Regime d’impugnazione dei provvedimenti adottati dal G.D. in sostituzione del comitato dei creditori

Roberto Amatore
18 Dicembre 2012

Nel caso in cui il provvedimento adottato dal Giudice Delegato sia stato emesso nell'esercizio dei poteri di surrogazione previsti dall'art. 41, comma 4, l. fall., sostituendosi pertanto al comitato dei creditori, il regime impugnatorio applicabile è quello previsto dall'art. 36 l. fall. contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori e non già quello di cui all'art. 26, medesima legge, per gli atti del Giudice Delegato, prevalendo pertanto il profilo funzionale del potere esercitato sul diverso profilo soggettivo dell'organo che ha esercitato il potere stesso e non potendosi far discendere dall'esercizio in surroga di un potere una diversa disciplina del regime delle relative impugnazioni.
Massima

Nel caso in cui il provvedimento adottato dal Giudice Delegato sia stato emesso nell'esercizio dei poteri di surrogazione previsti dall'art. 41, comma 4, l. fall., sostituendosi pertanto al comitato dei creditori, il regime impugnatorio applicabile è quello previsto dall'art. 36 l. fall. contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori e non già quello di cui all'art. 26, medesima legge, per gli atti del Giudice Delegato, prevalendo pertanto il profilo funzionale del potere esercitato sul diverso profilo soggettivo dell'organo che ha esercitato il potere stesso e non potendosi far discendere dall'esercizio in surroga di un potere una diversa disciplina del regime delle relative impugnazioni.

Il caso

La questio facti riguarda, invero, la proposizione di un reclamo avanzato da una società ai sensi dell'art. 26 l. fall. avverso il provvedimento con il quale il Giudice Delegato aveva autorizzato, in virtù del disposto normativo di cui all'art. 41, comma 4, l. fall. (e ciò, pertanto, in sostituzione del comitato dei creditori), il curatore del fallimento ad accettare una proposta legata alla rinunzia a cause in corso, proposta oggetto di istanza di autorizzazione del curatore per l'attuazione delle disposizioni contenute nel programma di liquidazione. La parte reclamante si doleva, nel proposto reclamo, oltre che di una illegittimità procedurale legata alla “scarsità del contraddittorio nella gestione degli interessi in gioco”, della erroneità delle valutazioni prognostiche relative all'esito delle cause pendenti tra le parti e della ulteriore erroneità della valutazione comparativa della convenienza delle offerte concorrenti di acquisto dell'azienda, operate dal curatore fallimentare nel programma di liquidazione e nell'istanza di autorizzazione ed implicitamente recepite nel provvedimento del Giudice Delegato oggetto della sopra descritta impugnativa giudiziale.

