Procedimento per la dichiarazione di fallimento di società in liquidazione

27 Novembre 2013

Il mancato rispetto del termine dilatorio a comparire di cui all'art. 15, comma 3, l. fall. deve essere formalmente e immediatamente eccepito dalla parte interessata ai sensi e per gli effetti dell'art. 157 c.p.c., trattandosi di un termine a tutela dell'interesse privato e non a presidio di più generali interessi pubblicistici sulla regolarità della procedura. Ne consegue che la nullità della convocazione in giudizio derivante dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione previsto dall'art. 15, comma 3, l. fall. deve ritenersi sanata nel caso in cui parte resistente si sia costituita in giudizio e, senza eccepire tale violazione, prenda posizione nel merito delle contestazioni mosse da parte ricorrente.
Massima

Il mancato rispetto del termine dilatorio a comparire di cui all'art. 15, comma 3, l. fall. deve essere formalmente e immediatamente eccepito dalla parte interessata ai sensi e per gli effetti dell'art. 157 c.p.c., trattandosi di un termine a tutela dell'interesse privato e non a presidio di più generali interessi pubblicistici sulla regolarità della procedura. Ne consegue che la nullità della convocazione in giudizio derivante dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione previsto dall'art. 15, comma 3, l. fall. deve ritenersi sanata nel caso in cui parte resistente si sia costituita in giudizio e, senza eccepire tale violazione, prenda posizione nel merito delle contestazioni mosse da parte ricorrente.

L'amministratore giudiziario è dotato della legittimazione sostanziale e processuale per reclamare la sentenza dichiarativa di fallimento e, a fortiori, per partecipare al procedimento per la dichiarazione di fallimento, ma solo nei limiti in cui l'incarico comprenda anche il potere di amministrare e di gestire il bene sottoposto a sequestro.

L'amministratore giudiziario nominato in sede penale assume funzioni ontologicamente diverse da quelle del custode, essendo investito di poteri gestori e di amministrazione oltre a quelli di custodia e di conservazione del bene sottoposto a sequestro.
Tuttavia, considerato che l'art. 104-bis disp. att. c.p.p. consente l'attribuzione anche al custode giudiziario del potere di amministrazione dei beni in sequestro, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione sostanziale e processuale nell'ambito dei procedimenti ex artt. 15 e 18 l. fall. dell'organo nominato in sede penale (amministratore/custode giudiziario), occorre verificare in concreto le funzioni demandate allo stesso, attribuendo tale legittimazione solo in ipotesi di accertamento positivo del potere di amministrazione e gestione del bene in sequestro.

A fronte di una società in liquidazione volontaria, la valutazione del giudice, ai fini dell'applicazione dell'art. 5 l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto, non proponendosi l'impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali ed alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci, non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte. Nel formulare tale valutazione risulta indispensabile verificare se i beni patrimoniali siano o non agevolmente liquidabili perché in caso negativo il presupposto dell'insolvenza ben può essere riscontrato anche in ipotesi di eccedenza dell'attivo sul passivo.

