Opposizione all’omologa, indipendenza dell’attestatore, trattamento delle classi e giudizio di cram down

Luigi Amerigo Bottai
10 Luglio 2013

Ai fini del giudizio di convenienza (cram down) richiesto dal creditore opponente occorre stabilire la quota di attivo netto spettante al detto creditore nei due scenari comparabili, concordatario e fallimentare, tenuto conto delle maggiori spese prevedibili nella procedura residuale (il fallimento).
Massima

Ai fini del giudizio di convenienza (cram down) richiesto dal creditore opponente occorre stabilire la quota di attivo netto spettante al detto creditore nei due scenari comparabili, concordatario e fallimentare, tenuto conto delle maggiori spese prevedibili nella procedura residuale (il fallimento).
All'uopo, la situazione fattuale rilevante è quella esistente al momento della decisione sull'omologazione, considerando anche gli eventi successivi alla votazione, in ossequio al principio generale della prevalenza dell'interesse della massa dei creditori su quello del soggetto in procedura.
Neanche la disciplina legislativa introdotta dall'art. 33 D.L. n. 83/2012 vieta che la relazione prevista dall'art. 160, comma 2, l. fall. (in caso di falcidia dei creditori privilegiati) sia sottoscritta dallo stesso professionista che assiste il debitore nella redazione della domanda di concordato; né prescrive che ogni attestazione sia redatta da un professionista diverso.
Il previgente art. 161, comma 3, l. fall. - applicabile alla fattispecie ratione temporis - escludeva qualsiasi incompatibilità tra il professionista attestatore e quello che aveva prestato in precedenza la sua attività professionale in favore del debitore, essendo menzionati dalla norma i soli requisiti richiesti per la nomina a curatore.
E' ammissibile la formazione di classi con uguale trattamento, se giustificata da un'oggettiva diversità di interessi.
I voti pervenuti successivamente all'adunanza sono computabili anche ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi (non solo dei crediti), essendo dovuta la mancata menzione delle classi nell'art. 178 a un mero difetto di coordinamento con la normativa preesistente che non contemplava le classi.
Il creditore volontariamente postergato deve essere ammesso al voto, non avendo rinunciato al credito e non potendo equipararsi alla posizione del socio.

Il caso

Una proposta di concordato preventivo con cessio bonorum, rettificata a seguito dei rilievi del commissario e di fatti sopravvenuti, prevedeva la suddivisione dei creditori in sei classi:
1) crediti con privilegio speciale (ipoteche) su immobili, nei limiti del valore di realizzo periziato;
2) crediti con privilegio generale, nei limiti del valore di realizzo dei restanti cespiti;
3) chirografi ab origine, trattati presumibilmente (in difetto di specificazione nel decreto) con finanza esterna;
4) chirografi per la quota degradata dal privilegio speciale incapiente, con postergazione rispetto alla percentuale assegnata ai chirografi naturali;
5) chirografi per la quota degradata dal privilegio generale incapiente, postergati rispetto alla percentuale assegnata ai chirografi naturali, ai quali è attribuita la stessa soddisfazione della classe precedente;
6) creditori postergati volontariamente.
Approvata la proposta dalla maggioranza dei creditori e delle classi, veniva fissata l'udienza per l'omologazione del concordato. Nelle more si stipulavano due compravendite immobiliari e veniva versata dai soci la c.d. finanza esterna. Il creditore ipotecario si opponeva all'omologa, sollevando varie censure:
a) mancanza di terzietà dell'attestatore e del professionista autore della relazione ex art. 160 cpv.;
b) illegittima formazione delle classi e del computo della maggioranza;
c) non convenienza della soluzione concordataria per l'ipotecario opponente.
Il Tribunale pronuncia le statuizioni sopra riportate come massime e, in accoglimento dell'ultimo profilo evidenziato (nel merito), rigetta la domanda di omologazione; tuttavia - secondo una prassi non riscontrabile in alcun altro ordinamento - trasmette il provvedimento al PM in sede affinché valuti se richiedere il fallimento della società.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Diversi e importanti sono i temi affrontati nel provvedimento, che meritano un seppur breve commento, data la loro frequente ricorrenza nei concordati. In primis la disciplina sull'indipendenza dell'attestatore (e sull'esperto tenuto ad asseverare l'insufficiente capienza dei beni sui quali si esercitano i privilegi), affinata e dettagliata con l'ultimo intervento legislativo dell'estate 2012; passando per l'ammissibilità della formazione di classi di crediti cui attribuire la medesima percentuale, fino al non sopito problema del trattamento minimo da riservare alle classi di crediti privilegiati regrediti al grado chirografario per infruttuosità dei cespiti su cui grava la garanzia; dall'ammissione alla votazione dei creditori postergati volontariamente, all'individuazione del metodo più idoneo per confrontare gli esiti delle liquidazioni del patrimonio nelle procedure alternative del concordato e del fallimento onde stabilire con ragionevolezza la convenienza di una soluzione rispetto all'altra nel caso di contestazione.
Il Tribunale orobico offre sintetiche ma efficaci argomentazioni a sostegno delle decisioni assunte (salvo, secondo chi scrive, per quanto concerne la questione di merito sulla migliore riuscita della liquidazione fallimentare, per le ragioni appresso illustrate), consentendo al lettore di ripercorrere una “panoramica” a vol d'oiseau degli istituti appena menzionati.

