L’impugnazione e la forma del provvedimento con cui il Tribunale annulla un concordato preventivo precedentemente omologato

21 Marzo 2013

Quando a seguito di un procedimento di annullamento di concordato preventivo, il Tribunale, ricorrendone i presupposti sostanziali e processuali, contestualmente dichiari, sia pure con separato provvedimento, l'annullamento del concordato preventivo e il fallimento del debitore, l'impugnazione della pronuncia di annullamento separatamente dalla sentenza di fallimento va dichiarata inammissibile per difetto d'interesse, giacché le ragioni di censura attinenti all'annullamento, considerato il loro carattere pregiudiziale, possono essere fatte valere in sede di reclamo avverso la sentenza di fallimento in forza del principio di cui all'art. 162, comma 2, l. fall., applicabile in tutte le ipotesi in cui alla cessazione della procedura di concordato preventivo faccia seguito la dichiarazione di fallimento.
Massima

Quando a seguito di un procedimento di annullamento di concordato preventivo, il Tribunale, ricorrendone i presupposti sostanziali e processuali, contestualmente dichiari, sia pure con separato provvedimento, l'annullamento del concordato preventivo e il fallimento del debitore, l'impugnazione della pronuncia di annullamento separatamente dalla sentenza di fallimento va dichiarata inammissibile per difetto d'interesse, giacché le ragioni di censura attinenti all'annullamento, considerato il loro carattere pregiudiziale, possono essere fatte valere in sede di reclamo avverso la sentenza di fallimento in forza del principio di cui all'art. 162, comma 2, l. fall., applicabile in tutte le ipotesi in cui alla cessazione della procedura di concordato preventivo faccia seguito la dichiarazione di fallimento.

Il caso

Il commissario giudiziale di un concordato preventivo omologato dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio proponeva ricorso ex art. 186 l. fall. per ottenere l'annullamento del concordato stesso.
Nelle more del giudizio, il Tribunale segnalava lo stato di insolvenza al Pubblico Ministero il quale provvedeva a presentare istanza di fallimento ex art. 7, comma 2, l. fall.
A seguito, quindi, di un autonomo procedimento ex art. 15 l. fall., il Tribunale di Busto Arsizio, contestualmente, ma con due distinte sentenze, annullava il concordato preventivo, come richiesto dal commissario giudiziale, e dichiarava il fallimento del debitore.
Quest'ultimo impugnava entrambe le sentenze con due distinti reclami ex art. 18 l. fall. dinanzi alla Corte d'Appello di Milano, che dichiarava l'inammissibilità dell'impugnazione proposta avverso la decisione sull'annullamento per mancanza di interesse.

Questioni giuridiche

L'esame del caso deciso dalla Corte d'Appello di Milano suggerisce qualche breve riflessione sull'annullamento del concordato preventivo, sulle forme del provvedimento conclusivo del relativo giudizio e sulle modalità d'impugnazione dello stesso anche in rapporto all'eventualmente connessa dichiarazione di fallimento del debitore.
Il procedimento di annullamento del concordato preventivo è disciplinato all'art. 186 l. fall., che richiama a sua volta gli artt. 137 e 138 relativi all'annullamento e alla risoluzione del concordato fallimentare.
Il giudizio inizia con un ricorso dinanzi al tribunale che ha omologato il concordato, presentato da qualsiasi creditore (anche rimasto estraneo alla procedura) o dal commissario giudiziale quando, a seguito dell'omologazione del concordato preventivo, emergano comportamenti dolosi del debitore che ha esagerato il passivo, ovvero sottratto o dissimulato una parte rilevante dell'attivo in modo tale da rappresentare falsamente la convenienza della proposta concordataria e viziare così il consenso dei creditori.
L'annullamento rappresenta quindi lo strumento per invalidare il concordato risultato “fraudolento”, con cui è stato illegittimamente carpito il consenso dei creditori (cfr. Caffi, Comm. Schiano di Pepe, Cedam, 2007, 607 e G.P. Villani, ivi).
