Concordato preventivo con riserva e revoca dell’ammissione ai sensi dell’art. 173 l. fall.

Roberto Amatore
15 Maggio 2013

Nella fase di preammissione al concordato preventivo ex art. 161, 6 comma, l. fall. (così come novellato dal c.d. Decreto Sviluppo) il compimento da parte dell'imprenditore di atti di straordinaria amministrazione senza la necessaria autorizzazione del tribunale prevista dal settimo comma del predetto art. 163 l. fall. radica il procedimento di revoca di cui all'art. 173 l. fall.
Massima

Nella fase di preammissione al concordato preventivo ex art. 161, 6 comma, l. fall. (così come novellato dal c.d. Decreto Sviluppo) il compimento da parte dell'imprenditore di atti di straordinaria amministrazione senza la necessaria autorizzazione del tribunale prevista dal settimo comma del predetto art. 163 l. fall. radica il procedimento di revoca di cui all'art. 173 l. fall.

Il caso

Un imprenditore chiede l'ammissione alla procedura di concordato preventivo con riserva. Tuttavia, prima del provvedimento ammissivo definitivo il medesimo imprenditore compie atti di straordinaria amministrazione non autorizzati dal tribunale e quest'ultimo, applicando il disposto normativo di cui agli artt. 173, comma 3, e 167 l. fall., dichiara la revoca dall'ammissione alla procedura e, stante la presentazione di istanze di fallimento da parte di un creditore e del P.m., dichiara altresì il fallimento in consecuzione dell'imprenditore già ammesso al concordato con riserva.