Le questioni giuridiche

L'esame della vicenda processuale sopra descritta richiede invero alcune necessarie e propedeutiche premesse in ordine agli istituti sopra indicati, e cioè ai mezzi di impugnazione espressamente previsti dagli artt. 26 e 36 l. fall. ed in ordine infine alla natura del potere surrogatorio esercitabile dal g.d. ai sensi dell'art. 41, comma 4, l. fall.
In relazione al primo istituto, occorre ricordare che la riforma della legge fallimentare ha ridisegnato in maniera significativa il sistema delle impugnazioni proponibili ex art. 26 l. fall. contro i provvedimenti adottati dal Giudice Delegato e dal Tribunale fallimentare, prevedendo espressamente la possibilità di proporre reclamo anche contro i provvedimenti di quest'ultimo, che, secondo la normativa previgente, avrebbero dovuto essere considerati non soggetti a gravame.
Peraltro, i correttivi apportati con il d.lgs. n. 169/2007 hanno poi significativamente completato la disciplina qui in esame, dotandola di una scansione temporale più precisa e permettendole, in tal modo, di assurgere a quel ruolo di vero e proprio modello di procedimento camerale endoconcorsuale che - come si desume anche, e più in particolare, dal rinvio che alla norma in esame compie l'art. 129 l. fall., nel momento in cui definisce le norme volte a regolare l'opposizione e la richiesta di omologazione in presenza di un concordato fallimentare - il legislatore intendeva assegnarle (Maffei-Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, 2009, 126 ; Giusta, Codice comm. del fall., a cura di Lo Cascio, 8, 2017 ; Panzani, Comm. Bonfatti Panzani, 217).
Va aggiunto che l'attribuzione alla Corte d'appello della competenza a decidere sui reclami proposti nei confronti dei provvedimenti del Tribunale, unitamente all'esclusione disposta nel secondo comma dell'art. 25 l. fall. del Giudice Delegato dal collegio investito del reclamo dei suoi atti, palesano con chiarezza la volontà del legislatore della riforma di assicurare la terzietà e l'imparzialità degli organi giudicanti, in aderenza ai principi fissati nell'art. 111 Cost. (Pagni, Fall., 07, 149 ; Giusta, op. cit., 218 e ss. ).
È stato anche affermato, in modo del tutto convincente, che il reclamo, in quanto diretto a garantire il controllo di un organo superiore nei confronti di un determinato provvedimento, costituisce una vera e propria impugnazione in senso tecnico (Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Giuffrè, 1974, 686 ; Martinetto, D. Fall., 68, I, 328 ).
Peraltro, deve essere precisato che, ora, a seguito della riforma, devono ritenersi reclamabili, rispettivamente presso il Tribunale e presso la Corte d'appello, tutti i provvedimenti adottati dal Giudice Delegato e dal Tribunale fallimentare, a prescindere dalla loro natura, ordinatoria o decisoria (Pagni, op. cit., 149 ; Calvosa, Manuale breve, 327; Gugliemucci, Diritto Fallimentare, 2008, 80).
Sul punto, va aggiunto che, differenza dell'altro mezzo di impugnazione qui in discussione, il reclamo ex art. 26 l. fall. può riguardare qualsiasi vizio del provvedimento impugnato e dunque anche il merito della decisione adottata dal Giudice Delegato ovvero dal Tribunale.
In ordine, poi, al diverso mezzo di reclamo previsto dall'art. 36 l. fall., occorre ricordare che la riforma del 2006 ha ampiamente modificato, sotto numerosi profili, l'articolo da ultimo menzionato (la cui normativa non è stata invece toccata dall'intervento del c.d. Decreto correttivo), delineando ora un rimedio impugnatorio affatto diverso rispetto a quello, invero di rilevanza pratica marginale, che era stato previsto dalla disciplina previgente (cfr. anche Abete, Comm. Jorio, I, 606 ; Mantovani, Comm. Ferro, 268 ).
Ebbene, alla luce della rinnovata formulazione letterale del primo comma dell'art. 36 l. fall., possono dirsi impugnabili - sia pure solo in senso atecnico, in quanto si tratta pur sempre di atti che non sono stati emanati da un'autorità giudiziaria (così, anche, Grossi, La riforma della legge fallimentare, 330) - gli atti “di amministrazione (non anche quelli di natura processuale, per i quali sono invece previsti appositi rimedi nel c.p.c.) posti in essere dal curatore, sia di natura ordinaria che straordinaria; i comportamenti omissivi di atti “di amministrazione”, dovendosi far riferimento al compimento da parte del curatore di atti di “amministrazione” straordinaria, senza la previa prescritta autorizzazione del C.D.C. (fattispecie alle quali, secondo un orientamento, dovrebbero aggiungersi quelle di compimento di “amministrazione” straordinaria di valore superiore a cinquantamila euro o di conclusione di transazioni, senza previa informativa del g.d. : così, Mantovani, Comm. Ferro, 268); le autorizzazioni ; i dinieghi e i comportamenti omissivi del c.d.c.
Come inequivocabilmente risulta dal primo comma (e a differenza di quanto si sosteneva prima della riforma del 2006), il reclamo può essere proposto solo per violazione di legge, non anche per motivi di opportunità, e cioè non anche per motivi attinenti al merito dell'operato del curatore o del C.D.C. (Proto, Comm. Schiano di Pepe, 115 ; Caifa, La legge fallimentare riformata e corretta, 2008, 274 ; Sandulli, La crisi dell'impresa, 70). In realtà, il termine “legge”, mancando nella previsione in commento precisazioni in proposito, può essere indifferentemente riferito alla normativa secondaria e primaria, sostanziale o processuale (Grossi, op. cit., 330).
È stato condivisibilmente affermato in dottrina che la violazione di legge di cui al primo comma dell'art. 36 l. fall. dovrebbe ritenersi integrata in presenza di almeno uno dei tre tradizionali vizi di legittimità: incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere (Abete, ibidem). Sul punto, è stato affermato che dovrebbe trattarsi della violazione di norme di azione - vale a dire di norme che dettano le modalità di esercizio di potere - idonee ad incidere non su diritti soggettivi perfetti, ma su posizioni di mero interesse, con la conseguenza che il reclamo di cui all'art. 36 predetto potrebbe dirsi svolgere, sia pure sotto il profilo da ultimo indicato, la medesima funzione che, prima della riforma del 2006, veniva svolta dal reclamo di cui all'art. 26 l. fall. nella sua formulazione originaria, e cioè come delineata dal legislatore prima che sulla legittimità della norma si pronunziasse la Corte cost. (Abete, ibidem).
Va detto, in conclusione, che, secondo un orientamento, la regola che limita la possibilità di proporre reclamo avverso gli atti di amministrazione del curatore nel solo caso di violazione di legge susciterebbe dubbi di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 24 Cost., in quanto i creditori “più deboli” e lo stesso fallito si troverebbero privi di strumenti che consentano loro di sindacare le scelte della maggioranza che, sia pure formalmente corrette, risultino tuttavia inopportune (Mantovani, op. cit., 274 ).
Tutto ciò premesso in ordine alla ricostruzione dei due istituti impugnatori qui in esame, occorre ora scrutinare la natura giuridica dei poteri surrogatori utilizzabili dal Giudice Delegato ai sensi dell'art. 41, 4 comma, l. fall., onde verificare se il risultato dell'esercizio di tali poteri sostitutivi sia sindacabile ai sensi dell'art. 26 l. fall., come esercizio di poteri riconducibili al Giudice Delegato, ovvero sia impugnabile ai sensi dell'art. 36 l. fall., come se il provvedimento frutto di tale esercizio da parte del g.d. fosse invece sempre riconducibile al comitato dei creditori, in quanto da ritenersi prevalente - in quest'ultimo caso - il profilo funzionale del potere esercitato su quello soggettivo dell'organo che lo ha esercitato.
Ebbene, la norma in esame, ancorchè non sufficientemente enfatizzata dal legislatore, è stata correttamente considerata dai più come una delle possibili chiavi di volta per la rivitalizzazione del ruolo del g.d. alla luce della riforma (così, anche Aldo Ceniccola, Il nuovo ruolo del Giudice delegato, Analisi della recente formulazione dell'articolo 25 della legge fallimentare, in “Spia al Diritto”, 31 maggio 2006 ).
La disposizione in esame è contenuta nel quarto comma dell'art. 41, che prevede una residua ipotesi di competenza gestionale del Giudice Delegato: normalmente il comitato dei creditori autorizza gli atti del curatore nei casi previsti dalla legge; tuttavia eccezionalmente l'autorizzazione al Curatore è data dal Giudice Delegato nei casi di inerzia o di impossibilità di funzionamento del c.d.c., oppure in casi di urgenza. Si parla in proposito di potere suppletivo o sostitutivo del Giudice Delegato.
Anche qui il legislatore sembra aver compiuto una chiara opzione nel senso della richiesta di un necessario controllo preventivo sulla gestione del curatore, nel senso che tale potere viene esercitato normalmente dal comitato dei creditori ma, ove il comitato non possa o non voglia intervenire, il curatore deve rivolgersi al Giudice Delegato.
Orbene, sia a causa dei dubbi sull'effettività di funzionamento del comitato dei creditori, sia con riferimento alle procedure magari più seriali e routinarie, l'esercizio dei poteri sostitutivi si presta a diventare la regola, la fattispecie per così dire fisiologica.
Risulta pertanto profilo di indagine centrale scrutinare e verificare se l'esercizio del potere surrogatorio sopra indicato determini invero una mera sostituzione soggettiva dell'organo deputato all'esercizio del potere autorizzatorio, di guisa che diventerebbe prevalente ed assorbente il profilo funzionale del potere esercitato, ovvero se il potere autorizzatorio, ab origine concesso al comitato dei creditori dal legislatore, una volta attivato in via sostitutiva dal Giudice Delegato diventi potere di quest'ultimo, come tale funzionalmente e soggettivamente riconducibile al Giudice Delegato e sindacabile attraverso lo strumento impugnatorio previsto dall'art. 26 l. fall..

