L’opposizione di terzo nell’ambito dell’ammissione dei crediti al passivo. Rapporto tra Ente impositore e Concessionario

19 Luglio 2012

L'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. è proponibile solo dai soggetti che non hanno assunto la qualità di parte nel giudizio né in senso processuale, né in senso sostanziale. E' pertanto inammissibile l'opposizione di terzo proposta dall'I.N.P.S. avverso la sentenza che abbia rigettato l'opposizione a stato passivo ex art. 98 l. fall. promossa dal Concessionario, se nel processo definito con la sentenza opposta l'Ente Previdenziale sia stato chiamato in causa restando contumace. Tale Ente non sarebbe comunque legittimato a proporre l'opposizione neppure se fosse rimasto estraneo al processo in quanto non chiamato in causa dal Concessionario.
Massima

L'opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. è proponibile solo dai soggetti che non hanno assunto la qualità di parte nel giudizio né in senso processuale, né in senso sostanziale. E' pertanto inammissibile l'opposizione di terzo proposta dall'I.N.P.S. avverso la sentenza che abbia rigettato l'opposizione a stato passivo ex art. 98 l. fall. promossa dal Concessionario, se nel processo definito con la sentenza opposta l'Ente Previdenziale sia stato chiamato in causa restando contumace. Tale Ente non sarebbe comunque legittimato a proporre l'opposizione neppure se fosse rimasto estraneo al processo in quanto non chiamato in causa dal Concessionario.

Il caso

Nella sentenza in esame il Tribunale di Napoli si è trovato ad affrontare la complessa questione dell'opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c. proposta dall'Ente previdenziale avverso una sentenza passata in giudicato che aveva rigettato l'opposizione allo stato passivo ex art. 98 l. fall. introdotta dal Concessionario per la riscossione dei crediti del medesimo Ente previdenziale. Nel caso sottoposto all'esame del Tribunale napoletano l'I.N.P.S. era stato chiamato in causa dal Concessionario nel corso del giudizio ex art. 98 l. fall. ed era rimasto contumace, per cui era carente la qualità di “terzo” necessaria per promuovere il mezzo di impugnazione di cui all'art. 404 c.p.c., giacché con la chiamata in causa l'I.N.P.S. aveva assunto la veste di “parte processuale”.

Tuttavia, se anche l'I.N.P.S. non fosse stato chiamato in causa dal Concessionario, comunque sarebbe mancata la terzietà e non avrebbe potuto promuovere il mezzo di impugnazione di cui all'art. 404, comma 1, c.p.c., per il semplice motivo che era ed è parte sostanziale del giudizio e le sue ragioni creditorie sono difese dal sostituto processuale - Concessionario - , che opera per suo conto.
Il Tribunale richiama quindi la normativa fiscale dalla quale si evince con chiarezza che il Concessionario agisce sempre “per conto” dell'Agenzia delle Entrate o dell'Ente creditore (art. 87, commi 1 e 2, D.P.R. n. 602/1973; art. 33, D.Lgs. n. 112/1999. Sul punto cfr. la recente Cass. 15 marzo 2012, n. 4126, in Ilfallimentarista.it, 2012, che ha chiarito: “occorre considerare la qualità di mandatario dell'Amministrazione rivestita dal concessionario, nonché la rilevanza pubblicistica attribuibile ai compiti allo stesso demandati, elementi che hanno evidentemente indotto il legislatore ad una rigida tipizzazione, per quest'ultimo, dei moduli procedimentali delineati, nella prospettiva dell'ottimale realizzazione dell'interesse pubblico”). Si tratta di un'ipotesi di sostituzione processuale prevista espressamente dalla legge in attuazione del disposto dell'art. 81 c.p.c.
E' il sostituito, infatti, che subisce gli effetti del giudicato e, per tale ragione, oltre a poter essere chiamato in causa dal Concessionario, che ha tale facoltà ai sensi dell'art. 39, D.Lgs. n. 112/1999, può decidere autonomamente di intervenire nel processo e subentrare al sostituto. Pertanto, L'I.N.P.S. non è terzo rispetto al giudizio, in quanto titolare del diritto oggetto della decisione, ossia parte in senso sostanziale e destinatario degli effetti sostanziali della sentenza. Nel caso de quo poi l'I.N.P.S., oltre ad essere parte in senso sostanziale, era anche parte in senso processuale perché chiamato in causa e rimasto contumace. Ed è proprio la contumacia che esclude in modo definitivo ed incontrovertibile la qualifica di “terzo” in capo al soggetto che è stato parte sostanziale o processuale del giudizio e che, come tale, non può certamente proporre lo strumento dell'impugnazione di cui all'art. 404 c.p.c.
E' escluso infatti che possano proporre l'opposizione di terzo non soltanto il contumace volontario, ossia il chiamato in causa che volutamente sia rimasto contumace, in quanto parte del processo che, per sua decisione, se ne sia tenuto fuori, salvo poi ripensarci; ma anche il contumace involontario, il quale può e, anzi, deve esperire il mezzo di impugnazione dell'appello, avvalendosi delle previsioni dettate proprio a favore del contumace involontario (art. 327, comma 2, c.p.c.).

