17 maggio 1974, n. 1433; Cass., 5 dicembre 1970, n. 2556), occorrendo individuare un criterio discretivo generale su cui fondare la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione; sul punto, superata una tesi risalente che applicava il criterio utilizzato per la tutela degli incapaci e dei minori (Cass., 21.2.1969, n. 592; Cass., 10.8.1966, n. 2173) e ciò sul rilievo che nell'ambito della gestione imprenditoriale, la distinzione è assai labile (Cass., 26.3.1997, n. 2674), si era giunti alla conclusione che “il carattere di atto di straordinaria amministrazione dipende dalla sua idoneità ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore” (Cass., 20 ottobre 2005, n. 20291; Cass., 11 agosto 2004, n. 15484; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2972, ove si sottolinea che gli atti di gestione normale non devono alterare la situazione su cui si fonda la proposta di concordato; v. amplius G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, VII ed., Milano, 2008, 424 ss.).
Sotto un profilo più specifico, come osserva P. Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo “con riserva”, cit., 93 ss., la norma riformata risolve il problema della disciplina degli atti compiuti nel “limbo” tra la domanda e l'ammissione; sul punto, già ante riforma era indiscusso che il debitore possa in pendenza di concordato liberamente contrarre obbligazioni, fare proposte contrattuali ed accettarle nell'esercizio della sua impresa, restando titolare dei rapporti conseguiti (Cass., 20.3.1990, n. 2320; T. Genova, 27.7.1985, ivi, 1986, 893). Per quel che concerneva, invece, gli atti di straordinaria amministrazione, stante la competenza specifica del Giudice Delegato ad autorizzarne il compimento, la dottrina si divideva tra due tesi radicali: alcuni ritenevano che al debitore fosse tout court precluso sino all'ammissione ogni atto che esulasse dall'ordinaria amministrazione (LO CASCIO G., Il concordato preventivo, cit., 416 che richiamava una risalente Trib. Genova, 18.3.1958, in Foro It., 1959, I, 1799); la tesi opposta riteneva, invece, che il deposito del ricorso comportasse solo il divieto di azioni esecutive e non anche gli effetti del concordato per il debitore (AA.VV., Il concordato preventivo e quello stragiudiziale, in Ragusa Maggiore e Costa (a cura di) Le procedure concorsuali - Procedure minori, Torino, 2001, 91) che, quindi poteva compierli liberamente, salvo poi subire una sanzione ex post se si fosse trattato di atti censurabili (CENSONI, Osservazioni sugli effetti prodromici del concordato preventivo, in Dir.Fall., 1976, II, 612; T. Pescara, 15.11.1974, in Dir.Fall., 1976, II, 612). La giurisprudenza di merito, per parte sua, in passato tendeva a far coincidere il momento iniziale di applicazione della norma con quello della domanda (T. Foggia, 8.4.1983, in Dir.Fall., 1983, II, 958; T. Milano, 30.12.1976, in Dir.Fall., 1977, II, 270; T. Pescara, 15.11.1974, in Dir.Fall., 1976, II. 612; contra T. Firenze, 19.1.1982, in Dir.Fall., 1982, II, 1558); anche in sede di legittimità la tesi della retrodatazione, sostenuta per l'ormai abrogata amministrazione controllata (Cass., 28.11.1991, n. 12804; Cass., 12.3.1990, n. 2004) e per un certo periodo negata invece per il concordato (Cass., 10.7.1999, n. 7272; Cass., 23.7.1994, n. 6870), aveva poi finito col prevalere (Cass., 10.2.2006, n. 2972; Cass., 12.10.1999, n. 11432), anche se non constano pronunzie specifiche sulle conseguenze di atti di straordinaria amministrazione non autorizzati tra il deposito della domanda e l'ammissione.

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