Osservazioni

Il Tribunale ambrosiano, la cui decisione è qui in commento, ha ritenuto di fornire una risposta al quesito sopra prospettato, ritenendo che - nell'ipotesi in cui il provvedimento adottato dal Giudice Delegato sia stato emesso nell'esercizio dei poteri di surrogazione previsti dall'art. 41, comma 4, l. fall, - il regime impugnatorio applicabile sia quello previsto dall'art. 36 l. fall. contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori e non già quello di cui all'art. 26, medesima legge, e che pertanto debba prevalere il profilo funzionale del potere esercitato sul diverso profilo soggettivo dell'organo che ha esercitato il potere stesso.
Sul punto va tuttavia ricordato, per completezza di indagine, che in dottrina si sono levate voci dissonanti rispetto alla opzione ermeneutica accolta dal Tribunale di Milano (così, Bonocore-Bassi, Trattato di diritto fallimentare, 2011, 25 ; R. Amatore, Il programma di liquidazione nel fallimento, Giuffrè, 2012, 64; Bozza, L'approvazione del programma di liquidazione e l'autorizzazione all'esecuzione degli atti ad esso conformi, in Fall., 2008, 1057 e ss. ).
È stato invero affermato dalla dottrina da ultimo menzionata che la soluzione maggiormente rispettosa della sostanza del fenomeno della surrogazione ex art. 41, comma 4, sia quella di ritenere l'atto sostitutivo un atto formalmente, funzionalmente e soggettivamente imputabile al g.d., con conseguente applicabilità della disciplina dell'art. 26 l. fall. quanto alle forme procedimentali del reclamo.
Ma vi è stato anche chi ha affermato che la soluzione preferibile sarebbe quella di far ritenere l'atto sostitutivo un atto formalmente imputabile al g.d., con conseguente applicabilità della disciplina dell'art. 26 quanto solo alle forme procedimentali del reclamo, ma sostanzialmente analogo a quello del comitato - e ciò sul presupposto che la legge consente al g.d. di fare eccezionalmente ciò che normalmente fa il C.D.C. -, con conseguente deducibilità, in sede di impugnativa, solo dei vizi di legittimità, gli unici, cioè, deducibili, ex art. 36 l. fall., contro gli atti del comitato (così, Ceniccola, Il nuovo ruolo del Giudice Delegato, Analisi della recente formulazione dell'articolo 25 della legge fallimentare, ibidem).
La soluzione del nodo interpretativo in esame non è in realtà di poco momento, atteso che, a rigore, decidere se l'atto autorizzativo adottato ex art. 41, comma 4, debba essere assoggettato, riguardo all'eventuale reclamo, al regime degli atti propri del g.d. - con conseguente applicabilità, ai fini del reclamo, dell'art. 26 l. fall. -, ovvero al regime degli atti proprio del C.D.C. (sul presupposto che trattasi pur sempre di un atto adottato in sostituzione di quest'ultimo), con conseguente applicabilità dell'art. 36 l. fall. ai fini di disciplinare l'eventuale fase del reclamo, determina, come immediata conseguenza, che l'assoggettamento dell'atto sostitutivo al regime degli atti propri del g.d. comporterà l'ammissibilità del reclamo anche per vizi di merito (giacché, come detto sopra, l'art. 26 l. fall. non distingue tra vizi di legittimità e di merito), mentre l'eventuale applicabilità dell'art. 36 l. fall. comporterà l'ammissibilità del reclamo solo per violazione di legge.
Ciò detto, va osservato come il ragionamento giuridico operato dal Tribunale ambrosiano presenti, nella materia qui in esame, evidenti profili di interesse e notevoli spunti di riflessione.
Ritiene invero il Tribunale di Milano, nel provvedimento in commento, che debba prevalere, nell'esercizio del potere surrogatorio da parte del g.d., il profilo funzionale del potere esercitato e non già quello soggettivo dell'organo che esercita il detto potere, giacchè evidentemente l'esercizio in surroga di un potere non può determinare uno stravolgimento del profilo funzionale del potere stesso e dunque anche una diversa disciplina del regime delle relative impugnazioni.
Si può ritenere, a sostegno di questa opzione ermeneutica, che, proponendo un parallelismo tra l'istituto in esame e quello di matrice prettamente civilistica dell'azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. , pur puntualizzandosi che si tratta solo di un accostamento sistematico (essendo invero evidenti le diversità in punto di normative applicabili e di funzione dei due istituti messi a confronto), che il creditore che si avvale dell'azione surrogatoria assume comunque la veste di sostituto processuale del debitore surrogato, con la conseguenza che è soggetto a tutte le eccezioni, sostanziali e processuali, opponibili al debitore medesimo, nonché alle limitazioni dell'uso dei mezzi di prova che avrebbe incontrato il titolare del diritto, ove fosse stato lui a promuovere il giudizio (così, in giurisprudenza, Cass. 1975/3448 ).
Ne discende che, mutatis mutandis, dovrebbe ritenersi che, applicando il principio affermato in tema di azione surrogatoria, allorquando il Giudice Delegato si sostituisce al comitato dei creditori nell'esercizio del potere autorizzatorio, esercita un diritto che rimane pur sempre nella titolarità del comitato e del quale rimuove semplicemente un ostacolo applicativo, dovendosi ritenere che funzionalmente il detto potere autorizzatorio rimanga pur sempre nell'ambito soggettivo del comitato e che conseguenzialmente il relativo regime impugantorio sia quello previsto dall'art. 36 l. fall. per gli atti del curatore e del comitato dei creditori.

