Falcidiabilità dell’Iva e delle ritenute nell’ambito del concordato preventivo

Enrico Stasi
03 Luglio 2013

E' ammissibile la falcidia del credito dell'erario per l'Iva, al pari di tutti gli altri crediti muniti di privilegio generale, con l'unico limite sancito dall'art. 160, comma 2, l. fall., ivi compreso quello del rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione.
Massima

E' ammissibile la falcidia del credito dell'erario per l'Iva, al pari di tutti gli altri crediti muniti di privilegio generale, con l'unico limite sancito dall'art. 160, comma 2, l. fall., ivi compreso quello del rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione.

Il caso

Una società in liquidazione presenta, innanzi al Tribunale di Como, una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo contenente una proposta di pagamento in misura percentuale del credito Iva. Il tribunale, aderendo all'orientamento critico formatosi in dottrina e in giurisprudenza nei confronti dell'indirizzo interpretativo prescelto dai giudici di legittimità, ha ritenuto ammissibile la falcidia del credito Iva e ha ammesso la società ricorrente alla procedura di concordato preventivo.

Adesione alla soluzione accolta dal Tribunale di Como

La decisione che si commenta riveste particolare interesse perché, unitamente ad alcune altre recenti pronunzie dei giudici di merito (Trib. Varese, 30 giugno 2012; Trib. Perugia, 16 luglio 2012), si pone in consapevole e motivato contrasto con i principi enunciati dalla Corte di Cassazione nelle note sentenze gemelle n. 22931 e n. 22932 del 4 novembre 2011 in tema di infalcidiabilità dell'iva nell'ambito del concordato preventivo.
Non può sfuggire la profonda sintonia fra il provvedimento di cui trattasi e quella parte della dottrina (cfr., fra gli altri, F. LAMANNA, Graduazione tra IVA, ritenute fiscali e altri privilegi generali nel concordato in caso di incapienza dei beni su cui farli valere, in IlFallimentarista.it; S. AMBROSINI - M. AIELLO, La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall. nella sentenza n. 22932/2011 della Cassazione: contribuenti allegri…ma non troppo, in IlFallimentarista.it.; G. ANDREANI, Transazione fiscale: questioni aperte alla luce dei più recenti orientamenti di giurisprudenza e amministrazione finanziaria, in IlFallimentarista.it; cui sia consentito aggiungere E. STASI, Considerazioni critiche alla tesi della cassazione sull'infalcidiabilità dell'IVA, in IlFallimentarista.it.) che ha severamente criticato l'impostazione accolta dai giudici di legittimità sotto l'influsso delle tesi contenute nel lavori scientifici di colui che delle citate sentenze è stato l'estensore.
Ed infatti, detta sintonia emerge fin dalla prima critica, da cui muove la pronuncia in commento, alle sentenze della Suprema Corte là dove esse affermano, con particolare riferimento all'Iva ma con un ragionamento valido anche per gli altri crediti erariali esclusi dalla falcidia, che ciò che convince della inderogabilità della prescrizione di cui al primo comma dell'art. 182-ter “è la natura della stessa in quanto non si tratta di norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale ma di norma sostanziale in quanto attiene al trattamento dei crediti nell'ambito dell'esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi” (Il principio di intangibilità del credito Iva è stato, poi, confermato da Cass., 16 maggio 2012, n. 7667).
In proposito, il Tribunale di Como (sulla falsariga di quanto già rilevato dal Tribunale di Varese nella decisione del 30 giugno 2012, cit.) fa condivisibilmente osservare che “la qualificazione della norma de qua nei termini dianzi indicati in termini sostanziali e, quindi, l'inerenza della stessa alla collocazione del credito, ne dovrebbe, in ipotesi, comportare l'operatività non solo in tutte le procedure concorsuali, ma anche nelle procedure esecutive individuali, con la conseguenza che l'estensione della regola del trattamento del credito Iva (…) dall'ambito della transazione fiscale a quello del concordatario lascerebbe, comunque, impregiudicata l'imparità di trattamento del medesimo credito nelle procedure esecutive individuali, imparità non consona alla sottolineata peculiare rilevanza comunitaria del credito de quo, e ciò anche a prescindere dal carattere speciale della previsione dettata nella sola disciplina della transazione fiscale”. In altri termini, come ho già avuto modo di evidenziare in altri lavori (E. STASI, Considerazioni critiche alla tesi della cassazione sull'infalcidiabilità dell'IVA, cit.) e come ha recentemente osservato il Tribunale di Perugia nella menzionata decisione del 16 luglio 2012, attribuire ai precetti che disciplinano, dal