Rinuncia alla domanda di concordato e difetto di legittimazione del PM a chiedere il fallimento

Luigi Amerigo Bottai
06 Aprile 2016

Deve ritenersi venuta meno la speciale legittimazione del PM a presentare la richiesta di fallimento all'udienza di cui all'art. 173 l. fall. qualora risulti depositato in data precedente un atto di rinuncia alla domanda di concordato da parte del debitore.
Massima

Deve ritenersi venuta meno la speciale legittimazione del PM a presentare la richiesta di fallimento all'udienza di cui all'art. 173 l. fall. qualora risulti depositato in data precedente un atto di rinuncia alla domanda di concordato da parte del debitore.

Non essendo la comunicazione ex art. 173, comma 2, l. fall. e neppure la comunicazione ex art. 162 l. fall. riconducibili alla segnalazione del giudice civile di cui all'art. 7 l. fall., va revocata la dichiarazione di fallimento emessa in assenza di una valida domanda di fallimento (avuto riguardo all'impossibilità di dichiarare il fallimento d'ufficio), laddove la procedura di concordato preventivo non sia più pendente per formalizzata rinuncia ad essa ad opera del debitore (nel caso di specie, l'accoglimento della richiesta di fallimento presentata dal PM era intervenuto dopo che la società aveva depositato atto di rinunzia alla domanda di concordato).

La rinuncia alla domanda, diversamente dalla rinuncia agli atti, non richiede l'adozione di forme particolari ed è immediatamente efficace anche senza accettazione delle controparti, avendo il provvedimento del tribunale, che ne prende atto, natura meramente ricognitiva della volontà manifestata dalla parte.

Configura abuso dello strumento concordatario la ripresentazione – dopo la rinuncia alla prima - di una domanda di concordato preventivo con riserva che, in assenza di plausibili ragioni che possano giustificarla ovvero di una diversa proposta di soluzione della crisi concretamente prospettabile, dimostra un'evidente finalità dilatoria della soddisfazione dei diritti dei creditori.