Le questioni giuridiche

Fino all'ultima riforma del concordato preventivo portata dalla novella di cui al D.L. n. 83/20012 (poi convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134) era principio consolidato e condiviso quello secondo cui il c.d. effetto di spossessamento attuato proprio in virtù del concordato preventivo si producesse a partire dal deposito del decreto di ammissione alla procedura. Ed invero, a partire da tale momento la procedura ha formalmente inizio e l'imprenditore debitore in concordato può solo compiere atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione devono essere autorizzati dal giudice delegato ex art. 167 l. fall. (per una completa disamina della problematica qui in discussione, si rimanda alla lettura di F. LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, Giuffré, 2012, 48 ss. ).
Pertanto, gli atti endo-concorsuali post-decreto di ammissione possono essere dichiarati inefficaci ex art. 167 l. fall. se non autorizzati, e dunque in nuce illegittimi. Quanto agli atti post-omologa, quelli esattamente esecutivi del piano sono, per definizione, legittimi e dovuti (F. LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo, ibidem).
Del resto, il rispetto di tali condizioni è altresì assicurato dalla presenza e dai poteri di controllo esercitabili dal commissario giudiziale.
Era invece dubbia la sorte degli atti compiuti nella fase anteriore al decreto di ammissione, ma successiva alla presentazione del ricorso. Ed invero, in tale fase non risulta ancora nominato il giudice delegato e la procedura non risulta formalmente aperta, anche se per l'effetto dell'art. 168 l. fall. già si produce - oggi, tuttavia, a partire dalla pubblicazione - l'effetto protettivo contro azioni esecutive e cautelari. Ne discende che un effetto di spossessamento - per quanto attenuato - non poteva essere predicato, alla luce delle norme previgenti al Decreto Sviluppo, in tale arco temporale, benché la stessa proposizione del ricorso si riteneva dovesse indurre il debitore alla massima cautela per non incorrere successivamente nella operatività sanzionatoria prevista dalla normativa di cui all'art. 173 l. fall. a causa dell'effetto segregativo che la presentazione della domanda, in quanto destinata ad una determinata soluzione satisfattiva, avrebbe comunque potuto determinare.
Sulla base delle novità introdotte dal c.d. Decreto Sviluppo, deve ritenersi che oggi i poteri gestori dell'imprenditore proponente il concordato durante la fase anteriore al decreto di ammissione siano stati regolati sotto vari profili, e ciò sia nella ipotesi in cui sia stata presentata una ordinaria domanda di concordato sia nella diversa ipotesi (ora normativamente prevista) in cui la detta domanda sia stata preceduta da una domanda di pre-concordato. Ed invero, l'art. 161, comma 7, l. fall. prevede, più in particolare, un'apparente limitazione dei poteri gestori del proponente già a partire dal deposito del ricorso (v. LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo, ibidem), laddove, pur lasciando libero il debitore di compiere gli atti di gestione ordinaria, richiede - per la prima volta - che vi sia l'autorizzazione del tribunale per compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione.
La novità normativa sembra rivestire, in realtà, carattere restrittivo in ordine ai poteri del debitore, essendo la stessa diretta, comunque, a mettere al riparo piuttosto gli atti di straordinaria amministrazione da una possibile futura revocatoria ed attribuire, nel contempo, ai crediti che ne derivano la prededucibilità. Sul punto, va precisato che, solo in assenza del provvedimento del tribunale, l'atto sarà, invero, revocabile, fuoriuscendo dall'area di esenzione dalla revocatoria prevista dall'art. 67, comma 3, lett. e) con riferimento agli “atti, i pagamenti e garanzie legalmente compiuti dopo il deposito del ricorso di cui all'art. 161”, e i crediti che ne derivano saranno privi di prededucibilità.
Deve pertanto concludersi nel senso che, a rigore, la gestione dell'impresa nel corso della domanda di concordato “in bianco” o “con riserva” è totalmente nelle mani dell'imprenditore proponente. In realtà, deve ricordarsi, come già sopra in parte rilevato, che nel caso di ammissione alla procedura di concordato preventivo, lo spossessamento è sempre e solo parziale, giacché egli conserva la gestione della impresa e può compiere, sebbene sotto la vigilanza del commissario giudiziale, gli atti di ordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice delegato (L. PANZANI, Il concordato in bianco, in Ilfallimentarista.it, 14.9.2012).
Come detto, nel caso di concordato “in bianco” non vi è spossessamento e non vi è nomina del commissario giudiziale, che segue non alla presentazione della domanda di concordato, ma alla pronuncia del decreto di ammissione alla procedura, che è successiva al periodo, stabilito dal tribunale nella sua durata, di sospensione delle azioni esecutive e cautelari.
Come sopra accennato, l'art. 161, comma 7, prevede che durante tale periodo l'imprenditore possa compiere gli atti di ordinaria amministrazione e possa compiere gli atti di straordinaria amministrazione, purché urgenti, previa autorizzazione da parte del tribunale. La differente disciplina rispetto all'ammissione alla procedura riguarda il fatto che l'autorizzazione per gli atti di straordinaria amministrazione non compete al giudice delegato, che in questa fase non viene nominato, ma al tribunale e soltanto per gli atti urgenti (L. PANZANI, Il concordato in bianco, ibidem).
Tuttavia, la norma in esame, così interpretata, presenta profili di criticità (si rimanda sempre a LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo, ibidem).
Ed invero, anche tale disposizione si riferisce a tutte le tipologie di concordato, anche a quelli meramente liquidatori, e ciò sembrerebbe contrastare con le finalità di crescita economica sottese al c.d. Decreto Sviluppo.
Il secondo profilo di criticità è rintracciabile nella circostanza che la facoltà di compiere questo tipo di atti e di ottenere l'autorizzazione è stata esplicitamente estesa anche al caso in cui il debitore presenti un ricorso di concordato con riserva. In realtà, la legge di riforma qui in commento non distingue, ma anche consente in generale il compimento di atti di ordinaria amministrazione e il rilascio di autorizzazione per quelli di straordinaria amministrazione dopo il deposito del ricorso, e dunque di qualunque ricorso, sia quello di concordato ordinario, sia di quello con riserva (L. PANZANI, Il concordato in bianco).
Ulteriore profilo di criticità è predicabile in relazione all'attribuzione del carattere prededucibile anche ai crediti sorti in relazione agli atti di ordinaria amministrazione, se “legalmente compiuti”, con il rischio di aggravare ulteriormente la erosione incontrollata dell'attivo. Sotto quest'ultimo profilo, è lecito domandarsi se la facoltà di compiere atti gestori di ordinaria amministrazione sia svincolata da ogni limite (LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo, ibidem ).
Ebbene, secondo una prima tesi dottrinaria sarebbe “evidente che di tutti gli atti non essenziali ad un corretto going concern l'imprenditore potrà comunque essere chiamato a rispondere nell'ambito dei principi generali, dovendo egli comunque tenere conto della eccezionalità della situazione in cui l'impresa, comunque, si trova” (ROLFI, La generale intensificazione dell'automatic stay nel Decreto Sviluppo, in IlFallimentarista)..
In realtà, la norma avrebbe avuto maggior senso se riferita solo ai concordati con continuità aziendale, mentre essa può trovare, come detto, applicazione anche a quelli liquidativi, ove il concetto di ordinaria amministrazione va essenzialmente riferito in termini conservativi (LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo, ibidem).
Peraltro, in caso di pre-concordato un piano può anche del tutto mancare, di talché i poteri gestori dovranno interpretarsi a maggior ragione in senso tendenzialmente conservativo.
Quanto, poi, agli atti di straordinaria amministrazione, la formula normativa è molto ampia, con una circoscrizione applicativa maggiore di quella prevista dall'art. 167 l. fall. per gli atti post-decreto di ammissione. Tuttavia, deve essere ricordato che nella normativa in commento interviene un limite specifico, e cioè quello della “urgenza”, dovendosi, in realtà, intendere “tale locuzione nel senso della incompatibilità del differimento del compimento dell'atto alla fase successiva all'apertura formale della procedura, con le esigenze di conservazione che sottostanno al compimento dell'atto medesimo. L'autorizzazione viene rimessa al tribunale (in composizione collegiale) sempre nelle modalità dei procedimenti in camera di consiglio, come lasciato intendere anche dal riferimento alla possibilità di assumere sommarie informazioni” (ROLFI, La generale intensificazione, cit.).
Deve anche osservarsi che non vi è una perfetta coincidenza tra il novero degli atti di straordinaria amministrazione soggetti ad autorizzazione del giudice delegato ex art. 167, comma 2, dopo la emanazione del decreto di ammissione, e quelli soggetti ad autorizzazione nella fase anteriore, a partire dal deposito del ricorso. Ed invero, la nuova normativa dettata dal Decreto Sviluppo prevede solo in favore del concordato ovvero degli accordi di ristrutturazione in continuità la possibilità per il Tribunale di autorizzare i pagamenti di debiti anteriori relativi a beni e servizi essenziali. Ebbene, che i pagamenti di debiti anteriori siano atti di straordinaria amministrazione non è dubbio, e dunque sembrerebbe logico dedurre che tali atti non possano essere autorizzati - quanto meno nella fase compresa tra il deposito del ricorso sino al decreto di ammissione del concordato preventivo (ovvero alla omologazione dell'accordo di ristrutturazione) - nel caso in cui il concordato (o l'accordo) non prevedano la continuità aziendale. In conclusione, può dirsi che gli atti autorizzabili ai sensi del settimo comma dell'art. 161 l. fall. saranno tutti quelli definibili come atti di straordinaria amministrazione, comunque tutti esemplificati dall'art. 167, solo nella ipotesi di concordato (o di accordo in continuità), mentre in ogni caso (di norma, nei concordati liquidativi) saranno sempre tutti tali atti, con l'eccezione dei pagamenti dei debiti anteriori (LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo, ibidem).