Osservazioni: a) sui professionisti attestatori

In replica alle censure formulate dal creditore opponente il Collegio esamina dapprima le questioni lato sensu pregiudiziali, a partire dalla posizione dei due professionisti che hanno elaborato le relazioni prescritte dagli artt. 160, comma 2, e 161, comma 3, l. fall., dal punto di vista della sussistenza dei requisiti d'indipendenza (l'impugnante aveva eccepito che i due attestatori facevano parte dello stesso studio professionale). Prendendo le mosse dalla disciplina previgente l'entrata in vigore della novella del 2012 (D.L. n. 83, conv. con modif. nella L. n. 134, applicabile alle procedure instaurate dall'11.9.2012), che ha specificato i requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), i giudici lombardi ribadiscono come “lo stesso professionista che assiste il debitore nella redazione della domanda di concordato” possa sottoscrivere l'asseverazione giurata ex art. 160 cpv. per l'ipotesi di falcidia dei crediti aventi privilegio incapiente sui beni vincolati a garanzia. Notano, invero, che l'attuale regolamentazione, più restrittiva, esige soltanto che costui “non abbia prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo”; e, quanto all'attestatore della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano (e della proposta), richiamano le pronunce di Cass. 19.10.2009, n. 22927 e Cass. 4.2.2009, n. 2706, per confermare l'esclusione di incompatibilità tra l'attestatore medesimo e quel professionista che in precedenza abbia operato in favore del debitore, in virtù del pregresso rinvio normativo ai “soli requisiti richiesti per la nomina a curatore” (art. 28, lett. a e b, l. fall.), secondo l'orientamento pacifico nel regime anteriore al settembre 2012. Concludono affermando che la legge attuale prevede un'incompatibilità tra i professionisti attestatori e il consulente storico della debitrice, “senza arrivare a prescrivere che ogni attestazione sia redatta da un professionista diverso”.
Al riguardo, è superfluo rammentare come tali professionisti - la cui nomina compete esclusivamente al debitore - siano presenti in tutti gli istituti che regolano la crisi d'impresa e svolgano un ruolo “certificativo” e informativo della massima importanza, poiché sulla completezza, coerenza e congruità dei loro elaborati si fonda l'esenzione da revocatoria degli atti esecutivi dei piani attestati di risanamento e il sindacato del tribunale nell'omologazione degli AdR e nell'ammissione al concordato preventivo (cfr., da ultimo, Cass. S.U. 23.1.2013, n. 1521). Limitando il discorso a questa procedura, l'attestatore di cui agli artt. 161, 182-quinquies e 186-bis, al pari del professionista che, a termini dell'art. 160 cpv., deve attribuire un valore di mercato (liquidatorio) ai beni e diritti sui quali sussistono le cause di prelazione al fine di stabilirne la falcidia massima - equiparati in forza del nuovo art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., come modificato dall'art. 33, comma 