Il caso

Una società ammessa alla procedura di concordato preventivo subiva la segnalazione dei commissari giudiziali ai sensi dell'art. 173 l. fall. e veniva convocata dinanzi al collegio giudicante per la revoca del decreto di apertura, con comunicazione al pubblico ministero. All'udienza fissata la debitrice dava atto di aver rinunciato, con atto depositato tre giorni prima, alla domanda di concordato e di aver ripresentato il giorno stesso dell'udienza un autonomo ricorso ex art. 161, comma 6, chiedendo un termine per il deposito di una memoria difensiva a seguito della richiesta di fallimento proveniente dal PM in udienza. Il tribunale si riservava di decidere su entrambe le istanze. A scioglimento della riserva il collegio, preso atto della rinuncia alla procedura di concordato, esaminava la richiesta di fallimento del PM, revocava il decreto di apertura della prima procedura, dichiarava inammissibile la seconda domanda di c.p. e con separata sentenza pronunciava il fallimento.
La società spiegava reclamo, lamentando come il tribunale 1) non avesse tenuto conto del fatto che, per effetto della rinuncia alla domanda di concordato, il subprocedimento ex art. 173 e la procedura di c.p. “si erano ormai conclusi e che pertanto la legittimazione speciale riconosciuta al Pubblico Ministero da quest'ultimo articolo era conseguentemente venuta meno”; con il corollario che la sentenza di fallimento, pronunciata d'ufficio o comunque in difetto di invalida istanza del PM, era affetta da nullità per violazione degli artt. 7, 15 e 173 l. fall.; e 2) avesse dichiarato inammissibile la seconda domanda di concordato con riserva sull'assunto della strumentalità del mezzo invocato, in base al “presupposto che tale condotta sarebbe stata illuminata da un intento esclusivamente dilatorio”, finalizzato a procrastinare i tempi di soddisfacimento del ceto creditorio, con conseguente lesione dei relativi diritti.
La Corte d'appello di Milano accoglieva il primo motivo di gravame, rigettando il secondo, e revocava la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata su istanza del Pubblico Ministero.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il fulcro della decisione di seconde cure è costituito dal passaggio nel quale la Corte rileva (pag. 8-9 sent.) come la richiesta di fallimento del PM fosse stata presentata “all'udienza del 28 maggio 2015 fissata ex art. 173 l. fall. dopo che il precedente 25 maggio 2015 la società aveva depositato atto di rinuncia alla domanda. Ne consegue che al momento della presentazione della richiesta la procedura di concordato, e quindi il subprocedimento di revoca, non era più pendente per essere venuto meno il suo presupposto, e cioè la domanda della debitrice”. E conclude affermando che nella specie fosse venuta meno la speciale legittimazione del PM a presentare richiesta di fallimento ex art. 173, che invece presuppone la pendenza del concordato e la revoca del medesimo per il positivo riscontro di quanto riferito dal commissario (segue la seconda massima sopra riportata).
Ciò in virtù del principio, pacifico in giurisprudenza, per cui l'organo requirente ha legittimazione ad instare per il fallimento di un soggetto soltanto nelle ipotesi tipizzate, previste rispettivamente negli artt. 7, 162, 173 e 180 (basti qui rammentare Cass. S.U. 18 aprile 2013, n. 9409, che ha composto un contrasto sulla portata della segnalazione dell'insolvenza effettuata dal medesimo tribunale all'esito di un procedimento prefallimentare aperto da Cass. 26 febbraio 2009, n. 4632).
Poiché nel caso qui commentato la società proponente aveva rinunciato al concordato, sia pur dopo la segnalazione dei commissari a termini dell'art. 173, ma prima dell'udienza per la revoca dell'ammissione, ecco che, secondo la Corte ambrosiana, si sarebbe consumato il potere di azione del PM, in quanto la rinuncia alla domanda “non richiede l'adozione di forme particolari ed è immediatamente efficace anche senza accettazione delle controparti (…) determinando il venir meno del potere-dovere del giudice di pronunciare e avendo il provvedimento del tribunale, che ne prende atto, natura meramente ricognitiva della volontà manifestata dalla parte” (pag. 9 sent.; terza massima in epigrafe).
Privo del peculiare potere d'azione, il PM non sarebbe stato legittimato a chiedere il fallimento e il tribunale non avrebbe potuto pronunciarlo, in difetto di altre valide istanze.
Di qui la revoca della sentenza dichiarativa.
In realtà, la giurisprudenza nettamente maggioritaria tende a inquadrare il fenomeno della rinuncia/ritiro della domanda (allorché risulti evidente l'improseguibilità della procedura per varie ragioni) con contestuale ripresentazione di una nuova proposta – in pendenza di istanze di fallimento - in un'operazione “processuale” complessa, formata cioè da una serie di atti coordinati per raggiungere uno scopo ulteriore rispetto a quello consentito dalla legge, che renderebbe inefficace la rinuncia in quanto connotata dalla figura dell'abuso dello strumento concordatario, oggi definitivamente riconosciuta da Cass. S.U. n. 9935/2015.