Il caso

Le due sentenze in commento riguardano la dichiarazione di fallimento di una Società Consortile a responsabilità limitata e di una sua consorziata, entrambe riconducibili al medesimo socio. Le questioni giuridiche trattate e le soluzioni offerte sono in larga parte le medesime e questo giustifica un esame congiunto delle stesse.
Con la sentenza 41/13 la Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza di fallimento della Società Consortile a Responsabilità Limitata resa dal Tribunale di Bari, dichiarando inammissibile l'intervento di un socio perché tardivo e per carenza di interesse ad agire, essendo egli portatore di un mero interesse di fatto.
I motivi posti a supporto del reclamo promosso dal Consorzio sono i seguenti:
a) violazione del diritto di difesa per inosservanza del termine di quindici giorni previsto dall'art. 15 l. fall.;
b) nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio con l'amministratore giudiziario nominato dal GIP;
c) illegittimità della dichiarazione di inammissibilità del ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall. per effetto della incostituzionalità dell'art. 33, comma 3, lett. b) n.4, del d.l. 83/2012 nella parte in cui pospone l'entrata in vigore del predetto concordato c.d. “con riserva” a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso decreto legge;
d) illegittimità dell'istanza di fallimento presentata dal PM perché estranea alle ipotesi previste dall'art. 7 l. fall.;
e) illegittima dichiarazione di fallimento per insussistenza dello stato di insolvenza, posto che il Consorzio era in liquidazione volontaria e che l'ammontare dell'attivo era ampiamente sufficiente ad estinguere le passività.
Con la sentenza 42/13 la Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza di fallimento della consorziata in liquidazione, resa dal Tribunale di Bari.
Nel caso di specie va rilevato che la debitrice aveva depositato una domanda di concordato preventivo e che il PM, all'esito del parere negativo, aveva presentato istanza di fallimento. La domanda di concordato preventivo è stata dichiarata inammissibile con decreto depositato in data 7.6.2012 e, contestualmente (con altro decreto), è stata fissata l'udienza ex art. 15 l. fall. in camera di consiglio per il 9.7.2012, all'esito della quale il Tribunale di Bari ha dichiarato il fallimento della consorziata.
Avverso la sentenza di fallimento sono state mosse le seguenti contestazioni:
a) violazione del diritto di difesa per inosservanza del termine di quindici giorni previsto dall'art. 15 l. fall.;
b) nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio con l'amministratore giudiziario della società;
c) illegittimità dell'istanza di fallimento presentata dal PM perché estranea alle ipotesi previste dall'art. 7 l. fall.;
d) illegittima dichiarazione di fallimento per insussistenza dello stato di insolvenza, in quanto la società era stata posta in liquidazione volontaria e il valore di realizzo del patrimonio attivo era ampiamente sufficiente ad estinguere le passività.

Le questioni giuridiche e la risposta della Corte d'Appello

Le questioni giuridiche sottoposte all'esame della Corte di Appello sono state molteplici.
La prima questione presa in esame dalla Corte di Appello di Bari, in entrambe le decisioni, attiene alla pretesa omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell'amministratore giudiziario dei beni sottoposti a sequestro.
Più in particolare, nella fattispecie conclusasi con la sentenza 41/13 la Corte di Appello opera una ricostruzione dei fatti che esclude ogni ipotesi di violazione del contraddittorio, evidenziando come l'amministratore giudiziario avesse avuto piena contezza della data ed ora della udienza di convocazione in camera di consiglio da parte del Tribunale di Bari, così come dallo stesso dichiarato in una nota depositata in giudizio dal reclamante. Peraltro, aggiunge la Corte, avendo la società un suo rappresentante legale nella persona del liquidatore (sostituito con altro liquidatore, ma solo dopo l'udienza camerale all'esito della quale il Collegio si era riservato la decisione sul fallimento) ritualmente e tempestivamente convocato, ogni difesa doveva e poteva essere svolta da quest'ultimo e, pertanto, il principio del contraddittorio non avrebbe subito alcuna restrizione.
Sul ruolo e sulla funzione dell'amministratore giudiziario la sentenza 42/13, pur giungendo alle medesime conclusioni della sentenza 41/13, assume una posizione più puntuale. Ed infatti, nella sentenza 42/13, dopo aver messo in evidenza le differenze tra la figura del custode giudiziario e quella dell'amministratore giudiziario, precisa che solo quest'ultimo sarebbe legittimato jure proprio a reclamare la sentenza dichiarativa di fallimento e dunque, a fortiori, a partecipare al procedimento ex art. 15 l. fall., posto che tra le funzioni svolte dall'amministratore giudiziario vi sarebbe anche quella di contrastare il fallimento quale procedimento destinato a finalità liquidatorie che non risultano in linea con quelle cautelari e di conservazione dettate dal sequestro penale. Ritenendo poi che in concreto, e quindi al di là dell'investitura formale di amministratore giudiziario, nel caso di specie sarebbe emerso che le funzioni assegnate dal GIP a tale amministratore non erano quelle proprie di tale figura, ma quelle invece più correttamente ascrivibili alla figura del custode giudiziario, è stato ritenuto che questi non avesse legittimazione a partecipare al processo per la dichiarazione di fallimento.
In altre parole, la Corte di Appello di Bari ha ritenuto che l'amministratore giudiziario nel caso di specie non avesse la legittimazione processuale per partecipare al processo per la dichiarazione di fallimento in quanto privo del potere gestorio ed amministrativo dei beni sottoposti a sequestro. Tale valutazione rendeva superflua ogni verifica afferente al rispetto del termine di 15 gg. indicato dall'art. 15, comma 3, l. fall. con riferimento all'amministratore giudiziario.
Altra questione preliminare agitata dai reclamanti in entrambi i procedimenti in esame attiene alla violazione del termine a difesa fissato dall'art. 15, comma 3, l.fall. in quindici giorni, con riferimento alla debitrice.
A tal proposito la Corte di Appello ha rilevato, in entrambe le decisioni, che tale violazione: a) non è stata eccepita dinanzi al giudice di primo grado; b) la parte si è regolarmente costituita in giudizio con l'assistenza tecnica di un avvocato, prendendo posizione sulle questioni di merito e operando una difesa attiva che, in quanto tale, deve ritenersi incompatibile con ogni contestazione afferente il legittimo esercizio del diritto di difesa.
In particolare, la Corte di Appello ha osservato che:
a) il mancato rispetto del termine a difesa dettato dall'art. 15, comma 3, l.fall. deve essere “formalmente e immediatamente eccepito dalla parte interessata trattandosi di un normale termine posto a tutela del suo interesse privato e non a presidio di più generali interessi pubblicistici sulla regolarità della procedura (ex multis, Cass. 22/1/10, n. 1098; Cass. 16/7/10, n. 16757)”;
b) spetta alla parte indicare il pregiudizio eventualmente subito, sul piano probatorio, a seguito del mancato rispetto del termine a difesa.
Altra questione giuridica agitata dai reclamanti investe la legittimazione del PM a formulare istanza di fallimento ex art. 7 l. fall., ciò sul presupposto che non vi sarebbe stata alcuna segnalazione di “insolvenza” da parte del giudice penale, ma una mera indicazione di “crisi debitoria”. Al riguardo, la Corte di Appello ha precisato che l'iniziativa prevista dall'art. 7 l. fall. ha come presupposto la sussistenza di elementi tali dai quali si possa desumere lo stato di insolvenza, atteso che l'accertamento o meno dello stato di insolvenza è rimesso alla decisione del tribunale. Nel caso di specie, gli elementi dai quali il PM ha tratto il convincimento che le società potessero essere insolventi sono stati i seguenti: a) l'entità delle passività dichiarate in rapporto con il patrimonio sottoposto a sequestro penale e dunque non disponibile; b) la dichiarazione confessoria formulata nel ricorso per concordato preventivo in ordine alla incapacità di poter adempiere alle proprie obbligazioni.
Altra contestazione mossa dai reclamanti avverso le sentenze di fallimento rese dal Tribunale di Bari ha riguardato la pretesa insussistenza dello stato di insolvenza in considerazione dello stato di liquidazione e del rapporto tra ammontare dei debiti ed entità del patrimonio delle debitrici dichiarate fallite.
Al riguardo, la Corte di Appello di Bari, in entrambe le decisioni, ha confermato la sussistenza dello stato di insolvenza. In particolare, la Corte ha evidenziato che, pur essendo state poste in liquidazione volontaria, le debitrici, per loro stessa ammissione (nel ricorso per concordato preventivo), non sarebbero state nelle condizioni di poter assicurare l'eguale ed integrale pagamento dei creditori sociali e ciò ancor di più se avessero tenuto nella giusta considerazione il sequestro penale per equivalente disposto dal GIP su tutti i beni della consorziata e dei suoi soci, nonché di larga parte di quelli del consorzio e dei suoi soci.
Nella sentenza 41/13 viene affrontata anche la questione giuridica afferente la presentazione da parte della debitrice di una domanda di concordato prenotativa rispetto alla quale il consorzio assumeva che la dichiarazione di inammissibilità della stessa fosse illegittima per effetto dell'incostituzionalità dell'art. 33, comma 3, lett. b), n. 4, del d.l. 83/2012 nella parte in cui pospone l'entrata in vigore del predetto concordato c.d. “con riserva” a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso decreto legge. Ma il decreto che ha dichiarato inammissibile il predetto ricorso per concordato preventivo non è stato impugnato e, per ciò solo, la contestazione mossa dinanzi alla Corte di Appello nel reclamo avverso la sentenza di fallimento è stata ritenuta inammissibile. Peraltro, la Corte ha osservato che la questione di illegittimità costituzionale così come proposta sarebbe: a) inammissibile in quanto riferita ad una norma di decreto legge convertita in legge; b) non rilevante, perché il ricorso all'istituto in questione sarebbe comunque precluso dall'art. 161, comma 9, l.fall. ossia dalla inammissibilità conseguente alla presentazione, nei due anni antecedenti, di una domanda di concordato alla quale non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura.

