L'attestatore che non verifica la veridicità dei dati aziendali non ha diritto al compenso per il suo operato

Stefano De Micheli
01 Ottobre 2013

Il rapporto che viene ad instaurarsi tra il professionista attestatore e la società ha natura contrattuale e conseguentemente il riconoscimento di un compenso è sinallagmaticamente correlato all'adempimento delle prestazioni inerenti all'incarico, cosicché grava sull'attestatore l'onere di dimostrare di avere correttamente esercitato la propria funzione (massima).
Massima

Il rapporto che viene ad instaurarsi tra il professionista attestatore e la società ha natura contrattuale e conseguentemente il riconoscimento di un compenso è sinallagmaticamente correlato all'adempimento delle prestazioni inerenti all'incarico, cosicché grava sull'attestatore l'onere di dimostrare di avere correttamente esercitato la propria funzione.


La ristrettezza del tempo a disposizione non può in alcun modo giustificare la sommarietà e la superficialità degli accertamenti, così come l'attestazione della veridicità dei dati aziendali e il conseguente giudizio di fattibilità del piano concordatario non possono essere fondati su un'apodittica ricezione dei dati ricavabili dalle scritture contabili dell'impresa proponente.

Se l'incarico professionale conferito non risulta correttamente adempiuto nessun compenso può essere riconosciuto al professionista attestatore.

Il caso

Con il decreto in commento, emesso all'esito di un giudizio ex art. 98 l.fall. promosso avverso il rigetto dell'istanza di ammissione al passivo del compenso dell'attestatore di un concordato preventivo “virato” in fallimento, il Tribunale di Bassano del Grappa ha respinto l'opposizione sul presupposto dell'inadempimento del professionista ai doveri derivanti dall'incarico (nella specie, l'attestatore aveva affermato apoditticamente l'esistenza dei crediti appostati a bilancio dalla società debitrice e rivelatisi insussistenti all'esito della verifica attuata dal Commissario giudiziale).

Osservazioni

I doveri dell'attestatore. Come è noto, nei concordati preventivi l'attestatore riveste un ruolo di primaria importanza, vieppiù accentuatasi con l'inserimento, per effetto della L. 7 agosto 2012 n. 134, dell'art. 236-bis l.fall., che prevede il nuovo reato di “falso in attestazioni e relazioni”.
Il decreto in esame enuncia anzitutto i doveri dell'attestatore così come previsti dall'art. 161, comma 3, l.fall. e ciò anche alla luce della recente pronuncia delle SS.UU. della Suprema Corte (n. 1521/2013), che ha chiarito il concetto di fattibilità del piano concordatario.
L'argomento è di notevole rilevanza, atteso il ruolo-chiave della relazione dell'attestatore nei concordati preventivi: consentire al Tribunale e ai creditori, salvo controllo del Commissario giudiziale, di valutare la attendibilità e la realizzabilità concreta della proposta concordataria.
Secondo il dettato normativo, il professionista deve attestare sia la veridicità dei dati aziendali che la fattibilità del piano (art. 161, comma 3, l. fall.) e per i giudici bassanesi la attestazione di veridicità dei dati contabili aziendali implica non solo la verifica della loro corrispondenza con quelli esposti nella proposta concordataria, ma anche - e soprattutto - un accertamento preventivo che tali dati trovino riscontro nella realtà effettiva. Pertanto l'attestatore non può limitarsi a mere presunzioni di conformità, ma deve analizzare funditus tutti i dati esposti dall'impresa, e ciò mediante una verifica della consistenza effettiva del suo patrimonio, verifica che deve essere la più completa possibile oltre che motivata adeguatamente.
Siffatto orientamento è condiviso dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria: il concetto di veridicità dei dati aziendali si concretizza nella “rappresentazione veritiera e corretta ex art. 2423 c.c.” “intesa in termini di corrispondenza al vero” (così, da ultimo, Trib. Benevento, 23.4.2013, ma già Trib. Monza,22.1.2013). In particolare, tra le verifiche ritenute indispensabili, vi è l'accertamento

  • che i beni materiali e immateriali indicati nella domanda (giacenze di magazzino, macchinari, beni mobili e immobili, brevetti, etc.) esistano realmente e siano valorizzati con riscontri diretti e, nel caso di dubbi, mediante stimatori designati ad hoc (senza che ciò impedisca valutazioni critiche delle stime peritali);
  • che i crediti appostati in contabilità non solo sussistano, ma siano verosimilmente riscuotibili, siccome relativi a debitori che appaiano solvibili alla stregua di opportuni accertamenti;
  • che il valore attribuito alle eventuali partecipazioni risulti veritiero anche all'esito dell'esame della situazione patrimoniale-economico-finanziaria delle società partecipate (ex aliis, Trib. Firenze, 9.2.2012).

Naturalmente la verifica dell'attestatore deve riguardare sia l'attivo che il passivo.
Come anticipato, il Tribunale di Bassano si sofferma anche sul concetto di fattibilità enunciato nel recente arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n. 1521/2013, cit.), secondo cui la fattibilità del piano, da non confondersi con la convenienza della proposta, si scinderebbe in fattibilità giuridica e fattibilità economica, spettando la verifica della prima soltanto al giudice, chiamato a valutare la compatibilità del piano con le norme inderogabili di legge (ad es., impossibilità e/o illiceità dell'oggetto del ‘negozio concodatario'; sua finalità elusiva, fraudolenta, et similia) e competendo invece la valutazione della fattibilità economica ai soli creditori, trattandosi di un “giudizio prognostico che comporta margini di opinabilità e possibilità di errore che si traducono inevitabilmente in un fattore di rischio per i soggetti interessati” (così il decreto bassanese).
Tuttavia, proprio perché la fattibilità economica del piano implica la ragionevole probabilità che quanto ivi previsto possa realizzarsi nei modi e nei tempi ipotizzati, il professionista-attestatore non potrà esprimere pareri di valenza ectoplasmatica, poiché in tal caso la proposta difetterebbe dei requisiti previsti dalla legge, non fornendo ai creditori e al giudice una visione chiara della realizzabilità in concreto del piano concordatario (conf. Trib. Firenze, 7.1.2013, in ilFallimentarista.it, con nota di Di Iulio).