1, lett. a), n. 1), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 -, debbono essere iscritti nel registro dei revisori legali e possedere, oltre alle caratteristiche di cui all'art. 28, lett. a) e b), l. fall. (essere avvocato e/o dottore commercialista o ragioniere commercialista, ovvero studio professionale associato), requisiti d'indipendenza e imparzialità ben precisati: in particolare, i professionisti in questione non devono essere legati all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento (es. assuntori, acquirenti o newco) da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio (v. art. 51 c.p.c. sull'astensione del giudice), e, in ogni caso, non incorrere nelle cause d'ineleggibilità e decadenza previste per i sindaci di s.p.a. dall'art. 2399 c.c., oltre a non aver prestato, neanche per il tramite di soggetti con i quali sono uniti in associazione professionale, negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo (cfr. V. Lenoci, Ruolo e responsabilità dell'esperto. L'indipendenza e il richiamo alla disciplina sui sindaci, in questa Rivista, sez. Focus e approfondimenti, Speciale Decreto Sviluppo).
Non è previsto un meccanismo di ricusazione (come avviene, invece, per i CTU: art. 63 c.p.c.), benché l'eventuale infrazione conduca comunque a far dubitare dell'attendibilità delle rispettive relazioni - valutazione demandata ovviamente al commissario giudiziale, il quale potrà avviare il procedimento ex art. 173 l. fall. ove la gravità del caso lo richieda. Altro deterrente, nei casi di relazioni inadeguate che abbiano determinato l'inammissibilità del c.p., è rappresentato dall'esperibilità dell'azione di responsabilità civile da parte del curatore del susseguente fallimento, volta al risarcimento dei danni arrecati alla massa dei creditori, da commisurare almeno all'aggravamento del dissesto in termini di nuovi debiti, maggiori interessi passivi e spese prededucibili ai sensi dell'art. 161, comma 7 (v. anche D. Galletti, La responsabilità civile dell'attestatore nel fallimento, IlFallimentarista.it, sez. Focus e approfondimenti, 11.3.2013).
Come osservato in dottrina, gli attestatori non sono consulenti tecnici di parte, perché hanno un obbligo di fedele rappresentazione dei dati e di obiettiva valutazione del piano, sanzionati persino penalmente (art. 236-bis l. fall.; v. M. Fabiani, Nuovi incentivi per la regolazione concordata della crisi d'impresa, Corr. giur., 2012, 1265 ss.) ed evidenziati dalla garanzia di indipendenza dal debitore, oggi rafforzata dall'art. 67, comma 3, lett. d). Di certo, alla luce della spiccata tecnicalità e del continuo affinamento dei canoni e principi della revisione aziendale, cui si deve ispirare il loro lavoro, la responsabilità e la conseguente reputazione sul mercato costituiranno le più efficienti sanzioni nei confronti di una così essenziale categoria professionale (cfr. F. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto Sviluppo”, in Il Civilista, Giuffré, 2012, 13 ss.).