Osservazioni

Le questioni giuridiche di maggior interesse affrontate dalla Corte di Appello sono le seguenti.
Il termine a difesa ex art. 15, comma 3, l. fall.
Le decisioni in commento, in linea con l'orientamento largamente prevalente della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 22/1/2010, n.1098, cit.; Cass. 16/7/2010, n. 16757, cit.; Cass. S.U. 1/2/2012, n. 1418), qualificano il termine previsto dall'art. 15, comma 3, l.fall. come un termine dilatorio a difesa di interessi privati e non a presidio di più generali interessi pubblicistici sulla regolarità della procedura e, conseguentemente, ritengono che sia onere della parte resistente eccepire, ritualmente e tempestivamente, la nullità del decreto di convocazione per violazione del termine di comparizione.
L'orientamento della Suprema Corte muove infatti dal presupposto che il procedimento per la dichiarazione di fallimento disciplinato dall'art. 15 l. fall. è un procedimento speciale a cognizione piena che si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. Tale orientamento, oramai consolidato in giurisprudenza, troverebbe riscontro nella sistematica eliminazione della fase dell'opposizione alla sentenza di fallimento, che costituiva la fase a cognizione piena del procedimento per la dichiarazione di fallimento che, nella precedente formulazione, veniva pacificamente qualificato come sommario.
Pertanto, così come nel processo di cognizione, l'eccezione di nullità della convocazione per violazione del termine a difesa deve essere formulata nel rispetto delle disposizioni dettate dall'art. 157 c.p.c., ossia tempestivamente e “con la specificazione delle ragioni dell'invalidità”, non essendo stata ritenuta sufficiente la mera contestazione delle norme violate (cfr.Cass. 14/1/2003, n. 365).

Nella valutazione della nullità del decreto di convocazione va tenuta in considerazione anche la disposizione dettata dall'art. 156 c.p.c., la quale, come è noto, dispone che la nullità non può essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato. Pertanto, qualora il resistente si costituisca in giudizio, ai fini dell'assegnazione di un nuovo termine a comparire, il giudice dovrà valutare:
a) se è stata eccepita la nullità del decreto di convocazione per violazione del termine a comparire come previsto dall'art. 15, comma 3, l. fall.;
b) se il resistente ha svolto attivamente la propria difesa prendendo posizione nel merito, posto che in tal caso non risulta ravvisabile alcun pregiudizio derivante dalla violazione del termine in questione;
c) quali siano gli elementi sul piano probatorio che il resistente avrebbe potuto indicare o produrre ove rispettati i termini normativamente previsti ovvero l'indicazione degli elementi astrattamente idonei a determinare un esito diverso del procedimento.
Solo ove ricorrano tali condizioni è legittimo ottenere un provvedimento che rinvia l'udienza di comparizione nel rispetto del termine di quindici giorni dettato dall'art. 15, comma 3, l. fall.
Le decisioni assunte dalla Corte territoriale nelle fattispecie in esame risultano in linea con l'orientamento giurisprudenziale sopra indicato, posto che in entrambi i casi i resistenti: a) si sono costituiti in giudizio con un proprio difensore di fiducia, esercitando una difesa attiva e nel merito, prendendo cioè posizione su ogni contestazione mossa da parte ricorrente; b) non hanno eccepito la violazione del termine previsto dall'art. 15, comma 3, l. fall.; c) hanno omesso di indicare gli ulteriori elementi di prova che, in ipotesi di rispetto del termine a comparire, avrebbero potuto produrre e quindi condizionare seppure astrattamente la decisione nel merito.
Sulla legittimazione processuale dell'amministratore giudiziario e del custode giudiziario