Anche in tale contesto si riconferma il ruolo fondamentale dell'attestatore, il quale, come ‘garante' dell'interesse dei creditori-terzi (Trib. Pordenone, 26.11.2008), dovrà “enunciare, in maniera ordinata e coerente, i criteri ricognitivi, estimativi e prognostici seguiti, in modo da rendere manifesti il percorso logico, i ragionamenti e le motivazioni su cui l'attestazione si fonda” (Trib. Benevento, 23.4.2013, cit.).
Il rapporto tra l'attestatore e l'impresa debitrice. Il ruolo-cardine svolto dall'attestatore nel concordato preventivo, ne implica l'indipendenza, che si realizza allorchè non sia legato all'impresa da rapporti personali o professionali che possano comprometterne la terzietà: negli ultimi cinque anni non deve avere prestato, neppure tramite soggetti cui sia associato professionalmente, attività di lavoro subordinato o autonomo a favore del debitore, né deve avere partecipato ai suoi organi di gestione o di controllo (art. 161, comma 3, l.fall., che richiama l'art. 67, comma 3, lett. d, l.fall.).
Il requisito di indipendenza deve essere dichiarato espressamente nella relazione.
Come affermato nel decreto in esame, il rapporto tra l'attestatore e l'impresa debitrice ha natura contrattuale, cosicché il compenso spetterà al professionista soltanto se avrà adempiuto diligentemente le prestazioni oggetto dell'incarico. Trattandosi, dunque, di responsabilità che si fonda sull'art. 2236 c.c., nel caso di controversia sull'attestatore graverà l'onus probandi di avere agito con diligenza.
Accanto a siffatta responsabilità, la dottrina ravvisa anche una responsabilità aquiliana nei confronti dei creditori-terziart. ex 2043 c.c., che opererà laddove essi abbiano subìto un danno derivato causalmente dall'accoglimento della proposta formulata dall'imprenditore, cioè quando la loro adesione alla proposta concordataria sia stata determinata da un'attestazione inveridica (Pajardi, Codice del Fallimento, commento all'art. 161 l.fall., 2013, 1902).
In ogni caso, trattasi di azioni che spettano a ogni creditore uti singulus, non rientrando nel genus delle cd. azioni di massa. Oltre al decreto bassanese, recente giurisprudenza ha individuato plurime ipotesi di inadempimento dell'attestatore: ad esempio si è ritenuto inadempiente il professionista che “si sia limitato a richiamare la relazione redatta dalla società di revisione, senza dare atto di alcuna attività accertativa da lui specificamente svolta, che trascuri di valutare la fattibilità del piano, ometta ogni considerazione sulla omogeneità della posizione giuridica e sugli interessi economici dei creditori che compongono le varie classi, sulla congruità delle diverse percentuali di soddisfazione offerte ai creditori nonché sul raffronto comparativo tra la soddisfazione proposta in sede concordataria e quella realizzabile in sede fallimentare e che, infine, trascuri di riferire sul rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione” (Trib. Novara, 27.11.2012, in ilcaso.it).
Infine, come già accennato, per rafforzare il ruolo-chiave di ‘garante' dell'interesse dei terzi attribuito al professionista, il legislatore ha introdotto la nuova fattispecie del reato di “falso in attestazioni e relazioni” ex art. 236-bis l. fall., che prevede le due diverse ipotesi di esposizione di informazioni false e di omesso riferimento di informazioni rilevanti.
La valutazione dei crediti dell'impresa debitrice e la decisione del Tribunale di Bassano. Con particolare riferimento alla stima dei crediti dell'impresa debitrice, l'attestatore deve “indicare i criteri di valutazione degli stessi e le ragioni che inducano a non svalutarli”; deve altresì “verificare se siano stati emessi dei protesti nei confronti delle società debitrici, quali siano le date di anzianità dei crediti, le condizioni finanziarie patrimoniali, se i debitori siano soggetti in difficoltà o in procedura concorsuale, se vi siano stati tentativi di recupero e se i crediti siano contestati” (Trib. Monza, 22.1.2013, cit.).
Orbene, nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Bassano, tutto ciò non è avvenuto: l'attestatore si è limitato a inviare a ciascun debitore una lettera con richiesta di confermargli l'esistenza e il quantum del debito verso la società e, non avendo ricevuto risposta dalla maggior parte dei destinatari, ha ritenuto il mancato riscontro come confermativo della esistenza effettiva di ciascun credito e del relativo quantum.
La valenza meramente apodittica di siffatto modus operandi (per chi scrive, trattasi di una sorta di praesumptio de praesumpto) è stata rilevata dal Commissario giudiziale del concordato preventivo con conseguente abbattimento del valore dei crediti contabilmente intestati ai debitori silenti; poiché, nella specie, rappresentavano più della metà delle attività esposte nella proposta concordataria, ne è conseguita la mancata omologa del concordato e il fallimento della società debitrice.

Le conclusioni

Successivamente l'attestatore ha chiesto l'ammissione al passivo del credito relativo al compenso, ma l'istanza è stata rigettata dal Giudice delegato; ne è seguita l'opposizione ex art. 98 l. fall., ma il Tribunale di Bassano l'ha respinta affermando che la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano non possono fondarsi su una recezione, priva di adeguate verifiche, dei dati delle scritture contabili, poiché, diversamente opinando, l'attività del professionista violerebbe proprio quel dovere di controllo diligente che costituisce l'oggetto fondamentale della sua funzione, a nulla valendo la giustificazione addotta secondo cui la ‘sommarietà' dell'attestazione sarebbe stata una conseguenza della ristrettezza del tempo disponibile.
Ergo: rigetto della pretesa fondato sul noto brocardi inadimplenti non est adimplendum.
Il decreto in commento costituisce un precedente di sicuro rilievo, un esempio ulteriore di doverosa eterotutela dei creditori, i.e. dei protagonisti principali delle procedure concordatatarie.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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