punto di vista sostanziale, il contenuto della transazione fiscale una portata che va oltre lo speciale perimetro normativo in cui sono destinati ad operare, rovesciando, per la sola procedura di concordato preventivo, l'ordine delle prelazioni mobiliari, è un approccio interpretativo che non può non lasciare fortemente perplessi. In primo luogo, perché di una consimile volontà del legislatore non vi è traccia né nei lavori preparatori, né nelle relazioni illustrative che hanno accompagnato l'introduzione dell'art. 182-ter e le sue successive modificazioni ed integrazioni o nella stessa legge di delega per la riforma del diritto fallimentare (l. 14.5.2005, n. 80), il che già schiuderebbe la porta a censure di incostituzionalità sotto il profilo dell'eccesso di delega. In secondo luogo, perché una norma che dovesse davvero anteporre ai crediti privilegiati ex art. 2777 c.c. i crediti del fisco posti ai gradini più bassi della scala dei privilegi di cui all'art. 2778 c.c. difficilmente riuscirebbe a superare il vaglio di ragionevolezza attesa la rilevanza che la Costituzione attribuisce ai crediti dei lavoratori (artt. 1, 2, 3, 35 e 36 Cost.).
Ed è, appunto, a questa inaccettabile conseguenza che conduce la soluzione accolta dalla Cassazione, tutte le volte in cui nel patrimonio del debitore vi siano risorse appena sufficienti a fronteggiare i crediti fiscali che l'art. 182-ter dichiara infalcidiabili, giacché, in questo caso, sarebbero proprio i titolari di questi crediti ad essere sacrificati per primi. Né, per superare questa obbiezione, appare conferente il richiamo, contenuto nella sopra menzionata sentenza della Corte di Cassazione, alla diversa fattispecie della prededuzione, trattandosi, come autorevole dottrina non ha mancato di sottolineare, “di istituto peculiare (destinato ad operare per quei soli crediti muniti, ex art. 111, comma 2, l. fall., di un nesso di occasionalità o funzionalità con la procedura concorsuale, oltre che negli altri casi espressamente previsti dalla legge) e comunque inidoneo a sovvertire l'ordine dei privilegi, che, come è noto, per il caso di incapienza dell'attivo trova applicazione anche nell'ipotesi di conflitto tra pretese prededucibili”. D'altro canto, sembra ragionevole pensare che se il legislatore avesse avuto veramente l'intenzione di derogare all'ordine di preferenza dei privilegi fissato dagli artt. 2777 e 2778 c.c. non avrebbe mancato di dirlo espressamente, introducendo nel testo del 2° comma dell'art. 160, l. fall. un'apposita clausola di salvezza (sarebbe stato infatti sufficiente precisare «salvo il disposto del primo comma dell'art. 182-ter per quanto attiene ai crediti erariali non falcidiabili»).
Come la pronuncia in esame non manca di sottolineare, ammettere che il credito Iva possa essere fatto oggetto di falcidia nel piano concordatario non significa lasciare alla scelta discrezionale del debitore l'assoggettamento all'onere del pagamento integrale dell'imposta, giacché, in base al disposto del secondo comma dell'art. 160 l. fall., il pagamento in misura percentuale del tributo è possibile soltanto nell'ipotesi in cui il patrimonio del debitore non sia sufficiente a coprire il grado di privilegio che assiste il credito erariale. In quest'ottica appare, dunque, inconferente il richiamo alle sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee in tema di condoni Iva (vale a dire la sentenza 11 dicembre 2008, n. 174, menzionata nelle pronunce della Cassazione del 4 novembre 2012, nonché la sentenza 29 marzo 2012, n. 500, richiamata nella successiva decisione n. 7667 del 16 maggio 2012), in quanto nella procedura di concordato preventivo (così come avviene allorché l'Erario interviene nelle procedure fallimentari o agisce in executivis nei confronti del debitore) lo Stato non rinuncia alla riscossione dell'imposta (se il patrimonio dell'imprenditore è capiente, i crediti erariali privilegiati vanno comunque pagati nella loro interezza), ma subisce gli effetti dell'incapienza del patrimonio del debitore, certificata da un professionista in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall. ed avallata dalle indagini e verifiche compiute dal commissario giudiziale. E' importante ricordare che secondo i giudici comunitari sono illegittimi, alla stregua delle disposizioni dettate dalla direttiva 2006/112 (artt. 2, n. 1, lett. a), c) e d), e 193-273, i quali hanno sostituito dal 1° gennaio 2007 gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva) e dal Trattato CE (art. 10), soltanto i condoni fiscali che implicano una rinuncia generale ed indiscriminata dello Stato all'accertamento delle operazioni imponibili e alla riscossione del tributo.

