Esecuzione forzata dopo l'omologa del concordato, limiti della risoluzione per inadempimento e tutela dei creditori

02 Agosto 2013

Il creditore, il cui diritto sia sorto prima dell'ammissione al concordato preventivo del suo debitore, può iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del medesimo soggetto una volta conclusa con il decreto di omologazione la fase del procedimento, nel rispetto tuttavia, dei termini sostanziali della proposta e del piano approvati dai creditori e resi per tutti obbligatori dal provvedimento del Tribunale.
Massima

Il creditore, il cui diritto sia sorto prima dell'ammissione al concordato preventivo del suo debitore, può iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del medesimo soggetto una volta conclusa con il decreto di omologazione la fase del procedimento, nel rispetto tuttavia, dei termini sostanziali della proposta e del piano approvati dai creditori e resi per tutti obbligatori dal provvedimento del Tribunale.

Il caso

Il G.E., chiamato a decidere sulla richiesta di sospensione dell'esecuzione forzata avanzata dal liquidatore giudiziale di un'impresa che aveva già ottenuto l'omologazione del concordato preventivo, osservato che il divieto di azioni esecutive è stabilito dall'art. 168 l. fall. solo “fino all'omologazione del concordato” e che successivamente il creditore può accedere a tutti gli strumenti a tutela del suo credito, in primis all'esecuzione forzata, respinge l'istanza sospensiva ritenendo che l'azione esecutiva esperita tutelasse ragioni creditorie non erose dal piano concordatario.