b) il “trattamento a zero” di alcune classi

Nella fattispecie in commento erano previste due classi di crediti (privilegiati speciali e generali) degradati al chirografo per la parte incapiente e non soddisfatte per tale quota (rectius, postergate al soddisfacimento percentuale dei naturali chirografari); di talché l'opponente ha sollevato specifica doglianza. Il decreto ha bypassato il problema, asserendo come un loro pagamento non potesse “teoricamente escludersi nel caso di risultati dell'attività liquidatoria superiori alle attese ovvero di annullamento di un accertamento tributario” rilevante. Ma in ipotesi di probabile insoddisfazione, valutabile in base alla sola prospettazione del proponente, il gravame sarebbe risultato fondato.
E' noto il dibattito sul punto (sul quale v., per tutti, L. Panzani, Creditori privilegiati, chirografari e classi nel concordato preventivo, in AA.VV., La crisi d'impresa, a cura di F. Di Marzio, Padova, 2010, 372 s.): v'è chi ritiene inammissibili le classi c.d. a costo zero - o simbolico - per difetto genetico della causa del negozio concordatario e violazione della norma che impone un soddisfacimento di tutti i creditori (art. 160: Trib. Roma, 16.4.2008, Dir. Fall., 2008, II, 551, con nota di C. Piccininni), laddove all'opposto si ricordano non soltanto le ipotesi dei crediti postergati, bensì pure le forme di soddisfazione diverse dal pagamento allorché, ad es., si consideri il vantaggio fiscale della deduzione integrale dal reddito d'esercizio delle perdite su crediti verso soggetti in concordato oppure, per le banche, la liberazione del capitale di riserva accantonato ex lege per ciascuna posizione creditoria, al pari dell'elisione dei costi di gestione del credito. Così l'Autore sopra citato, richiamando la legittimità dello zero plan tedesco, definisce la diversa utilità economica ritraibile per la classe a costo zero “una particolare forma che può assumere il trattamento differenziato delle classi”, a condizione ben inteso che un'utilità residui per taluni creditori (L. Panzani, op. cit., 373).

c) la formazione di classi con uguale trattamento

Anche in ordine all'ammissibilità dell'istituzione di classi di crediti soddisfatte in identica misura sussiste divergenza di opinioni in dottrina e in giurisprudenza. Il tribunale di Bergamo la ammette “se giustificata da una oggettiva diversità di interessi” (nella specie, i crediti muniti di privilegio speciale e generale, trattati diversamente per la parte capiente e in modo uguale, ma in classi distinte, in relazione alla quota chirografaria regredita), potendo altrimenti “inquinarsi” la formazione della maggioranza delle classi mediante un'indebita proliferazione delle stesse. E così pure Trib. Mantova, 12.4.2012, e molteplici altre decisioni (es. Trib. Terni, 24.6.2010, Fall., 2010, 1336). Altri sostengono anche un argomento letterale, secondo cui la norma dell'art. 160 l. fall. prevede in due lettere differenti (rispettivamente c e d) la facoltà di suddividere i creditori in classi e quella, autonoma, di offrire loro trattamenti differenziati, in funzione dell'esigenza di assicurare omogeneità alle ragioni di voto (cfr. R. Sacchi, Atti del convegno di Milano 21.10.2008, in Fall., 2009, Alleg.; G.B. Nardecchia, Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, vol. 2, Milano, 2010, 395).
La creazione di più classi alle quali venisse destinato il medesimo soddisfacimento percentuale è giudicata invece illegittima da Trib. Roma 2.8.2010, in Ilcaso.it, doc. 2405/10, Trib. Milano, 3.4.2013, Alga spa, ined. e da F. Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, Milano, 2011, 230, il quale ritiene che il debitore possa "ragionevolmente formare classi all'unico scopo di trattare diversamente i creditori" e, quindi, che sussista un onere per il proponente di offrire trattamenti differenziati in ipotesi di classamento. Sull'argomento cfr., inoltre, e pluribus, G. Bozza, Concordato preventivo e classi, Fall., 2009, 423 ss.; M. Vitiello, Il concordato preventivo con classi nella prospettiva liquidatoria e nella prospettiva di risanamento, in IlFallimentarista.it, 23.12.2011; e da ultimo C. Trentini, Omogeneità dell'interesse, privilegiati degradati e questioni varie in tema di classi, nota a Trib. Milano, 27.9.2012, in questa Rivista, 22.1.2013. Il dubbio è comunque superabile agevolmente assegnando percentuali minimamente differenziate. Per un'esatta configurazione del tema dell'abuso del diritto, in cui potrebbe incorrere chi non rispettasse la descritta differenziazione, v. Cass. 10.2.2011, n. 3274, per la quale “è tuttavia da escludersi, innanzitutto, che l'abuso possa consistere nella violazione della par condicio creditorum, intesa come trattamento paritario, salve le cause di prelazione, trattandosi di ricostruzione esclusa dallo stesso legislatore dal momento che, ad esempio e decisivamente, in caso di concordato con classi nulla vieta ed è anzi esplicitamente ipotizzato come possibile un trattamento differenziato, non solo per quanto attiene ai mezzi satisfattivi, ma anche in relazione alla percentuale offerta, con il solo limite del trattamento uguale all'interno delle singole classi accomunate dalla identità della posizione giuridica e dalla omogeneità dell'interesse economico”.

d) i postergati volontari

Ulteriore eccezione di illegittimità della proposta concordataria è rinvenuta dall'opponente nell'inserimento nel piano e nella votazione di un creditore postergato (volontariamente), come tale da soddisfare extra-concorso e, dunque, non abilitato ad influire sulle maggioranze (quantitativa e per classi). Diversa è l'opinione dei giudici, i quali hanno statuito che il “creditore postergato volontario deve essere ammesso al voto, non avendo rinunciato al credito (da soddisfare dopo il pagamento della percentuale prevista per gli altri chirografari), e non potendo essere considerato neppure indirettamente socio della debitrice, derivando il suo credito da una normale vicenda contrattuale”.
Occorre premettere come qui ci si riferisca unicamente alla postergazione c.d. volontaria o convenzionale, la quale si distingue da quella legale di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. (che, per complessità, richiederebbe un commento a sé), in quanto la natura del credito resta ordinaria, laddove in ipotesi di postergazione ex lege (ad es. del socio finanziatore nelle condizioni date dalle citate disposizioni) il credito non è considerato concorsuale poiché il finanziamento viene equiparato all'apporto di capitale di rischio (Trib. Firenze, 26.4.2010, Ilcaso.it), come tale rimborsabile solo alla fine della vita della società o, prima, se non risulti intaccata l'integrale e tempestiva soddisfazione di tutti i creditori sociali (art. 2491 c.c.).
Finanche su questo tema (trattato funditus da D. Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Quaderni di Giur. comm., 2012, spec. 437 ss.) la divisione degli interpreti è netta: da un lato si sostiene che, se la soddisfazione dei postergati è solo eventuale (verosimilmente irrealizzabile), essi non hanno diritto di concorrere a determinare le sorti di un concordato per loro irrilevante (Trib. Perugia 16.7.2012; Trib. La Spezia, 23.2.2006, in Osservatorio-oci.org; cfr. S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, Vol. XI, Tomo I, Padova, 2008, 45); d'altro canto si replica che il creditore autopostergatosi debba partecipare al voto essendo comunque destinatario della proposta concordataria, seppure dopo il parziale soddisfacimento degli altri creditori. Egli non rinuncia al credito ma solo e volontariamente si pospone nel concorso sostanziale sul patrimonio del debitore (v. già Trib. Bologna, 26.10.2006, Fall., 2007, 109, s.m.). Sottolinea M. Fabiani, Concordato preventivo e creditori postergati, Fall., 2012, 673 ss., che “l'interpretazione ad excludendum patrocinata dalle Corti sembra muoversi più sul filo della diffidenza che sul filo dell'esegesi delle norme. Di questa diffidenza occorre farsi carico. Se il timore principale è quello di voler evitare che i concordati siano destinati ad essere approvati più dalla forza dei soci che da quella dei creditori, la cautela che occorre adottare è costituita, come ricordato, dalla necessità di collocare i creditori postergati in classi autonome in modo se non proprio da sterilizzare il voto, quanto meno in modo da renderlo sindacabile attraverso un possibile accesso al giudizio di convenienza (…). Ciò che appare importante, in ogni caso, è non creare le condizioni per un ulteriore arresto all'erogazione di fonti finanziarie per le imprese e non a caso l'art. 182-quater l. fall. nella parte in cui ha elevato al rango prededucibile il credito che sarebbe normalmente postergato (sebbene solo per l'80%), ha dimostrato che non è opportuno "maltrattare" coloro che concedono fiducia all'impresa immettendo nuove risorse sotto forma di finanziamento. È chiaro che l'apporto di equity sarebbe preferibile, ma lo stesso art. 2467 c.c. non ha optato per una soluzione radicale quale sarebbe stata la piena parificazione fra finanziamenti e capitale” (in senso analogo, L. Guglielmucci, Codice commentato del fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Milano, 2013, sub art. 124, 1619 s.; O. De Cicco, Concordato preventivo e classi di creditori: dalla postergazione alla prededuzione, Giur. comm., 2011, 257).
Ne consegue che, ferma restando l'obbligatoria formazione di una classe riservata a detti postergati - in quanto soddisfatti condizionatamente e comunque non contestualmente agli altri -, in termini di politica del diritto il generale principio di coerenza dell'ordinamento sembra precludere la legittimità di un'estensione interpretativa del novero dei destinatari delle norme codicistiche sui finanziamenti c.d. subordinati, stante la chiara voluntas legis della riformata disciplina della crisi d'impresa (oltre che la natura eccezionale dell'art. 2467 c.c.: cfr. L. Panzani, Creditori privilegiati, chirografari e classi nel concordato preventivo, in AA.VV., La crisi d'impresa, cit., Padova, 2010, 350 s.).