Osservazioni critiche alla tesi della non falcidiabilità dell'IVA e delle ritenute come misura compensativa delle illecite appropriazioni del debitore

Consapevole del fatto che il richiamo al diritto comunitario non può valere a giustificare la previsione di integrale pagamento anche del credito per le ritenute d'imposta operate e non versate (a cui dovrebbero aggiungersi, secondo alcune corti di merito, anche i crediti contributivi di cui all'art. 2778, n. 1, c.c., in forza delle prescrizioni dettate dal d.m. 4 agosto 2009), una recente giurisprudenza - Trib. Milano, 22 novembre 2012, ined. - ha cercato di spiegare in termini più ampi la ratio della disposizione di cui trattasi, affermando che essa risponde all'esigenza di ristabilire l'equilibrio patrimoniale violato dalla indebita appropriazione, da parte del debitore, di risorse proprie dell'Erario.
L'iter logico del giudice si snoda - in sintesi - attraverso i seguenti passaggi argomentativi:
a) “con riferimento alla genesi del credito IVA, si evidenzia come si tratta di un tributo che si applica indistintamente a tutti gli operatori economici (principio di generalità); il tributo grava sull'utilizzatore finale (consumatore) del bene o del servizio reso e non incide in alcuna delle transazioni che precedono la fase del consumo (principio di neutralità). La liquidazione del credito IVA per i soggetti di imposta si basa sull'obbligo di rivalsa e sul meccanismo delle detrazioni e viene versata nei limiti della differenza tra l'IVA per cessioni e prestazioni rese (IVA addebitata dal contribuente ai clienti o IVA “a valle”) e l'IVA che il contribuente ha pagato ai propri fornitori per cessioni di beni o prestazioni di servizi ricevute (IVA “a monte”). Al netto delle suddette compensazioni il soggetto d'imposta matura, corrispondentemente alla crescita del valore aggiunto per le cessioni fatte, un debito per IVA via via crescente”;
b) “quanto alla genesi del debito per ritenute, trattasi di tributo legato all'utilizzo di fattori produttivi da parte dell'imprenditore, che cresce con l'utilizzo degli stessi (…) e che l'imprenditore deve versare in luogo e per conto del contribuente quale suo sostituto d'imposta per effetto dell'utilizzo della prestazione utilizzata”;
c) “nel momento in cui l'imprenditore omette il pagamento dell'IVA o delle ritenute, si è appropriato di risorse proprie dell'Erario, addebitate al cessionario della prestazione in caso di IVA e che avrebbe dovuto versare in luogo del dipendente/collaboratore sostituito in caso di ritenute. Così facendo, l'imprenditore, anziché gestire transitoriamente e provvisoriamente dette somme, se ne è indebitamente appropriato, quando - al momento - in cui si verificava il presupposto impositivo - dette somme andavano riversate tempestivamente all'Erario. Tale omissione comporta un credito per l'Agenzia delle Entrate (oltre che per sanzioni e interessi) che deve godere di trattamento differenziato rispetto agli altri creditori e che giustifica un trattamento differenziato per detto creditore rispetto agli altri creditori in caso di presentazione della domanda di concordato”;
d) “il principio di generalità dell'imposta, unitamente al fatto che l'omesso versamento di ritenute e IVA (al netto della compensazione con l'IVA a monte) costituisce una indebita appropriazione delle risorse dell'Erario, legittima un trattamento privilegiato dell'Erario, tale da metterlo al riparo dal rischio di insolvenza del debitore in caso di proposizione di procedura concordataria. Al riguardo, al legislatore è parsa insufficiente la tutela di diritto comune (che prevede l'attribuzione di un privilegio generale mobiliare di 18° e 19° grado con collocazione sussidiaria sulle masse immobiliari). Il legislatore ha, invero, inteso optare per l'immeritevolezza dell'imprenditore che, essendosi scientemente appropriato delle somme corrispondenti a quelle che avrebbe dovuto versare quali imposte erariali (nonché collegate all'andamento del ciclo economico), abbia inteso falcidiare detti crediti negli stessi termini in cui li avrebbe falcidiati secondo al disciplina di diritto comune; ciò ha fatto inasprendo il trattamento di detti crediti nella misura in cui li ha integrati rispetto ad ogni altro credito, salva la dilazione”;