L'orientamento espresso dai giudici d'appello milanesi (e aperto già da App. Venezia 10 dicembre 2014, n. 2760, in ilFallimentarista.it) intende, di contro, isolare i distinti momenti processuali propri di ciascun atto, facendone derivare conseguenze pure condivisibili in stretto diritto, ma viste in una prospettiva opposta, in definitiva più favorevole al debitore.
Numerose sono le pronunce fondate sulla convinzione che il debitore ricorra alla rinuncia alla domanda, priva di alcuna possibilità di essere ammessa (art. 162) o di pervenire al voto dei creditori (stante l'avvio del procedimento di revoca ex art. 173) o comunque di essere omologata (artt. 179-180), con l'intento di presentare una nuova proposta concordataria e così bloccare le azioni esecutive e cautelari dei creditori e allontanare l'inevitabile fallimento, pur vertendosi in una permanente situazione d'insolvenza [si v., ad es., Cass. 14 gennaio 2015, n. 495, in cui si conferma la decisione di merito che, sulla rinuncia della società debitrice alla proposta di concordato, espressa solo in sede di procedimento di revoca, con contestuale presentazione di nuova proposta, aveva i) revocato la precedente ammissione al concordato per l'intervenuta rinuncia, ii) dichiarato l'inammissibilità della nuova proposta depositata e iii) dichiarato il fallimento; Trib. Milano 12 giugno 2014, (che in fattispecie speculare alla presente afferma: si “introdurrebbe nel sistema un intollerabile grado di entropia se si ritenesse che, presentando una domanda di concordato secondo lo schema di cui al primo comma dell'art. 161, il debitore potesse paralizzare indefinitamente l'azione del creditore istante attraverso plurime domande di concordato e contestuali revoche scansite dalle udienze fissate dal collegio per la declaratoria di inammissibilità del concordato”); Trib. Napoli Nord 25 febbraio 2015, in ilFallimentarista.it (che ha dichiarato inammissibile la rinuncia alla domanda di concordato preventivo con riserva, formulata dal debitore a fronte delle lacune dell'attestazione rilevate dal tribunale, con contestuale deposito di nuova domanda concordataria, in quanto tale condotta integra un'ipotesi di abuso del diritto); Trib. Rovigo 29 gennaio 2015; Trib. Torino 27 novembre 2014; Trib. Roma 17 luglio 2014 (che ha affermato “La rinuncia alla domanda di pre-concordato, depositata alla scadenza del termine assegnato dal Tribunale per il deposito della documentazione e del piano, e la successiva presentazione di un'autonoma domanda di concordato preventivo pieno, nelle more del termine di difesa assegnato per il procedimento ex art. 162 l. fall., integrano un'ipotesi di abuso del sistema concordatario poiché tale strumento sarebbe stato utilizzato al solo fine di precludere gli accertamenti”); Trib. Treviso 8 giugno 2015; Trib. Asti 10 marzo 2014; Trib. Bergamo 14 giugno 2013; Trib. Messina 30 gennaio 2013; Trib. Parma 2 ottobre 2012 che ritiene “applicabile l'art. 306 c.p.c., il quale subordina la dichiarazione di estinzione del giudizio all'accettazione della rinunzia delle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione. La mancata dichiarazione di estinzione del procedimento di concordato pendente comporta che la domanda di concordato presentata dopo la rinuncia si configura o come modifica della proposta iniziale o come nuova domanda la quale, andando a sovrapporsi ad un diverso procedimento concordatario ancora pendente, dovrà essere dichiarata inammissibile”].
Ulteriore motivo di interesse è rappresentato dal secondo dictum della Corte, in forza del quale è stata confermata la statuizione di inammissibilità della seconda domanda di concordato con riserva presentata dal debitore appena prima dell'udienza ex art. 173 sul rilievo che, a prescindere dal divieto di cui all'art. 161, comma 9, l. fall. (ove si stabilisce, come elemento ostativo alla ripresentazione del ricorso “prenotativo”, il deposito nei due anni precedenti di “altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l'ammissione alla procedura di concordato preventivo”; ammissione cui la debitrice nel caso de quo avrebbe rinunciato e che comunque sarebbe stata revocata), si ravvisa una condotta abusiva caratterizzata vuoi dall'inesistenza di ragioni giustificative - di là dall'allegazione di generiche enunciazioni, financo contraddittorie, aggiunge la corte -, vuoi dalla mancata prospettazione di una diversa ipotesi di superamento della crisi (pp. 12-14 sent.; ultima massima in epigrafe). Emerge, così, la pretestuosità della nuova iniziativa della ricorrente, la quale, come sancito da Cass. S.U. 15 maggio 2015, n. 9935, ha palesato “una mera ed evidente finalità dilatoria. In questo caso, quando cioè lo scopo del debitore non è quello di regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma quello di differire la dichiarazione di fallimento, la proposta di concordato si deve considerare inammissibile, secondo i principi affermati da questa Corte in tema di abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti (Cass. S.U. 15 novembre 2007, n. 23726; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22502; Cass. 22 gennaio 2014, n. 1271)”.

Osservazioni sulla rinuncia alla domanda di concordato, sulla relativa formalizzazione e sugli effetti nella procedura

Il punto nodale della decisione in rassegna risiede nella formalizzazione e nell'efficacia della rinuncia alla domanda di concordato da parte del debitore nelle more dell'udienza fissata per la revoca dell'ammissione alla procedura. L'aver depositato un atto di rinuncia tre giorni prima dell'udienza ex art. 173 l. fall. comporta di per sé la caducazione dell'intera procedura di concordato oppure occorre l'accettazione dei controinteressati e un provvedimento di estinzione? In altri termini, come si configura la rinuncia alla domanda di c.p.? La risposta positiva nel primo senso del quesito, enunciata dalla Corte milanese, determina la conseguenza che il PM e gli eventuali creditori intervenuti nel subprocedimento di revoca perdono la legittimazione a chiedere il fallimento in quella sede e dovrebbero, quindi, presentare nuove istanze di fallimento secondo le regole degli artt. 6, 7 e 15 l. fall.
Per valutare la correttezza o meno della statuizione, nell'assenza di specifiche disposizioni della legge fallimentare, occorre verificare a) in quale fase del procedimento concordatario si manifesti la rinuncia; b) se sia necessaria l'accettazione e/o un provvedimento giudiziale di estinzione e c) quali siano gli effetti che ne conseguono, specialmente oggi nel nuovo quadro regolamentare delle proposte concorrenti.
Anzitutto si deve distinguere, sempre ai fini della rinuncia, la fase cd. “prenotativa” da quella successiva all'ammissione del concordato: nella prima fase non è stata ancora formulata una domanda giudiziale di merito (ossia una proposta ai creditori di regolazione della crisi), ma solo la richiesta di concessione di un termine. Pertanto la rinuncia equivale a ritiro del ricorso introduttivo del procedimento – i.e. a rinuncia agli atti del procedimento (v. Cass. 24 marzo 2011, n. 6850: l'accettazione della rinuncia agli atti del giudizio è necessaria solo quando, nel rapporto processuale già instaurato, vi sia una parte costituita che potrebbe avere interesse alla prosecuzione del giudizio, non rilevando a tal fine che la parte non costituita abbia un interesse a partecipare al giudizio o un interesse dipendente da quello ivi dedotto) - ed è ammissibile, sempre che sia adottata dal legale rappresentante con le stesse forme di cui all'art. 152 l. fall. (per ragioni speculari alla presentazione: cfr. App. Bologna 25 febbraio 2013, ined., menzionata da Ambrosini-Aiello, La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo, in ilcaso.it), senza che vi prestino adesione i creditori, i quali in questa sede non assumono una posizione processuale rilevante.
Giunti all'apertura della procedura di concordato la domanda (atto processuale) assume anche un contenuto negoziale vero e proprio, che si compendia nel tipo di proposta rivolta ai creditori (liquidatorio, di risanamento, con garanzia, etc.) e allora, come nota parte della dottrina, “se prima che la proposta sia accettata da parte dei creditori nessun vincolo si è ancora formato, sì che la revoca della proposta è, certo, ammissibile, diverso è il discorso che pertiene alla rinuncia al procedimento; quindi, considerata la distinzione fra domanda e proposta, qui si deve intendere rinuncia alla domanda. Infatti, la circostanza che il concordato preventivo si ponga al crocevia del diritto sostanziale e del diritto processuale comporta che su questo argomento si debbano intrecciare considerazioni che attengono alla proposta e considerazioni che attengono alla domanda. Come si è osservato, la domanda dà luogo ad un processo e la rinuncia al processo non dovrebbe sortire esiti diversi da quelli previsti nell'art. 306 cod. proc. civ.; la rinuncia al processo presuppone l'accettazione delle altre parti che abbiano un interesse alla prosecuzione del processo; l'interesse alla prosecuzione del processo è predicato quando il convenuto ha svolto, nel processo, difese di merito dal cui accoglimento sortirebbe un accertamento negativo sull'esistenza del diritto dell'attore. Pertanto se si possono configurare delle parti che abbiano un interesse ad una decisione di merito diversa da quella richiesta dal debitore, per coerenza la rinuncia alla domanda imporrebbe una accettazione” (Fabiani, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 2014, 309). Appare tuttavia scontato che i creditori che si oppongono al concordato, preferendo la soluzione fallimentare per i più diversi motivi, abbiano lo stesso interesse giuridico del debitore alla rinunzia alla domanda-proposta (sebbene quest'ultimo sovente intenda riproporre subito un nuovo concordato) e, dunque, “l'accettazione dei creditori serve, soltanto, ad evitare che il tribunale possa dare precedenza alla domanda di fallimento pendente. In sostanza, accettando la rinuncia i creditori che hanno presentato la domanda di fallimento accettano che possa essere ripresentata una nuova domanda” (Fabiani, ibidem, 310; ipotesi, in realtà, pressoché inesistente).
Quanto al momento entro il quale la proposta di concordato possa essere ritirata, esso è unanimemente individuato nel corso del giudizio di omologazione fino a che non sia emesso il decreto di omologa (cfr. Cass. 28 aprile 2015, n. 8575; in dottrina, per tutti, Ambrosini-Aiello, La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo, in ilcaso.it, per i quali la semplice approvazione della maggioranza dei creditori è inidonea a spiegare gli effetti del concordato, i quali scaturiscono ex art. 184 l. fall. dall'omologazione).
Si è anche precisato che ove la proposta sia ritirata debba comunque emettersi un provvedimento estintivo del tribunale, del tipo richiesto dalla fase in cui la revoca interviene (Norelli, La proposta di concordato, Testo aggiornato della relazione all'incontro di studio organizzato dal CSM sul tema “L'insolvenza dell'imprenditore e le procedure alternative al fallimento”, Roma, 5/7 novembre 2008, in www3.unisi.it, 44; in giur., oltre alle decisioni di merito sopra menzionate, Trib. Siracusa 15 gennaio 2014), non potendosi altrimenti tollerare una seconda procedura di c.p. senza previa definizione della prima (Cass. 14 gennaio 2015, n. 495, cit.).
Ma la decisione in commento ha ritenuto sufficiente il deposito dell'atto abdicativo in cancelleria per porre fine al procedimento di revoca ex art. 173. Sul punto Galletti, Una riflessione sulla revoca dell'ammissione del concordato: la rinunzia alla proposta con nuova domanda dopo l'atto di frode, in questo portale, ritiene inammissibile la rinuncia sopravvenuta all'apertura del giudizio di revoca ex art. 173 (contra Ambrosini-Aiello, op. cit., 11 s.; v. anche Spadaro, Sequenza di proposte di concordato del debitore e diritto del contraddittorio nel procedimento di ammissione, Fall., 2015, 428 ss.; Vacchiano, Modifica e rinuncia della proposta di concordato preventivo, Fall., 2016, 38). Nella prassi taluni tribunali usano l'escamotage di rinviare il deposito di siffatto decreto all'esito dell'udienza fissata ai sensi degli artt. 162 o 173 o 179 l. fall., talvolta anche a distanza di lungo tempo, onde impedire al debitore di ripresentare una nuova domanda concordataria, atteso che ancora pende il procedimento originario. Come peraltro argomentato da Bellè, La modifica e il ritiro della domanda di concordato preventivo, Fall., 2015, 645 ss., “l'uscita non favorevole dal procedimento concordatario transita necessariamente per la consultazione dei creditori e del pubblico ministero rispetto all'eventuale fallimento che a quel punto (dopo avere parlato - con la proposta concordataria - l'imprenditore) risultano titolari di una facoltà di insistere per la soluzione liquidatoria, che non è condizionabile da altre previe proposte concordatarie. Sulla base della medesima logica, si deve ritenere che la revoca della proposta ricada anch'essa nella predetta scansione procedurale, imponendosi una fase di contradditorio con i creditori, la cui eventuale istanza di fallimento resta destinata, in tale frangente, a prevalere, proprio per l'alternanza dialettica che caratterizza il procedimento concordatario e prefallimentare di primo grado. Del resto anche il ritiro della proposta si connota, a ben vedere, come un'ipotesi particolare di inammissibilità sopravvenuta di essa, per il venire meno dell'impulso necessario da parte di chi fosse istante rispetto alla pregressa istanza, da trattarsi quindi nelle forme di cui all'art. 173, comma 2, l. fall.”.
Ma la Corte milanese in commento è stata di diverso avviso nella ricostruzione del regime procedurale e sostanziale della rinuncia.
In ordine agli effetti della rinuncia, è pacifico che si procuri “una retrocessione della situazione quo ante con ogni conseguenza a carico del debitore e salva la riproponibilità del ricorso” (Ferro, sub art. 163, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2014, 2209, secondo cui vi è anche l'opportunità di procedere alla pubblicazione della revoca della domanda nel registro delle imprese, a fini garantistici verso i terzi). Gli effetti scaturenti dagli artt. 168 e 169 l. fall., pertanto, retroagiscono ex tunc (Fabiani, op. cit., 308, il quale cita Rolfi, La protezione anticipata nel concordato preventivo alla luce del “decreto sviluppo”, in Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, a cura di Fimmanò, Milano, 2012, 225, e Montanari, La protezione del patrimonio nel concordato preventivo, in Dir. fall. 2013, I, 664).
Il problema si pone oggi in maniera più complessa, a seguito della modifica dell'art. 163, 4° comma, l. fall. ad opera del D.L. n. 83/2015 (conv. con modif. nella L. n. 132/2015), con l'introduzione della possibilità per i creditori rappresentanti almeno il 10% dei crediti di presentare proposte concordatarie concorrenti fino a 30 giorni prima dell'adunanza. In ipotesi di ritiro della domanda e correlata documentazione da parte del debitore dopo il deposito di una proposta concorrente, rimane travolta anche quest'ultima o quella del creditore vive di vita autonoma? Il tema non può essere approfondito in una nota avente distinto oggetto, tuttavia si deve dar conto del dibattito apertosi in dottrina (Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in ilcaso.it, sostiene che la presentazione di proposte da parte di terzi non sterilizzi le facoltà abdicative del debitore - indipendentemente dal termine ultimo di cui all'art. 172, comma 3, per apportare modifiche al piano e dunque anche fino all'omologa -, non potendo il debitore restare “prigioniero” della procedura concordataria per il sol fatto dell'intervenuta attivazione ad opera di un soggetto terzo. E' vero anzi il contrario: in un sistema in cui la proposta concorrente non può precedere, ma deve necessariamente seguire, l'iniziativa del debitore, la proposta del terzo sta e cade con la domanda presentata dall'imprenditore”; v., in tal senso, anche D'Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, Fall., 2015, p. 1173; contra F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il Civilista, 2015) e da ultimo arricchito dagli spunti di chi ritiene (Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in fallimentiesocieta.it) invece ininfluente il ritiro della proposta del debitore poiché considera la presenza di una proposta iniziale condizione per la presentazione di altre alternative da parte dei creditori e non anche per la permanenza delle stesse, dotate ormai di una loro autonomia a vantaggio di tutti i creditori (al pari di quanto avviene nel processo esecutivo per i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo; la medesima tesi era stata già formulata da Lamanna, op. cit.). Inoltre “la decadenza delle proposte concorrenti attribuirebbe al debitore la libertà di disporre della sorte delle altre domande vanificando lo scopo della norma, senza che sia prevista alcuna sanzione (se non vi sono domande, non può essere dichiarato il fallimento) né alcuna forma di risarcimento, non tanto per l'organizzazione giudiziaria inutilmente approntata (che è un costo pubblico che può rilevarsi superfluo in ogni caso di rinuncia e che probabilmente dovrebbe essere in qualche modo considerato), ma nei confronti di chi ha presentato proposte alternative, affrontando inevitabilmente delle spese”. Cfr., infine, Negro, Proposte concorrenti, rinuncia alla domanda e revoca della proposta di concordato preventivo, in ilcaso.it, secondo cui occorre distinguere tra rinuncia agli atti e rinuncia all'azione e qualora sussistano proposte concorrenti formulate dai creditori “pare evidente che anche in seguito alla revoca della proposta principale la procedura di concordato resterebbe pur sempre pendente per effetto della domanda formulata dal debitore, che non potrà essere dichiarata improcedibile, proprio perché la domanda costituirà esercizio di un'azione il cui oggetto è definito dalle proposte concorrenti”. Anche Lamanna, La rinuncia alla domanda di concordato, in questo portale, opina in senso analogo dal novellato disposto del comma 2 dell'art. 172 (terzo periodo), in virtù del quale le proposte di concordato, ivi compresa quella presentata dal debitore, possono essere modificate soltanto fino a 15 giorni prima dell'adunanza dei creditori. Ne discenderebbe che un'eventuale rinuncia oltre tale termine lascerebbe proseguire le residue proposte, essendo l'insolvenza un fatto nella cui disciplina sono individuabili “evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici, suggeriti dall'avvertita esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta” (così Cass. 23 gennaio 2013, n. 1521, punto 12.2). Ma la differenza tra modifica e rinuncia alla proposta sembra a chi scrive dirimente.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per chiarezza espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i principali contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate direttamente nell'esposizione delle questioni e nelle osservazioni.

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