Le soglie di fallibilità: sussistenza e momento di valutazione

Elena Genero
25 Novembre 2013

Il decreto con cui la Corte d'Appello accoglie il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento non è passibile di impugnazione perché carente della condizione di definitività che, per contro, deriva unicamente dalla sentenza di riapertura del fallimento, quale sentenza soggettivamente complessa e a formazione progressiva. (massima)
Massima

Il decreto con cui la Corte d'Appello accoglie il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento non è passibile di impugnazione perché carente della condizione di definitività che, per contro, deriva unicamente dalla sentenza di riapertura del fallimento, quale sentenza soggettivamente complessa e a formazione progressiva.

Ai fini della declaratoria di fallimento la valutazione circa gli elementi indicatori della capacità produttiva e della soglia di indebitamento del debitore va compiuta nel momento in cui è depositata l'istanza. Pertanto, in assenza di elementi atti a far venir meno tutti i presupposti di cui all'art. 1, comma 2, l. fall., solo il pagamento integrale dei debiti consente al Tribunale, cui la causa è rimessa dalla Corte d'Appello, di rigettare l'istanza di fallimento per fatti sopravvenuti.

Il caso

La Corte d'Appello di Venezia è chiamata a pronunciarsi sul reclamo, proposto da una società, avverso la sentenza con cui viene dichiarato il fallimento della stessa. Nello specifico, un lavoratore ha presentato istanza di fallimento del proprio datore di lavoro, ottenendo, inizialmente, un decreto di rigetto. L'istante ha quindi impugnato il decreto di rigetto ai sensi dell'art. 22 l. fall. avanti la Corte d'appello di Venezia, che accoglie il reclamo. A seguito della trasmissione degli atti al Tribunale di Vicenza, quest'ultimo emette sentenza di fallimento, il cui reclamo conduce alla pronuncia in commento.

Le questioni giuridiche

La sentenza in oggetto tratta due questioni – una di carattere processuale, l'altra sostanziale - su cui è più volte intervenuta la Suprema Corte. La prima, attiene alla natura del provvedimento con cui la Corte d'appello accoglie, ai sensi dell'art. 22 l. fall., il reclamo proposto avverso il decreto di rigetto dell'istanza di fallimento. Il lavoratore istante, infatti, aveva nel caso di specie eccepito l'inammissibilità del reclamo proposto, affermando che la società reclamante avrebbe dovuto impugnare non già la sentenza dichiarativa di fallimento, ma il decreto con cui la Corte d'Appello aveva accolto il reclamo ex art. 22 l. fall.
La seconda questione attiene alla verifica sulle soglie di fallibilità previste dall'art. 1, comma 2, l. fall. Nel caso di specie, il tribunale aveva rigettato l'istanza di fallimento ritenendo che non fossero state superate le soglie di cui all'art. 1, comma 2, lett. a) e b), e che l'indebitamento complessivo, che appariva di poco superiore ad € 500.000,00, non era stato provato nel suo preciso ammontare, difettando quindi anche il requisito di cui alla lett. c). La Corte d'appello adita, nell'accogliere il reclamo, ha affermato che dal dato numerico di cui alla lett. c), in quanto oggettivo, non è possibile discostarsi. Alla successiva udienza prefallimentare il debitore presentava quindi documentazione di rinuncia del credito da parte di due suoi creditori, in seguito alla quale l'indebitamento complessivo veniva portato sotto la soglia di fallibilità di € 500.000,00. Ciò nonostante, il tribunale dichiarava il fallimento della società debitrice, per le ragioni di seguito esposte, con sentenza successivamente reclamata dinnanzi alla Corte d'appello di Venezia.

La soluzione

Per la Corte d'appello, l'eccezione di inammissibilità del reclamo è del tutto infondata, e ciò in ragione del fatto che il decreto di accoglimento non è dotato di quella definitività e di quella capacità di incidere direttamente sulle posizioni giuridiche delle parti, propria della sola sentenza di riapertura di fallimento.
Quanto alla seconda questione, il giudicante di seconda istanza fornisce una soluzione articolata in due punti: 1) ai sensi dell'art. 15 l. fall., il debitore può depositare i bilanci degli ultimi tre esercizi e la situazione patrimoniale aggiornata fino all'udienza prefallimentare, ed è questo il momento in cui “il tribunale è posto nella condizione di valutare i presupposti di fallibilità previsti dall'art. 1 l. fall.”. Pertanto, anche se il tribunale può ben valutare fatti sopravvenuti che incidano sulla sussistenza dei presupposti di fallibilità, ciò non vuol dire che debba respingere l'istanza di fallimento solo perché difetta uno dei requisiti previsti ex lege, senza peraltro vagliare la sussistenza degli altri due;
2) nel caso di specie, poi, la fallita società non aveva prodotto la propria situazione patrimoniale in ottemperanza all'art. 15 l. fall., pertanto non era possibile valutare, con un adeguato margine di attendibilità, le dichiarazioni di rinuncia prodotte.

Osservazioni

La sentenza della Corte d'appello di Venezia in commento, nell'enunciare i due principi di diritto sopra evidenziati, fa corretta applicazione di orientamenti giurisprudenziali in genere concordi sulle questioni richiamate. Il giudice adito in sede di reclamo, infatti, affronta preliminarmente la questione relativa alla natura dell'atto con cui la Corte d'appello, nell'accogliere il reclamo avverso il decreto che rigetta l'istanza di fallimento, trasmette gli atti al tribunale. La motivazione della Corte si aggancia al principio di diritto espresso in alcune sentenze della Suprema Corte, le quali affermano che tale atto è un provvedimento non definitivo, ma di natura ordinatoria e, pertanto, non è in grado di produrre direttamente in capo alle parti effetti giuridici di sorta.
Invece la successiva sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal tribunale a cui sono stati trasmessi gli atti è una pronuncia “soggettivamente complessa e a formazione progressiva”.
Anche per quanto attiene al merito del reclamo la Corte d'appello si fa portavoce di interpretazioni giurisprudenziali alquanto diffuse: la sussistenza dei presupposti, oggettivi e soggettivi, va vagliata al momento della declaratoria di fallimento, poiché è entro l'udienza prefallimentare che il debitore deve presentare tutta la documentazione attestante la propria situazione patrimoniale e finanziaria. Nel caso di specie, poi, viene richiesto al Giudice d'appello di revocare la sentenza dichiarativa di fallimento sulla base del – presunto – venir meno di uno solo dei requisiti previsti dall'art. 1, comma 2, quando è la stessa legge che impone una valutazione congiunta di tutti i presupposti, valutazione che il giudicante non è stato messo in condizione di compiere. A giudizio della Corte, soltanto una circostanza sopravvenuta potrebbe avere l'efficacia di revocare la sentenza di fallimento, ossia il pagamento integrale dei creditori. La ratio sottesa a questa affermazione è chiara: con l'adempimento di tutte le obbligazioni viene meno lo stato di insolvenza, presupposto fondamentale per l'espletamento della procedura fallimentare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per quanto attiene alla natura del provvedimento con cui la Corte d'appello si pronuncia sul reclamo proposto ex art. 22 l. fall. si segnala Cass. civ. sez. I, 19 giugno 2008, n. 16656, ove i Supremi Giudici hanno affermato che il decreto con cui la Corte d'appello, in sede di reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza del creditore di riapertura del fallimento, conferma il predetto diniego, non è impugnabile con ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost, poiché tale provvedimento non incide in via sostanziale e definitiva sul diritto del creditore stesso, il quale può riproporre la propria istanza ovvero anche agire in sede ordinaria, con azione di accertamento o condanna. La citata pronuncia ha fatto applicazione di principi ormai pacifici in giurisprudenza: in precedenza Cass. Civ. sez. I, 14 dicembre 2006, n. 26831 in Fall., 2007, 533 (con nota di Tiscini, Il provvedimento della corte d'appello reso in sede di reclamo contro la chiusura del fallimento ed il ricorso straordinario in Cassazione), dove la Suprema Corte ha affermato che il provvedimento con cui la Corte d'appello, accogliendo il reclamo proposto contro il diniego di riapertura, dispone la trasmissione degli atti al tribunale per la nuova dichiarazione di fallimento, in quanto privo dei requisiti della definitività e della decisorietà, non può essere impugnato con ricorso straordinario per Cassazione.
Sullo specifico argomento della revoca del fallimento per sopravvenienza di elementi che fanno venire meno i presupposti ex art. 1 l. fall. si segnalano poche pronunce: nello specifico, Cass. civ. sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 3479, laddove si afferma che nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento hanno rilevanza solo i fatti esistenti al momento della stessa e non i fatti sopravvenuti, dal momento che la pronuncia di revoca del fallimento presuppone che venga acquisita la prova che i presupposti per l'apertura della procedura non sussistevano già nel momento in cui la stessa fu aperta. Nella pronuncia si specifica anche che l'estinzione delle passività nel corso della procedura rileva ai fini della chiusura della stessa, ma non della revoca del fallimento. In precedenza, lo stesso principio di diritto è stato enunciato da Cass. civ. sez. I 26 novembre 2002, n. 16658.
Le norme della legge fallimentare applicate nel caso in questione sono: art. 1, comma 2, per quanto concerne i presupposti per la dichiarazione di fallimento; l'art. 15 per il momento di valutazione di tali requisiti; l'art. 22, comma 4, relativamente al provvedimento che accoglie il reclamo.

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