Inammissibilità della proposta di concordato preventivo e fallimento

Fabio Signorelli
08 Gennaio 2016

Quando la procedura per la dichiarazione di fallimento è rimasta aperta per alcuni mesi (nella specie oltre quattro) nel corso dei quali la società, poi fallita, non ha in alcun modo anticipato o fatto intendere la propria volontà di presentare ricorso per l'ammissione a concordato preventivo né tale volontà è stata esternata all'udienza ad esito della quale il relatore si è riservato di riferire al collegio e, successivamente a detta udienza, è stata proposta domanda di concordato, tale condotta del debitore, unitamente alle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio disposta nell'ambito della procedura per la dichiarazione di fallimento da cui è emersa con lampante certezza l'inevitabilità del fallimento, palesa con assoluta inequivocità che il ricorso per l'ammissione al concordato in bianco rappresenta solo un espediente per procrastinare la pronuncia di fallimento. Una domanda di concordato in bianco è inammissibile quando è carente per mancata allegazione di uno dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., essendo privo di rilevanza il fatto che l'ultimo bilancio non sia stato ancora approvato e pubblicato, perché il debitore è comunque onerato di presentare, in tal caso, una situazione patrimoniale aggiornata riferita all'ultimo esercizio.
Massima

Quando la procedura per la dichiarazione di fallimento è rimasta aperta per alcuni mesi (nella specie oltre quattro) nel corso dei quali la società, poi fallita, non ha in alcun modo anticipato o fatto intendere la propria volontà di presentare ricorso per l'ammissione a concordato preventivo né tale volontà è stata esternata all'udienza ad esito della quale il relatore si è riservato di riferire al collegio e, successivamente a detta udienza, è stata proposta domanda di concordato, tale condotta del debitore, unitamente alle risultanze di una consulenza tecnica d'ufficio disposta nell'ambito della procedura per la dichiarazione di fallimento da cui è emersa con lampante certezza l'inevitabilità del fallimento, palesa con assoluta inequivocità che il ricorso per l'ammissione al concordato in bianco rappresenta solo un espediente per procrastinare la pronuncia di fallimento.

Una domanda di concordato in bianco è inammissibile quando è carente per mancata allegazione di uno dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., essendo privo di rilevanza il fatto che l'ultimo bilancio non sia stato ancora approvato e pubblicato, perché il debitore è comunque onerato di presentare, in tal caso, una situazione patrimoniale aggiornata riferita all'ultimo esercizio.

Il caso

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento di una società si era protratto per alcuni mesi anche a seguito dell'esperimento di una consulenza tecnica d'ufficio finalizzata ad accertare la veridicità dei suoi bilanci. In questo lasso di tempo la società debitrice non aveva mai espresso la volontà di presentare un ricorso per concordato preventivo né l'aveva fatto durante l'(ultima) udienza all'esito della quale il giudice relatore si era riservato di riferire al collegio. Quattro giorni dopo tale udienza, la società presentava ricorso per concordato “in bianco”, senza, tuttavia, depositare l'ultimo dei tre bilanci così come previsto dall'art. 161, comma 6, l. fall. Il Tribunale fallimentare aveva, d'un canto, dichiarato il fallimento della società sussistendone i presupposti e, dall'altra parte, aveva dichiarato inammissibile il ricorso per concordato “in bianco” per carenza di documentazione, stante la mancata allegazione del bilancio relativo proprio all'ultimo anno, ritenendo ininfluente il fatto che tale ultimo bilancio non fosse stato né approvato né pubblicato (non era ancora trascorso il termine di 180 giorni per la sua approvazione) sottolineando il fatto che, in tal caso, la società debitrice sarebbe stata onerata di presentare una situazione patrimoniale aggiornata. Il reclamo proposto dalla società fallita contro la sentenza dichiarativa di fallimento e contro il decreto d'inammissibilità del ricorso per concordato preventivo veniva respinto dalla Corte territoriale con le motivazioni di cui alle massime sopra evidenziate.

La questione e le soluzioni giuridiche

La vicenda appare interessante per diversi motivi ma, soprattutto, perché spinge ad indagare alcuni aspetti procedurali che, normalmente, passano in secondo piano. In particolare, non sarà certamente sfuggito all'attenzione del lettore che sia il Tribunale sia la Corte d'Appello hanno stigmatizzato il comportamento del debitore il quale, per motivi che, apparentemente, sfuggono ad ogni logica motivazione, ha (colposamente) omesso, durante la lunga fase dell'istruttoria prefallimentare, in occasione della quale il Tribunale aveva addirittura disposto una consulenza tecnica d'ufficio finalizzata ad accertare la veridicità dei dati di bilancio, di presentare un ricorso per concordato preventivo, posponendo tale ultima richiesta (tardivamente) all'udienza con la quale il giudice relatore si era riservato di riferire al collegio, allorché il procedimento per la dichiarazione di fallimento era già nella fase decisoria ed era pertanto preclusa qualsiasi attività defensionale. In questa fase (ed in questa sede) il collegio poteva solo decidere iuxta alligata et probata, necessariamente insensibile a fatti ed accadimenti successivi che non dovevano e non potevano riguardarlo. Né il Tribunale avrebbe potuto supporre che il debitore avesse, nel frattempo, depositato ricorso per concordato preventivo, posto che tale opportunità non era stata còlta fino ad allora dal debitore né era stata da quest'ultimo anche solo adombrata. Tuttavia, dal testo della sentenza in commento si evince che, effettivamente, il Tribunale di Bergamo ha dichiarato il fallimento del debitore dopo aver preso atto della dichiarazione d'inammissibilità della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo “in bianco” nel frattempo proposta dalla debitrice medesima. Dal testo della sentenza si evince, altresì, che si trattava di due cause distinte che non erano state riunite: la prima relativa alla procedura per dichiarazione di fallimento e la seconda relativa alla domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Tale ultima situazione di fatto è risultata esiziale per l'esito dell'intricata questione, perché la documentazione versata in atti durante la lunga istruttoria prefallimentare non si poteva dare per acquisita automaticamente nella seconda causa per l'ammissione al concordato “in bianco”, che, dunque, è risultata a tal punto carente sotto l'aspetto probatorio da comportarne l'inammissibilità.
La carenza documentale evidenziata dal Tribunale derivava dalla mancata produzione dell'ultimo dei tre bilanci richiesti dall'art. 161, comma 6, l. fall. Tale omissione veniva giustificata dalla debitrice i) con la circostanza che, alla data di presentazione della domanda di concordato in bianco (maggio 2015), l'ultimo dei tre bilanci indicati dall'art. 161, comma 6, l. fall. non era ancora stato né approvato né, tanto meno, pubblicato, ii) né alcuna disposizione di legge prevedeva, in tal caso, l'obbligo della presentazione di una situazione patrimoniale aggiornata e, in ogni caso, iii) diverse situazioni patrimoniali della società debitrice, compresa una consulenza tecnica d'ufficio, erano state già acquisite nel fascicolo prefallimentare. Di quest'ultima eccezione s'è già detto, chiarendo che si trattava di due procedure distinte e non riunite, per cui i documenti dell'una non potevano essere considerati acquisiti de plano nella seconda.
Meritevoli di approfondimento sono, invece, le prime due eccezioni.
Non v'è dubbio alcuno che l'imprenditore che depositi una domanda di concordato “in bianco” debba allegare i “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi”. Tuttavia la norma nulla aggiunge in proposito, dovendosi solo precisare che, qualora si tratti di società costituita da meno di tre anni, in applicazione analogica dell'art. 14, comma 1, l. fall., dovranno essere depositati i bilanci relativi alla sua intera esistenza. Va detto che la sentenza in commento evidenzia un'(apparente) incongruità poiché, nella parte narrativa, relativa allo svolgimento del processo, afferma che il debitore, con la domanda di concordato “in bianco” non aveva depositato il bilancio al 31/12/2013, mentre, nelle motivazioni, precisa che tale carenza riguardava il bilancio al 31/12/2014. Se, come appare probabile, si sia trattato d'un mero refuso tipografico e sia stata omessa la produzione proprio del bilancio al 31 dicembre 2014 (ipotesi suffragata dal fatto che la Corte territoriale ha precisato che “la domanda è stata presentata il 18/5/2015, sicché mancava proprio il bilancio dell'ultimo esercizio precedente la stessa, non rilevando il fatto che esso non sia stato ancora approvato e pubblicato essendo la debitrice comunque onerata di presentare, in tal caso, una situazione patrimoniale aggiornata riferita all'ultimo esercizio”), ci si potrebbe chiedere, nel silenzio assoluto della legge, cosa s'intenda per “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi”.
Il bilancio è una fattispecie a formazione progressiva e tale diventa solo quando esso venga approvato dall'assemblea dei soci, rimanendo, fino ad allora, un mero progetto di bilancio. Tuttavia la legge prevede, per la sua approvazione, un termine mobile di 120 o, a certe condizioni, di 180 giorni. Se, allora, per “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” s'intendono quelli regolarmente approvati, va da sé che, nella fattispecie in esame (18 maggio 2015) la società debitrice era ancora nei termini per l'approvazione del bilancio al 31 dicembre 2014 e, pertanto, i “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” si dovevano riferire necessariamente agli anni 2011, 2012 e 2013, con esclusione del bilancio al 31 dicembre 2014. Se il debitore avesse depositato solo gli ultimi due bilanci approvati (2012 e 2013) e non avesse depositato il bilancio al 31 dicembre 2014 perché, allo stato, non ancora approvato, non sembrerebbero sussistere dubbi di alcun genere circa l'inammissibilità del concordato in parola per evidente violazione dell'art. 161, comma 6. l. fall., posto che sarebbe, in ipotesi, mancato l'ultimo dei tre bilanci indicati dalla norma e l'opportunità di depositare una situazione patrimoniale aggiornata appare un'alternativa meno rigorosa e non adesiva al testo della norma, che si riferisce ai “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi”, tenuto conto che il deposito dei bilanci è considerato un apporto indefettibile [(M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico – pratico, sub art. 161, 2140, Padova, 2014). Si veda, in proposito, Trib. Monza, 31 gennaio 2013, che non ritiene il deposito dei bilanci surrogabile con il deposito del modello Unico].
Se, invece, il debitore avesse depositato i “bilanci relativi agli ultimi tre esercizi” (2011, 2012 e 2013) e, sempre in ipotesi, fosse stato necessario depositare anche la predetta situazione patrimoniale aggiornata, in funzione della data (18 maggio 2015) di deposito della domanda di concordato “in bianco”, tale (ulteriore) onere apparirebbe ultroneo ed inutile, sia perché la legge non lo prevede, sia, soprattutto, perché non aggiungerebbe né toglierebbe nulla in questa fase processuale, nella quale il deposito dei bilanci è volto a consentire la verifica della qualità d'imprenditore commerciale assoggettabile al fallimento e dello stato di crisi (A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, sub art. 161, 1087, Padova, 2013; P. Pajardi, Codice del fallimento, sub art. 161, 1903, Milano, 2013), ed anche se l'orientamento prevalente è nel senso di ritenere necessario un accertamento giudiziale della competenza territoriale, della legittimazione attiva del ricorrente, della rappresentanza ed autorizzazione ad agire, dell'assistenza tecnica e del mancato deposito, nei due anni precedenti, di analoga domanda che non sia stata seguita da un provvedimento ammissivo (L. Jeantet, in R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 28 e ss.), accertamenti tutti che possono tranquillamente prescindere da una situazione patrimoniale aggiornata, anche alla luce del fatto che per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza, così come nuovamente inutile apparirebbe l'(ulteriore) onere di presentazione di una situazione patrimoniale aggiornata [(in sostituzione dell'ultimo bilancio d'esercizio (rectius: progetto di bilancio) non ancora approvato] in funzione degli obblighi informativi che sono comunque posti a carico del ricorrente ai sensi dell'art. 161, comma 8, I e II periodo, l. fall.

Conclusioni

La prima delle due massime appare sicuramente condivisibile perché la colpevole inerzia del debitore ha comportato un uso distorto della domanda di concordato apparentemente finalizzata a procrastinare il fallimento. L'accertamento dello stato d'insolvenza dell'imprenditore non poteva che portare all'unica conclusione possibile del fallimento e la domanda di concordato si è rivelata solo un tardivo e specioso espediente.
Più problematica appare, invece, la seconda massima per entrambe le ipotesi delineate. Ed infatti, qualora non fosse depositato l'ultimo dei bilanci relativo agli ultimi tre esercizi, la domanda di concordato in bianco sarebbe ex se inammissibile perché la lettera della legge è chiarissima sul punto. Qualora, invece, come già precisato, la situazione patrimoniale aggiornata fosse da considerarsi come onere ulteriore, quest'ultimo apparirebbe ultroneo ed inutile, considerate le finalità del deposito dei bilanci ut supra delineate.

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