L’uso del trust nella composizione della crisi d’impresa

12 Novembre 2013

L'organo giudiziario non ha un ruolo volto unicamente all'accertamento dei requisiti formali estrinseci della proposta di concordato, dovendo verificare altresì il possesso sostanziale dei requisiti di ammissibilità alla procedura di concordato, fra i quali la fattibilità del piano quale in concreto percorribile e certificata nella relazione di accompagnamento alla proposta, mentre spetta ai creditori la valutazione sulla convenienza effettiva del piano concordatario.
Massima

L'organo giudiziario non ha un ruolo volto unicamente all'accertamento dei requisiti formali estrinseci della proposta di concordato, dovendo verificare altresì il possesso sostanziale dei requisiti di ammissibilità alla procedura di concordato, fra i quali la fattibilità del piano quale in concreto percorribile e certificata nella relazione di accompagnamento alla proposta, mentre spetta ai creditori la valutazione sulla convenienza effettiva del piano concordatario.

E' lecito l'utilizzo del trust, riguardante beni esterni al patrimonio della società, che contribuisce a garantire il buon esito del concordato preventivo, laddove al commissario giudiziale venga attribuita la funzione di protector.

Il caso

Una s.r.l. in liquidazione ha chiesto al Tribunale di Ravenna l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, di natura liquidatoria, proponendo il soddisfacimento dei creditori con la cessione dei beni sociali e la messa a disposizione di alcuni immobili da parte di un terzo mediante la costituzione di un trust di scopo, con efficacia condizionata all'omologa.
Il Tribunale, nel valutare l'ammissibilità della proposta, ha ribadito preliminarmente che spetta all'autorità giudiziaria la valutazione sostanziale dei requisiti della domanda, spettando ai creditori unicamente la valutazione circa la convenienza economica della proposta.
Nel caso di specie è stata ritenuta ammissibile una domanda che prevedeva il soddisfacimento dei creditori chirografari con il ricavato della liquidazione dei beni sociali e con l'apporto di finanza esterna da realizzarsi mediante la vendita di beni immobili vincolati da un terzo in un trust di scopo, condizionato all'omologa del concordato e con attribuzione al commissario giudiziale del ruolo di guardiano o protector.

Le questioni giuridiche esaminate e soluzioni

Il precedente in esame risulta interessante poiché ha delineato le caratteristiche dell'istituto del trust, ha affrontato il tema dei rapporti tra tale figura giuridica e il diritto delle imprese in crisi ed ha, infine, valutato positivamente – nel caso di specie - l'utilizzo dello stesso nella composizione della crisi di impresa.
Il Tribunale, preliminarmente, ha aderito all'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale mentre la valutazione della convenienza economica spetta ai creditori, attesa la natura pattizia della proposta, il giudizio sulla fattibilità giuridica - che si esplica anche nella verifica dell'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato - spetta all'autorità giudiziaria, e ciò anche alla luce della recente sentenza della Cassazione SS.UU. 23 gennaio 2013 n. 1521.
Come evidenziato nel decreto in esame, nell'ordinamento italiano non è rinvenibile una disciplina positiva del trust, essendosi limitato il legislatore a ratificare la Convenzione dell'Aja del 1° luglio 1985 con legge 16 ottobre 1989, n. 364, resa esecutiva dal 1 gennaio 1992, omettendo di dettare una disciplina positiva propria dell'istituto. Con l'effetto che nell'utilizzare l'istituto del trust occorre fare riferimento alla normativa internazionale ritenuta più idonea allo scopo.
La normativa alla quale si fa solitamente riferimento è il cd. “trust di Jersey”, regolato dalla Jersey Trust Law del 1984, così come emendata nel 2012, poiché prevede la possibilità di soddisfare una massa indistinta di beneficiari, come accade nell'ipotesi di concordato, e consente di indicare quali beneficiari persone fisiche e/o giuridiche di cui non è stata ancora effettuata compiutamente l'individuazione, con possibilità inoltre di prevedere più classi di beneficiari.
Peraltro la Jersey Law permette di nominare come trustee uno dei soggetti beneficiari, ad esempio uno o più creditori qualificati (ved. Cosentino, Il Trust di Jersey nel concordato preventivo, in Il Caso.it).
Il trust è un istituto giuridico di derivazione anglosassone che, nell'interesse di uno o più beneficiari e per uno scopo specifico, permette di regolamentare con modalità diverse più posizioni giuridiche in base ad un vincolo fiduciario. I soggetti, o per meglio dire le posizioni giuridiche, sono generalmente tre: il disponente (settlor) ossia il soggetto che costituisce il trust, l'amministratore o gestore (trustee) ovvero colui che dovrà gestire i beni per le finalità e secondo le regole indicate dal disponente ed il beneficiario (beneficiary). E' possibile che ricorra una quarta figura, ossia il garante o guardiano (protector) con il compito di vigilare sulle modalità di gestione e/o sul raggiungimento dello scopo sotteso all'istituzione del trust.
Allorché il medesimo soggetto assuma la posizione giuridica di disponente e di trustee si parla di “trust autodichiarato”.
Caratteristica principale del trust è che può essere utilizzato con finalità segregative dei beni, onde evitare l'escussione degli stessi.
Nel provvedimento esaminato il trust, in buona sostanza, ha permesso di apportare nuova finanza a sostegno della fattibilità della proposta concordataria, con l'apposizione di un vincolo sugli immobili del terzo al fine di garantire la percentuale di soddisfacimento prospettata ai creditori concorsuali. Diversamente, la semplice promessa del disponente di mettere a disposizione dei creditori i propri beni sarebbe risultata meno garantita e, per l'effetto, meno affidabile ai fini della valutazione della convenienza economica della proposta da parte dei creditori.
Lo scopo segregativo perseguito dall'istituto non può tuttavia sfociare nell'abuso, e quindi in un uso distorto dell'istituto finalizzato alla sottrazione illecita dei beni sociali ai creditori, poiché in contrasto con quanto previsto nella clausola di salvaguardia di cui all'art. 15 della Convenzione dell'Aja, secondo cui un trust non può derogare alle norme imperative previste dall'ordinamento interno in particolare con riferimento alle norme previste per la “…e) protezione dei creditori in caso d'insolvenza…”
Ne consegue che il trust è un istituto riconosciuto dall'ordinamento che, tuttavia, come emerso da più precedenti giurisprudenziali, è stato utilizzato per usi contrari alla legge da operatori disinvolti a danno dei creditori.
Il Tribunale di Milano con una pronuncia del 29/10/2010 ha affermato che il trust, nel nostro ordinamento, subisce una limitazione nei casi d'insolvibilità del disponente, con l'effetto che è pienamente giustificato il limite posto all'operatività del trust nel caso di sovrapposizione fra la disciplina di questo e la gestione legale dell'insolvenza (Trib. Milano, 29 ottobre 2010, in Il Caso.it)
La norma considerata (art. 15 Convenzione dell'Aja) esclude dunque che la disciplina della separazione patrimoniale e del vincolo di destinazione dei beni possa sopravvivere al fallimento del conferente o del trustee, per cui i beni di costoro, anche se oggetto del trust, saranno assoggettati alla disciplina del fallimento.
Il medesimo Giudice non ha escluso la liceità di un trust liquidatorio nell'ipotesi che siano state previste delle clausole che ne limitino l'operatività nel caso di insolvenza conclamata e che prevedano, in caso di fallimento, la restituzione dei beni vincolati nel trust al curatore fallimentare.
In mancanza di una siffatta previsione, e qualora l'istituzione del trust sia avvenuta con lo scopo di aggirare la disciplina concorsuale, l'autorità giudiziaria può dichiararne la nullità per contrarietà a norme imperative.
L'esame dei precedenti giurisprudenziali suggerirebbe pertanto un approccio prudente ed avveduto all'istituto, essendo necessario effettuare una distinzione tra la costituzione del trust allorché l'impresa disponente sia già insolvente ed il trust costituito in un momento antecedente.
Nel primo caso il trust è stato considerato nullo ex tunc, in quanto volto ad eludere norme imperative sottese alla liquidazione concorsuale nell'interesse della collettività, mentre nella seconda ipotesi la successiva dichiarazione di fallimento rappresenterebbe una causa di sopravvenuto scioglimento del trust e quindi la dichiarazione d'inefficacia avrebbe effetto ex nunc, con salvezza degli atti posti in essere antecedentemente.
In tal senso si è espresso il Tribunale di Mantova il quale, avendo rilevato che un trust era stato istituito da un'impresa insolvente al solo fine di rendere non aggredibili i beni dai suoi creditori, ne ha dichiarato la nullità in assenza di una clausola che ne limitasse l'operatività in caso di insolvenza conclamata (Trib.Mantova, 18 aprile 2011 e, in senso analogo, App. Milano, 29 ottobre 2009, entrambe in Il Caso.it).
Occorre evidenziare che l'abuso dell'istituto del trust nelle modalità delineate, oltre che avere effetti sul disponente e/o sul trustee, determina l'insorgere di una responsabilità penale (bancarotta fraudolenta o semplice) per il notaio che redige l'atto, così come per l'avvocato e/o commercialista che propongano o svolgano per conto del cliente un'attività volta alla sottrazione dei beni ai creditori.

