I rapporti tra concordato e dichiarazione di fallimento: equivoci processuali di una questione sostanziale

07 Febbraio 2013

Alla luce della nuova formulazione dell' art.160 l. fall. deve escludersi che sussista un rapporto di prevenzione tra procedura di concordato preventivo e procedimento per la dichiarazione di fallimento, tale da precludere la dichiarazione di fallimento stesso prima della definizione della procedura di ammissione al concordato preventivo. Ne consegue che, proposta istanza di fallimento, è facoltà del debitore proporre un concordato preventivo, ma tale iniziativa non osta alla pronuncia di fallimento, dovendosi escludere che tra i due procedimenti si venga a creare un nesso di pregiudizialità necessaria.
Massima

Alla luce della nuova formulazione dell' art.160 l. fall. deve escludersi che sussista un rapporto di prevenzione tra procedura di concordato preventivo e procedimento per la dichiarazione di fallimento, tale da precludere la dichiarazione di fallimento stesso prima della definizione della procedura di ammissione al concordato preventivo. Ne consegue che, proposta istanza di fallimento, è facoltà del debitore proporre un concordato preventivo, ma tale iniziativa non osta alla pronuncia di fallimento, dovendosi escludere che tra i due procedimenti si venga a creare un nesso di pregiudizialità necessaria. Tra le due procedure si crea, conseguentemente, unicamente un nesso di consequenzialità logica che ne impone il coordinamento, dovendo il giudice fallimentare bilanciare le opposte iniziative di creditori istanti e debitore proponente, in modo da evitare che l'iniziativa di quest'ultimo persegua intenti meramente dilatori, traducendosi in un abuso del diritto. Tale coordinamento, tuttavia, non comporta né che alla declaratoria di fallimento possa pervenirsi solo una volta definitivamente conclusa in senso negativo la procedura di concordato preventivo, né che sulle due procedure il tribunale sia obbligato a pronunciarsi con distinti provvedimenti, considerato che la sentenza di fallimento assorbe il decreto che statuisce negativamente sul concordato, e che eventuali vizi della decisione di inammissibilità del concordato dovranno farsi valere mediante l'impugnazione della sentenza.

Il caso

Due creditori presentano separate istanze di fallimento nei confronti di una società. Avvenuta la convocazione innanzi al tribunale fallimentare, la debitrice deposita una proposta di concordato preventivo. Occorre sottolineare che, a questo punto, la ricostruzione dei fatti si presenta non agevole, stante la sinteticità di alcuni passaggi contenuti nella motivazione della cassazione. Emerge con chiarezza che il tribunale fallimentare, nel giro di poche settimane dalla presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, pronuncia una sentenza di dichiarazione di fallimento, mentre sembrerebbe desumersi da un passaggio della motivazione che lo stesso tribunale abbia “pronunciato l'improcedibilità del concordato dopo avere dichiarato il fallimento".

La sentenza di fallimento viene impugnata deducendo, in particolare, un vizio della medesima derivante dal fatto di non essere stata preceduta dalla pronuncia di inammissibilità del concordato preventivo. La sentenza di fallimento viene confermata anche in appello, avendo la corte ritenuto che il tribunale non fosse tenuto alla previa pronuncia sulla domanda di concordato, ed è su tale particolare profilo che vengono ad incentrarsi sia gran parte del ricorso innanzi alla Suprema Corte, sia, conseguentemente, la decisione di quest'ultima.

Le questioni giuridiche e la soluzione

L'individuazione delle questioni giuridiche su cui la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi risulta in gran parte dipendente dalla ricostruzione della vicenda concreta, ma può agevolmente essere desunta dal quesito di diritto formulato col terzo motivo di impugnazione, e cioè se il tribunale, in presenza di un'istanza di dichiarazione di fallimento e di una contemporanea proposta di concordato preventivo, possa pronunciarsi sulla prima solo dopo aver dichiarato l'inammissibilità della seconda, E se, conseguentemente, sia viziata la sentenza dichiarativa di fallimento che sia stata pronunciata prima della declaratoria di inammissibilità del concordato. Il problema, in termini più sintetici, è se il deposito di una proposta di concordato preventivo precluda la dichiarazione di fallimento sino al momento in cui non sia definitivamente (id est inoppugnabilmente) accertato l'insuccesso della procedura concordataria. Si tratta, in altri termini, di stabilire se permanga quel vincolo o criterio di "prevenzione" che indubbiamente sembrava esistere sino alla riforma del 2006 e che risultava apparentemente codificato nella versione previgente dell'art. 160 l .fall.
La soluzione fornita dalla sentenza in commento, in realtà, si pone ampiamente nel solco di una cospicua precedente produzione giurisprudenziale della stessa Suprema Corte, peraltro anticipata da autorevoli precedenti di merito in tema di rapporti tra istanza di fallimento e accordo di ristrutturazione (ci si riferisce in particolare al cosiddetto "Decreto Risanamento" adottato dal Trib. di Milano il 10 novembre 2009). La decisione, infatti, conferma la tesi per cui la modifica dell'art. 160 l.fall.è venuta ad eliminare il rapporto di prevenzione tra concordato e dichiarazione di fallimento, riaffermando l'autonomia delle due procedure, con la conseguenza che il primo non può ritenersi fattore ostativo della seconda, almeno sul piano del rapporto processuale. Correttamente la Cassazione esclude che tra le due procedure venga ad instaurarsi un rapporto di pregiudizialità necessaria, tale da consentire l'applicazione di meccanismi quali quello della sospensione di cui all'art. 295 c.p.c.
Ne scaturisce un quadro in cui il coordinamento tra le due procedure assume caratteri meramente logico-fattuali, determinati dal fatto che la procedura concorsuale "minore" potrebbe rivelarsi idonea ad elidere quello stato di insolvenza che costituisce tuttora imprescindibile presupposto per la dichiarazione di fallimento, e che, conseguentemente, quest'ultima viene a contenere necessariamente un giudizio anche implicito sulla idoneità alla procedura concordataria ad eliminare l'insolvenza medesima. Questo rapporto, tuttavia, puntualizza la Corte, non si traduce in una rigida scansione tra inammissibilità del concordato e dichiarazione di fallimento, ben potendo la seconda essere adottata anteriormente alla prima, in caso di manifesta inammissibilità o inidoneità del concordato. Sul punto la stessa Cassazione è attenta a sottolineare il dovere del giudice fallimentare di sventare manovre dilatorie del debitore, risultando in modo chiaro dalla motivazione che l'eventuale emersione del carattere, appunto, dilatorio della proposta di concordato ben potrà giustificare l'immediata declaratoria di fallimento, sul postulato della palese inammissibilità del concordato.