Le questioni giuridiche

L'opposizione di terzo è un mezzo d'impugnazione straordinario, in quanto può essere esperito nonostante il passaggio in giudicato della sentenza, ed è stato a suo tempo concepito come strumento idoneo a completare i mezzi di impugnazione.
Le due tipologie di opposizione di terzo previste dal nostro ordinamento sono quella ordinaria, disciplinata dal primo comma dell'art. 404, e quella revocatoria di cui al secondo comma della disposizione citata.
Mentre nel secondo caso tale rimedio è esperibile solo da coloro (creditori o aventi causa) i quali lamentino il dolo o la collusione tra le parti del giudizio definito con la sentenza passata in giudicato, nel rispetto del termine perentorio di 30 giorni dal momento della scoperta dell'elemento psicologico fraudolento (Cass. 9 aprile 1979, n. 2021; Cass. 13 giugno 2003, n. 9500), nel caso di opposizione di terzo ordinaria, invece, non vi è un termine per la proposizione dell'impugnazione.
La difficoltà sta nell'individuazione dei soggetti legittimati attivi dell'opposizione di terzo, in quanto l'approfondimento necessario verte sulla qualificazione di terzo.
La risoluzione del problema non può prescindere non solo da un'analisi della ratio dell'istituto, ma soprattutto da un rapido excursus nel sistema dei rimedi d'impugnazione previsti dal Codice di procedura civile.
Infatti, oltre alle impugnazioni ordinarie (regolamento di competenza, appello, ricorso per cassazione, revocazione per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c.), il nostro codice di rito prevede altri istituti strumentali alla soddisfazione di diverse esigenze di carattere preminente, che come tali superano in termini di rilevanza la necessità di garantire la certezza del diritto e l'intangibilità del giudicato, e tali sono la revocazione straordinaria ai sensi dei nn. 1, 2, 3 e 6 di cui all'art. 395 c.p.c., la revocazione ordinaria ai sensi dell'art. 397 c.p.c. (per le cause che prevedono la partecipazione del Pubblico Ministero) e, appunto, l'opposizione di terzo.
Per tale ultimo rimedio, oggetto della presente disamina, la ratio che ha mosso il Legislatore è stata quella di consentire a coloro che non solo non avessero partecipato, ma che non fossero stati nemmeno messi in condizione di partecipare ad un processo culminato con una sentenza pur passata in giudicato, di impugnare tale ultimo provvedimento ed in questo modo poter esercitare un diritto costituzionalmente garantito dall'art. 24.
La legittimazione ad agire, cd. legitimatio ad causam, come è noto, individua il soggetto legittimato a far valere in giudizio il singolo specifico diritto sostanziale e tale regola generale è desunta a contrariis dagli art. 81 e 69 c.p.c. ed è affermata anche dall'art. 24, primo comma, Cost., secondo cui, “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti”.
Nell'opposizione di terzo è necessaria quindi la sussistenza di un diritto in capo al soggetto che è estraneo al processo conclusosi con sentenza.
La parola “terzo” di cui all'opposizione ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c., dunque, va intesa nel senso di “estraneità al processo”, sia in termini strettamente processuali, sia in termini sostanziali, anche se poi nella realtà dei fatti l'estraneità è divenuta comunque relativa, tant'è vero che la sentenza opposta può aver leso in qualche modo tanto la sfera giuridica soggettiva del “terzo” vero e proprio, quanto la sfera giuridica soggettiva di colui che in giudizio aveva visto le sue ragioni tutelate da un sostituto.

