La legittimità della segnalazione d’insolvenza da parte del tribunale fallimentare

Annateresa Ricciardi
28 Giugno 2013

Il tribunale fallimentare che abbia rilevato l'insolvenza nel corso di un procedimento per la dichiarazione di fallimento - anche se definito per desistenza del creditore istante - deve essere considerato, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 7 l. fall., giudice civile e, come tale, ove rilevi l'insolvenza dell'imprenditore, deve farne segnalazione al pubblico ministero.
Massima

Il tribunale fallimentare che abbia rilevato l'insolvenza nel corso di un procedimento per la dichiarazione di fallimento - anche se definito per desistenza del creditore istante - deve essere considerato, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 7 l. fall., giudice civile e, come tale, ove rilevi l'insolvenza dell'imprenditore, deve farne segnalazione al pubblico ministero. (massima Cassazione)

La trasmissione al pubblico ministero delle notizia decoctionis emersa nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento non è un atto avente contenuto decisorio, neppure come precipitato di una cognizione di tipo sommario, e non incide né direttamente, né indirettamente sui diritti di alcuno, mentre il giudice che a ciò provvede non fa altro che esercitare il potere-dovere di denuncia di fatti che prima facie gli appaiono potenzialmente lesivi dell'interesse pubblico ad eliminare dal sistema economico i focolai d'insolvenza. La segnalazione della notizia decoctionis in questione è, quindi, un atto "neutro", privo di specifica valenza procedimentale o decisoria, il cui impulso riposa su una valutazione estemporanea, che non vincola nessuno, e la valutazione decisoria del tribunale non è tecnicamente pregiudicata dall'avvenuta segnalazione, perché il tribunale, all'esito dell'istruttoria prefallimentare, può rigettare con decreto la richiesta del pubblico ministero. (massima Cassazione)

E' infondata l'eccezione d'inammissibilità del ricorso presentato dal pubblico ministero, a seguito della trasmissione degli atti da parte del tribunale fallimentare, per violazione degli artt. 6 e 7 l. fall. Infatti, non può in alcun modo equipararsi alla dichiarazione d'ufficio del fallimento la segnalazione di circostanze dalle quali emerga lo stato d'insolvenza di un'impresa affinché il pubblico ministero in via del tutto autonoma possa valutare la sussistenza dei presupposti per l'istanza del fallimento. (massima Tribunale)

Il caso

Le pronunce richiamate in epigrafe decidono vicende analoghe: a seguito dell'archiviazione di una procedura prefallimentare per desistenza dei creditori istanti, il tribunale fallimentare segnala l'insolvenza rilevata al pubblico ministero, che presenta ricorso ex art. 7 l. fall. All'esito del procedimento ex art. 15 l. fall., il medesimo tribunale, che ha comunicato la notizia decoctionis, dichiara il fallimento dell'imprenditore in crisi.

La questione giuridica

La Suprema Corte si è nuovamente soffermata, di recente, sulla legittimità dell'iniziativa del tribunale volta a (ri)dare impulso al procedimento prefallimentare archiviato per desistenza dei creditori istanti. La sentenza del 14 giugno desta interesse poiché manifesta una soluzione diversa da quella assunta con la pronuncia del 2009 (Cass. civ., sez. I, 26.02.2009, n. 4632). Secondo il precedente orientamento della Cassazione, la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal medesimo tribunale, autore della segnalazione al p.m., sarebbe stata illegittima per violazione dei principi di terzietà ed imparzialità del giudice adito (art.111 Cost.). L'esigenza di preservare il ruolo di soggetto super partes dell'organo giudicante, rispetto agli interessi coinvolti dalla procedura, aveva indotto la Suprema Corte a ritenere legittima solo la segnalazione della notitia decoctionis rilevata nel corso di un giudizio riguardante soggetti diversi dall'imprenditore fallendo. Al contrario si era escluso che il tribunale che avesse già valutato la situazione debitoria dell'imprenditore nel procedimento ex art. 15 l. fall., potesse successivamente segnalare al p.m. l'insolvenza rilevata. Si temeva, infatti, che il conferimento di una simile prerogativa al tribunale fallimentare potesse determinare un riconoscimento indiretto del potere d'iniziativa d'ufficio soppresso dall'ultima riforma.