Le questioni giuridiche

A valle dell'omologazione ciascun creditore deriva dallo strumento concordatario un diritto (normalmente di credito) pieno, che potrà essere semmai diverso da quello originariamente vantato verso l'impresa in bonis, ma che certamente può esercitare nei limiti del suo contenuto. In tale contesto, atteso che il contemperamento dei contrapposti interessi facenti capo ai diversi creditori è assicurato dall'approvazione secondo il principio maggioritario e dal controllo giudiziale in sede di omologa, è comprensibile come non meriti tutela la pretesa dell'impresa in concordato preventivo, avanzata nel caso de quo dal liquidatore giudiziale, di non dare attuazione a ciò che spetta al singolo creditore (ovviamente secondo i modi ed i tempi previsti).
E invero è la rilevazione della natura privilegiata del credito, riconosciuta in sede concordataria per intero, a sorreggere la conclusione del Tribunale di Milano circa la piena efficacia, ai fini esecutivi, del decreto ingiuntivo divenuto definitivo prima del decreto di apertura della procedura. Parimenti, l'azione esecutiva intrapresa viene considerata “conforme” alle previsioni concordatarie anche sotto il profilo dei tempi di attuazione, ossia prima della liquidazione dell'attivo finalizzata all'esecuzione del piano, proprio in considerazione della specifica previsione della soddisfazione del credito "fuori riparto", data la originaria natura di credito ipotecario e la necessità di assicurare adeguata tutela ai creditori ipotecari anche a valle della cancellazione delle stesse ipoteche per come disposta dal decreto di omologa del concordato preventivo.
D'altra parte, però, bisogna tenere in considerazione che le superiori considerazioni sono coerenti con le stesse finalità della procedura concorsuale solo se le statuizioni contenute nel piano ed approvate dalla maggioranza dei creditori presentino un certo carattere di stabilità. Diversamente, la stessa attività esecutiva diventerebbe uno strumento capace di avvantaggiare uno dei creditori a danno degli altri, che si troverebbero esposti al rischio di perdere sia la parte della garanzia patrimoniale corrispondente all'oggetto dell'esecuzione nel frattempo attivata sia i vantaggi connessi alla soluzione di equilibrio fra le varie ragioni dei creditori rappresentata dal concordato sul quale avevano espresso il voto.
Ecco così emergere il vero thema decidendum, ossia se la tutela dei creditori dopo l'omologazione sia limitata soltanto all'azione di risoluzione per inadempimento contemplata dall'art. 186 l. fall. o se, invece, la facoltà di chiedere la risoluzione si aggiunga agli ordinari strumenti di tutela del credito. A favore della seconda soluzione depone l'indicazione letterale dell'art. 168 l. fall., laddove chiaramente circoscrive il divieto di azioni esecutive alla fase che va dalla presentazione della domanda alla definitiva omologazione del concordato. Va anzi evidenziato l'accento legislativo sulla definitività dell'omologazione come limite di operatività del divieto di azioni esecutive, a ulteriore dimostrazione che in pendenza di eventuale reclamo al decreto di omologa valgono le stesse esigenze precedenti all'omologazione, proprio perché la tutela individuale del credito costituisce una minaccia delle finalità concorsuali della procedura fintantoché non si raggiunga un certo carattere di stabilità.
Tuttavia, il precedente rilievo non basta a dare compiuta sistemazione al problema, proprio perché la possibilità che il concordato “salti” porta con sé il rischio che vengano tradite le finalità della procedura. È allora dirimente stabilire a quali finalità risponda la risolubilità ex art. 186 l. fall. e in quali termini il giudice debba valutare che l'inadempimento abbia scarsa importanza. Si ricorda in proposito che tale requisito dell'inadempimento è stato introdotto dal d. lgs. n. 169/2007, in coerenza con il ruolo assegnato dalla riforma all'istituto del concordato preventivo. Sotto il regime previgente era, infatti, orientata in senso opposto la giurisprudenza pressoché costante (v. ad es. Cass. 27 dicembre 1996, n. 11503: “nel giudizio di risoluzione del concordato preventivo per inadempimento degli obblighi concordatari, il tribunale non ha altro compito né altro potere che quello di accertare se il concordato sia stato eseguito o meno, nei termini e con le modalità stabiliti nella sentenza di omologazione, senza alcun margine di discrezionalità in ordine alla valutazione della gravità o all'imputabilità dell'inadempimento”).
Più esplicitamente si tratta di vedere se l'azione di risoluzione sia ordinario strumento di protezione delle ragioni del singolo creditore (Rago), in ragione di un nesso sinallagmatico (Amadio) che allora caratterizza per definizione lo stesso concordato; o se, invece, si tratti di una sorta di azione di classe, con la conseguenza che il termine di valutazione non potrà mai essere l'interesse del singolo creditore insoddisfatto ma l'incidenza dell'inadempimento sull'attuazione delle finalità della procedura (Fauceglia), cui ancorare lo stesso concetto di “scarsa importanza”.
E, invero, proprio la valutazione dell'importanza dell'inadempimento vale a chiarire meglio il senso del discorso, perché se la si ritiene riferibile all'interesse del singolo. anche la mancata soddisfazione di un credito minimale in relazione ai valori complessivi della procedura abiliterebbe il giudice a pronunciare la risoluzione, dal momento che per il singolo si tratterebbe della violazione del suo interesse per intero. Diversamente, se la si valuta in relazione al complessivo assetto di interessi recepito nel piano concordatario, l'inadempimento dovrebbe rivestire una carattere di rilevanza tale da determinare (anche solo potenzialmente) la frustrazione delle finalità concordatarie, rispondendo così ad una funzione tutt'affatto diversa dall'ordinaria azione di risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c. (D. Restuccia).
La mia opinione è decisamente nel secondo senso, ed è fondata sulla rilevazione della causa del concordato come strumento per la regolazione della crisi di impresa attraverso la realizzazione degli interessi dei creditori secondo le condizioni date, in un'ottica cioè molto diversa dalla sinallagmaticità negoziale di diritto comune; e ciò trae conferma dal tenore dallo stesso art. 186 l. fall., che nel circoscrivere temporalmente la proponibilità dell'azione nell'anno dal termine fissato per l'ultimo adempimento la collega implicitamente al complessivo equilibrio concordatario.