Osservazioni

La decisione in commento affronta, ancora una volta, il problema dei rapporti tra procedimento per la dichiarazione di fallimento e procedura di concordato preventivo. Problema affrontato ripetutamente, forse eccessivamente, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza e costantemente risolto in modo condivisibile, come nel caso della decisione in esame. Eppure la rilevanza di una simile questione appare indiscutibile, sol che si consideri che, anche dopo la decisione in commento, la Suprema Corte è stata chiamata ad affrontare nuovamente la tematica anche nella recentissima decisione delle Sezioni Unite 23 gennaio 2013, n. 1521, il cui paragrafo 9.2 appare largamente debitore proprio della sentenza in commento.
Il numero di precedenti giurisprudenziali sul punto, peraltro, appare persino sproporzionato rispetto alla natura della questione portata all'attenzione della cassazione. Sul piano squisitamente procedurale, infatti, basterebbe rammentare che la pregiudizialità idonea a giustificare un provvedimento di sospensione sulla falsariga dell'art. 295 c.p.c., è la pregiudizialità che si instaura tra due distinti giudizi pendenti innanzi a uffici giudiziari diversi o in gradi diversi. Per la pendenza di provvedimenti collegati innanzi allo stesso ufficio giudiziario e nel medesimo grado, invece, lo strumento processuale di coordinamento è quello della riunione ai sensi degli articoli 273-274 c.p.c. Verrebbe da dire, quindi, che un problema di pregiudizialità strettamente processuale neppure si viene a porre nel momento in cui istanza di fallimento e domanda di ammissione al concordato pendano innanzi allo stesso giudice, ed in questo senso, ancora una volta, va richiamato l'autorevole precedente del tribunale di Milano che in materia ha svolto la vera e propria funzione di "apripista".
Se nell'affermazione del principio generale la sentenza della Suprema Corte approda ad una soluzione ampiamente corretta, tuttavia è netta la sensazione che nel caso di specie la stessa Corte abbia voluto risolvere in modo radicale alcuni profili di criticità che caratterizzavano la decisione concreta. Sembra infatti emergere in modo chiaro che il tribunale fallimentare comunque abbia dato dell'art. 162 l.fall. un'applicazione non del tutto conforme alla lettera, se è vero che la declaratoria di inammissibilità è stata adottata solo successivamente alla sentenza di fallimento. Tale criticità viene superata dalla Corte con la considerazione che tale soluzione applicativa non avrebbe arrecato nessuna concreta compromissione delle ragioni della società fallita, considerato il principio, richiamato anche sulla decisione in esame, per cui è con l'impugnazione della sentenza di fallimento che dovranno veicolarsi eventuali vizi della declaratoria di inammissibilità del concordato.
In realtà, come implicitamente lasciato intendere dalla Suprema Corte anche tramite il richiamo ad un proprio precedente, è perfettamente possibile che il coordinamento tra le due procedure (quella di ammissione al concordato preventivo e quella per la dichiarazione di fallimento), venga ad essere realizzato mediante un vero e proprio provvedimento di riunione, all'esito del quale le due procedure potrebbero essere definite con un unico provvedimento finale, che necessariamente avrebbe la forma della sentenza qualora approdi alla declaratoria di fallimento, ma potrebbe comunque contenere esplicitamente o implicitamente la declaratoria di inammissibilità del concordato ai sensi dell'art. 162 l. fall [in tal senso Cass. 5 giugno 2009, n. 12986, la quale testualmente richiama l'orientamento per il quale “la sentenza dichiarativa del fallimento, per la quale v'è già stata l'iniziativa di parte, possa includere la dichiarazione dell'inammissibilità della domanda di concordato (Cass., sez. I, 28 gennaio 2000, n. 948, m. 533221)”].