Il tema dei poteri rappresentativi dell'amministratore giudiziario e del custode giudiziario, nell'ambito del procedimento per la dichiarazione di fallimento della società sottoposta al provvedimento di sequestro, è di tutto interesse e merita attenzione.
Sulla legittimazione processuale del custode giudiziario in giurisprudenza (Cass. 30.5.2000, n. 7174; Cass. 3.11.2011, n. 22800) l'orientamento negativo appare univoco in ragione delle funzioni meramente conservative che tale incarico comporta. Nella prassi, tuttavia, si sono registrati casi nei quali molto spesso l'investitura formale non corrispondeva a quella in concreto affidata. È pacifico, infatti, che l'incarico di amministratore giudiziario sia ontologicamente diverso da quello di custode giudiziario, atteso che il primo viene investito di poteri gestori ed amministrativi ed è pertanto portatore di un interesse teso alla salvaguardia ed alla valorizzazione del bene sottoposto a sequestro, mentre il secondo è deputato alla sola custodia e conservazione del bene sequestrato non potendo esercitare alcun atto gestorio. Sulla base di tale distinzione consegue, secondo l'orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. 3.11.2011, n. 22800, cit.), che solo l'amministratore giudiziario sarebbe legittimato sostanzialmente e processualmente ad impugnare la sentenza di fallimento e, a fortiori, a partecipare al procedimento ex art. 15 l. fall., mentre non lo sarebbe il custode giudiziario, il cui compito è invece meramente conservativo delle cose in sequestro.
Tale distinzione tra le funzioni dell'amministratore giudiziario e quelle del custode giudiziario andrà effettuata in concreto sulla base dei poteri che sono conferiti con il provvedimento di nomina, posto che non sempre all'investitura formale di amministratore giudiziario seguono poteri tipici del custode e viceversa, come del resto sembra sia avvenuto nelle fattispecie oggetto delle sentenze in esame, laddove agli amministratori giudiziari era stato conferito il potere tipico del custode giudiziario ossia quello di conservare i beni oggetto di sequestro e non anche quello di amministrazione.
Ecco quindi che la legittimazione processuale nel procedimento per la dichiarazione di fallimento (art. 15 l. fall.) e nel relativo reclamo (art. 18 l. fall.) deve ritenersi strettamente collegata e connessa alle funzioni in concreto affidate all'amministratore giudiziario/custode giudiziario. Di talché, solo a fronte di un decreto di sequestro che conferisca al nominato amministratore/custode giudiziario le funzioni di amministrare e gestire i beni sequestrati seguirà la legittimazione processuale e sostanziale a partecipare nel procedimento per la dichiarazione di fallimento e nel successivo procedimento di reclamo.
Sul punto si registrano in dottrina interpretazioni protese ad estendere la legittimazione processuale anche in capo al custode giudiziario ancorché le sue funzioni siano solo quelle di custodire e conservare il bene sequestrato. Tale tesi si poggia sul presupposto che anche il custode sia portatore di un interesse qualificato e che nella conservazione del bene andrebbe ricompresa ogni attività utile e necessaria affinché il bene stesso quantomeno mantenga il proprio valore, mentre l'apertura della procedura di fallimento potrebbe provocare effetti pregiudizievoli sul valore del bene sequestrato. A tal proposito vengono richiamate le statistiche afferenti le liquidazioni concorsuali che porterebbero risultati inferiori rispetto alle liquidazioni volontarie.
Breve cenno merita infine la nuova disciplina del c.d. codice antimafia, con la quale è stato regolamentato il rapporto tra fallimento e misure di prevenzione. La ratio di fondo di tale normativa prevede la sostanziale prevalenza delle misure di prevenzione sulle procedure concorsuali, sicché, nell'ipotesi in cui il sequestro penale dovesse essere antecedente alla dichiarazione di fallimento i beni sottoposti a sequestro sarebbero esclusi dall'attivo fallimentare e, pertanto, il fallimento rimarrebbe aperto solo in presenza di assets ulteriori da liquidare; nell'ipotesi in cui il fallimento dovesse essere antecedente alla misura di prevenzione il giudice delegato, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dispone la separazione dalla massa attiva del fallimento dei beni sequestrati e la consegna degli stessi all'amministratore giudiziario/custode giudiziario.
Stato di insolvenza delle società in liquidazione volontaria
