I provvedimenti cautelari o conservativi disposti in corso d’istruttoria prefallimentare

Fabio Signorelli
04 Giugno 2013

Poiché il legislatore della novella ha attribuito al ricorrente per la dichiarazione di fallimento la facoltà di richiedere al tribunale fallimentare l'adozione di provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa con efficacia limitata alla durata dell'istruttoria prefallimentare, vanno escluse da tale novero le domande volte a conseguire utilità non direttamente connesse agli effetti della dichiarazione di fallimento, come la proposizione di un rimedio cautelare per anticipare gli effetti di un'eventuale azione revocatoria fallimentare per pagamenti con mezzi anormali.
Massima

Poiché il legislatore della novella ha attribuito al ricorrente per la dichiarazione di fallimento la facoltà di richiedere al tribunale fallimentare l'adozione di provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa con efficacia limitata alla durata dell'istruttoria prefallimentare, vanno escluse da tale novero le domande volte a conseguire utilità non direttamente connesse agli effetti della dichiarazione di fallimento, come la proposizione di un rimedio cautelare per anticipare gli effetti di un'eventuale azione revocatoria fallimentare per pagamenti con mezzi anormali.

Il caso

Richiamando uno specifico precedente giurisprudenziale di un tribunale abruzzese, una società asseritamente creditrice di un'altra, nei cui confronti aveva già presentato istanza di fallimento, chiedeva al competente Tribunale di Nocera Inferiore, ai sensi e per gli effetti dell'art. 15, comma 8, l. fall., la concessione del sequestro giudiziario di beni oggetto di una possibile futura azione revocatoria, ancorché tali beni fossero di proprietà di altro soggetto diverso dalla società fallenda. Il tribunale, dopo un breve excursus sul rimedio cautelare nelle more dell'istruttoria prefallimentare, dichiarava il ricorso inammissibile.

L'inquadramento giuridico

L'art. 15, comma 8, l. fall., introdotto con la novella del 2006, rappresenta un pregevole esempio di bilanciamento di opposte esigenze: da un canto la potenziale maggior durata dell'istruttoria prefallimentare a seguito, in particolare, della realizzazione dell'impianto “accusatorio” a cognizione piena rispetto a quello “inquisitorio” preesistente e, dall'altro canto, la conseguente necessità di evitare che, in itinere, il fattore tempo possa rivelarsi pregiudizievole per i creditori. La modifica legislativa, quantunque abbia il sapore della novità, ha due precedenti assai significativi:
a) l'art. 195 l. fall., in virtù del quale, nella liquidazione coatta amministrativa, il tribunale può disporre provvedimenti conservativi nel periodo tra la sentenza dichiarativa dell'insolvenza e l'avvio della procedura di liquidazione e
b) la legge c.d. Prodi bis (art. 21, D. Lgs. 8 luglio 1999, n. 270).
Le misure cautelari o conservative sono, dunque, finalizzate ad evitare la dispersione del patrimonio dell'imprenditore e la disgregazione del complesso aziendale a seguito d'operazioni confliggenti con gli interessi dei creditori, se non addirittura illegittime. Il tribunale, su istanza di parte (e, pertanto, mai d'ufficio), può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata dell'istruttoria prefallimentare e che verranno confermati o revocati con la sentenza di fallimento, o revocati con il decreto che rigetta l'istanza. In estrema sintesi, «forme di tutela in corso di causa, strumentali alla definizione del giudizio di merito, avente ad oggetto l'insolvenza dell'imprenditore» (F. De Santis, Le misure cautelari ed inibitorie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, Padova, 2010, vol. I, 403).
Appare certamente condivisibile l'opinione che include tali provvedimenti nel novero delle misure cautelari a carattere anticipatorio o conservativo, richiedibili esclusivamente in corso di causa e non anche ante causam, tenuto conto che l'interesse alla cautela sorge soltanto con la presentazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento. Ciò appare anche confortato dal fatto che il legislatore ha voluto che fosse il tribunale fallimentare ad essere investito fin da subito delle problematiche legate all'insolvenza dell'imprenditore, evitando una possibile e, a parere di chi scrive, anche inutile sovrapposizione con il giudice ordinario. Seppur con qualche dissenso (M. Ferro, Sub art. 15, in La legge fallimentare, a cura di M. Ferro, Padova, 2007, 121), è opinione condivisa che i provvedimenti in parola possano essere inquadrati tra le misure cautelari c.d. «extravaganti», perché trovano la loro disciplina non nel codice di rito, ma in leggi speciali quale, appunto, la legge fallimentare, e sono sottoposte, in quanto compatibili, alla disciplina del procedimento cautelare uniforme, in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 669-quaterdecies c.p.c. (F. De Santis, Le misure cautelari ed inibitorie, cit., 403 ss.; N. Pannullo, L'istruttoria prefallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da L. Ghia, C. Piccinini e F. Severini, Torino, 2010, vol. 1, 531 ss., che, tuttavia, si limita a dar conto dei due indirizzi, senza prendere posizione; S. De Matteis, Istanza di fallimento del debitore. L'istruttoria prefallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, vol. 1, 209 ss.).
Sebbene l'uso della particella disgiuntiva «o» sembri distinguere i provvedimenti cautelari da quelli conservativi (mentre quelli conservativi rientrano, come si sa, tra quelli cautelari), con la conseguenza che si può ragionevolmente pensare che il legislatore abbia inteso l'aggettivo «cautelare» nel senso di «anticipatorio» (v'è chi distingue: «da una parte le misure conservative sul patrimonio e dall'altra le misure cautelari sull'impresa, anche se non va escluso che si possano fornire anche più combinazioni»: M. Fabiani, Tutela cautelare e amministrazione dell'impresa nel processo di fallimento, in Riv. dir. proc, 2012, 931), tuttavia tale distinzione è puramente teorica, tenuto conto del fatto che la disciplina applicabile è unica per entrambe le fattispecie, indipendentemente dal fatto che si richieda un provvedimento conservativo oppure un provvedimento anticipatorio della sentenza dichiarativa di fallimento. In ogni caso, stante, com'è noto, l'abolizione del fallimento d'ufficio, il tribunale dovrà previamente verificare la legittimazione del ricorrente alla proposizione dell'istanza di fallimento, la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi ed anche l'attualità del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Precedenti giurisprudenziali

In ragione dell'oggetto e dei contenuti, infine, può essere tranquillamente affermato che si tratta di misure cautelari «atipiche», lasciando al tribunale, stando anche alla stringatezza della norma, l'adozione della o delle misure ritenute più idonee per la tutela degli interessi dei creditori.
A quanto consta, lo strumento più usato dai tribunali italiani sembra essere stato quello del sequestro dell'azienda del debitore, con nomina di un custode giudiziario (Trib. Verona, 21 maggio 2008, in Foro it., 2008, I, 2026, e Trib. Vibo Valentia, 19 marzo 2010, in Ilcaso.it). Similmente, è stato disposto il sequestro conservativo di beni mobili ed immobili del socio di una società in nome collettivo e la nomina d'un amministratore giudiziario con poteri di controllo sulle società a responsabilità limitata, costituite dal predetto socio nell'imminenza del fallimento della società di persone (Trib. Udine, 11 luglio 2008, in Fall., 2009, 80 ss).
Molto particolare è stata la scelta, operata con riferimento ad una società in accomandita semplice, di affiancare al socio accomandatario della società un custode giudiziario al quale dovevano essere sottoposte tutte le decisioni di straordinaria amministrazione della società (Trib. Bologna, 10 maggio 2010, in Ilcaso.it). In altri casi è stata disposta la revoca degli amministratori nominati dall'assemblea e la loro sostituzione con professionisti di nomina giudiziaria (Trib. Monza, 11 febbraio 2009, in Giur. comm., 2010, 3, II, 491, con nota di F. Ghignone e Trib. Napoli, 23 giugno 2009, in Redazione Giuffrè 2010). Ancòra, sono state ritenute ammissibili misure volte ad impedire temporaneamente la vendita coattiva di cespiti immobiliari facenti parte del più ampio patrimonio aziendale destinato, in caso di fallimento, alla soddisfazione della massa dei creditori (Trib. Terni, 3 marzo 2011, in Fall., 2011, 852 ss).

