L’ente ecclesiastico quale imprenditore commerciale ed assoggettabilità alle procedure concorsuali

Alessandro Di Majo
26 Settembre 2013

E' assoggettabile alle norme sulle procedure concorsuali l'ente ecclesiastico che esercita attività commerciale organizzata in forma di impresa sul territorio italiano.
Massima

E' assoggettabile alle norme sulle procedure concorsuali l'ente ecclesiastico che esercita attività commerciale organizzata in forma di impresa sul territorio italiano.

Il caso

Con sentenza del 30 maggio 2013 il Tribunale di Roma ha dichiarato l'insolvenza della “Provincia Italiana della Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione” (“Provincia Italiana”), che ha, tra le Opere (strutture) ospedaliere, l'Istituto Dermopatico dell'Immacolata (IDI) ed il San Carlo di Nancy.
In precedenza, in data 29 marzo 2013, la “Provincia Italiana” era stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, non anche le suindicate Opere configurate come aziende ospedaliere appartenenti alla “Provincia italiana” e, come tali, prive di autonoma soggettività giuridica. Principio confermato con la sentenza del 30 maggio 2013.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il tema principale, oggetto della predetta sentenza, verte sulla possibilità per un ente ecclesiastico di esercitare attività commerciale organizzata in forma di impresa (sanitaria) e, quindi, sulla sua assoggettabile alle norme sulle procedure concorsuali.
Nel caso di specie è stato ritenuto dal Tribunale di Roma che la “Provincia Italiana sia ente ecclesiastico civilmente riconosciuto che persegue, da un lato, le finalità spirituali, di carità ed assistenza, dall'altro svolge attività di impresa sul territorio italiano e, in quanto imprenditore commerciale, è soggetto alle norme di diritto comune che regolano i rapporti dell'impresa”. Il fine spirituale, di religione o altruistico non pregiudica, pertanto, l'attribuzione del carattere di imprenditorialità anche laddove “le prestazioni siano organizzate in modo da conseguire un pareggio dei ricavi e dei costi”.
La nozione di imprenditore infatti, ai sensi dell'art. 2082 c.c., “va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all'attività economica organizzata che sia ricollegabile ad una attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo invece irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività”.
Secondo il Tribunale di Roma, ai fini della liquidazione dell'intero patrimonio dell'ente ecclesiastico, non può non tenersi conto della duplicità delle finalità e delle funzioni cui l'ente stesso è preposto.
Dovrà, pertanto, essere valutata separatamente l'attività di impresa da quella religiosa, di culto, ed assistenziale.
I beni dell'ente “Provincia italiana”, funzionali al compimento delle attività non imprenditoriali dell'ente, “non potranno costituire oggetto di liquidazione concorsuale in funzione del pagamento dei debiti dell'ente ecclesiastico nella sua funzione di imprenditore”.

Osservazioni

Questa soluzione potrà determinare qualche difficoltà nell'applicazione pratica, non essendovi, in tal caso, un vero e proprio patrimonio “di destinazione”, così come oggi riconosciuto anche per le società commerciali (artt. 2447-bis e ss. c.c.). Nel caso della “Provincia italiana”, il patrimonio, più che figurare “destinato” (ad un determinato affare), viene più empiricamente “riferito” all'attività (se religiosa o di culto o imprenditoriale). Onde dovrà essere attentamente valutato, nella liquidazione dei beni dell'ente, quali beni possono essere più direttamente collegati alla attività primaria dell'ente (che è quella religiosa) e quali no. La nozione “di attività” (religiosa o diversa da essa), cui ha riguardo l'art. 7 del nuovo Concordato tra Stato e Chiesa (ratificato dalla L. n.121/1985), potrebbe non essere un criterio del tutto esaustivo, ove non integrato con altri criteri, come quello della particolare connotazione che può rivestire la stessa attività (imprenditoriale) svolta dall'ente (ad es. di prevalente assistenza di pazienti economicamente bisognosi) o dalla sua dimensione (se proporzionalmente minima) rispetto alla struttura dell'ente stesso (in quanto ecclesiastico). La “destinazione” dunque, se non introdotta formalmente da atti a ciò diretti, può diventare rilevante in via di fatto, in quanto strumentale “all'attività”.
In definitiva, il Tribunale di Roma ha fatto buon governo dei noti principi, affidati ad una giurisprudenza secondo cui la natura altruistica, spirituale, religiosa di un ente ecclesiastico non impedisce l'assunzione della veste di imprenditore ove l'attività esercitata abbia le caratteristiche dell'attività commerciale (Cass. n. 16612/2008, Cass. n. 7725/2004, Cass. n. 97/2001, Cass. S.U. n.3353/1994).

Le conclusioni

Ove l'ente ecclesiastico assuma la veste di imprenditore, l'ente dovrà essere assoggettato alle norme sulle procedure concorsuali, inclusa quindi quella fallimentare e dell'amministrazione straordinaria. Del resto, la diversità ontologica tra ente pubblico, non fallibile, ed ente ecclesiastico impedisce la possibilità di una assimilazione, per la via di interpretazione estensiva, del secondo (ente) al primo. L'art. 1, l. fall., sottopone l'imprenditore insolvente, id est l'ente ecclesiastico, alla regola generale del fallimento. Ciò vale anche per la procedura di amministrazione straordinaria, cui è stata sottoposta, nel caso di specie, la “Provincia Italiana” (v.

artt. 1

e 4, L. n.39/2004, c.d. Legge Marzano, laddove si parla però di impresa, non di imprenditore).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento. Non si registrano significativi precedenti giurisprudenziali nella materia.

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