Le questioni aperte

La tematica in esame è già stata ampiamente rivoluzionata dall'introduzione della cosiddetta domanda di "pre-concordato" di cui all'art. 161 l. fall.
Il legislatore del "Decreto Sviluppo", infatti, è venuto a introdurre, o reintrodurre, un meccanismo di temporaneo blocco della dichiarazione di fallimento connesso alla presentazione della proposta di concordato con riserva. Il deposito della domanda, infatti, comporta l'assegnazione di un termine di 60 giorni durante i quali al tribunale sarà sostanzialmente preclusa la possibilità di pronunciarsi sull'istanza di fallimento. È evidente quindi che il baricentro del bilanciamento tra interessi dei creditori ed esigenze di tutela del debitore viene a spostarsi su tale delicatissima fase, nella quale tuttavia permane l'esigenza di evitare l'adozione di iniziative di tipo dilatorio. L'ampia indeterminatezza che può caratterizzare la domanda di concordato con riserva, peraltro, non consente al tribunale l'adozione di prassi che possono intervenire direttamente sulla valutazione del merito della domanda. Ed allora il fondamentale ruolo di sorveglianza dello stesso tribunale potrà esercitarsi unicamente su due fronti: da un lato un attento vaglio dei requisiti formali che devono comunque caratterizzare la domanda di concordato con riserva; dall'altro una costante vigilanza nella fase di pendenza del termine, ed in particolare una severa ponderazione degli atti di straordinaria amministrazione al cui compimento il debitore chieda di essere autorizzato.
Parimenti delicata sembra rivelarsi la distinta fase successiva all'adunanza dei creditori ed all'espressione del voto, essendosi già manifestate – in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze - prassi dilatorie di presentazione di una nuova domanda di concordato o di una proposta di concordato con riserva in sede di celebrazione dell'udienza fissata per la definitiva declaratoria di inammissibilità della proposta ai sensi degli artt. 162 e 179 l. fall. E' proprio in tale sede che l'orientamento espresso dalla sentenza in commento può rivelarsi ancora una volta fattore corroborante per quelle decisioni che, rilevato il carattere dilatorio della nuova proposta, procedano all'immediata declaratoria di inammissibilità della precedente, e dichiarino conseguentemente (ovviamente in presenza della relativa domanda) il fallimento.

Conclusioni 

Quello che appare comunque opportuno chiarire a chiusura di queste brevi note è che l'orientamento della Cassazione non vale in ogni caso a travolgere quell' innegabile nesso di pregiudizialità logica che sussiste tra concordato e fallimento. Il senso della decisione della cassazione (e delle altre decisioni che hanno affermato lo stesso principio) è quello di escludere un meccanismo vincolante di carattere processuale, ed in particolare la sussistenza della pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. Ciò che la decisione invece non smentisce è che comunque permane un rapporto di pregiudizialità funzionale tra concordato e fallimento (così come tra l'accordo di ristrutturazione e il fallimento), con la conseguenza che la declaratoria di fallimento comunque presuppone (anche implicitamente, a quanto è dato comprendere dalla decisione in commento) una valutazione preliminare di inammissibilità della proposta di concordato, dal momento che l'ammissibilità di tale proposta, quale fattore che potrebbe condurre alla eliminazione dello stato d'insolvenza dell'impresa, comunque precluderebbe (non sul piano meramente processuale, ma su un piano fattuale e funzionale) la declaratoria di fallimento.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La decisione richiama numerosi precedenti, tra i quali Cass. 8 febbraio 2011, n. 3059, in Fall. 2011, 10 (con nota di De Santis, Rapporti tra giudizio prefallimentare e concordato preventivo - ancora sui rapporti tra istruttoria prefallimentare e procedura concordata di soluzione della crisi d'impresa); Cass. 5 giugno 2009, n. 12986, cit., ivi, 2010, 4 (con nota di Genoviva, Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento).
Per la giurisprudenza del Tribunale di Milano, cfr. Trib. Milano 25 marzo 2010, ivi, 2011, 1 (con nota di Rolfi, Art. 182 bis tra diritto processuale, contenuti sostanziali e controllo giurisdizionale - gli accordi di ristrutturazione: profili processuali e ricadute sostanziali).
Sul problema dell'incidenza del pre-concordato di cui all'art. 161 l. fall., appare opportuno il richiamo alle prassi operative del Tribunale di Milano - Sez. II - Verbale del Plenum 18.10.2012, su IlFallimentarista ; nonché, sempre sul medesimo portale, Tribunale di Velletri - sez. II - 18 settembre 2012 (con nota di Vitiello, Domanda di concordato con riserva in pendenza di un procedimento prefallimentare: limiti del sindacato e poteri del Tribunale); Panzani, Il concordato in bianco; Lamanna, Pre-concordato e procedura prefallimentare pendente: il termine minimo e l'oscuro riferimento al decreto di rigetto dell'istanza di fallimento.

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