e) il giudizio di cram down

Sull'ultimo motivo dell'opposizione all'omologa in esame, incentrato sulla convenienza dei risultati attesi della liquidazione concordataria rispetto allo scenario fallimentare, i giudici orobici effettuano un raffronto numerico tra le valutazioni offerte dal perito nelle due ipotesi alternative allegando persino un prospetto riepilogativo delle varie eventualità (es. abbattimenti del 20%, 30% e 50%, calcolo delle spese di procedura, vendite immediate o differite degli immobili). Dal confronto sarebbe emerso come anche “nell'ipotesi più pessimistica di una vendita di tutti gli immobili ipotecati dal creditore opponente al 50% del valore periziato dal CTU, il predetto creditore ipotecario riceverebbe, tenuto conto delle maggiori spese della procedura fallimentare, l'importo di € 795.311,37, superiore alla somma di € 782.400,48 prevista dall'ipotesi concordataria”: una differenza prognostica meramente ipotetica di 13.000 euro ha così determinato il fallimento! Ed anche i creditori privilegiati generali, sostiene il tribunale, “espanderebbero la loro soddisfazione oltre la percentuale concordataria del 20% (…), sia pure a scapito dei chirografari”. Ma costoro non figuravano opponenti e, dunque, la pronuncia non avrebbe dovuto considerarli. Qui, ad avviso di chi scrive, si è operata una valutazione comparativa metodologicamente erronea, oltre che parzialmente illegittima: erronea, perché il divario pressoché impercettibile (€ 13mila) è del tutto opinabile, ossia non basato su dati concreti inconfutabili, e relativo ad uno scenario (quello fallimentare) notoriamente deteriore quanto agli esiti e soprattutto ai tempi delle vendite - le statistiche Istat sulle aste dimostrano che i risultati sono mediamente inferiori del 40% rispetto ai prezzi di partenza, ai quali vanno aggiunti i costi di procedura, custodia e amministrazione (ca. il 19%) e i tempi enormemente lunghi -, elementi dei quali non si è tenuto interamente conto nella decisione. In tal guisa la prognosi (teorica) resta disancorata dalla reale maggiore onerosità della procedura d'insolvenza.
Si è, inoltre, adottata una prospettiva - nell'ottica visuale dei creditori privilegiati generali - non richiesta dall'opponente (privo della qualità in discorso) e non rilevabile d'ufficio a termini del chiaro disposto dell'art. 180, comma 4, ult. prop., l. fall. In proposito è stato, inoltre, correttamente opinato in giurisprudenza come l'opponente all'omologa debba anche dimostrare prima facie la fondatezza della propria pretesa, se diversa nel quantum dall'importo ammesso al voto (cfr. Trib. Firenze, 26.4.2010, cit., Riv. dir. comm., 2011, II, 467).
L'impressione che si trae dalla lettura della norma appena menzionata sul giudizio di convenienza (art. 180, comma 4), rimesso, nei casi stabiliti, al tribunale - il quale “può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili” -, è quella di un ampio spazio discrezionale riconsegnato al giudice, in apparente controtendenza con quanto la riforma gli ha tolto: in altri termini, il sindacato in questione sembra non essere coerente con il principio di disintermediazione