Osservazioni

L'attuale posizione di apertura della Suprema Corte interviene a conferma dell'orientamento di una parte della giurisprudenza di merito (cfr. la costante giurisprudenza del Tribunale di Milano, nonché Trib. Mantova 12 marzo 2009; Trib. Tivoli 6 aprile 2009; App. Torino 8 novembre 2010; Trib. Monza 18 gennaio 2011; Trib. Padova 8 febbraio 2011), che considera non assimilabile all'iniziativa d'ufficio la mera segnalazione dello stato d'insolvenza. Si osserva, infatti, che in tale ultimo caso l'organo giudicante non ha il potere di sostituirsi al pubblico ministero, né può condizionarlo circa l'autonoma valutazione dei presupposti per l'istanza di fallimento. La ricostruzione della giurisprudenza di merito dimostra, infatti, che la segnalazione del tribunale fallimentare precedentemente adito non determina in alcun caso l'automatica presentazione dell'istanza ex art. 7 l. fall., poiché la legge riserva al pubblico ministero una discrezionalità piena nella valutazione della notizia pervenuta. Conforme all'orientamento esposto è la pronuncia del Tribunale di Palermo in commento. Nel caso affrontato, era senza dubbio infondata la presunta violazione del divieto d'iniziativa d'ufficio, poiché la segnalazione dell'insolvenza avveniva durante una fase procedimentale nella quale il tribunale non aveva ancora compiuto l'accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e, di conseguenza, la neutra comunicazione di mere circostanze di fatto al p.m. non avrebbe potuto incidere in alcun modo sulla sua autonomia valutativa. Non è dunque apparsa giustificata la preoccupazione di una strumentalizzazione del p.m. ad opera del giudice fallimentare, come forse è stato temuto dai precedenti orientamenti giurisprudenziali. Infatti, le ragioni che sottendono le scelte compiute con l'ultima riforma fallimentare, se correttamente intese, non inducono a ritenere che l'intervento riformatore abbia avuto tra i suoi obiettivi quello di relegare completamente l'organo giudicante; questi, come si dirà di qui a breve, può, infatti, assumere un ruolo significativo in merito all'attuazione di talune imprescindibili esigenze. Di tal via, il riconoscimento del potere di segnalazione deve essere correttamente inteso nel senso di garantire una più efficiente realizzazione degli interessi pubblicisti concernenti la crisi d'impresa. Al riguardo, la recente pronuncia della Cassazione in esame, in linea con quanto esposto dai giudici di merito, asserisce che il nuovo art. 7 l. fall. va interpretato nel senso di riconoscere al tribunale fallimentare non una mera facoltà di segnalazione, ma un vero e proprio dovere (conformi le pronunce del Trib. Mantova 12 marzo 2009; App. Brescia del 7 ottobre 2009) nascente dall'interesse pubblico ad eliminare dal sistema economico i focolai dell'insolvenza. A sostegno dell'interpretazione teleologicamente orientata della Suprema Corte si può osservare innanzitutto la nuova dizione dell'art. 7, n. 2, l. fall. che, non prevedendo più la circoscritta nozione di “giudizio civile”, ma quella più ampia di “procedimento civile”, permetterebbe di riconoscere il potere di segnalazione anche al tribunale presso il quale è stato attivato il procedimento prefallimentare di cui all'art. 15 l. fall. Degno di nota appare inoltre il riferimento alla relazione ministeriale della riforma delle procedure concorsuali, nella quale si legge che "la soppressione della dichiarazione di fallimento d'ufficio risulta bilanciata dall'affidamento al pubblico ministero del potere di dare corso all'istanza di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal giudice al quale, nel corso di un qualsiasi procedimento civile, risulti l'insolvenza di un imprenditore”. Ad avviso della Cassazione non è riconducibile alle intenzioni del legislatore dell'epoca la sottrazione al giudice fallimentare anche di mere attività d'impulso. In riferimento a tale aspetto, parte della dottrina (R. Fava, La segnalazione dello stato d'insolvenza al P.M. tra principio di terzietà e par condicio creditorum, in Corr. merito n. 10/2010, 947) ritiene che il riconoscimento al giudice fallimentare di un seppure limitato ruolo, nel senso esposto, favorirebbe l'attenuazione degli ampissimi margini di autonomia negoziale riconosciuti dalla riforma all'imprenditore in crisi; è stato, infatti, osservato che l'eventuale rinuncia dei creditori istanti con i quali il fallendo sia giunto ad un accordo potrebbe delineare una strada per procrastinare l'apertura del fallimento e compromettere l'interesse pubblico al paritario trattamento tra i creditori. Sulla natura giuridica dell'atto di trasmissione, la Cassazione chiarisce che si tratta di un atto neutro, poiché il suo contenuto non è idoneo ad influenzare la valutazione del p.m.; questi resta comunque libero di presentare o no la richiesta di fallimento, e perciò appare difficile sostenere che la segnalazione d'insolvenza possa in qualche modo realizzare una lesione diretta degli interessi dell'imprenditore in crisi. Se così non fosse, pervenire alla medesima conclusione sarebbe meno convincente. Infatti, contro le considerazioni della Cassazione potrebbe osservarsi che la libera valutazione del p.m. si fonderebbe comunque sulle circostanze di fatto emerse a seguito dell'attività istruttoria condotta dal tribunale, segnatamente nel corso della fase prefallimentare archiviata. Tuttavia, posto che il tribunale segnalante non esercita alcun potere decisorio, non appare fondata l'opinione del precedente orientamento giurisprudenziale che aveva inteso scongiurare una possibile lesione dei principi di terzietà ed imparzialità dell'organo giudicante. Si potrebbe invece forse discutere, sotto un profilo più sostanziale, della possibilità che il tribunale fallimentare dia impulso alla richiesta di fallimento del p.m. dopo che i creditori istanti vi hanno rinunciato. In questo modo, si è osservato, l'autorità giudiziaria si sostituisce alla volontà dei creditori di non far fallire il debitore e ciò non sarebbe conforme allo spirito delle più recenti riforme del diritto fallimentare tendenti ad affermare la privatizzazione dell'insolvenza (sul punto, si legga F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, 2011, 3).

