Sulla modulazione giudiziale del termine per l’integrazione della domanda di preconcordato

07 Maggio 2013

Nell'ipotesi di domanda di concordato in bianco ex art. 161 l. fall., il Tribunale deve concedere il termine minimo di 60 gg. per l'integrazione della domanda con il deposito della documentazione, se non vi sono motivazioni particolari che giustifichino la concessione di un termine maggiore.
Massima

Nell'ipotesi di domanda di concordato in bianco ex art. 161 l. fall., il Tribunale deve concedere il termine minimo di 60 gg. per l'integrazione della domanda con il deposito della documentazione, se non vi sono motivazioni particolari che giustifichino la concessione di un termine maggiore.

Il caso 

Con il provvedimento in commento il tribunale vicentino ammette la società ricorrente alla procedura di “preconcordato” (o “di concordato con riserva” o “in bianco”) ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l. fall. (introdotto dal decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 e convertito in legge 134/2012), assegnando il termine minimo di sessanta giorni per l'integrazione della domanda e disponendo specifici obblighi informativi a carico della stessa ricorrente.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il decreto offre lo spunto per esaminare funzione, effetti ed eventuali criticità dell'istituto in parola, a partire da una ricostruzione degli interessi coinvolti, attraverso l'analisi della soluzione resa dal tribunale di Vicenza sul punto specifico della modulazione del termine per l'integrazione della domanda di “pre-concordato”, ed alla luce dei primi commenti sul medesimo punto apparsi in dottrina.

Osservazioni

Il sesto comma dell'art. 161 l. fall. riconosce all'imprenditore in stato di crisi la facoltà di depositare una domanda di concordato c.d. “in bianco” (secondo una terminologia invalsa già nei primi commenti, con riferimento alla possibilità di presentare una domanda di concordato genericamente formulata ed inizialmente sprovvista degli elementi e dei documenti richiesti dal secondo comma dell'art. 161 l. fall.), assegnando al tribunale competente il potere di fissare il termine, compreso tra sessanta e centoventi giorni (ma prorogabile di ulteriori sessanta giorni), entro il quale il ricorrente dovrà alternativamente provvedere: o al completamento della domanda di concordato e quindi alla presentazione della proposta, del piano e della documentazione ai sensi dell'art. 161, commi 2 e 3, l. fall.; o al deposito della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti intanto concluso con i creditori ai sensi dell'art. 182-bis l. fall.
Come anticipato, tra le molteplici questioni interpretative sorte in merito all'individuazione del contenuto della domanda di concordato con riserva ed all'ampiezza dei poteri spettanti al giudice adito, particolare rilievo assume il profilo attinente alla modulazione del termine, entro il quale il debitore ricorrente è chiamato a “sciogliere” la propria riserva, optando per la domanda di concordato preventivo ovvero per la domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (ferma restando la terza alternativa della mancata integrazione della domanda, con conseguente cessazione degli effetti protettivi intanto prodottisi) (Cfr. F. Rolfi, Speciale decreto sviluppo. La generale intensificazione dell'automatic stay, in IlFallimentarista.it, 2012, 11, secondo il quale pare opinabile ritenere che in caso di mancata integrazione della domanda gli effetti protettivi cessino con efficacia retroattiva. Secondo lo stesso Autore la cessazione dell'effetto protettivo dovrebbe essere dichiarato nei singoli procedimenti esecutivi avviati dai creditori dopo la declaratoria di inammissibilità della proposta ai sensi dell'art. 162, comma 2, l. fall.).
Infatti, nonostante la legge nulla specifichi circa i criteri guida da adottare nella modulazione del termine di cui sopra (salvo stabilire che l'eventuale proroga possa essere concessa in presenza di “giustificati motivi”), l'individuazione di tali criteri ed una ragionevole commisurazione di tale termine si rivelano a ben vedere funzionali ad un adeguato contemperamento, da un lato, dell'interesse dell'imprenditore in crisi a poter liberamente pianificare le modalità di recupero o di liquidazione della propria impresa al riparo dalle iniziative dei creditori e, dall'altro, dell'interesse primario degli stessi creditori, al cui soddisfacimento le procedure concorsuali sono in primo luogo finalizzate, a non vedere pregiudicate le proprie pretese in ragione della dilazione concessa all'imprenditore.
Più precisamente, mediante l'introduzione del concordato con riserva il legislatore ha inteso intensificare le misure di protezione offerte all'imprenditore in crisi, concedendogli un ulteriore spatium deliberandi durante il quale poter vagliare le concrete prospettive di recupero della propria attività (oppure, ove queste non fossero presenti, la predisposizione di un adeguato piano di liquidazione), senza dover temere iniziative esecutive o cautelari da parte dei creditori; ed ha previsto, a tal fine, che l'effetto protettivo del patrimonio del debitore si produca proprio a partire dalla pubblicazione della domanda di concordato (anche con riserva) nel registro delle imprese, come risulta dal combinato disposto degli artt. 161, comma 5, e 168 l. fall.
Tuttavia, tale effetto protettivo va necessariamente bilanciato e la concessione del termine dilatorio di cui sopra attentamente vagliata, onde evitare che la procedura di pre-concordato venga strumentalizzata dall'imprenditore al solo fine di ritardare un'eventuale dichiarazione di fallimento o comunque abbia come unico effetto quello di ritardare il soddisfacimento delle pretese creditorie, diluendone le concrete possibilità di realizzo (va comunque ricordato che, tra i rimedi volti a temperare i possibili effetti distorsivi derivanti dall'abuso del “pre-concordato”, il legislatore ha previsto che, in caso di successiva dichiarazione di fallimento, il periodo sospetto ai fini dell'azione revocatoria vada computato a partire dalla pubblicazione sul registro delle imprese della domanda di pre-concordato al fine di “sterilizzare” il lasso di tempo occupato da tale procedura preliminare).
Infatti, a decorrere dalla pubblicazione della domanda di pre-concordato nel registro delle imprese e fino all'integrazione della stessa, l'imprenditore in crisi mantiene la gestione della propria impresa, salvo dover attendere la specifica autorizzazione del tribunale per il compimento degli atti urgenti di straordinaria amministrazione, mentre può liberamente compiere atti di ordinaria amministrazione; inoltre, le formalità eseguite dopo la pubblicazione della domanda di concordato con riserva sono inefficaci ai sensi dell'art. 45 l. fall. ed i crediti sorti per effetto degli atti legalmente compiuti in questo periodo sono considerati dalla legge prededucibili (art. 111 l. fall.). Siccome tali effetti possono certamente stimolare una più celere emersione della crisi (cfr. L.A. Bottai, Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale, in Fall., 2012, 924 ss.), ma, al contempo, e per le ragioni di cui si è appena detto, comprimere le pretese creditorie, spetta all'interprete trovare delle soluzioni equilibrate in grado di coordinare gli effetti virtuosi alla cui produzione il varo delle nuove disposizioni mira, evitandone allo stesso tempo qualsivoglia forma di abuso (G. Lo Cascio, Percorsi virtuosi ed abusi nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 891).
Nella ricerca di una composizione ragionevole degli interessi in gioco, il tribunale di Vicenza pare orientarsi nel senso che, in assenza di una specifica motivazione o di una motivazione adeguata circa l'opportunità della concessione di un termine maggiore, il termine concesso per l'integrazione della documentazione (ovvero per la presentazione della domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione) debba essere quello minimo di sessanta giorni. Alla stessa soluzione deve pervenirsi qualora, come già prevede espressamente la legge (art. 161, ultimo comma, l. fall.), penda procedimento per la dichiarazione di fallimento del medesimo imprenditore ricorrente, oppure nell'ipotesi in cui il giudice adito non ritenga necessario concedere un termine maggiore (e quindi forse anche a prescindere dal fatto che nessun motivo in tal senso sia stato indicato in seno al ricorso).
Inoltre, ad ulteriore garanzia degli interessi dei creditori il decreto in commento dispone, unitamente all'ammissione della società ricorrente alla procedura di pre-concordato, una serie di obblighi informativi periodici, relativi alla gestione dell'impresa durante la pendenza del termine, da osservarsi a pena di inammissibilità della proposta.
Da un'analisi complessiva del provvedimento, quindi, la soluzione adottata dal Tribunale vicentino pare molto prudente ed attenta alle ragioni creditorie (tenuto conto del fatto che il termine concesso è quello minimo previsto dalla legge). Se ne deduce che la concessione di un maggiore termine e la conseguente ulteriore compressione delle ragioni creditorie potrebbero giustificarsi solo ove venisse fornita una motivazione adeguata. Tuttavia, il provvedimento in oggetto nulla specifica sul punto e cioè su quali ragioni possano integrare una motivazione di tal fatta.

Le questioni aperte

Sul tema specifico dei criteri da adottare in sede di modulazione giudiziale del termine per l'integrazione della domanda di “pre-concordato” e sull'effettiva capacità della protezione oggi offerta all'imprenditore in crisi dal sesto comma dell'art. 161 l. fall. di comprimere seriamente le ragioni creditorie, la dottrina non ha mancato di sollevare dubbi e manifestare perplessità, già a partire dalle prime applicazioni della disposizione in questione.
Infatti, all'indomani della conversione del decreto “sviluppo” in legge è stato osservato (Fabiani, Riflessioni precoci sull'evoluzione della disciplina sulla regolazione concordata della crisi di impresa (appunti sul d.l. 83/2012 e sulla legge di conversione), in Ilcaso.it, 2012, doc. 303, 10 ss.) che, in assenza di indicazioni specifiche in merito ai poteri spettanti al giudice adito mediante ricorso contenente domanda di concordato in bianco, deve ritenersi che l'automaticità degli effetti scaturenti dalla pubblicazione della stessa nel registro delle imprese non esclude una fase di delibazione (seppure limitata) in ordine alla sussistenza in capo al ricorrente dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla legge ai fini dell'ammissione al concordato. Tale fase di delibazione preliminare implicherebbe una minima attività istruttoria da parte del giudice volta a verificare quantomeno la situazione finanziaria dell'impresa, così come risultante dalla documentazione minima allegata, nonché la fondatezza dei motivi addotti dal ricorrente in ordine alla necessità della concessione del termine massimo di centoventi giorni (o viceversa della sufficienza del termine minimo di sessanta giorni).
Si è inoltre sostenuto che l'adeguatezza di tale motivazione andrebbe altresì valutata alla luce dell'effettiva compatibilità della procedura di pre-concordato con il futuro sviluppo della procedura, tant'è che il tribunale potrebbe finanche negare la concessione di tale termine qualora non ravvisasse tale compatibilità (Rolfi, Speciale decreto sviluppo. La generale intensificazione dell'automatic stay, cit., 8, secondo il quale, ad esempio, la concessione del termine sarebbe priva di utilità concreta nel caso in cui durante la pendenza dello stesso venissero a maturare crediti prededucibili per un ammontare tale da precludere qualsiasi distribuzione di somme ai creditori chirografari). Per le medesime ragioni il tribunale dovrebbe poter disporre di tutti gli elementi necessari per calibrare il termine da concedere all'impresa, prima di tutto in vista della complessità della procedura nonché dei costi che tale procedura preliminare finirebbe con l'addossare ai creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso (primo fra tutti, la prededucibilità dei crediti sorti durante la pendenza del termine).
Pure è stata sostenuta la tesi, secondo la quale la possibilità del giudice di fare ricorso a poteri istruttori andrebbe limitata al caso in cui il ricorso sia accompagnato dalla richiesta, motivata, di concessione di un termine superiore a quello minimo di sessanta giorni (Vitiello, Domanda di concordato con riserva in pendenza di un procedimento prefallimentare: limiti del sindacato e poteri del tribunale, nota a Trib. Velletri, 18 settembre 2012, in IlFallimentarista, 2012). È peraltro ben possibile che il ricorrente depositi unitamente al ricorso documenti ulteriori (quali eventualmente una relazione sulla situazione economica e finanziaria dell'impresa; lo stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dell'importo dei crediti e delle cause di prelazione a ciascuno spettanti; l'elenco dei titolari di diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso del debitore) volti ad instaurare una forma di dialogo, se non addirittura di collaborazione con il giudice, ed a fornire a quest'ultimo elementi utili per l'esercizio di quei poteri istruttori che la tesi di cui sopra vorrebbe invece limitare, fermo restando che la vaghezza della domanda potrebbe comunque nei fatti effettivamente vanificare i poteri di tipo informativo e prescrittivo di cui gode il giudice.
Risulta quindi che la fissazione del termine entro il quale presentare la proposta di concordato, il piano e la documentazione (ovvero la domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti) dovrebbe essere bilanciata tra l'esigenza di elaborare un piano più o meno complesso e la tutela dei creditori, anche alla luce degli effetti della concessione del termine rispetto agli sviluppi futuri della procedura. Tanto più intenso sarà il flusso informativo tra il ricorrente con riserva ed il tribunale, tanto maggiore sarà la possibilità per il giudice di concedere un termine che risulti effettivamente adeguato.
Pertanto, sebbene la legge preveda che il ricorrente possa limitarsi a depositare la domanda di pre-concordato unitamente ai bilanci degli ultimi tre esercizi e sebbene alcune pronunce e parte della dottrina sembrino orientate nel senso di escludere che la domanda debba contenere qualche indicazione sul contenuto del piano futuro (Panzani, Concordato in bianco e sospensiva su proposta di accordo di ristrutturazione: prime questioni, in IlFallimentarista.it, 2012), non è mancato chi ha osservato che nulla vieta che la domanda sia arricchita di ulteriori elementi e che la stessa indichi i caratteri di massima del concordato (compatibilmente con la possibilità che nelle more venga raggiunto in alternativa un accordo di ristrutturazione) nonché l'insieme degli atti di gestione che, nella pendenza del termine, s'intendono compiere. Al contrario, a fronte di una domanda vaga composta da una generica richiesta di omologare un futuro concordato senza altro aggiungere, il tribunale potrebbe al più concedere il termine minimo se non addirittura negarlo assegnando prevalenza alla tutela dei creditori (Cavallini, Concordato in bianco, effetti protettivi e sindacato “preventivo” del tribunale, in IlFallimentarista.it, 2012, secondo il quale, ferma restando la possibilità di presentare una domanda di concordato in bianco “pura”, sarebbe auspicabile che il tribunale si riservasse in via di prassi la facoltà di chiedere il deposito delle linee generali del piano ove insoddisfatto delle informazioni periodiche di cui il ricorrente è onerato in pendenza del termine).
Altro elemento di cui dovrebbe tenere conto il tribunale, chiamato a calibrare il termine per l'integrazione della domanda di concordato in bianco, potrebbe essere quello di una possibile interferenza tra tale termine e quello annuale previsto dall'art. 10 l. fall., là dove il ricorso sia presentato da un imprenditore nei cui confronti già pende istanza di fallimento e per il quale sia imminente la scadenza del termine annuale di fallibilità. Nonostante le perplessità sopra richiamata in ordine all'obbligatorietà della concessione del termine per l'integrazione della domanda di “pre-concordato”, la lettera del sesto comma dell'art. 161 l. fall. effettivamente sembrerebbe deporre nel senso di una fissazione necessaria di tale termine, “riducendo” gli spazi di discrezionalità del giudice alla possibilità di calibrarlo all'interno dell'arco dei sessanta/centoventi giorni, tenuto conto del resto che la domanda di concordato non sembra possa esplicare un effetto necessariamente sospensivo sulla istruttoria prefallimentare, che potrebbe comunque ove occorra proseguire e concludersi entro il termine ex art. 10 l. fall.

Conclusioni

Dalle posizioni richiamate fin qui ed anche alla luce del provvedimento reso dal tribunale di Vicenza, risulta che la fissazione del termine di integrazione della domanda di pre-concordato è considerata prevalentemente come un atto dovuto per effetto della pubblicazione della stessa sul registro delle imprese. È piuttosto la modulazione di tale termine che spetta alla discrezionalità tecnica del giudice, sul presupposto comunque di una motivazione che dia conto del contemperamento degli interessi coinvolti e della congruità del termine anche rispetto alla complessità della procedura.
Ne deriva che la soluzione adottata dal Tribunale di Vicenza pare in questo senso ragionevole proprio perché, in assenza di una motivazione che suggerisca quali potrebbero essere le intenzioni dell'imprenditore e che illustri gli eventuali profili di maggiore complessità, la concessione del termine minimo di sessanta giorni per l'integrazione della domanda di “pre-concordato” pare in grado di neutralizzare i rischi di un uso distorto dell'istituto (pur esulando dall'oggetto di analisi della presente nota, conviene per inciso segnalare che, ferme restando le considerazioni espresse nel testo, una seppur generica indicazione di massima delle linee di azione che l'imprenditore intende seguire fino alla integrazione della domanda di pre-concordato si rende necessaria affinché anche l'autorizzazione al compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione sia adeguatamente ponderata), consentendo al giudice di monitorare in qualche modo questa fase, fissando obblighi informativi periodici a carico del ricorrente nonché concedendo o negando le autorizzazioni per il compimento degli eventuali atti di straordinaria amministrazione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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