Conclusioni

La decisione esaminata rappresenta un utile spunto per gli imprenditori in crisi che intendano proporre un concordato di natura mista, da realizzarsi con la cessione dei beni sociali e con l'apporto di nuova finanza.
L'utilizzo del trust, con la segregazione dei beni conferiti e la contestuale previsione di un guardiano nell'interesse dei creditori, quale ad esempio il commissario o il medesimo comitato dei creditori, garantisce l'effettiva disponibilità di quanto promesso, prevenendo l'eventuale aggressione da parte dei creditori del disponente e quindi il venir meno delle utilità prospettate, e nel contempo assicura l'effettivo soddisfacimento delle percentuali prospettate ai creditori, rendendo così appetibile quanto promesso dall'impresa in crisi.
D'altra parte il disponente, senza alcun rischio, condizionando il trust all'omologa del concordato, vedrà realizzato lo scopo di destinazione o, in mancanza, si vedrà restituire quanto conferito.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sulla valutazione della proposta concordataria e sui limiti del controllo del tribunale si segnalano, fra le altre, Cass. 15 dicembre 2011 n. 27063 (con la quale è stato denunciato un contrasto interpretativo), Cass. 18 settembre 2012, n. 15628 e il recentissimo intervento delle Sezioni Unite in Cass. SS.UU. 23 gennaio 2013 n. 1521, con nota di Lamanna, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: “così è se vi pare”, in IlFallimentarista.it, 2013; cfr. anche Vitiello, Il problema dei limiti di controllo del Tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite, in Il Fallimentarista.it. Sullo stesso argomento, in dottrina, Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, in Dir. Fall., 2012.
Sui rischi di abuso dell'istituto del trust si segnalano Trib. Milano, 29 ottobre 2010, Trib. Mantova, 18 aprile 2011 e, in senso analogo,App. Milano, 29 ottobre 2009, Trib. Reggio Emilia 14 marzo 2011, Trib. Bolzano, 17 giugno 2011, tutte in Il Caso.it.
In dottrina, V. Greco, Il Concordato stragiudiziale attestato realizzato da un trust, in Il Fallimentarista.it; L. Rovelli, Il ruolo del trust nella composizione negoziale dell'insolvenza di cui all'art. 182-bis. L.F., in Fall.. 5/2007, 595; L. Rovelli, I nuovi assetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria, ivi, 9/2009, 1029; L. Cosentino, Il Trust di Jersey nel concordato preventivo, in Il Caso.it; D. Mauritano, Note sul trust istituito da imprese in crisi (in funzione liquidatoria), Studio 161-2011, Consiglio Nazionale del Notariato.

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