La dottrina e la giurisprudenza sul punto

Vi è , ormai, largo consenso in dottrina e in giurisprudenza in ordine all'attribuzione del rimedio dell'opposizione di terzo ordinaria a quei soggetti che, pur non avendo partecipato alla fase del processo conclusasi con la sentenza opposta, sono sottoposti all'efficacia (diretta) della sentenza, avendo questa statuito proprio su un rapporto identico a quello di cui essi sono titolari o contitolari (per una ricostruzione dell'argomento cfr. METAFORA R., Sulla legittimazione del terzo detentore all'opposizione ex art. 619 avverso l'opposizione per rilascio, in Judicium.it).
Pertanto, sono sicuramente ammessi a proporla i soggetti che non hanno assunto la qualità di parte nel processo, non avendo proposto o subìto la domanda, e non essendo intervenuti né spontaneamente né coattivamente.
Un soggetto, ad esempio, che sia stato chiamato in causa in un giudizio di primo grado e che ivi non si sia costituito, rimanendo quindi contumace involontariamente (ad esempio, per nullità della vocatio in ius), non può impugnare con il rimedio dell'opposizione di terzo ex art. 404 la sentenza che ha definito la lite che lo avrebbe dovuto vedere coinvolto, bensì l'ordinamento gli riconosce la possibilità di impugnare quella stessa sentenza con un atto di appello, usufruendo della possibilità riconosciutagli dall'art. 327, comma 2, c.p.c., il quale dispone la non applicabilità della decadenza dall'impugnazione nel caso in cui il convenuto dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della vocatio in ius (cfr. in tal senso Trib. Napoli, 25 marzo 2003, in Foro Napol., 2003, I, 194)
A maggior ragione, il contumace volontario (acclarata la regolarità della vocatio in ius), convenuto o chiamato in causa, in quanto “parte” del processo al quale non ha voluto/potuto partecipare, non può proporre opposizione di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c., né tantomeno può usufruire dell'impugnazione di cui all'art. 327 cit.
Questo è l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, sia di merito, sia di legittimità, che ha inteso interpretare l'art. 327, comma 2, c.p.c. nel senso di estendere il concetto di citazione a qualsiasi tipo di vocatio in ius, quindi anche alla chiamata in causa (cfr. App. Catanzaro 18 aprile 1978, in Foro Napol., 1978, I, 319 e Cass. 29 marzo 2007, n. 7736).
Il terzo che può spiegare opposizione ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c., quindi, è quel soggetto che non ha in alcun modo assunto la veste di parte processuale nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnanda e che sia titolare di un diritto autonomo e confliggente con la statuizione contenuta nel provvedimento giurisdizionale emesso. Ad esempio si riconosce unanimemente la legittimazione a promuovere tale opposizione al litisconsorte necessario pretermesso contro la sentenza che sia passata in giudicato o comunque esecutiva che pregiudichi i suoi diritti (Cass. 17 luglio 2003, n. 11185; Cass. 9 febbraio 2000, n. 1438. In dottrina solo parzialmente difforme: G. Verde, Profili del processo civile. 2. Processo di cognizione, Napoli, 2000, 306).
La giurisprudenza, ma soprattutto la dottrina, inoltre, hanno ulteriormente chiarito che il soggetto “terzo” ai fini dell'opposizione esperibile ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c. non è colui che ha disertato il processo (parte processuale contumace), e non è neppure colui che può definirsi parte sostanziale in quanto soggetto agli effetti sostanziali della sentenza (F.P. Luiso, Opposizione di terzo, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2010, 1; Olivieri, Opposizione di terzo, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1995, IV, 104; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, II, Processo di cognizione, Torino, 2003, II, 577; Proto Pisani, Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, 1965, 239), quali ad esempio il rappresentato e il minore che abbia raggiunto la maggiore età (App. Catanzaro, cit., 319), in quanto le loro ragioni sono state tutelate in giudizio da un sostituto processuale.
In altre parole, se un soggetto (cd. sostituito processuale) non ha partecipato ad un giudizio in cui, però, la difesa dei suoi diritti e posizioni giuridiche soggettive sia stata attuata da un altro soggetto (cd. sostituto processuale), si deve ritenere che il primo non possa, all'esito dell'emanazione della sentenza di merito, impugnarla con il rimedio dell'opposizione di terzo; egli potrà essere chiamato in causa oppure spiegare intervento volontario e subentrare, così, al sostituto processuale.
Quindi, se il sostituito non ha preso parte nel giudizio culminato con la sentenza, non potrà impugnare detto provvedimento in via ordinaria, nettampoco potrà opporvisi come terzo ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c., in quanto non può considerarsi terzo rispetto alle posizioni tutelate dal suo sostituto.
Il diritto che il terzo può far valere con l'opposizione di cui all'art. 404 cit., dunque, non solo deve essere autonomo, ma deve essere anche incompatibile con la situazione accertata, riconosciuta o costituita nella sentenza che si impugna (Cass. 28 maggio 2003, n. 8545; Cass. S.U. 11 febbraio 2003, n. 1997; Cass. 22 marzo 2001, n. 4103). In tal senso, incompatibili devono intendersi quegli “effetti giuridici […] quando fra le loro fattispecie esiste un nesso incrociato, in virtù del quale ciascuno di essi costituisce fatto impeditivo o estintivo nella fattispecie dell'altro effetto. Due diritti sono quindi incompatibili quando ciascuno di essi nega potenzialmente l'esistenza o il contenuto dell'altro; potenzialmente, perché nella realtà uno di essi prevale e l'altro resta recessivo, in applicazione delle regole sulla prevalenza” (Luiso, Diritto processuale civile. Il processo di cognizione, VI edizione, Milano, 2011, 502).
La S.C. ha ribadito di recente che la legittimazione dell'Agente della riscossione a far valere il credito tributario nell'ambito della procedura fallimentare, ai sensi dell'articolo 87 del D.P.R. 602/1973, in base al quale è autorizzato a presentare istanza di fallimento e, successivamente, a chiedere l'ammissione al passivo per conto dell'Amministrazione finanziaria, non esclude la legittimazione di quest'ultima, che conserva la titolarità del credito azionato (Cass. 15 marzo 2012, n. 4126, cit).
In precedenza la S.C. aveva già chiarito che nelle liti con i contribuenti spetta all'Amministrazione e non al Concessionario la legittimazione (passiva), essendo la prima la titolare del diritto di credito oggetto di contestazione nel giudizio, mentre il secondo è un (mero) destinatario del pagamento (Cass. 24 giugno 2004, n. 11746; di recente Cass. 28 gennaio 2010, n. 1854) o, più precisamente, con riferimento allo schema dell'art. 1188, comma 1, c.c., il soggetto incaricato dal creditore e autorizzato dalla legge a ricevere il pagamento (Cass. 29 settembre 2006, n. 21222 e la susseguente Circolare dell'Agenzia delle Entrate 17 luglio 2008, n. 51/E). Ciò significa che nelle liti promosse dal contribuente contro il Concessionario che non riguardino esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, il convenuto-Concessionario, se non vuole rispondere dell'esito eventualmente sfavorevole della lite, ha la facoltà di chiamare in causa l'Ente titolare del diritto di credito sottostante e, come tale, interessato al buon esito del giudizio; in mancanza, il Concessionario risponde nei confronti dell'Ente delle conseguenze della lite. Se invece l'azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria è svolta direttamente nei confronti dell'Ente creditore, il Concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa (Cass. n. 21222/2006, cit.; Cass. S.U., 25 luglio 2007, n. 16412).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per i riferimenti si rinvia alle citazioni contenute nel corpo del testo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario