Privilegio erariale e limiti costituzionali alla retroattività delle leggi

Valentino Lenoci
03 Ottobre 2013

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, laddove prevede l'applicabilità del nuovo regime dei privilegi erariali anche nelle procedure fallimentari in cui lo stato passivo esecutivo sia già divenuto definitivo, sia per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., sia per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, in considerazione del pregiudizio che essa arreca alla tutela dell'affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti.
Massima

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 37, ultimo periodo, e comma 40, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, laddove prevede l'applicabilità del nuovo regime dei privilegi erariali anche nelle procedure fallimentari in cui lo stato passivo esecutivo sia già divenuto definitivo, sia per violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., sia per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, in considerazione del pregiudizio che essa arreca alla tutela dell'affidamento legittimo e della certezza delle situazioni giuridiche, in assenza di motivi imperativi di interesse generale costituzionalmente rilevanti.

Il caso

Con l'art. 23, comma 37, primo periodo del d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011, n. 111, è stato modificato il primo comma dell'art. 2752, comma 1, c.c., estendendosi il privilegio ivi previsto per i crediti dello Stato per le imposte sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche, per imposta regionale sulle attività produttive e per le imposte locali sui redditi anche all'IRES, alle sanzioni, ed anche oltre i limiti temporali in precedenza previsti (crediti iscritti nei ruoli resi esecutivi nell'anno in cui il concessionario del servizio di riscossione procede o interviene nell'esecuzione e nell'anno precedente).
Ai sensi del secondo periodo del suddetto comma 37 dell'art. 23 del d.l. 98/2011, tale estensione normativa si applica anche ai crediti sorti anteriormente all'entrata in vigore del decreto medesimo. In virtù del comma 40 dello stesso art. 23 d.l. n. 98/2011, inoltre, i titolari di crediti privilegiati, intervenuti nell'esecuzione o ammessi al passivo fallimentare anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto (6 luglio 2011), possono contestare i crediti che, per effetto delle nuove norme di cui ai precedenti commi, sono stati anteposti ai loro crediti nel grado del privilegio, valendosi, in sede di distribuzione della somma ricavata, del rimedio di cui all'art. 512 c.p.c., oppure proponendo l'impugnazione prevista dall'art. 98, comma 3, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel termine di cui all'art. 99 dello stesso decreto.
La disciplina in questione, dunque, opera un'estensione del privilegio mobiliare previsto dall'art. 2752, comma 1, c.c., con efficacia retroattiva, così andando a superare anche il c.d. giudicato endofallimentare, allorquando i crediti – poi diventanti privilegiati - sono già stati ammessi nello stato passivo in via chirografaria, con decisione divenuta definitiva nell'ambito della procedura di fallimento.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Giudice delegato di Firenze nel corso di una procedura fallimentare con ordinanza del 17 luglio 2012 (con nota di F. Vignoli, Profili critici sulla questione di costituzionalità dell'art. 2752 c.c. sollevata dal Tribunale di Firenze, in IlFallimentarista.it).
In particolare, su istanza del creditore Equitalia, il curatore aveva richiesto che il G.D., in sede di riparto parziale, autorizzasse la ricollocazione al privilegio di un credito per sanzioni relative ad imposte dirette, già ammesso al chirografo, e ciò in applicazione dell'art. 2752 c.c., come modificato dall'art. 23, comma 37, del d.l. n. 98/2011.Il Giudice remittente rilevava dunque che, a seguito delle citate modifiche normative intervenute nel 2011, il privilegio, “che prima assisteva solo le imposte dovute per l'anno in corso al tempo del fallimento e per l'anno antecedente, è stato esteso anche all'Ires e alle sanzioni, senza limiti temporali e con applicazione retroattiva”. Proprio la retroattività della norma fondante il privilegio di un credito erariale, originariamente chirografo, e la ricollocazione in grado diverso e poziore di un credito già ammesso allo stato passivo dichiarato esecutivo e divenuto definitivo, avrebbero violato – secondo il giudice fiorentino - i principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza in relazione a quello di "normale" irretroattività della legge ordinaria.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata per contrasto della nuova normativa – ed in particolare dell'art. 23, comma 37, secondo periodo e dell'art. 23, comma 40, del d.l. n. 98/2011, conv. in l. n. 111/2011 – con gli art. 3, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU.
Il giudice a quo, in particolare, ha eccepito l'irragionevolezza della nuova normativa, non giustificandosi l'irretroattività né in difficoltà interpretative del testo, né in differenze di applicazioni giurisprudenziali, e non sussistendo motivi di interesse generale preminente, laddove quello che si intendeva perseguire era soltanto l'interesse dello Stato all'esazione fiscale.
Il giudice delle leggi, nel ritenere fondata la questione, ha rilevato, tra l'altro, che la nuova normativa, oltre ad avere una portata retroattiva, alterava altresì i rapporti tra i creditori, già accertati con provvedimento del giudice delegato ormai consolidato, favorendo le pretese economiche dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private.
La Consulta ha quindi specificato che, pur non essendo riconosciuto al principio generale di irretroattività di cui all'art. 11, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale una valenza costituzionale, riservata solo alla materia penale ex art. 25 Cost., al legislatore è comunque consentito, in deroga al citato art. 11 prel., di introdurre norme retroattive, <<purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale”>>.
Tra i limiti alla retroattività, dunque, la Corte costituzionale richiama il rispetto del principio di ragionevolezza, <<che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento>>; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti, considerato quale <<principio connaturato allo Stato di diritto>>; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservato al potere giudiziario (principi, questi, già richiamati in Corte cost. 5 aprile 2012, n. 78; Corte cost. 11 giugno 2010, n. 209).
Principi affini – evidenzia la Corte – sono stati poi sviluppati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in materia di processo equo ex art. 6 CEDU, nel senso che il principio di preminenza del diritto e la nozione di processo equo ostano all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia, salvi i casi di <<motivi imperativi di ordine generale>>.
Sulla scorta di tali principi, dunque, la Corte costituzionale ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate, tenuto conto del consolidamento, conseguito con il c.d. giudicato endofallimentare, delle aspettative dei creditori incise dalla disposizione retroattiva; dell'imprevedibilità dell'innovazione legislativa; dell'alterazione a favore dello Stato – parte della procedura concorsuale – del rapporto tra creditori concorrenti; dell'assenza di adeguati motivi che giustificassero la retroattività. L'unico motivo in tal senso, infatti, era rappresentato da quello economico dello Stato, di per sé inidoneo a legittimare un intervento normativo a scapito dei creditori concorrenti, sì da realizzare una evidente disparità di trattamento.

Osservazioni

La giurisprudenza della Corte costituzionale, in passato, era orientata nel senso di ricondurre il principio di ragionevolezza delle norme all'interno della previsione dell'art. 3 della Costituzione che afferma - come noto - il principio di uguaglianza, di modo che una norma di nuova introduzione era costituzionalmente illegittima in quanto apportatrice di irragionevoli discriminazioni. Come conseguenza di siffatta impostazione era necessario, per accertare l'irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis.
Una volta affrancato il principio di ragionevolezza sia dal principio di uguaglianza, sia dalla ricerca del tertium comparationis, la Corte ne ha poi potuto affermare la violazione anche in assenza di una sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto al contesto normativo preesistente (v. ad es. Corte cost. 31 ottobre 2000 n. 450) o rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore (cfr. Corte cost. 11 ottobre 2000, n. 416), ovvero, ancora, quando ha una finalità interpretativa in una situazione di insussistenza di incertezza sul punto (cfr. Corte cost. 5 aprile 2012, n. 78, cit., con riferimento alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, conv. in l. 28 febbraio 2011, n. 10, in relazione alla prescrizione del diritto alla ripetizione dei versamenti indebiti in conto corrente).
In forza del richiamo ora operato dall'art. 117, comma 1, Cost., all'ordinamento comunitario ed ai vincoli derivanti dall'ordinamento internazionale, non vi è dubbio che anche i principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo entrano ora a far parte dei criteri di valutazione della ragionevolezza delle norme (secondo lo schema introdotto dalle sentenze gemelle Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349).
Appaiono quindi decisamente interessanti, sotto questo profilo, i richiami operati dalla Consulta ai criteri elaborati in sede CEDU con riferimento al principio di irretroattività delle norme.
Di recente, nel caso De Rosa c. Italia (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 11 dicembre 2012) la Corte di Strasburgo ha affermato, infatti, che "il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 (della Convenzione, n.d.e.) ostano, fatti salvi motivi imperativi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare l'esito giudiziario di una controversia" (v. anche Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 14 febbraio 2012, Arras c. Italia).
Il diritto ad un processo equo, dunque, passa anche attraverso il divieto dello Stato di interferire in modo arbitrario delle procedure giurisdizionali (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 18 gennaio 2007, Bulgakova c. Russia).
Peraltro – ed è questo uno degli aspetti più interessanti della presente pronuncia – proprio la CEDU ha affermato a più riprese che il solo interesse finanziario dello Stato non giustifica la retroattività delle norme (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 25 novembre 2010, Lilly France c. Francia).
Interessante è, poi, il richiamo al profilo della “imprevedibilità” dell'intervento legislativo, rispetto ad un accertamento giurisdizionale ormai definito (quanto meno, con riferimento all'art. 2752 c.c., in ambito endofallimentare), che rende ingiustificata la deroga al principio di irretroattività e quindi la violazione del diritto ad un processo equo, tanto più ove lo Stato sia parte in causa, come avviene nelle richieste di ammissione al passivo fallimentare per crediti erariali (cfr. Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sentenze 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas c. Francia; 26 ottobre 1997, Papageorgiou c. Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society c. Regno Unito).

Conclusioni

L'introduzione di una norma retroattiva, se non vietata in linea di principio (essendo il principio di irretroattività previsto da una norma ordinaria, ed essendo imposto dalla Costituzione soltanto per le norme penali incriminatrici), trova dunque, in ogni caso, il suo limite nel criterio di ragionevolezza, fondato su alcuni principi che potremmo definire “sovraordinati”, in quanto ricavabili da fonti costituzionali o internazionali (a loro volta “costituzionalizzate” ex art. 117, comma 1, Cost.).
Naturalmente la valutazione di siffatta ragionevolezza non è affatto semplice, e dovrà operarsi una valutazione caso per caso, anche se la stratificazione dei principi è ormai in fase avanzata, ed il giudice di merito dispone certamente degli strumenti attraverso i quali “muoversi” nel valutare se sollevare o meno la questione di legittimità costituzionale.
In ogni caso, appare molto importante, nella sentenza in esame, anche la valorizzazione che è stata data alla necessità di una eguaglianza di trattamento tra creditori, indipendentemente dal fatto che uno di questi sia l'Erario, il che rappresenta un ulteriore passo verso l'abbandono definitivo dei cc.dd. privilegia fisci.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sul principio di ragionevolezza e sul controllo della Corte costituzionale, v., tra le altre, Corte cost. 22 giugno 1998 n. 232, in Cass. pen., 1998, 2850, con nota di M. Ceresa Gastaldo, Una inedita interpretazione della Corte costituzionale circa la decorrenza del termine ex art. 309, comma 5 c.p.p. nel procedimento di riesame de libertate; Corte cost. 11 giugno 1999 n. 229, in Riv. dir. trib., 2000, II, 137, con nota di L. Rosa e P. Palombini, La tutela dell'affidamento nelle norme di interpretazione autentica; Corte cost. 22 novembre 2000 n. 525, in Giust. civ., 2001, I, 17, con nota di F. Auletta, La (ribadita) costituzionalizzazione del principio tempus regit actum in diritto processuale; Corte cost. 19 dicembre 2001 n. 437, in Giur. cost., 2001, 6; Corte cost. 21 marzo 2002 n. 78, in Foro it., 2002, I, 1611, con nota di G. Scarselli, La ricusazione tra terzietà del giudice e indipendenza della magistratura; Corte cost. 27 marzo 2002 n. 90, in Giur. cost, 2002, 803; Corte cost. 10 aprile 2002 n. 110, in Giur. cost., 2002, 903; Corte cost. 12 marzo 2002 n. 195, in Giur. cost., 2002, 1543, con nota di M.G. Coppetta, Il consenso dell'imputato minorenne alla sentenza di non luogo a procedere.
Più di recente, si vedano Corte cost. 23 luglio 2013, n. 232 (Diritto & Giustizia, 24 luglio 2013), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, terzo periodo, c.p.p., come modificato dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 609-octies c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure; Corte cost. 27 giugno 2013, n. 160, dejure.giuffre.it, che ha ravvisato la lesione del criterio della ragionevolezza sotto il profilo della lesione del legittimo affidamento, in quanto la norma censurata era sopraggiunta per qualificare e regolamentare rapporti di lavoro oramai esauriti, per riqualificarli retroattivamente, attribuendo loro la veste della funzione onoraria, mai precedentemente considerata, così ledendo le legittime aspettative degli interessati; Corte cost. 6 luglio 2012, n. 172, in Riv. dir. int., 2012, 4, 1186, secondo la quale, pur possedendo il legislatore ordinario un'ampia discrezionalità nel fissare i requisiti necessari per le autorizzazioni che consentono ai cittadini di Stati non membri dell'Unione europea di trattenersi e lavorare nel territorio della Repubblica, l'esercizio di tale discrezionalità incontra tuttavia i limiti segnati dai precetti costituzionali e, per essere in armonia con l'art. 3 Cost., occorre che sia conforme a criteri di intrinseca ragionevolezza.
In dottrina, tra gli altri, A. Celotto, Razionalità vs. Ragionevolezza nel controllo di costituzionalità (a margine di un concorso dichiarato incostituzionale per la terza volta), in Giur. cost., 2012, 5, 3714; A. Porporato, Sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi-provvedimento: il controllo <<stretto>> di ragionevolezza, in Giust. civ., 2005, 2, 539; T. Ancora, La ragionevolezza nelle decisioni della Corte costituzionale, in Foro amm. CDS, 2002, 5, 1146.

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