Conclusioni

La soluzione ermeneutica prospettata dalla giurisprudenza ambrosiana, così come sopra argutamente ed efficacemente motivata, lascia tuttavia aperto qualche problema applicativo e merita comunque un ulteriore spazio di riflessione in sede giurisprudenziale e dottrinaria.
Per quanto concerne il primo profilo, non può non rilevarsi come l'applicazione del regime impugnatorio previsto dall'art. 36 l. fall. avverso il provvedimento adottato dal g.d. in surrogazione del comitato dei creditori comporterebbe, in astratto, la proposizione del reclamo innanzi al medesimo g.d. che aveva adottato il provvedimento impugnato, con conseguente necessità di astensione di quest'ultimo e di designazione di altro g.d. diverso da quello al quale normalmente è demandata la funzione di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura, e dunque anche e soprattutto la verifica di legittimità dei provvedimenti adottati dagli organi gestori della procedura nella sede impugnatoria prevista e regolata proprio dall'art. 36 l. fall., anche se, intesa la limitazione sostitutiva sul piano meramente funzionale, potrebbe reputarsi conseguenziale l'impugnativa diretta al Tribunale contro un atto soggettivamente promanante comunque dal G.D., anche se delibabile nei limiti di cui all'art.36.
In ordine, poi, alla diversa opzione ermeneutica affermata in dottrina e già sopra ricordata, quest'ultima potrebbe reputarsi apprezzabile là dove afferma che il fenomeno della surrogazione ex art. 41, comma 4, comporta, come naturale conseguenza, che l'atto sostitutivo debba essere considerato un atto formalmente, funzionalmente e soggettivamente imputabile al g.d., il quale, in quell'ambito applicativo, esercita un suo autonomo potere autorizzativo diretto alla rimozione di un ostacolo che si frappone alla conclusione della procedura di formazione della volontà autorizzativa, con la conseguenza che il detto potere autorizzativo, nel momento in cui operano le condizioni della surrogazione, risulta riconducibile soggettivamente e funzionalmente al g.d. come un suo potere e con conseguente applicabilità della disciplina dell'art. 26 l. fall. quanto alle forme procedimentali del reclamo (in questo senso, si legga anche Trib. Monza, 11 aprile 2012).

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