Il concordato con continuità aziendale: compatibilità con l’affitto d’azienda e durata poliennale del piano

Gabriella Covino
Luca Jeantet
14 Novembre 2013

Il contratto di affitto d'azienda non è di per se stesso incompatibile con il concordato con continuità aziendale, purché l'affittuario, seppur sotto la condizione sospensiva d'omologazione della proposta concordataria, si impegni ad acquistare i beni affittati e quest'acquisto, cui è collegato l'incasso delle somme da destinare al pagamento dei creditori concordatari, intervenga entro un tempo massimo non superiore a quello di un'ordinaria liquidazione, pena la mancanza della causa concreta della domanda di concordato e la sua conseguente inammissibilità.
Massima

Il contratto di affitto d'azienda non è di per se stesso incompatibile con il concordato con continuità aziendale, purché l'affittuario, seppur sotto la condizione sospensiva d'omologazione della proposta concordataria, si impegni ad acquistare i beni affittati e quest'acquisto, cui è collegato l'incasso delle somme da destinare al pagamento dei creditori concordatari, intervenga entro un tempo massimo non superiore a quello di un'ordinaria liquidazione, pena la mancanza della causa concreta della domanda di concordato e la sua conseguente inammissibilità.

Il caso

Una società deposita ricorso ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. e, nel termine fissato dal Tribunale, presenta una proposta ed un piano con continuità aziendale. La società, che suddivide i creditori privilegiati e chirografari in dodici classi, prevede la conclusione di quattro contratti di affitto d'azienda, di durata annuale prorogabile per uguale periodo, con quattro enti collettivi di nuova costituzione cui trasferire le proprie attività operative e con i cui canoni di affitto conseguire le somme da destinare ai creditori concordatari entro un termine, superiore a quello del piano e pari a dieci anni, di circa vent'anni dalla data d'omologazione. Il Tribunale giudica la domanda inammissibile, in quanto l'affitto d'azienda fine a se stesso, dunque non collegato ad un obbligo di suo acquisto da parte dell'affittuario, è incompatibile con la disciplina di cui all'art. 186-bis l. fall. ed in quanto un piano di durata superiore a cinque anni, oltre tutto non supportato da adeguate garanzie, è inidoneo a realizzare la causa concreta concordataria.

La questione giuridica e la soluzione

Il decreto affronta e risolve il tema della compatibilità del contratto di affitto d'azienda con il concordato con continuità aziendale e della durata del collegato piano, statuendo che l'affitto d'azienda può ritenersi ammissibile nella prospettiva di cui all'art. 186-bis l. fall. quando sia propedeutico alla sua successiva cessione all'affittuario e che difetta la causa concreta della proposta concordataria nel caso in cui il pagamento dei creditori sia previsto oltre al termine di un'ordinaria liquidazione.

Osservazioni

Il concordato con continuità aziendale è stato tipizzato all'art. 186-bis l. fall., rimasto immutato all'indomani della promulgazione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. Decreto del Fare), e ricorre in ipotesi di gestione diretta dell'azienda da parte del debitore, oppure di sua cessione in esercizio, oppure ancora di suo conferimento sempre in esercizio in una o più società. Tanto, però, non basta ancora, giacché per potersi parlare di concordato con continuità aziendale sono necessari tre ulteriori elementi, vale a dire che la domanda venga corredata da un piano avente, quale modalità esecutiva, la prosecuzione dell'attività d'impresa; che questo piano contenga un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie per condurla e delle relative modalità di copertura; e che questo stesso piano sia validato da un esperto con attestazione, oltre che della veridicità dei dati aziendali, anche della funzionalità della prosecuzione dell'attività d'impresa al miglior soddisfacimento dei creditori.
Sulla base di questi elementi, si è discusso, all'indomani della promulgazione del Decreto Sviluppo, se l'affitto di azienda possa dare luogo ad un concordato con continuità aziendale.
Le risposte erano e restano differenti, dovendosi precisare che lo strumento dell'affitto di azienda soddisfa, in linea di principio, l'esigenza di attuare un intervento immediato e volto ad assicurare la continuazione dell'attività d'impresa in capo ad un nuovo imprenditore che “non può e non vuole” incorrere nel rischio di ritrovarsi coinvolto nelle passività pregresse e, al tempo stesso, perdere l'avviamento dell'impresa in crisi; impresa che, nella pressoché totalità dei casi, intende acquistare solo dopo la, e dunque sotto la condizione sospensiva della, omologa del concordato preventivo.
Ora, muovendo dalla constatazione che, con il contratto di affitto, l'imprenditore in crisi affittante perde l'esercizio dell'azienda e che l'espressione legislativa “cessione di azienda in esercizio”, pur atecnica, sarebbe riferibile al solo trasferimento in proprietà dell'azienda a terzi, dottrina e giurisprudenza avevano escluso, in primo momento ed in termini generali, la possibilità di configurare un concordato con continuità aziendale alla presenza di un contratto di affitto. E ciò anche sul presupposto testuale che “non avrebbe senso imporre l'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura - ex art. 186-bis, co. 2, lett. a) l.f. -, nonché l'attestazione che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori - ex art. 186-bis, co. 2, lett. b)l.f. - laddove le relative condizioni di rischio attengano all'attività svolta dall'affittuario, senza ricadere sul ceto creditorio concordatario, quantomeno a fronte di un compenso (sia a titolo di canone di affitto, sia a titolo di prezzo di cessione) predeterminato in misura fissa, e non parametrato sull'andamento dell'attività svolta dall'affittuario”. In altre parole, l'incompatibilità tra il concordato con continuità aziendale e l'affitto d'azienda era fondata sul rilievo per cui il rischio d'impresa collegato alla continuità aziendale non si può trasferire sull'affittuario, che è terzo estraneo all'attività imprenditoriale.
Dopo quest'interpretazione, secondo chi scrive non condivisibile perché dimentica della circostanza che l'art. 186-bis l. fall. ammette un concordato con continuità anche nel caso di sostituzione dell'imprenditore alla guida dell'impresa in crisi, ne è stata in progresso di tempo proposta un'altra sulla base della constatazione che, nel caso di affitto d'azienda od anche solo di un ramo di essa, l'imprenditore non cessa la sua attività, in quanto lo stesso avrà dei ricavi, rappresentati dal canone variabile o fisso, e dei costi, composti in via esclusiva o parziale dalla gestione dei/l contratti/o d'affitto.
Con il che, secondo questa diversa lettura, la fattispecie del concordato con continuità aziendale, ai sensi dell'art. 186-bis l. fall., potrebbe considerarsi comunque caratterizzata dall'elemento oggettivo della prosecuzione dell'attività d'impresa, risultando irrilevante, sotto il profilo soggettivo, che questa prosecuzione sia garantita direttamente dal debitore oppure da un terzo, anche mediante un affitto di azienda in vista della sua futura cessione.
Di qui, l'affermazione per cui l'affitto d'azienda non può essere astrattamente escluso dal concordato con continuità.
Le superiori interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali non appaiono pienamente soddisfacenti, scontando il limite di non considerare le molteplici variabili che possono riguardare un contratto di affitto d'azienda stipulato da un imprenditore in crisi che intenda proporre o già abbia proposto domanda di concordato, eventualmente in forma riservata ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall.
In questa prospettiva è anzitutto necessario distinguere l'affitto che non incorpori un impegno o una promessa ad acquistare l'azienda od un suo ramo da quello c.d. “ponte cessione”, dunque prodromico al trasferimento dei beni affittati.
La prima ipotesi non rientra certamente nel perimetro della fattispecie in esame, come lo stesso tenore letterale dell'art. 186-bis l. fall. dimostra in modo chiaro, riferendosi alla gestione diretta aziendale oppure alla cessione oppure ancora al conferimento.