Come è noto, la nozione d'insolvenza, intesa come situazione d'incapacità del debitore di fronteggiare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, può manifestarsi non solo attraverso inadempimenti, ma anche in altri eventuali "fatti esteriori". L'accertamento dell'insolvenza, come sopra intesa, non si identifica in modo necessario ed automatico con il mero dato contabile fornito dal raffronto tra l'attivo ed il passivo patrimoniale dell'impresa: sia perché anche in presenza di un eventuale sbilancio negativo è possibile che l'imprenditore continui a godere di credito e sia di fatto in condizione di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, configurandosi l'eventuale difficoltà in cui egli versa come meramente transitoria; sia perché, all'opposto, ove l'eccedenza di attivo dipenda dal valore di beni patrimoniali non agevolmente liquidabili, o la cui liquidazione risulterebbe incompatibile con la permanenza dell'impresa sul mercato e con il puntuale adempimento di obbligazioni già contratte, il presupposto dell'insolvenza ben può ugualmente esser riscontrato.
Resta vero, nondimeno, che l'eventuale eccedenza del passivo sull'attivo patrimoniale costituisce, pur sempre, nella maggior parte dei casi, uno dei tipici "fatti esteriori" che dimostrano l'impotenza dell'imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni (cfr. Cass. 1.12.2005, n. 26217). E, in ogni caso, anche a prescindere dal semplice risultato della somma algebrica tra poste attive e passive della situazione patrimoniale, è evidente che pur sempre dai dati di contabilità dell'impresa è bene muovere, ove possibile, per poter vagliare, nella concretezza di ciascuna singola fattispecie, se il debitore disponga di risorse idonee a fronteggiare in modo regolare le proprie obbligazioni, avendo riguardo alla scadenza di queste ed alla natura e composizione dei cespiti dai quali sia eventualmente prospettabile ricavare l'occorrente per farvi fronte.
Per quanto attiene alle risorse delle quali l'imprenditore dispone per fronteggiare regolarmente dette obbligazioni, occorre tener conto non soltanto del valore contabile e di mercato dei cespiti iscritti nell'attivo patrimoniale, ma anche e soprattutto della concreta attitudine di tali cespiti ad essere adoperati al fine di estinguere tempestivamente i debiti, senza per questo compromettere l'attitudine operativa dell'impresa.
La valutazione dell'insolvenza ex art. 5 l. fall. sopra indicata investe, come è noto, le società operative. Diversa valutazione dell'insolvenza meritano invece le società poste in liquidazione volontaria per le quali vige un orientamento consolidato della giurisprudenza che si basa su altri criteri interpretativi.
Ed infatti, mentre per le società operative la verifica, ex art. 5 l. fall., dello stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale esige la prova di una situazione d'impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, valutate nel loro complesso, in quanto già scadute all'epoca della predetta dichiarazione e ragionevolmente certe; per le società in liquidazione, invece, la valutazione del giudice, ai fini dell'applicazione dell'art. 5 legge fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto - non proponendosi l'impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell'eventuale residuo tra i soci - non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessarie per soddisfare le obbligazioni contratte.
Ciò posto, merita di essere osservato che la sentenza n.41/13 in commento, dopo aver richiamato tale principio, aggiunge che “a tal fine è indispensabile valutare se i beni patrimoniali siano o non agevolmente liquidabili perché in caso negativo il presupposto dell'insolvenza ben può essere riscontrato anche in ipotesi di eccedenza dell'attivo sul passivo (Cassazione civile, sez. I, 27/02/2008, n. 5215).”
Tale principio merita attenzione, perché mira a contemperare le esigenze della liquidazione con il fattore temporale, ritenendo quindi applicabile alle società in liquidazione l'orientamento dettato dalla sentenza 5215/2008 della Cassazione per le società operative.
Sicché i criteri di valutazione dello stato di insolvenza di una società in liquidazione andrebbero contemperati con il fattore tempo, atteso che pur in ipotesi di eccedenza dell'attivo sul passivo non risulta legittimo pretendere che i creditori possano attendere il pagamento per un tempo indeterminato. Dall'altro lato merita attenzione anche l'interesse della società in liquidazione ad una dismissione degli assets che non sia troppo celere e che miri a realizzare un giusto prezzo di mercato, posto che accelerare troppo la liquidazione del patrimonio potrebbe anche precludere l'integrale soddisfacimento dei creditori e, conseguentemente, condurre la società al fallimento.
Il tema è allora ancora una volta quello di contemperare le diverse esigenze che provengono, da un lato, dalla società in liquidazione e, dall'altro, dai creditori di questa. Si tratta di diritti entrambi meritevoli di attenzione e di tutela, che andranno attentamente soppesati in concreto dal tribunale in sede di dichiarazione di fallimento.