Conclusioni

Nella prospettiva testé ventilata lo stesso provvedimento in commento acquista una luce più chiara, assumendo coerenza la convivenza della stessa azione di risoluzione con gli ordinari strumenti di tutela del credito (per esempio una ordinaria azione di risoluzione per inadempimento ai sensi dell'art. 1453 c.c., nel caso in cui sopravviva fra il creditore e l'impresa in concordato un contratto a prestazioni corrispettive, esclusa ovviamente in radice la possibilità che un tale strumento di tutela possa riflettersi sul concordato in sé), là dove i secondi assicurano tutela ai singoli e la prima serve a garantire il raggiungimento delle finalità della procedura. A ragionar diversamente, infatti, si dovrebbe ammettere che il concordato possa essere caducato su iniziativa del singolo creditore rimasto insoddisfatto, smentendo cioè quel carattere di stabilità della procedura, al quale la stessa possibilità di azioni esecutive individuali è ancorata. Detto altrimenti: se il concordato potesse (facilmente) risolversi in ragione dell'insoddisfazione del singolo creditore, la facoltà di agire esecutivamente finirebbe per diventare un potenziale strumento di prevaricazione degli altri creditori perché potrebbe darsi il caso di uno o più creditori soddisfatti secondo le previsioni concordatarie in esito alla vittoriosa esecuzione, mentre gli altri creditori, per essere stato risoluto il concordato, sarebbero costretti a soddisfarsi su ciò che resta del patrimonio aziendale ma senza l'equilibrio fra le diverse ragioni rappresentato dal piano concordatario caducato.
Nel contesto così delineato, e tenendo massimamente in considerazione le esigenze di stabilità del concordato, spetta al giudice dell'esecuzione valutare se l'azione esecutiva promossa sia conforme alle previsioni del piano e che, quindi, la sua attuazione non avvenga con modalità tali da compromettere la piena realizzazione degli interessi cristallizzati nel concordato. Coerentemente con l'esercizio di tale potere, il G.E. ha nel caso di specie valutato l'assenza di cause ostative alla prosecuzione del pignoramento presso terzi promossa contro l'impresa in concordato in ragione dei seguenti elementi: i) il piano aveva previsto il soddisfacimento integrale, in termini ravvicinati e “fuori riparto”, dei crediti azionati; ii) la soddisfazione di tali crediti non era subordinata all'osservanza di alcun'altra modalità; iii) i beni oggetto di esecuzione non presentavano alcuna specifica destinazione strumentale all'attuazione del concordato né risultavano vincolati in altra direzione.
In definitiva, in sede di esecuzione forzata promossa da un creditore concordatario, al giudice dell'esecuzione è assegnato il ruolo di verificare che l'azione promossa non sia in contrasto con le previsioni del piano approvato, essendo necessario che anche in questa fase venga svolto un controllo circa la legittimità dell'azione esecutiva intrapresa, teso ad evitare possibili prevaricazioni a danno degli altri creditori, anche al fine di mantenere intatta la possibilità di piena attuazione del concordato e così la sua stabilità.

Minimi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali

Riconduce all'ordinaria azione di risoluzione per inadempimento quella prevista dall'art. 186 l. fall., G. Rago, La risoluzione del concordato preventivo tra passato, presente e …futuro, nota a Trib. Roma, 14 marzo 2007, in Fall., 2007, 1214.
Per l'indicazione della necessità sul piano sistematico che sia indissolubile il legame fra il nesso sinallagmatico che corre tra le prestazioni contrattuali e l'azione di risoluzione per inadempimento di cui all'art. 1453 c.c. v., da ultimo, G. Amadio, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, in Trattato del contratto, V, Rimedi, diretto da V. Roppo, Milano, 2006, 67 e ss. Avverte della necessità di valutare criticamente i limiti di applicabilità della disciplina di cui all'art. 1453 ss. alla risoluzione per inadempimento del concordato preventivo, al fine di non cadere in errati dogmatismi, D. Restuccia, La risoluzione per inadempimento del concordato preventivo, nota a Trib. Piacenza, 19 agosto 2009, in Dir. Fall., 338 ss.
Lega l'importanza dell'inadempimento alle finalità della procedura G. Fauceglia, Esecuzione, risoluzione e annullamento del concordato preventivo, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, 1769.
Sulla causa del concordato preventivo, v. Cass., S.U., 23 gennaio 2013, n. 1521.

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