e) “tale tutela (aggiuntiva) del Fisco fa da contrappeso alla non indispensabilità del consenso dell'Amministrazione Finanziaria ai fini dell'omologazione del concordato, sia che il debitore acceda al deposito della transazione fiscale, sia che decida di omettere tale adempimento, consentendo solo in caso di trattamento antergato di detti crediti (conseguenti a detta appropriazione di risorse da parte dell'imprenditore) che gli stessi siano sottomessi alla “dittatura della maggioranza” in caso di raggiungimento delle maggioranze di cui all'art. 177 l. f. Viceversa, permane la tutela “ordinaria” di detti crediti (secondo l'ordine di graduazione) ove il debitore non faccia ricorso alla soluzione concordataria”;
f) “non si ravvisa, pertanto, alcuna disparità di trattamento a termini dell'art. 3 Cost. del credito erariale rispetto agli altri crediti in tema di concordato preventivo”;
g) “la soluzione della non falcidiabilità dei suddetti crediti erariali è, poi, stata ribadita dal legislatore in relazione alla disciplina delle crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili, ove - novellando in virtù dell'art. 18 d.l. 179/12 l'art. 7 l. 3/12 - è stato previsto che per i crediti Iva e ritenute operate e non versate “il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento” (art. 7 l. 3/12). In virtù di tale novella deve ritenersi acquisito nell'ordinamento il principio (non più costituente norma eccezionale, come è stato diversamente osservato dalla dottrina) secondo il quale il soggetto che intenda proporre un piano concordatario non possa falcidiare i crediti derivanti da IVA e ritenute operate e non versate”;
h) “il pagamento integrale del debito per IVA e ritenute operate e non versate costituisce, pertanto, condizione di ammissibilità della procedura concordataria, sia che si faccia ricorso alla liquidazione dei beni dell'impresa, sia che si rimetta la soddisfazione a risorse esterne all'impresa”;
i) “da tali elementi deve ritenersi giustificato (conformemente all'interpretazione data dalla Suprema Corte), in caso di procedura concordataria, un diverso trattamento del credito per IVA e ritenute non versate rispetto alla disciplina liquidatoria (individuale e concorsuale), che il debitore acceda o meno al procedimento di transazione fiscale”;
l) “la proposta concordataria, la quale prevede il pagamento in misura falcidiata del debito tributario per IVA e ritenute va, pertanto, dichiarata inammissibile.”
Ma, a parte la difficoltà di comprendere la ragione per la quale dovrebbero essere i creditori a subire le conseguenze delle illecite condotte dell'imprenditore ed a prescindere dalla considerazione che il requisito della meritevolezza è stato espunto dal nostro ordinamento concorsuale con la riforma del 2005, al pari dei precedenti penali come causa ostativa all'ammissione alla procedura (e non si può far rientrare dalla finestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta), la tesi del Tribunale di Milano non convince anche per una serie di ulteriori motivi. Anzitutto perché essa non tiene conto che, fatta eccezione per il regime dell'Iva per cassa di recente introduzione (peraltro per un periodo di tempo non superiore ad un anno dalla effettuazione dell'operazione, a meno che l'acquirente/committente, prima del decorso di tale termine, non sia stato assoggettato a procedure concorsuali) e per le operazioni effettuate nei confronti della Pubblica Amministrazione, l'Iva dev'essere versata dal soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibile anche se la fattura non è stata da lui incassata e, spesso, l'imprenditore in crisi di liquidità non ha (anche) le risorse per anticipare il tributo. In questo caso, dunque, è quanto meno fuorviante parlare di "appropriazione" di “risorse dell'Erario” da parte del cedente/prestatore: semmai è il cessionario /committente che si finanzia deducendo un'imposta non pagata. Più delicato è, invece, il discorso per le