Trattandosi pertanto di vizio “genetico” del “patto” concluso tra debitore e creditori, è legittimo ricorrere al rimedio tipico dell'annullamento (e non della risoluzione, strumento legato alle “perturbazioni” del contratto attinenti non alla “genesi”, bensì al profilo dell' “esecuzione” dell'accordo).
Secondo la versione in vigore prima del decreto correttivo del 2007, con il provvedimento di risoluzione o di annullamento del concordato preventivo il Tribunale dichiarava il fallimento del debitore.
A seguito delle modifiche introdotte con il D.lgs. 169/2007, invece, la norma è stata riscritta e resa più coerente con il nuovo impianto dato dal legislatore alle procedure concorsuali.
Nell'ottica di una più marcata “privatizzazione” delle insolvenze, la nuova legge fallimentare esclude infatti la dichiarazione di fallimento d'ufficio e, pertanto, nel caso di cessazione della procedura di concordato preventivo, la dichiarazione di fallimento è sempre subordinata ad una istanza di parte e alla verifica dello stato di insolvenza. Per tale motivo l'attuale art. 186 l. fall. non riproduce più il comma 3 della versione previgente (“con la sentenza che risolve o annulla il concordato il tribunale dichiara il fallimento”).
In assenza di una specifica disciplina legislativa, la dottrina e la giurisprudenza, ferma l'impossibilità della dichiarazione di fallimento d'ufficio, hanno interpretato in vario modo i possibili scenari successivi all'annullamento del concordato preventivo.
1) Una prima interpretazione dottrinale ammette che l'istanza di fallimento potrebbe essere compresa implicitamente nella richiesta di annullamento o risoluzione del concordato (Pajardi - Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, VII edizione, Milano, 2008) e pertanto, in forza di una domanda così intesa, il Tribunale sarebbe autorizzato a dichiarare contestualmente anche il fallimento del debitore.
Si noti al riguardo che, dopo le riforme del 2005-2006, ma prima del decreto correttivo del 2007, alcuni Tribunali continuavano a ritenere pronunciabile, contestualmente all'annullamento del concordato preventivo, il fallimento del debitore, seppur previo accertamento dell'insolvenza (si legga ad esempio Trib. Roma, 14.3.2007 in Fall., 2007, 1205 e Trib. Pescara 8.1.2007).
2) Una seconda interpretazione, invece, esclude l'istanza di fallimento per così dire “implicita”, precisando che il fallimento può sopraggiungere solo a seguito di un autonomo e distinto procedimento ex art. 15 l. fall., successivo alla conclusione del giudizio di annullamento (vedi M. Ferro, La legge fallimentare, II ed., Padova, 2011, 2209).
L'iter porterebbe quindi a due provvedimenti distinti (frutto di altrettanti procedimenti separati): uno di annullamento del concordato e l'altro di fallimento del debitore (tale via è stata percorsa dal Tribunale di Busto Arsizio).
Anche in tal caso l'impulso di parte sarebbe assicurato da un'istanza di fallimento presentata da un creditore, oppure da parte del P.M. a seguito della segnalazione ex art. 7, comma 2, l. fall. fatta dal giudice civile.
Nella normativa previgente, la segnalazione da parte del giudice civile era limitata solo al caso in cui l'imprenditore fosse stato parte del giudizio. Oggi il n. 2 dell'art. 7 consente tale possibilità in qualsiasi procedimento civile, di qualunque natura. Ciò conferma che, nonostante la cd. “privatizzazione” del concordato preventivo, la “sorveglianza” del Pubblico Ministero permane comunque. Infatti si consideri che, da un lato, l'art. 161, comma 5, l. fall. impone la comunicazione della domanda di concordato al P.M. (al riguardo si aggiunga che il Tribunale di Milano, attraverso le linee guida nell'applicazione del Decreto Sviluppo, ha precisato che anche la domanda di pre-concordato va comunicata al P.M.), dall'altro gli articoli 162, comma 2, 173, comma 2, e 180, comma 7, consentono l'intervento del pubblico ministero per richiedere il fallimento del debitore (più ampiamente sul ruolo del P.M. nelle procedure concorsuali si rimanda a La procedura pre-fallimentare ed i reati fallimentari: problematiche vecchie e nuove, incontro tenutosi il 23.1.2012 presso l'Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano nell'ambito della formazione decentrata dei magistrati del distretto di Milano).
3) Una terza interpretazione si spingerebbe oltre e, attraverso il combinato disposto dei richiamati articoli 137 e 138 e dei citati articoli 162, 173 e 180 l. fall., consentirebbe al Tribunale, alle condizioni sopra indicate, di dichiarare, con il medesimo provvedimento, l'annullamento del concordato preventivo e il fallimento del debitore quando il ricorrente abbia richiesto espressamente con la domanda di annullamento del concordato preventivo anche il fallimento del debitore (vedi M. Ferro, op. cit., 2245; l'A. parla al riguardo di cumulo oggettivo di domande formulate nei riguardi dello stesso soggetto avanzate dinanzi al giudice competente a conoscerle con il medesimo rito; si legga anche G. Fauceglia, Esecuzione, risoluzione e annullamento del concordato preventivo, in Fauceglia G-Panzani L. (a cura di), Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1771).
Analoghe riflessioni vengono fatte dalla dottrina e giurisprudenza in merito alla forma dei provvedimenti sopra discussi e, conseguentemente, in relazione alla loro impugnabilità.
A) In particolare, riprendendo l'ultima ipotesi sopra accennata, se il creditore ha agito per l'annullamento del concordato e ha altresì presentato, con il medesimo atto, istanza di fallimento, l'unico procedimento così instaurato potrebbe concludersi alternativamente (come riepiloga M. Ferro, op. cit. , 2246):
- con un'unica sentenza di fallimento che assorbe in sé l'annullamento della procedura concordataria;
- con una sentenza di accoglimento della domanda di annullamento e con un decreto di rigetto relativamente all'istanza di fallimento;
- con un decreto di rigetto della richiesta di annullamento e una sentenza di fallimento ove il tribunale rilevasse uno stato di insolvenza sorto successivamente all'omologazione (secondo un'ipotesi prospettata da Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1111);
- con un unico decreto di rigetto, ove il tribunale non ritenesse sussistere i presupposti né per annullare il concordato, né per dichiarare il fallimento.
La regola generale è dunque quella per cui il provvedimento conclusivo sarà una sentenza nel caso di accoglimento della richiesta di annullamento del concordato, sarà invece un decreto se il tribunale rigetta la domanda.
Tale conclusione si trae dal dato letterale degli articoli 137, comma 4, l. fall. e 138, comma 2, l. fall. (richiamati dall'art. 186). che parlano espressamente di “sentenza che risolve il concordato” e di “sentenza che annulla il concordato” (così concordano Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 1111 e M. Ferro, op. cit., 2243).
B) Secondo invece una differente opinione, la forma conclusiva del procedimento sarebbe sempre il decreto, tanto nel caso di accoglimento, quanto in ipotesi di rigetto se ad esso non “consegue” il fallimento.
La sentenza sarebbe in ipotesi ammissibile solo nel caso in cui, contestualmente all'annullamento o risoluzione, venisse dichiarato anche il fallimento del debitore (così spiegano M. Vitiello, “l'esecuzione del concordato”, in Aa.Vv., Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Bologna, Zanichelli, 2009, 252; P. Sissini, Risoluzione e annullamento del concordato, 2368, in Aa.Vv., La Legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, III, Artt. 160 – 215, Giappichelli, Torino; Lo Cascio, Il concordato preventivo, VII edizione, Giuffré, Milano, 2008, 707; in tal senso ha deciso il Tribunale di Ascoli Piceno, 18-22.12.2009, in Ilcaso.it).
Tale soluzione nasce dal fatto che il provvedimento-sentenza, pur richiamato dagli articoli del concordato fallimentare (art. 137 e 138 sopra citati), mal si concilia in realtà con la procedura di concordato preventivo. Infatti mentre nel concordato fallimentare l'annullamento porta necessariamente alla riapertura del fallimento, nel caso di concordato preventivo, invece, non essendoci ancora un fallimento “aperto”, sarebbe più opportuno pronunciare un decreto motivato, statuizione tipica nella disciplina del concordato preventivo per i provvedimenti che, senza dichiarare contestualmente il fallimento, sanciscono solo l'inammissibilità della proposta, la revoca della procedura o l'improcedibilità (così spiegano Nardecchia, in Fallimento, 2012, 262 e N. Nisivoccia, La consecuzione del fallimento al concordato preventivo: le fattispecie di conversione, in Riv. dir. proc., 2012, 724-725).
Altrettante perplessità e discussioni destano conseguentemente le modalità di impugnazione.
Secondo la precedente disciplina, considerando il decreto come provvedimento conclusivo del procedimento di annullamento, era possibile reclamare l'esito di tale giudizio dinanzi alla Corte d'Appello ex art. 131 l. fall. (così Comm. Schiano di Pepe, cit., 541).
Poiché invece oggi gli artt. 137 e 138 parlano espressamente di “sentenza”, tali pronunce (e quindi conseguentemente anche le sentenze di annullamento o risoluzione del concordato preventivo) sono ritenute provvisoriamente esecutive e reclamabili in Corte d'Appello ex art. 18 l. fall. (e poi eventualmente ricorribili in Cassazione come prevede lo stesso articolo 18 l. fall.).
Ciò anche nell'eventualità sopra prospettata in cui con un'unica sentenza il Tribunale abbia annullato (o risolto) il concordato preventivo e dichiarato il fallimento del debitore. In tal caso infatti l'impugnazione ex art. 18 l. fall. consentirebbe di trattare tanto i motivi dell'annullamento quanto quelli del fallimento (così M. Ferro, op. cit., 2246).
I decreti di rigetto, invece, sarebbero reclamabili non più ex art. 131 l. fall., bensì ai sensi dell'art. 739 c.p.c. (norma generale per i procedimenti in camera di consiglio) oppure ai sensi dell'art. 26 l. fall. o dell'art. 22 L. fall. (così riepiloga M. Ferro, op. cit., 2243; sui reclami ex art. 26 l. fall. e 36 l. fall. si legga anche R. Amatore, Regime di impugnazione dei provvedimenti adottati dal Giudice Delegato in sostituzione del comitato dei creditori, in IlFallimentarista, 18.11.2012).
Secondo l'impostazione di cui al precedente punto B), invece, il decreto che ha pronunciato solo sull'annullamento sarebbe reclamabile ex art. 18 l. fall. autonomamente rispetto all'eventuale successiva dichiarazione di fallimento (così reputa Lo Cascio, op. cit., 707-708).
Ad avviso di altri, tale decreto dovrebbe essere reclamato ex art. 22 l. fall. (così Nardecchia, La risoluzione del concordato preventivo, in Fall., 2012, 262).
Secondo un'applicazione analogica dell'162 l. fall. il decreto di annullamento cui non faccia poi seguito la dichiarazione di fallimento del debitore sarebbe invece irreclamabile, lasciando al debitore la possibilità di presentare una nuova proposta (così N. Nisivoccia, in Riv.dir. proc., 2012, 724-725).
Nel diverso caso della sentenza di fallimento che assorbe in sé la decisione sull'annullamento del concordato preventivo, la pronuncia sarebbe soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione, con la conseguenza che il procedimento di reclamo investirebbe sia le questioni dell'annullamento, sia quelle del fallimento.
La peculiarità del caso di specie è data dal fatto che il Tribunale di Busto Arsizio aveva emesso due distinte sentenze a seguito di due separati procedimenti. In pratica, contestualmente, ma con due pronunce, il Tribunale aveva con una annullato il concordato preventivo su istanza del commissario giudiziale e, con l'altra, dichiarato il fallimento del debitore su istanza del Pubblico Ministero.
Infatti il commissario giudiziale aveva agito ex art. 186 l. fall. per “invalidare” il concordato preventivo omologato pochi mesi prima e il Pubblico Ministero, su segnalazione del giudice civile ex art. 7, comma 2 l. fall. sopra citato, aveva presentato istanza di fallimento.
Dinanzi al Tribunale pendevano così due procedimenti distinti (uno ex art. 186 l. fall. e 138 l. fall. e l'altro ex art. 15 l. fall.) conclusisi entrambi con due sentenze “separate”.
Il debitore aveva allora impugnato entrambe le decisioni con due separati reclami ex art. 18 l. fall. trattati anch'essi separatamente dalla Corte d'Appello.
Il reclamo avverso la decisione di annullamento è stato però dichiarato inammissibile dalla Corte d'Appello per “mancanza di interesse”, dal momento che l'eventuale accoglimento della richiesta non avrebbe potuto spiegare alcun effetto sulla sentenza di fallimento, la quale può essere revocata solo a seguito di uno specifico reclamo.
Seguendo quanto deciso dalla Corte di Cassazione in una recente sentenza (Cass., 22 febbraio 2012, n. 2671, Ord.), i Giudici di Milano hanno ricordato che il procedimento di annullamento del concordato preventivo segue le norme dettate dagli art. 137 e 138 l. fall. solo in quanto compatibili.
Il limite di tale compatibilità risiede nel fatto che, mentre l'annullamento del concordato fallimentare riapre automaticamente per legge il fallimento, l'annullamento del concordato preventivo, come indicato supra, non necessariamente porta al fallimento, che invece può conseguire solo all'accertamento dello stato di insolvenza nell'ambito di un diverso procedimento ex art. 15 l. fall. su istanza di parte.
Ecco allora che l'annullamento del concordato preventivo non può riportare ad una procedura fallimentare (mai iniziata), bensì conduce ad uno stadio analogo a quello delle “traumatiche” cessazioni delle procedure concordatarie (così ricorda Cass. 2671/2012, cit.) di cui ai già ricordati articoli 162, 173 e 180 l. fall.
Queste disposizioni sono dunque accomunate dal principio sancito dall'art. 162, comma 2 l. fall.
Tale norma diviene la regola generale in base alla quale tutte le volte in cui alla cessazione della procedura di concordato preventivo “consegue” (ovviamente previo accertamento dei presupposti a seguito di apposita istanza di un creditore o del pubblico ministero) il fallimento del debitore, le ragioni di censura della causa di cessazione (sia essa l'inammissibilità della proposta concordataria, la revoca dell'ammissione al concordato, la reiezione del concordato o, come nel caso di specie, l'annullamento del concordato preventivo) divengono “motivi di gravame” di cui dolersi con il reclamo (unico) ex art. 18 l. fall. avverso la sentenza di fallimento, anche nell'eventualità in cui il Tribunale abbia adottato due separati provvedimenti.
Anche con riferimento al tipo di provvedimento, la sentenza della Suprema Corte citata si ispira alla disciplina dettata dal legislatore per le richiamate ipotesi in cui alla procedura di concordato viene posta fine con un provvedimento diverso dall'omologazione e ritiene conseguentemente preferibile la forma del decreto cui può aggiungersi, se sussistono i presupposti, la sentenza dichiarativa di fallimento.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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