Questioni aperte 

La Suprema Corte non si è invece occupata della legittimazione del tribunale a compiere la segnalazione al p.m. anche in ipotesi d'insuccesso del concordato preventivo e precisamente in caso d'inammissibilità della domanda (art. 162 l. fall.) o di successiva revoca del provvedimento che ne dichiara l'ammissione. Le conclusioni cui è pervenuta la Cassazione sembrano tuttavia estensibili anche a tali fattispecie, tanto più che una simile soluzione si presterebbe ad essere condivisa anche da quella parte della dottrina favorevole alla privatizzazione dell'insolvenza: in questa seconda ipotesi, infatti, la segnalazione perverrebbe solo dopo l'accertamento dell'insussistenza dei presupposti per l'ammissione alla procedura di concordato o quando per varie ragioni la procedura concordataria non vada a buon fine, e non a seguito della rinuncia dei creditori. Per queste ragioni, non vi è rischio di aprire la procedura fallimentare contro la volontà dei creditori, come invece può avvenire nel caso di desistenza dall'istanza di fallimento. E' evidente che una simile possibilità attuata a prescindere dalla volontà dei creditori determinerebbe un disincentivo delle opportunità negoziali delineate dalla riforma.
Va segnalato, inoltre, che il tribunale di Milano (ordinanza del 24 maggio 2012), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega del nuovo articolo 6 della legge fallimentare nella parte in cui non prevede più il potere del tribunale di dichiarare d'ufficio il fallimento. Ragion per cui la questione potrebbe in futuro vedere ulteriori sviluppi a seguito dell'atteso intervento della Corte Costituzionale.

Conclusioni 

L'orientamento consolidatosi in questi ultimi anni in merito alla legittimità della mera segnalazione della notizia decoctionis, nei limiti anzi esposti, sembra muovere da quella concezione giuspubblicistica delle procedure concorsuali come sistema di norme deputato ad “eliminare” dal mercato le imprese insolventi anche indipendentemente dalla volontà dei soggetti (debitore e creditori), i cui maggiori interessi tale vicenda dovrebbe coinvolgere. Il ragionamento della Cassazione sembra pertanto condotto su un piano strettamente giuridico-formale, sotto il cui profilo potrebbe anche essere accolto l'assunto che la segnalazione d'insolvenza proveniente dallo stesso tribunale fallimentare non ne intacca a rigore la posizione di terzietà. Tuttavia la posizione assunta dalla giurisprudenza perde di vista l'orizzonte - se così si può dire - “strategico” dell'evoluzione del diritto fallimentare di questi ultimi anni, conducendo, di fatto, a promuovere il fallimento di un debitore anche indipendentemente dalla volontà dei suoi creditori. Conserva, infatti, una visione delle procedure concorsuali oramai superata anche dalle ultimissime riforme (cd. "Decreto Sviluppo", D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134) che viceversa muovono verso il graduale affermarsi di un più proficuo rapporto dialogico con i creditori. Per queste ragioni la possibilità di concordare il risanamento della crisi d'impresa, quale imprescindibile punto di approdo di anni di riforme rispetto ad anacronistiche visioni demolitorie proprie dell'antecedente sistema concorsuale, dovrà fungere da guida o limite, se si preferisce, all'espletamento delle funzioni d'iniziativa e possibile impulso, riconosciute dal legislatore rispettivamente al pubblico ministero e al tribunale fallimentare. Diversamente, ove si consentisse l'esercizio di tali poteri anche a dispetto delle concrete opportunità negoziali che debitore e creditori intendano percorrere, si pregiudicherebbe inevitabilmente la realizzazione di quegli obiettivi di continuità che gli ultimi interventi normativi sembrano auspicare.

Riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In giurisprudenza sull'argomento: Corte costituzionale (sentenza n. 240, 15 luglio 2003, con nota di V. SPARANO, Il nuovo art.111 cost. nulla ha cambiato: quando la consulta fa il gattopardo. Problematica esegesi della nozione di giudice terzo, in Dir. Giust. 2003, 56); Cass. civ., sez. I, 21 aprile 2011, n. 9260, la quale ha ritenuto che la notizia decoctionis acquisita dallo stesso p.m. a seguito della richiesta al tribunale fallimentare della trasmissione di copia d'istanza di fallimento desistita integri una vera e propria segnalazione ex art. 7 n. 2, l. fall., trattandosi di mero adempimento comunicatorio, non effettuato "motu proprio" e, dunque, non esplicativo di alcun potere decisionale da parte del giudice autore della predetta trasmissione; Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 2009, n. 4632, che sulla base di un'interpretazione sistematica della legge fallimentare ed in particolare degli artt. 6 e 7, alla luce del novellato art. 111 Cost., esclude che l'iniziativa del P.M. ai fini della dichiarazione di fallimento possa essere assunta in base ad una segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare, deponendo in tal senso, oltre alla soppressione del potere di aprire d'ufficio il fallimento anche il n. 2 dell'art. 7 l. fall., che limita il potere di segnalazione del giudice civile all'ipotesi in cui l'insolvenza risulti, nei riguardi di soggetti diversi da quelli destinatari dell'iniziativa, in un procedimento diverso da quello rivolto alla dichiarazione di fallimento. Con riferimento alla giurisprudenza di merito, la questione si è posta per la prima volta a seguito di un contrasto tra il Tribunale di Milano, che aveva preconizzato l'attuale orientamento delle SS.UU., e la Corte d'Appello di Milano (v. la sentenza del 29 novembre 2007, pubblicata sul sito www.il caso.it) che aveva ritenuto affetta da nullità assoluta la sentenza dichiarativa di fallimento emessa su istanza del pubblico ministero cui la segnalazione d'insolvenza fosse stata effettuata dal tribunale fallimentare a seguito della desistenza dell'unico creditore istante. Ma v. anche la sentenza 7 ottobre 2011, che aveva a sua volta ritenuto illegittima l'istanza ex art. 7 l. f. presentata a seguito di segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare in esito ad istruttoria conclusasi con un non luogo a provvedere per desistenza del creditore ricorrente, poiché sarebbe stata il frutto di una valutazione discrezionale del tribunale a seguito della quale il pubblico ministero svolgerebbe un ruolo di impulso meramente formale e non un'autonoma valutazione.
Favorevole alla giurisprudenza del Tribunale di Milano (e all'attuale orientamento delle SS.UU.) altra parte della giurisprudenza che, anche se con argomentazioni diverse, sostiene la legittimità dell'iniziativa del P.M. a seguito della segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare: Trib. Padova, 8 febbraio 2011 in Dir. fall., 2011, II, 206, n. R. Battaglia; Trib. Monza del 18 gennaio 2011, in Dir. fall., 2011, II, 207, n. R. Battaglia; App. Brescia del 7 ottobre 2009 in Corr. merito, n.10/2010, 943, n. R. Fava; Trib. Tivoli del 6 aprile 2009 in Giur. merito 2009, 1566, n. Filippi; Trib. Mantova del 12 marzo 2009 in Il civilista 2009, 11, 65 n. Risolo.
In dottrina si rinvengono divergenti posizioni: propendono per la legittimità della segnalazione del tribunale fallimentare, aderendo alle conclusioni della giurisprudenza maggioritaria, R. Battaglia, Desistenza del creditore istante e permanenza del potere del Tribunale fallimentare di segnalare al P.M. l'insolvenza: re melius perpensa…, in Dir. fall., 2011, 206; S. Scafaroni, La segnalazione del tribunale fallimentare e l'iniziativa del pubblico ministero, in Giur. Merito, 2011, 1318; R. Tiscini, Istanza di fallimento tra iniziativa del P.M. e poteri officiosi, in Fall., n. 3/2011, 327; M. Cordopatri, La fase d'istruttoria prefallimentare e la segnalazione al pubblico ministero, in Dir. fall. 2010, 265; F. De Santis, Segnalazione d'insolvenza, iniziativa fallimentare del pubblico ministero e terzietà del giudice, in Fall., n. 5/2009, 525. Nega viceversa il riconoscimento di un simile potere al tribunale fallimentare Auletta, L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento( specie del creditore sedicente o non legittimato o rinunciante ), in Fall., n.2/2010, 129; ID, Irretrattabilità della richiesta, in concludenza del fatto che non interviene il pubblico ministero che ha assunto l'iniziativa, conclusioni; un'analisi dei poteri del P.M. nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Giur merito, 2011, 2431; ID, Nostalgia e fascino del fallimento dichiarato d'ufficio : overrulling sul fallimento a iniziativa giudiziaria complessa( su richiesta del p.m. per segnalazione del tribunale dopo la desistenza del creditore) su Judicium.it, il quale ha sostenuto con argomentazioni di carattere processuale che non rivestendo il procedimento prefallimentare un'azione in senso tecnico non vi sarebbe l'obbligo del tribunale a seguito della desistenza della domanda del creditore di dichiarare estinta la procedura che viceversa dovrebbe proseguire pur essendo venuto meno l'interesse privatistico alla prosecuzione della stessa. In posizione intermedia M. Ferro, La terzietà spettatrice del giudice dell'insolvenza: le segnalazioni al pubblico ministero e l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in Corr. giuridico, 2009, 925, il quale osserva che, anche a voler prescindere dalla legittimità in astratto del potere di segnalazione, ciò che impedisce al tribunale di compiere la segnalazione ex art. 7 l. fall. è l'irritualità della trasmissione, atteso che ai sensi della citata norma essa deve pervenire da parte di un giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento in itinere, e non a seguito di un procedimento dichiarato estinto per desistenza degli istanti.
Le norme che rilevano sono: l'art. 6 (Iniziativa per la dichiarazione di fallimento) e l'art.7 (Iniziativa del pubblico ministero) della legge fallimentare.

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