Conclusioni

Sulla base della ricostruzione dei fatti indicata nelle due sentenze in commento sembrerebbe che la Corte di Appello di Bari abbia operato interpretazioni in linea con l'orientamento largamente prevalente della dottrina e della giurisprudenza.
Pertanto, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento ex art. 15 l. fall. trovano applicazione gli artt. 156 e 157 c.p.c., mentre ai fini dell'accertamento del rispetto del termine stabilito dall'art. 15, comma 3, l.fall. il tribunale, in ipotesi di costituzione della debitrice, sarà chiamato a verificare:
a) se è stata eccepita la nullità del decreto di convocazione;
b) se sono state svolte difese nel merito;
c) se e quali pregiudizi sotto il profilo probatorio avrebbe subito la debitrice a seguito del mancato rispetto dei termini a difesa.
Per quanto riguarda la legittimazione processuale dell'amministratore giudiziario a partecipare al processo per la dichiarazione di fallimento, il tribunale sarà chiamato ad accertare in concreto le funzioni demandate allo stesso, posto che detta legittimazione risulta strettamente collegata e funzionale all'attività amministrativa e gestoria attribuita allo stesso dal decreto di nomina.
Nella valutazione dello stato di insolvenza delle società in liquidazione volontaria il tribunale sarà chiamato ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali. Tale principio dovrà tenere nella giusta considerazione anche i tempi di liquidazione, contemperando le diverse esigenze della parti in gioco.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per quanto attiene al tema del termine a difesa indicato dall'art. 15, comma 3, l. fall:
In giurisprudenza:
Cass. 22/1/2010, n.1098; Cass. 16/7/2010, n. 16757; Cass. 14/1/2003, n. 365; Cass. S.U. 1/2/2012, n.1418; Cass. 29.10.2009, n.22926. In dottrina: Trisorio Liuzzi, Inosservanza del termine di comparizione ex art. 15, terzo comma, e mancata eccezione di parte, in Fall., 2010, 819; id., Procedimento per la dichiarazione di fallimento, omessa notifica del ricorso e del decreto di fissazione di udienza ed attuazione del contraddittorio, ivi, 2010, 558; De Santis, Istruttoria prefallimentare e diritto di difesa, ivi, 2008, 328; Vitiello, Il nuovo fallimento, a cura di Ambrosini, Bologna, 2008, 21; De Matteis, Istanza di fallimento del debitore. L'istruttoria prefallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, 1, 143.
Per quanto attiene al tema della legittimazione processuale dell'amministratore giudiziario/custode giudiziario: In giurisprudenza: Cass. 30/5/2000, n.7174; Cass. 3/11/2011, n. 22800; Cass. 5/6/2009, n. 23572; Cass. 35801/2010; Cass. S.U. 24/5/2004, n. 29951; Cass. 7/4/2010, n. 16783; Cass. 30/10/2007, n.22860; Cass. 6/10/2010, n. 35801; Cass. 22/9/2005, n. 21858. In dottrina: Zanichelli, I poteri del custode dei beni sottoposti a sequestro; Minutoli, Potere di reclamo ex art. 18 l.fall. dell'amministratore giudiziario e del custode penale, nota a sentenza Cass. 22800/2011 in Fall., 2012, 415; Minutoli, Verso una fallimentarizzazione del giudice della prevenzione antimafia, ivi, 2011, 1272; Orlando, I rapporti tra misure di prevenzione e tutela dei creditori nel fallimento, in Crisi di impresa ed economia criminale, Milano, 2011, 129 ss.
Per quanto attiene l'accertamento dello stato di insolvenza delle società in liquidazione : in giurisprudenza: Cass. 13644 del 30/05/2013; Cass. 15442/2011; Cass. 14/10/2009, n. 21834; Cass. 27/2/2008, n. 5215.

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