ritenute operate e non versate. Ma anche qui non è che l'imprenditore si appropri di somme a lui versate da altri con vincolo di destinazione, quanto piuttosto che egli non dispone di risorse sufficienti per pagare le retribuzioni e soddisfare anche il debito del sostituto d'imposta verso l'erario (perché, ad esempio, i clienti ritardano a pagare o non pagano, i fidi bancari non hanno più capienza, è necessario tacitare i fornitori strategici per non compromettere la continuità aziendale, ecc.). Ad ogni buon conto - ed il rilievo appare decisivo - la natura appropriativa della condotta di omesso versamento delle ritenute fiscali (e delle ritenute previdenziali ed assistenziali) da parte datore di lavoro é stata esclusa dalla sentenza 19 gennaio 2005, n. 1327, delle Sezioni Unite della Cassazione penale, per difetto del requisito della “altruità” della somma trattenuta per il versamento all'Erario (si veda anche Cass. pen., sez. un., 20 ottobre 2011, n. 37954, che, in base allo stesso principio di diritto, ha escluso la sussistenza del reato di appropriazione indebita nel caso di omesso versamento da parte del datore di lavoro della quota di retribuzione dovuta al lavoratore e da questo ceduta al terzo).
Anche l'argomento che fa leva sul fatto che l'integrale pagamento dei crediti erariali di cui trattasi sia annoverato tra i requisiti di ammissibilità della proposta di accordo di cui all'art. 7 l. n. 3/2012 mi sembra poco persuasivo: non solo perché è quanto meno lecito dubitare della tenuta costituzionale di una norma che, nella sostanza, antepone i crediti erariali in discorso a quelli di cui agli artt. 2751-bis, i quali - come si è già messo in luce - riflettono valori primari del nostro ordinamento costituzionale, ma anche perché nella disciplina delle crisi di indebitamento non è presente una norma che vieti l'alterazione dell'ordine legale delle cause di prelazione. Inoltre, non mi sembra privo di rilievo il fatto che, nell'art. 7 cit., la norma che sancisce la non falcidiabilità dell'Iva e delle ritenute sia posta, in rapporto di regola-eccezione, subito a quella che ripete pressoché verbatim il disposto del comma 2 dell'art. 160 l. fall. in tema di pagamento non integrale dei crediti muniti di privilegio, mentre nella legge fallimentare quella stessa disposizione è collocata all'interno di un peculiare istituto, come è quello della transazione fiscale di cui all'art. 182-ter (non contemplato dalla l. n. 3/2012), diretto a disciplinare modalità, contenuto ed effetti dell'accordo transattivo tra Fisco e debitore-contribuente. Infine, non può non ingenerare dubbi e perplessità la pretesa di trasformare in principio generale dell'ordinamento concorsuale una regola dettata da una norma, comunque speciale, collocata all'interno di un sistema normativo, concepito per gestire l'insolvenza di una particolare categoria di soggetti, dove i crediti erariali e quelli contributivi godono di una tutela rafforzata, come dimostra sia la previsione (art. 11, comma 5) della revoca di diritto dell'accordo omologato “se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie”, sia la circostanza che, a differenza del fallimento (cfr. art. 142 l. fall.), l'esdebitazione del debitore è espressamente esclusa “per i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di aperture delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” (art. 14-terdecies, comma 3, lett. c).

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni che precedono, non posso che ribadire, ancora una volta, la maggiore sintonia, con il favor per la soluzione concordata che traspare dalla riforma e con l'esigenza di far luogo ad una lettura “costituzionalmente orientata” delle norme, della tesi che ritiene falcidiabile ogni tipologia di debito erariale - e, dunque, pure i crediti per Iva, ritenute e tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea - allorché il patrimonio del debitore non sia sufficiente a coprire il grado di privilegio che li assiste e a condizione che non sia stata attivata la transazione fiscale.

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