giudiziaria che si dovrebbe, pur a fatica, affermare in linea con la voluntas legis. Tuttavia ciò si giustifica per la necessaria tutela giurisdizionale dei diritti di credito che la Costituzione sempre assicura in modo pieno (art. 42), finanche nelle procedure concorsuali dove vige il principio di maggioranza. Benché la volontà della maggior parte dei creditori acconsenta al trattamento proposto nel concordato, il raffronto tra la percentuale offerta e il dividendo che il creditore dissenziente avrebbe potuto ragionevolmente ottenere dalla liquidazione coattiva (i.e. dal fallimento) del patrimonio del debitore costituisce il contrappeso insopprimibile che tutela il diritto di proprietà asseritamente conculcato, in applicazione della garanzia costituzionale appena accennata (v. G. Terranova, Problemi di diritto concorsuale, Roma, 2011, 143).
Per meglio comprendere il metodo in questione basti osservare come negli U.S.A., “patria” del cram down (trad.= far ingoiare q.sa a q.no, ancorché l'espressione sia assente nel Bankruptcy Code), esso indichi uno dei due modi con i quali si perviene all'omologa del piano (confirmation), l'altro essendo quello consensuale. Il proponente può ottenere dal tribunale la conferma del piano, sebbene una o più classi di creditori (o azionisti) pregiudicati abbiano votato contro, qualora i 12 requisiti previsti dal par. 1129(a) risultino soddisfatti. In presenza di contestazioni (objection) occorrerà procedere al superamento del fair and equitable test (sec. 1129b2A), ossia alla dimostrazione che il piano assegna a ciascuna delle classi un trattamento almeno equivalente a quanto avrebbe ottenuto secondo l'ordine di preferenza fissato dal diritto comune (non-bankruptcy laws), allo scopo di evitare ogni unfair discrimination.
Il criterio determinativo del valore di mercato attribuibile ai beni o diritti da liquidare è però quanto di più opinabile: il debitore, infatti, inducendo l'esperto a tenere bassa la stima, pregiudicherebbe il soddisfacimento dei titolari di prelazione sul bene liberando risorse a vantaggio di categorie ad essi posposte (ecco perché almeno nel concordato fallimentare la designazione del perito è riservata al tribunale e non al debitore). Laddove, al contrario, mantenendo un valore di perizia elevato, si danneggerebbero i chirografari (B. Adler, Game-theoretic bankruptcy valuation, NY University 28 dicembre 2006; D. Baird & D. Bernstein, Absolute priority, valuation uncertainty, and the reorganization bargain, Chicago University, sept. 2005, entrambi reperibili in www.ssrn.com). Avverso una stima errata non resterebbe che l'azione di danni verso il perito ovvero, più pragmaticamente, l'espletamento di una c.t.u. di revisione nel giudizio di opposizione all'omologa. Nella fattispecie in commento, tuttavia, una differenza ipotetica di soli 13mila euro ha cagionato il rigetto dell'omologa del concordato e, paradosso dei paradossi, l'invio degli atti al PM per la richiesta di fallimento…

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate direttamente nello svolgimento del commento.

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