La seconda ipotesi deve essere scrutinata nelle sue due possibili manifestazioni alternative di contratto di affitto d'azienda quale elemento del piano concordatario e di contratto di affitto d'azienda già stipulato all'epoca del deposito del ricorso ex art. 161 l. fall.
Il primo caso parrebbe ancora riconducibile alla fattispecie del concordato con continuità aziendale, purché l'affittuario si impegni all'acquisto.
Il secondo caso è, per contro, più controverso e controvertibile. Sulla base di una prima interpretazione, letterale, si potrebbe ritenere che questo contratto esuli dal campo di applicazione dell'art. 186-bis l. fall., dato che questa norma parrebbe, per un verso, imporre che sia il piano a prevedere la cessione o il conferimento (non un contratto ad esso anteriore) e, per altro verso, collegare la continuità alla circostanza che l'imprenditore sia alla guida dell'azienda in crisi nel momento in cui deposita il ricorso ammissivo. Tuttavia, se si considera che nulla esclude che il piano concordatario faccia riferimento ad un contratto precedentemente concluso, incorporandone gli effetti economici, e che la continuità, come anticipato, potrebbe essere collegata al dato oggettivo che l'azienda sia in esercizio a prescindere dal soggetto che la conduce, allora potrebbe ritenersi che anche il contratto di affitto c.d. “ponte cessione” ricada sotto la disciplina dell'art. 86-bis legge fall., anche se concluso prima dell'accesso alla procedura concordataria.
Ciò detto, occorre chiedersi se il contratto di affitto c.d. “ponte cessione” possa considerarsi atto straordinario e, come tale, autorizzabile dal Tribunale o dal Giudice delegato, a seconda che la relativa istanza venga presentata dal debitore in stato di crisi durante la fase di concordato con riserva oppure dopo il decreto ammissivo, ma prima del provvedimento omologativo. Certo, essendo l'affitto c.d. “ponte cessione” un atto straordinario, siccome diretto ad incidere sul patrimonio del debitore ed a generare potenziali passività, anche solidali o di regresso, è ragionevole escludere che la sua sottoscrizione possa essere autorizzata durante la fase di concordato con riserva. In questa fase, infatti, il debitore in stato di crisi non ha ancora presentato il piano concordatario, sicché il Tribunale non sarebbe in condizione di verificare se ed in quali termini l'affitto e l'eventuale conseguente cessione siano effettivamente funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori. Discorso diverso può, invece, essere fatto rispetto all'ipotesi che il debitore in stato di crisi chieda di essere autorizzato a sottoscrivere un affitto c.d. “ponte cessione” dopo la pronuncia del decreto ammissivo e prima dell'omologa, giacché, in questo caso, il Giudice delegato avrebbe a disposizione gli elementi sufficienti e necessari per verificare la compatibilità del negozio con gli scopi, i termini e le condizioni della proposta concordataria, con conseguente possibilità di rendere un'autorizzazione ai sensi dell'art. 167 legge fall.
Procedendo nell'analisi, va tenuto presente che la riferibilità del contratto di affitto d'azienda (anteriore o posteriore rispetto alla data della domanda) al concordato con continuità ha, quale conseguenza, l'applicazione della regola per cui “a) il piano di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e), deve contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura; b) la relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”.
Si tratta, quindi, di valutare come vada declinata questa disposizione in ipotesi di affitto d'azienda, specie sotto il profilo dell'analitica indicazione di costi e ricavi attesi dalla prosecuzione della attività di impresa, nonché della indicazione di risorse e modalità di copertura, tenendo a mente che questi elementi, in caso di gestione diretta dell'impresa da parte del debitore concordatario, devono tradursi in un piano industriale che consenta di prevedere che dalla attività di impresa scaturiscano i ricavi che garantiscano non solo la efficace prosecuzione della attività, ma anche il pagamento dei crediti concorsuali.
In altre parole, occorre chiedersi se, in caso di affitto d'azienda, la fattibilità e la convenienza della proposta di concordato e del piano ad essa collegato vadano verificate in rapporto alla sola solvibilità dell'affittuario oppure anche all'andamento dell'attività imprenditoriale da lui condotta.
La risposta a questa domanda presuppone di verificare se nel contratto di affitto d'azienda sia stato previsto un canone fisso oppure un canone variabile, dunque parametrato all'andamento dell'attività imprenditoriale dell'affittuario. Nel primo caso, vale a dire di pattuizione di un canone fisso, dovrebbe essere interesse dell'autorità giudiziaria e, prima di essa, dell'esperto attestatore verificare la sola solvibilità del terzo affittuario, onde accertare che sia in condizione di adempiere puntualmente all'obbligazione di pagamento del canone d'affitto e del corrispettivo di cessione, ove egli risulti effettivamente cessionario dell'azienda. Tutto ciò con la precisazione che quest'indagine potrebbe anche non essere condotta nel caso in cui il canone d'affitto e/o il corrispettivo della cessione siano garantiti secondo modalità che consentano di ritenere assolutamente certa la soddisfazione dei debiti concorsuali, ad esempio mediante concessione di garanzia a prima richiesta.
Tuttavia, uno spettro di verifica così limitato potrebbe avere senso effettivo solo se e nella misura in cui l'uscita dell'azienda dal perimetro concordatario sia immediata ed integrale, con contestuale riscossione del corrispettivo ed ininfluenza della gestione “terza” successiva sulle sorti del concordato. Trattandosi d'ipotesi residuale, la gestione futura da parte dell'affittuario dovrebbe, pertanto, mantenere rilievo e costituire elemento informativo essenziale ai fini del giudizio di fattibilità e di convenienza del concordato, con conseguente necessità che il piano concordatario e la collegata relazione attestativa contengano una verifica della sostenibilità del piano aziendale dell'affittuaria, quanto meno sino al momento in cui è prevista la cessione dell'azienda ed il conseguente incasso del corrispettivo. Del resto, ragionare diversamente significherebbe ignorare le conseguenze passive, anche prededucibili, che potrebbero gravare sui creditori concordatari in caso di restituzione dell'azienda, per qualunque motivo anteriore alla sua cessione, all'imprenditore in crisi, specie nella prospettiva di cui all'art. 2112 c.c. e di cui all'art. 2560 c.c. E ciò appare tanto più vero nel caso in cui il contratto di affitto d'azienda preveda il pagamento di un canone variabile, dunque parametrato all'andamento dell'attività imprenditoriale dell'affittuario. In questo caso, infatti, l'alea della gestione ricade indirettamente sul ceto creditorio tanto sotto il profilo dei flussi economici in entrata, quanto sotto il profilo dei rischi collegati alla gestione del terzo affittuario.
Ammessa la relativa compatibilità dell'affitto d'azienda nella prospettiva di cui all'art. 186-bis l. fall., occorre verificare, a questo punto, se ed a quali condizioni temporali possa ritenersi integrata la causa concreta della proposta concordataria con continuità.
Occorre premettere, in conformità al dictum delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, che al Tribunale spetta un controllo sulla fattibilità giuridica d'una proposta di concordato e, quindi, sulla sussistenza del requisito causale, da individuarsi nel superamento dello stato di crisi dell'imprenditore e, cumulativamente, nel pagamento in favore dei creditori di una di una pur minima percentuale del loro credito entro un tempo ragionevolmente contenuto, con la precisazione che, in difetto, non è possibile parlare di “soddisfazione dei creditori” ai sensi dell'art. 160, comma 1, lett. a), l. fall., quale condizione d'ammissibilità della relativa domanda. Ora, se è vero che il profilo temporale è fisiologicamente connesso alla valutazione di convenienza, e dunque del giudizio spettante in via esclusiva ai creditori, è anche vero che la previsione d'un tempo di pagamento irragionevolmente lungo oppure la sostanziale mancanza di un termine minano, in radice, la causa concreta d'una proposta concordataria. In questo senso, depone anche l'art. 161, comma 2, lett. e), l. fall., a norma del quale al debitore è richiesto di presentare con il proprio ricorso anche “un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta”. Ecco quindi che il termine di pagamento, se eccessivamente dilazionato oppure non previsto in modo chiaro, deve essere scrutinato nell'ambito della verifica della fattibilità giuridica della domanda concordataria. Del resto, un piano che si concluda dopo molti anni senza che, come nel caso esaminato dal Tribunale di Monza, si siano ancora esauriti i pagamenti, non risulta ragionevolmente valutabile, anche a livello di attestazione da parte dell'esperto, sulla base di elaborazioni prognostiche fondate su criteri comunemente riconosciuti come attendibili, restando affidato alla pura speranza del realizzarsi di una molteplicità di convergenze favorevoli, in realtà neppure ponderabili, in quanto successive alla sua stessa scadenza. La finale conseguenza è che la previsione di pagamento dei debiti concordatari in un arco di tempo superiore – di norma - ad un lustro è incompatibile non solo con i tempi di ragionevole durata di una normale procedura espropriativa forzata, cui deve essere parametrata una procedura concorsuale su base volontaria di natura negoziale, ma anche con gli obblighi imposti dalla Legge Pinto. Tutto ciò non significa che un imprenditore in crisi non possa convenire con i propri creditori tempi di soddisfazione dilazionati nel tempo, ma che questa soluzione non può costituire oggetto d'una proposta concordataria. In altre parole, la definizione della crisi può avvenire in un periodo di tempo anche molto lungo, specie in presenza di scenari complessi ed in un contesto di grave crisi di sistema a livello internazionale, ma, in questo caso, lo strumento utilizzabile non è il concordato preventivo (i.e., una procedura su base pattizia che obbliga la minoranza dei creditori dissenzienti), ma l'accordo di ristrutturazione dei debiti (i.e., una procedura su base pattizia in cui all'adesione dei creditori consenzienti è associato il pagamento integrale dei creditori dissenzienti).

Conclusioni

Il decreto del Tribunale di Monza, nello scrutinare le condizioni, anche temporali, alle quali un contratto di affitto d'azienda può ritenersi compatibile con una proposta di concordato con continuità aziendale, consente di verificare i molteplici impieghi di questo strumento negoziale nel contesto concordatario, potendosi ritenere che la disciplina dell'art. 186-bis l. fall. può trovare applicazione anche rispetto all'affitto c.d. “ponte cessione”, dunque prodromico al trasferimento dei beni affittati, a prescindere dalla circostanza che sia stato concluso prima o dopo il deposito della domanda di cui agli artt. 160 e ss. l. fall., ma non anche all'affitto che non incorpori un impegno od una promessa ad acquistare l'azienda od un suo ramo.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Sul concordato con continuità aziendale, in giurisprudenza: Trib. Roma, 6 maggio 2013, decr., in ilfallimentarista.it; Trib. Terni, 28 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Catanzaro, 23 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Roma, 16 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Firenze, 7 gennaio 2013, decr., in ilfallimentarista.it, 2013; Trib. Vicenza, decr., 12 novembre 2012, in ilcaso.it, 2012; Trib. Modena, decr., 22 ottobre 2012, in ilcaso.it, 2012; in dottrina: ARATO, Il concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2012; BALDASSARRE-PERENO, Prime riflessioni in tema di concordato preventivo in continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2012; CAVALLINI, Il concordato preventivo in continuità e autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti : un binomio spesso inscindibile, in ilfallimentarista.it, 2013; CORNO, Debitori, banche e Tribunali di fronte ai concordati in continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2013; DI IULIO, Il caso Richard Ginori e la fattibilità del piano, in ilfallimentarista.it, 2013; LAMANNA, Concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2013; ID, La problematica relazione tra preconcordato e concordato con continuità aziendale alla luce delle speciali autorizzazione del tribunale, in ilfallimentarista.it, 2012; ID., La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista, 2012, pp. 58 e ss.; LO CASCIO, Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fallimento, 2013, pp. 5 e ss.; QUATTROCCHIO-RANALLI, Il concordato in continuità e ruolo dell'attestatore : poteri divinatori o applicazione di principi di best practice, in ilfallimentarista.it, 2013; TOMBARI, Alcune riflessioni sulla fattispecie del concordato con continuità aziendale, in ilfallimentarista.it, 2013; VELLA, L'accrescimento dei controlli giudiziali di merito e degli strumenti protettivi nel nuovo concordato preventivo”, in ilcaso.it, 2012, p. 36; VITIELLO, La "nuova" responsabilità penale del professionista attestatore, in ilfallimentarista.it, 2012.
Sul rapporto tra il concordato con continuità aziendale e l'affitto d'azienda: in giurisprudenza, Trib. Terni, 2 aprile 2013, decr., inedito; Trib. Firenze, 27 marzo 2013, decr., inedito; Id., 19 marzo 2013, decr., inedito; Trib. Bolzano, 27 febbraio 2013, decr., in ilcaso.it; in dottrina, AMBROSINI, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in ilcaso.it, 2013; FICO, Domanda di concordato con riserva, affitto d'azienda e concordato in continuità, in ilfallimentarista.it, 2013; GALLETTI, La strana vicenda del concordato in continuità e dell'affitto di azienda, in ilfallimentarista.it, 2012.
Sulla durata di piani concordatari poliennali: in giurisprudenza, Trib. Modena, 13 giugno 2013, decr., in ilcaso.it; Trib. Bari, 3 giugno 2013, decr., in ilcaso.it.

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