Osservazioni

Il nucleo più interessante della pronuncia del capoluogo emiliano sta nel principio, ivi affermato, secondo cui nella fase di preammissione al concordato preventivo ex art. 161, comma 6, l. fall. il compimento da parte dell'imprenditore di atti di straordinaria amministrazione senza la necessaria autorizzazione del tribunale radica il procedimento di revoca di cui all'art. 173 l. fall.
Viene così richiamata in primo luogo la questione della applicabilità analogica dell'art. 173, ultimo comma, l. fall. anche alle violazioni commesse nella fase preammissiva. Ed invero, la norma da ultimo menzionata prevede che durante la procedura di concordato, se, in qualsiasi momento, risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato stesso il tribunale deve aprire d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione.
Sul punto, giova precisare che nel caso in esame - riguardante il compimento da parte dell'imprenditore già ammesso al concordato in bianco di atti di straordinaria amministrazione senza la necessaria autorizzazione del tribunale - l'applicazione della norma da ultimo menzionata, che regola invero la revoca dell'ammissione al concordato preventivo per profili attinenti alla sopravvenuta mancanza dei requisiti di ammissibilità, deve ritenersi possibile solo in virtù di una applicazione analogica, e non già diretta, del disposto normativo contenuto nel terzo comma dell'art. 173, giacché, nella fattispecie in esame, non vi è stato ancora, a ben vedere, un provvedimento di ammissione, la cui efficacia possa essere revocata con il provvedimento del tribunale per l'accertamento del venir meno delle condizioni di ammissione al concordato. Ne discende che la norma in esame non potrà trovare una applicazione diretta, quanto piuttosto una applicazione, come detto, analogica per eadem ratio, sulla base della invincibile considerazione secondo cui, in ragione proprio della medesima ratio legis, non è discutibile il principio secondo cui - una volta disposta l'ammissione alla procedura concorsuale minore - possano portare alla revoca del provvedimento di ammissione per il sopravvenuto venire meno della condizioni di ammissibilità le medesime circostanze che potrebbero ostacolare la prosecuzione della procedura se accertate nella fase preammissiva (PANZANI, Il concordato in bianco, cit.).
Va da sé che l'eventuale revoca del provvedimento di sospensione delle azioni esecutive e cautelari e di concessione del termine per la presentazione della domanda dovrà svolgersi nel rispetto del principio del contraddittorio e pertanto nelle forme di cui all'art. 15 l. fall. (PANZANI, Il concordato in bianco, ibidem), come peraltro correttamente avvenuto anche nella fattispecie esaminata nella sentenza qui in commento.
La sentenza del tribunale emiliano si segnala per il suo intrinseco interesse e per il suo carattere di novità anche per lo specifico impianto motivatorio di cui è corredata, atteso che - al di là della circostanza (non condivisibile ) di non chiarire se l'applicazione, pur corretta, al caso di specie del disposto normativo di cui all'art. 173, comma 3, l. fall., sia da considerarsi avvenuta per richiamo diretto ovvero (come qui sostenuto) in via analogica – tuttavia va detto che la giustificazione dell'applicazione sanzionatoria della revoca dell'ammissione ex art. 173, ancorché intervenuta nella fase preammissiva, a causa del compimento da parte del proponente di atti di straordinaria amministrazione risulta essere assai convincente e del tutto condivisibile, anche in virtù del richiamo al disposto normativo dettato dal primo e secondo comma dell'art. 182-quinquies l. fall. Ed invero, la previsione normativa che richiede la necessità della istanza di autorizzazione giudiziale per la contrazione di finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 111 l. fall. se “funzionali” alla migliore soddisfazioni dei creditori e per il pagamento - nel caso di concordato in continuità - dei debiti anteriori (nella ulteriore ipotesi di essenzialità di detti pagamenti per la prosecuzione dell'attività di impresa e per la funzionalità alla migliore soddisfazione dei creditori certificata dal professionista attestatore) avvalora ancor di più la tesi interpretativa secondo cui in presenza di atti di straordinaria amministrazione non autorizzati giudizialmente la sanzione da applicarsi sia quella della revoca dell'ammissione al concordato con riserva, con tutte le conseguenze discendenti nella ipotesi di contestuale pendenza di uno o più istanze di fallimento.
Piuttosto, è da chiedersi se, anziché ricorrere alla applicazione analogica dell'art. 173, comma 3, l. fall., sia più corretto applicare al caso di specie la previsione sanzionatoria dell'inammissibilità disposta dallo stesso art. 161, comma 7, l. fall., la cui norma dispone - nella ipotesi di violazione da parte del proponente degli obblighi informativi dettati dal tribunale in sede di ammissione al preconcordato (ma la previsione sanzionatoria sarebbe facilmente estensibile anche alla diversa ipotesi prevista nel medesimo comma di mancanza di autorizzazione al compimento degli atti urgenti di straordinaria amministrazione) - la sanzione della inammissibilità della proposta concordataria, come previsto dal secondo e terzo comma dell'art. 162 l. fall.
Ciò che deve essere chiarito è che - nell'uno come nell'altro caso -, nella ipotesi di pendenza di istanze di fallimento, la necessità di garantire il rispetto del contraddittorio e l'esercizio del diritto di difesa richiede, comunque, di applicare le garanzie procedimentali previste dall'art. 15 l. fall. Detto altrimenti, deve ritenersi che, sia invocando l'applicazione analogica dell'art. 173 l. fall., sia la regolamentazione dell'art. 162 richiamata dal settimo comma dell'art. 161 l. fall., le garanzie di difesa del debitore dovranno essere garantire attraverso la instaurazione di un procedimento camerale il quale, in applicazione del disposto normativo di cui all'art. 15 l. fall., preveda tutte le scansioni procedimentali e temporali contemplate per l'ordinario giudizio per la dichiarazione di fallimento.

Conclusioni

La soluzione prospettata dal Tribunale di Bologna in ordine alla sanzione applicabile al debitore ammesso alla fase di preconcordato - nella ipotesi di compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione senza il necessario preventivo assenso giudiziale - appare del tutto condivisibile, atteso che la previsione sanzionatoria della revoca dell'ammissione ai sensi del terzo comma dell'art. 173 l. fall. in presenza di atti non autorizzati ai sensi dell'art. 167 risulta del tutto sovrapponibile a quella della mancanza di autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del debitore nella fase preammissiva ex art. 171, comma 7. Ed invero, in entrambe i casi le norme sono state dettate dal legislatore per tutelare il ceto creditorio dalla possibilità di commissioni di atti pregiudizievoli ovvero fraudolenti da parte del debitore già ammesso alla procedura di concordato ovvero di preconcordato, sicché, in presenza della eadem ratio sottostante alle due ipotesi sopra esaminate, sembra ragionevole applicare alle due fattispecie qui in esame, il medesimo regime sanzionatorio.
Del resto, va anche aggiunto che, al di là della non opponibilità e della intrinseca inefficacia dell'atto di straordinaria amministrazione non autorizzato dal tribunale, la sanzione della revoca dell'ammissione al concordato risulta essere la misura più adeguata per impedire ulteriori pregiudizi al ceto creditorio rimasto in attesa della soddisfazione delle sue ragioni creditorie.

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