Contrasti e conclusioni

Il già citato provvedimento abruzzese (Trib. Sulmona, 11 novembre 2009, in Giur. mer., 2010, 6, 1576, con nota di S. Scarfoni) ha ammesso la misura cautelare del sequestro giudiziario quando debba instaurarsi un giudizio avente per oggetto l'azione revocatoria fallimentare, non escludendo nemmeno l'ammissibilità di provvedimenti cautelari o conservativi che spieghino efficacia diretta nei confronti dei terzi, purché si attui il contraddittorio con gli stessi. Tale provvedimento s'è estrinsecato in un decreto inaudita altera parte che ha concesso il sequestro giudiziario di un'azienda data in affitto dalla debitrice ad altra società.
Il provvedimento, alla luce dell'inquadramento giuridico che precede, non appare condivisibile per diversi motivi.
Il primo riguarda l'oggetto dei provvedimenti cautelari in parola, che deve necessariamente riguardare (se si vogliono evitare forzature della legge) la tutela del patrimonio o dell'impresa, con efficacia limitata alla durata del procedimento, con eventuale cristallizzazione o revoca con la sentenza di fallimento. La tutela è strumentale alla definizione del giudizio di merito, che riguarda l'insolvenza del debitore e la successiva liquidazione concorsuale, mentre non è strumentale alla tutela dei diritti del ricorrente.
Il secondo è relativo al fatto che il provvedimento ha riguardato un bene (il ramo d'azienda concesso in affitto) almeno temporaneamente nella disponibilità di un terzo e, pertanto, non più nel possesso della società debitrice e, come tale, non sottoponibile a tutti gli effetti della dichiarazione di fallimento, senza alcun vincolo di strumentalità con quest'ultima. Tale provvedimento sarà destinato a produrre i suoi effetti soltanto in relazione ad una eventuale azione revocatoria fallimentare, in netto contrasto con la disposizione in esame, che limita gli effetti di tali provvedimenti cautelari solo fino alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Il terzo, forse, da un punto di vista soprattutto pratico, potrebbe comportare una situazione difficilmente accettabile e spiegabile, perché il tribunale sarebbe chiamato a valutare non, come dovrebbe, le esigenze della liquidazione, ma, piuttosto, quelle legate alla fondatezza o meno dell'azione revocatoria fallimentare, sovrapponendosi in modo improprio al curatore «che, ancor prima di aver valutato l'opportunità di agire con la revocatoria fallimentare, si troverà, in un caso, un sequestro giudiziario per un'azione che non ha ancora nemmeno richiesto di proporre, nell'altro caso una pronuncia di revoca che suona come una sconfessione anticipata di qualsiasi azione revocatoria intenda intraprendere» (S. Scarfoni, I provvedimenti cautelari nell'istruttoria prefallimentare, in nota Trib. Sulmona, 11 novembre 2009, cit.).
Conclusivamente, il provvedimento del Tribunale di Nocera Inferiore in commento appare assolutamente condivisibile sia sul piano ermeneutico sia sul piano procedurale, dovendosi valutare negativamente la possibilità che il tribunale fallimentare adotti o possa adottare provvedimenti che esorbitino dalle esigenze più immediate e contigue alla conservazione del patrimonio del debitore e in ciò anche con il conforto della normativa europea che recita: «Allorché, per garantire la conservazione dei beni del debitore, il giudice di uno Stato membro competente ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, nomina un curatore provvisorio ai fini di garantire la conservazione dei beni del debitore, tale curatore provvisorio è legittimato a chiedere tutti provvedimenti conservativi per i beni del debitore che si trovano in un altro Stato membro, previsti dalla legge di detto Stato, per il periodo che separa la richiesta dalla decisone di apertura di una procedura di insolvenza» (Regolamento C.E. 29 maggio 2000, n. 1346, art. 38).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario