La revocatoria di rimesse bancarie: le questioni controverse tra Curatele e Banche

Marco Terenghi
13 Luglio 2012

In materia di azione revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, non deve ritenersi affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della causa petendi la citazione contenente la domanda di revoca di pagamenti costituiti da accrediti in conto corrente bancario, anche qualora manchi l'indicazione dei singoli versamenti solutori, purché siano specificamente indicati i conti correnti e l'ammontare globale, e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato lasso temporale.
Massima

In materia di azione revocatoria fallimentare di rimesse bancarie, non deve ritenersi affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della causa petendi la citazione contenente la domanda di revoca di pagamenti costituiti da accrediti in conto corrente bancario, anche qualora manchi l'indicazione dei singoli versamenti solutori, purché siano specificamente indicati i conti correnti e l'ammontare globale, e la domanda si riferisca a tutte le rimesse operate su quei conti in un determinato lasso temporale.

Ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall. (nel testo originario del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), la revoca dell'atto oneroso compiuto nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non è subordinata alla ricorrenza di un danno concreto per la massa, poiché il pregiudizio è in re ipsa e presunto in via assoluta, consistendo nella pura e semplice lesione della par condicio creditorum, ricollegabile all'uscita in sé del bene dalla massa conseguentemente all'atto dispositivo.

Un istituto di credito deve necessariamente verificare la situazione sia economica che finanziaria dei clienti di maggior rilievo, e ciò con scadenza almeno trimestrale, e deve pertanto, secondo l'ordinaria diligenza, acquisire ed analizzare i bilanci, anche in relazione alla verifica della fattibilità delle operazioni di finanziamento medio tempore concesse. Pertanto, quando la parte convenuta in revocatoria è una banca, la scientia decoctionis è desumibile dalla possibilità di valutare la capacità finanziaria del debitore derivante dallo svolgimento per quest'ultimo del servizio di cassa o dalla situazione di illiquidità e sbilancio corrente ricavabile dai bilanci della società depositati presso il Registro delle imprese.

Il caso

Il Tribunale di Latina, nel settembre del 2011, decide una causa di revocatoria fallimentare di rimesse in c/c bancario instaurata nel corso del 2004, prima cioè degli interventi legislativi di modifica della Legge Fallimentare succedutisi tra il 2005 ed il 2010 (in particolare: D.L. 35/2005 convertito in L. 80/2005; D. Lgs. 5/2006; D. Lgs. 169/2007; L. 69/2009; D.L. convertito in L. 2/2009; D.L. 78/2010 convertito in L. 122/2010).

Nella sentenza, quindi, vengono affrontati tutti i tipici argomenti che per decenni hanno accompagnato le controversie giudiziali tra Curatele fallimentari e Banche, dalla classica eccezione di nullità per indeterminatezza del petitum svolta dalla convenuta di fronte alla mancata enucleazione, in citazione, delle singole rimesse assoggettate a revocatoria, al contrasto di teorie circa la natura (indennitaria o antindennitaria-redistributiva) della revocatoria fallimentare; dalla distinzione tra conto passivo e conto scoperto (perché non affidato o eccedente l'affidamento), alla valenza della Consulenza Tecnica d'Ufficio anche nell'ottica dell'individuazione del criterio del “saldo” da applicare; via via fino all'elemento soggettivo della scientia decoctionis ed alle particolari connotazioni che quest'ultimo assume in relazione ad una categoria di creditore accipiens così particolare come quella degli istituti di credito.
In sostanza, la pronuncia del Tribunale di Latina costituisce un piacevole spunto per ripercorrere, quasi con un pizzico di nostalgico amarcord, questioni ed argomenti propri degli “anni ruggenti” delle revocatorie fallimentari bancarie, cui interpreti, operatori del diritto, commentatori ed economisti dedicarono le proprie energie e (perché no) la propria passione, e che da un giorno all'altro vennero quasi del tutto letteralmente cancellati con un tratto di penna dal legislatore, insieme a patrimoni di professionalità faticosamente costruiti nel corso degli anni.

Le questioni giuridiche e le relative soluzioni

Proprio a motivo della sua legittima pretesa di completezza, la sentenza in esame affronta numerose tra le classiche questioni poste dalla materia della revocatoria di rimesse in c/c, non senza addentrarsi in argomenti per un verso più generali (il fondamento della revocatoria fallimentare), e per un altro più “tangenziali” (i presupposti di esperibilità della C.T.U. in un giudizio civile).
a) Circa l'esatta individuazione delle rimesse in c/c oggetto di revocatoria, il Tribunale esclude la ricorrenza di una nullità del petitum rilevante ai sensi dell'art. 164, comma 4, c.p.c., laddove l'attore abbia chiesto la revoca di tutte le operazioni inerenti un certo periodo ed abbia rinviato, per l'esposizione dei fatti, alla documentazione bancaria prodotta e da produrre anche a seguito di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c.. Al riguardo, viene espressamente citato l'orientamento giurisprudenziale, anche di legittimità, formatosi anni or sono, secondo il quale non può ritenersi affetta da nullità per indeterminatezza dell'oggetto o della causa petendi la citazione che non indichi specificamente i singoli versamenti solutori, purché abbia quantomeno cura di menzionare i conti correnti di riferimento, l'ammontare complessivo delle rimesse ed il periodo temporale di loro afflusso sul conto.
b) La sentenza, nel confrontare la disciplina della revocatoria ordinaria con quella della revocatoria fallimentare, ravvisa l'eventus damni di quest'ultima nella stessa violazione della par condicio creditorum, ricollegabile alla fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito a seguito dell'atto dispositivo, ed aderisce con convinzione alla teoria c.d. “antindennitaria o redistributiva”, accolta dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui possono venire assoggettati a revocatoria anche atti in sé non dannosi, o addirittura vantaggiosi (ad esempio la vendita di un bene il cui ricavato viene destinato integralmente al soddisfacimento dei creditori privilegiati), poiché la ratio autentica della revocatoria fallimentare consisterebbe nella redistribuzione delle perdite derivanti dall'insolvenza del fallito tra tutti coloro che, nel periodo sospetto, hanno beneficiato di suoi atti dispositivi del patrimonio nella consapevolezza del suo dissesto.
c) Con riferimento alla scientia decoctionis, il Tribunale prende le mosse dal condiviso assunto per cui questa dev'essere effettiva e non meramente potenziale, ma può venire provata indirettamente anche attraverso indizi normalmente rivelatori del dissesto e conoscibili dal convenuto avuto riguardo al parametro astratto dell'ordinaria prudenza ed avvedutezza, attraverso un sistema logicamente concatenato di presunzioni gravi, precise e concordanti. In questa ricostruzione, viene attribuito particolare valore all'esame dei bilanci dell'impresa fallita (una società per azioni), tanto più opportuno (anzi quasi doveroso) quanto più il creditore sia un soggetto dotato di una struttura organizzativa ramificata e venga ad instaurare con il debitore rapporti economici continuativi e per importi significativi. Da un simile rilievo, il passo è breve nel ritagliare una versione “personalizzata”, per il creditore-banca, del parametro astratto del criterio di “ordinaria prudenza ed avvedutezza”, attraverso il richiamo alle frequenti verifiche sulla situazione economico-finanziaria del cliente che, secondo il Tribunale, l'istituto di credito dovrebbe condurre prima di concedere o rinnovare affidamenti, esaminando in particolare i bilanci e l'andamento del conto.
La sentenza, quindi, fa sostanzialmente propria la tesi per cui una banca, tenuta all'attento monitoraggio delle condizioni del correntista attraverso il ricorso ad una pluralità di fonti cognitive, non può non percepire l'incipiente dissesto della propria controparte, ed a poco vale obiettare l'eventuale concessione di maggior credito a quest'ultima da parte dello stesso convenuto in revocatoria, poiché non si tratta di circostanza univocamente interpretabile quale elemento di segno contrario alla scientia decoctionis, ben potendo la banca seguitare a finanziare il correntista di cui coglie l'insolvenza per motivi anche diversi (per esempio quello di ottenere pagamenti parziali, di costituire/consolidare garanzie o di consentire il superamento della crisi).

Osservazioni

Come si è avuto modo di osservare, il Tribunale di Latina coglie l'occasione per passare in rassegna un elenco di veri e propri “classici” in materia di revocatoria di rimesse in c/c, nell'ambito di un quadro sintetico ma concettualmente piuttosto denso. Selezioniamone alcuni e cerchiamo di contestualizzarli sia nel concreto giudiziario, sia nella loro cornice normativa.
1. Anni di controversie, modellate sulla medesima falsariga, hanno finito per portare all'emersione di argomenti difensivi spesso tralatizi ed in buona parte “precostituiti”, che ogni esperto difensore (sia dei fallimenti, sia delle banche) conserva comunque nel proprio repertorio, e che vengono sfoderati con riflesso quasi pavloviano non appena gli atti della controparte sembrano rivelare una crepa argomentativa o un'aporia probatoria.
Non si tratta quasi mai, a dire il vero, di rimedi dirimenti o decisivi, ai fini dell'esito della controversia; assomigliano di più ad elementi di disturbo disseminati qua e là, magari nell'inconfessata speranza che un calo di attenzione della controparte, o un inatteso rigorismo ad opera del giudice, possano rendere più arduo il cammino processuale dell'avversario, e quindi meno difficile il raggiungimento, ad esempio, di una transazione favorevole.
Tra l'armamentario in questione rientra, a pieno titolo, l'eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza del petitum ex art. 164, comma 4, c.p.c., spesso sollevata dalle banche al cospetto di atti introduttivi del giudizio privi di una specifica indicazione delle singole rimesse revocabili, ed un po' disinvoltamente confezionati attraverso la mera menzione del numero di conto corrente, del periodo temporale interessato (l'anno o il semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento) e dell'ammontare complessivo degli importi assoggettati a revocatoria; per un'indicazione più precisa degli atti solutori, soprattutto in passato, era frequente il rinvio agli estratti del c/c prodotti in fascicolo, o (più raramente) a quelli detenuti dall'intermediario creditizio, di cui si chiedeva contestualmente l'esibizione ex art. 210 c.p.c..
In situazioni consimili, la giurisprudenza anche recente ha finito per adottare un atteggiamento piuttosto tollerante, escludendo la necessità di una specifica enumerazione delle singole rimesse, ed ammettendo che l'indicazione dei conti correnti di riferimento, del periodo sospetto da prendersi in considerazione e dell'importo complessivo delle rimesse suscettibili di revoca é sufficiente ad escludere la nullità della citazione, poiché la banca può agevolmente ricostruire i singoli accrediti rivendicati dal curatore, in quanto dispone (anzi è la creatrice) degli estratti conto ove essi vengono registrati.
Un simile orientamento, tutto sommato, ha le sue ragioni, soprattutto quando fa emergere la strumentalità delle doglianze dell'Istituto di credito circa una pretesa lesione del diritto al contraddittorio (di cui la nullità per indeterminatezza costituirebbe l'esempio più eclatante) sulla revocabilità della singola rimessa, visto che non può certo dirsi ignaro delle partite contabilizzate sul c/c il soggetto stesso che le registra. Ciò nonostante, il richiamo ad un'argomentazione del genere, che riecheggia in modo abbastanza evidente la nozione di “vicinanza” o “prossimità” del mezzo di prova ultimamente piuttosto in auge nella giurisprudenza, sarebbe forse più appropriato, appunto, se attuato in una fase processuale diversa da quella di instaurazione del contraddittorio, e precisamente quella istruttoria (esempio: la banca non può asserire che l'onere di provare l'esistenza di un'anticipazione s.b.f. o di uno sconto di effetti, attraverso la produzione del relativo borderau, grava sul fallimento, poiché è proprio l'azienda di credito a possederlo, ed appare del tutto realistico che la curatela non l'abbia reperito tra i documenti spesso lacunosi dell'impresa fallita; da qui la piena ammissibilità di un ordine di esibizione). Per contro, sostenere che la citazione avente ad oggetto la revoca di una pluralità di rimesse non è indeterminata nel proprio petitum solo perché queste sono indicate nel loro ammontare globale, e risultano comunque desumibili aliunde (dai documenti prodotti, ad esempio), costituisce affermazione un po' più azzardata, poiché gli artt. 125-163-164 c.p.c. delineano in modo preciso il contenuto necessario dell'atto introduttivo, e non contemplano integrazioni di quest'ultimo con materiale probatorio ad esso estraneo. Ancora, la domanda di revoca di n. 10 rimesse in c/c, che insieme totalizzano € 100.000 =, si scinde in realtà in altrettante sub-domande ciascuna delle quali attinente all'accredito di pertinenza, poiché è indubbio che, all'esito del giudizio, il giudice potrà dichiarare l'inefficacia anche solo di alcune di esse (quelle effettivamente accertate come solutorie, o quelle per cui ha ritenuto provata la scientia decoctionis); di conseguenza, é senza dubbio preferibile (oltreché indice di maggior chiarezza e rigore espositivo) che la curatela enuclei compiutamente fin dall'atto introduttivo i singoli accrediti ritenuti revocabili, evitando così ogni possibile obiezione sul punto. E' peraltro vero, riallacciandoci a quanto osservato in precedenza circa la non risolutività di simili strumenti difensivi, che l'eventuale declaratoria di nullità della citazione per omissione o assoluta incertezza del petitum produrrebbe le marginali conseguenze di cui al quinto comma dell'art. 164 c.p.c., vale a dire la necessità di una rinnovazione/integrazione della domanda, con salvezza ex tunc degli effetti processuali e sostanziali di quest'ultima, primo fra tutti quello interruttivo della prescrizione (oggi decadenza, ai sensi dell'art. 69-bis l. fall.).
Le considerazioni di cui sopra, ovviamente, presuppongono che il Fallimento sia debitamente in possesso degli estratti conto prima di promuovere l'azione revocatoria. Poteva tuttavia accadere (e spesso accadeva, soprattutto in passato), che il curatore non li rinvenisse tra i documenti del fallito, e ne chiedesse quindi stragiudizialmente una copia alla banca, invocando i diritti sanciti, tra l'altro, dall'art. 119, comma 4., D. Lgs. 385/1993 (c.d. “Testo Unico in materia bancaria e creditizia”). Non infrequentemente, anche al fine di dilatare i tempi in funzione, appunto, del maturare di una prescrizione, la banca nicchiava, o addirittura si rifiutava di adempiere, motivando il proprio diniego con l'obiezione per cui il curatore affermava di agire utendo iuribus del fallito, ma in realtà era unicamente interessato a verificare l'esistenza di eventuali rimesse revocabili, per poi quindi utilizzare gli estratti conto non in veste di successore a titolo universale del correntista in bonis, bensì di organo terzo chiamato a reintegrare il patrimonio di quest'ultimo. Era quindi iniziata una stagione giudiziale piuttosto animata, in ordine ai mezzi di tutela utilizzabili dai curatori per entrare in possesso degli estratti conto; la fantasia degli interpreti si era sbizzarrita individuando strumenti di indubbio interesse sistematico (decreto ingiuntivo per consegna di cosa mobile; provvedimento d'urgenza prodromico ad una sentenza di condanna all'esecuzione dell'obbligo di fare), non per un incongruo gusto di eccentricità, bensì, ancora una volta, per evitare che i tempi di un ordinario giudizio di cognizione portassero il curatore ad entrare in possesso degli estratti conto quando ormai la possibilità di esperire la revocatoria si era consumata per intervenuta prescrizione.
Benché la questione ora accennata sia entrata, almeno da un quinquennio a questa parte, in fase di sostanziale quiescenza, viene da osservare che la tolleranza dimostrata in materia dalla Cassazione ben potrebbe giustificarsi, a fortiori, in un contesto come quello ora evocato, dove il curatore si trovasse addirittura costretto, per involontaria assenza degli estratti conto ed incalzare dei termini, ad imbastire una revocatoria avvalendosi unicamente, ad esempio: a) di un saldo passivo di c/c risalente a qualche mese prima del fallimento, miracolosamente rivenuto nella contabilità del fallito e registrante l'esposizione debitoria a quella data; b) della domanda di ammissione al passivo della banca, riportante il credito di quest'ultima all'apertura del concorso. In questo caso, l'eventuale differenza tra il saldo passivo di periodo e l'esposizione alla data del fallimento rappresenterebbe con ogni probabilità il risultato di rimesse affluite medio tempore sul c/c, non preventivamente individualizzabili stante l'assenza degli estratti conto, e dunque più che legittimamente azionabili, quantomeno in prima battuta, attraverso un atto di citazione riportante unicamente il loro ammontare globale e gli estremi del conto corrente di riferimento, salve successive rettifiche in corso di giudizio.
2. La sentenza del Tribunale dimostra di fare buon governo di alcuni tipici principi in materia di accertamento della scientia decoctionis nella revocatoria di rimesse in c/c, soprattutto laddove enfatizza l'attività di costante monitoraggio che le Banche esercitano in relazione alle condizioni economico-finanziarie dei propri clienti imprenditori.
a) Numerose pronunce, in effetti, pongono in rilievo l'importanza delle verifiche che ogni singolo Istituto normalmente esegue sulla solvibilità dell'impresa correntista, soprattutto laddove quest'ultima usufruisca di una forma di affidamento (sia esso un semplice castelletto per lo sconto o per l'anticipazione salvo buon fine di effetti, fatture o ri.ba., sia esso una vera e propria apertura di credito); verifiche, tra l'altro, condotte a cadenza periodica, quantomeno in concomitanza con la scadenza dei fidi (solitamente concessi per un determinato periodo di tempo, e quindi da rinnovare). In questi casi, si è soliti affermare, l'intermediario creditizio non si limita ad acquisire il bilancio annuale del proprio correntista (senza attendere la sua approvazione ed il suo deposito presso il Registro delle Imprese, ovviamente, ma richiedendone una bozza già nelle prime settimane successive alla chiusura dell'esercizio), ma esige da quest'ultimo situazioni patrimoniali infrannuali, informazioni suppletive, budgets e resoconti particolareggiati, in modo da avere costantemente sotto controllo la gestione del rischio derivante dalla controparte contrattuale.
Una simile dinamica viene spesso descritta, nelle sentenze in materia di revocatoria bancaria, alla stregua di un fatto quasi notorio ex art. 115, comma 2, c.p.c., e ciò appare perfettamente comprensibile: chi di noi, anche in veste di semplice consumatore, non è mai passato attraverso le “forche caudine” di un'istruttoria per un finanziamento personale o un mutuo fondiario, o non é stato garbatamente richiamato dal proprio settorista perché il c/c, anche solo per pochi giorni, è andato in rosso a causa di troppi pagamenti eseguiti uno di seguito all'altro? Senza considerare, poi, l'ormai quasi quotidiana attenzione dedicata dall'opinione pubblica, anche giornalistica, al fenomeno del c.d. credit crunch (la “stretta creditizia” imposta dagli accordi di Basilea - I, II ed ormai anche III) ed ai suoi riflessi negativi sull'economia.
Peraltro, il fenomeno in questione non può venire ricondotto esclusivamente all'interno di una “prassi” più o meno virtuosa posta in essere dalle Banche, sia per ovvie ragioni di carattere logico, sia perché, nell'ambito di un giudizio, è comunque sempre rischioso affidarsi unicamente, sotto il profilo probatorio, alla presunta notorietà di una determinata condotta, o alla deduzione di una prova testimoniale i cui esiti non sono per definizione prevedibili.
L'adozione, da parte degli intermediari finanziari, di criteri estremamente prudenziali nell'erogazione del credito e nella correlativa gestione del rischio, costituisce infatti un vero e proprio obbligo, sancito a vari livelli dalla normativa vigente, sia generale, sia di settore. Poiché quest'ultima viene quasi sempre “data per scontata” dalle varie sentenze, vale la pena di individuarla quantomeno per sommi capi, onde consentirne una più agevole contestualizzazione in caso di necessità:
- l'art. 47, comma 1, Cost., anzitutto, dichiara che “la Repubblica disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”, con ciò attribuendo dignità addirittura costituzionale al principio di erogazione del credito e di controllo del correlativo rischio;
- l'art. 53, lett. b) e lett. d), D. Lgs. n. 385/1993 indica “il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni” e “l'organizzazione amministrativa e contabile nonché i controlli interni” quali elementi-cardine della corretta operatività del sistema bancario;
- le “Istruzioni di Vigilanza per le banche” emanate dalla Banca d'Italia con la Circolare n. 229 del 21 aprile 1999 e successive modificazioni/integrazioni, istituiscono un capillare sistema di gestione e di controllo del rischio di credito, demandando ai singoli Istituti l'adozione di sistemi di auditing ispirati a precise e dettagliate linee-guida (si vedano, in particolare, il Titolo IV - Capitolo 3 - Parte Prima - Sezione IV, dove si parla di “limite individuale di fido” assoggettato a revisioni temporali estremamente frequenti; la successiva Sezione XII, dove vengono delineati numerosi modelli di controllo, verifica e segnalazione “che assicurino una gestione sana e prudente dei rischi del mercato”; la Parte Seconda - Sezione III del Titolo IV, in cui si configura l'utilizzo di un modello di analisi “strettamente integrato nel processo quotidiano di gestione del rischio” e si delinea la nozione di una “unità del controllo del rischio” direttamente interfacciata con l'alta direzione);
- più recentemente, la Circolare della Banca d'Italia n. 263 del 27 dicembre 2006 (“Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche”), in recepimento delle Direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE e del documento “Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione” del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (c.d. “Basilea II”), si ispira a criteri di rigore ancora maggiore nella gestione del rischio di credito da parte degli intermediari finanziari, onde garantire maggiore stabilità a questi ultimi ed al sistema in generale.
Al di sotto di un simile ombrello normativo dall'inequivocabile vocazione di costante, capillare e sistematica intelligence, si articolano dunque i concreti “manuali operativi” di ogni singolo Istituto, che presiedono alla concessione del credito e che trasfondono principi a carattere più o meno generale in concreti adempimenti di controllo e gestione del rischio, di quotidiana ed immediata applicazione. Non si tratta esclusivamente di “prassi virtuose” da parte delle Banche, quindi, bensì di veri e propri obblighi, talora sanzionati addirittura penalmente (e comunque in via amministrativa: cfr. art. 144 D. Lgs. n. 385/1993), cui i soggetti erogatori di liquidità debbono adeguarsi: in questo senso, dunque, il richiamo alla disciplina di cui sopra può costituire la necessaria integrazione, a livello teorico-normativo, di quei “fatti notori” spesso posti (ma sarebbe meglio dire “presupposti”) a base delle proprie decisioni dalla giurisprudenza formatasi in materia.
Accanto alla verifica quotidiana dell'andamento del c/c ed all'analisi di situazioni patrimoniali e bilanci (la cui periodicità può anche variare, in relazione all'ambito merceologico del cliente ed al suo standing), vi è la consultazione della “Centrale Rischi” istituita presso la Banca d'Italia. Si tratta di uno strumento a sua volta spesso citato in giurisprudenza, ma sul cui meccanismo di funzionamento non si rinviene quasi mai un approfondimento o una descrizione precisa.
b) Le c.d. “schede Centrale Rischi” che il Curatore, quale successore del fallito, può autonomamente procurarsi richiedendole alla Banca d'Italia, o che possono costituire oggetto di ordine d'esibizione del giudice ex art. 210 c.p.c. (laddove non sia stato positivamente eccepito, da parte della banca, che costituiva onere dell'attore produrle entro i termini dell'art. 183, comma 6, c.p.c.), non coincidono con quelle che la Banca ha a disposizione nel corso del proprio rapporto con il correntista.
Infatti, se il diretto interessato (o la Curatela del suo fallimento) chiede di conoscere le segnalazioni a proprio carico, rivolgendosi alla Banca d'Italia, quest'ultima gli trasmette solitamente il cartaceo dei singoli flussi informativi a suo tempo mensilmente inviati da ciascun Istituto segnalante a quello di Emissione. Concretamente, il soggetto segnalato si troverà quindi a consultare, in ordine cronologico progressivo (dalla più risalente alla più recente), le posizioni di credito/rischio che ogni singola Banca ha trasmesso mese per mese alla Banca d'Italia: le “schede C.R.” prodotte in giudizio dai Fallimenti, dunque, hanno necessariamente questa struttura.
Durante lo svolgimento della normale operatività, per contro, l'Istituto segnalante non beneficia della medesima struttura informativa. Esso, infatti, riceve in restituzione dalla Banca d'Italia, altrettanto mensilmente, solo il c.d. “flusso di ritorno”, vale a dire un resoconto aggregato di tutte le segnalazioni periodiche eseguite dalle varie Banche, che riporta la posizione complessiva del soggetto interessato verso il sistema creditizio e finanziario (posizione globale di rischio), ma non contiene il dettaglio degli intermediari segnalanti. Esemplificando, dunque, Unicredit non riceverà dalla Banca centrale le singole segnalazioni, relative al cliente Tizio, inviate a suo tempo dagli altri affidanti Intesa Sanpaolo e Banco Desio, bensì esclusivamente un documento che accorpa, sommandoli, i risultati numerici di tutte e tre le posizioni (la propria e le altre due).
Conseguentemente, se durante il mese di marzo Banco Desio riduce l'apertura di credito a Tizio e segnala dunque un “codice 550600” (corrispondente, nella legenda delle abbreviazioni della Centrale Rischi, alla categoria “rischi a revoca”) inferiore a quello del mese precedente, tempo dopo Unicredit non apprenderà che Banco Desio ha diminuito l'affidamento di un certo importo, ma che il sistema bancario, nel suo complesso, ha ridotto il credito a Tizio per quella medesima cifra.
Nelle cause di revocatoria, quando le Curatele adducono, tra gli elementi a sostegno della scientia decoctionis, che un determinato Istituto aveva ridotto, o addirittura azzerato i fidi, le difese delle Banche replicano infatti quasi sempre che la convenuta non poteva tecnicamente essere al corrente di una simile circostanza, proprio perché il “flusso di ritorno” di cui può disporre indica importi aggregati, e non singole posizioni di rischio.
Ora, in sé considerata, l'obiezione di cui sopra ha sicuramente fondamento, proprio perché, per quanto abbiamo visto, la struttura della Centrale Rischi “spersonalizza”, per così dire, gli specifici rapporti, fondendoli in una “macrocategoria” che viene ritornata ai singoli enti segnalanti in modo soggettivamente indistinto. In concreto, tuttavia, si tratta di un'osservazione priva di sostanziale rilievo, e questo per un motivo piuttosto semplice: tornando all'esempio fatto in precedenza, la riduzione degli affidamenti a revoca disposta da Banco Desio nel mese di marzo, a parità di condizioni di segnalazione degli altri due Istituti, verrà rilevata da Unicredit non come iniziativa specifica di quella Banca, ma in ogni caso come dinamica interna al sistema creditizio. In altre parole, Unicredit non saprà che è stato Banco Desio a diminuire i fidi, ma registrerà in ogni caso che, tra gli enti segnalanti, ce n'è stato uno (o più) che hanno ridotto i rischi a revoca per un ammontare corrispondente a quello oggetto della segnalazione di Banco Desio.
E' dunque evidente, in questo scenario, che importa ben poco, ai fini della revocatoria, distinguere se sia stata questa o quella Banca a creare allarme nella Centrale Rischi: rileva invece dimostrare che il sistema, nel suo insieme, aveva modificato in senso peggiorativo il proprio giudizio su Tizio, tanto che qualche Istituto si era determinato nel senso di ridurgli i fidi.
Altra questione ricorrente, quando si controverte sulla rilevanza della Centrale Rischi in sede di revocatoria fallimentare, è la datazione del flusso di ritorno alla Banca segnalante convenuta. Spesso, invero, collocare cronologicamente la conoscenza dell'insolvenza a fine mese, anziché all'inizio, può avere notevoli effetti sotto il profilo della determinazione del quantum debeatur, laddove ad esempio nelle settimane centrali del periodo di riferimento siano affluite in conto consistenti rimesse solutorie.
Ora, appare intuitivo come l'elaborazione, ad opera della Banca d'Italia, delle singole segnalazioni provenienti dai vari Istituti non possa avere attuazione pressoché istantanea, ma necessiti di un ovvio tempo tecnico di procedimentalizzazione. Pertanto, considerato che: a) le segnalazioni mensili degli intermediari mostrano la situazione di ciascun cliente all'ultimo giorno del mese di riferimento; b) esse vanno inviate alla Banca d'Italia entro il 25° giorno del mese successivo (si veda il “Foglio Informativo Centrale Rischi” - punto 6.1), deve concludersi che le segnalazioni relative al 31 marzo, inoltrate entro il 25 aprile, saranno restituite agli Istituti affidanti sottoforma di “flusso di ritorno” qualche tempo dopo il 25 aprile.
Ebbene, la quantificazione di tale “periodo di attesa” viene effettuata dalla stessa Banca d'Italia nell'ordine di pochissimi giorni, poco più di una settimana: il già citato “Foglio Informativo”, infatti, esemplifica la dinamica in questione affermando che “il flusso relativo alla rilevazione del 31 marzo (i dati di marzo devono essere inviati alla CR entro il 25 aprile) è disponibile i primi giorni di maggio”.
Ciò nonostante, capita non infrequentemente che le difese delle Banche descrivano una realtà diversa, in cui il flusso di ritorno non sarebbe materialmente disponibile prima di 2-3 mesi, anziché di quaranta giorni circa. E' peraltro evidente, in questi casi, come l'esistenza di una fonte ufficiale quale quella del “Foglio Informativo” valga ad introdurre quantomeno una presunzione iuris tantum di conoscenza dei dati della Centrale Rischi nel citato termine di quaranta giorni, e che gravi sulla Banca l'onere di dimostrare, nel caso concreto, l'affermata dilatazione temporale.
Qual è, infine, il grado di incisività che le risultanze della Centrale Rischi possono rivestire, in relazione alla scientia decoctionis della revocatoria di rimesse in c/c bancario?
Premessa l'ovvia considerazione per cui si tratta di uno strumento di consultazione davvero quotidiana, per gli Istituti di credito, esattamente alla pari del monitoraggio dell'andamento del c/c, è possibile affermare ragionevolmente che esiste un unico caso in cui la conoscenza del dissesto, pur in assenza di altri elementi, può venire positivamente predicata a carico della Banca convenuta sulla sola base della Centrale Rischi: quello dove, a carico del cliente segnalato, siano comparse le c.d. “sofferenze” (cod. 555200). Definite dalla stessa Banca d'Italia come “finanziamenti in essere nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dall'esistenza di garanzie o dalle previsioni di perdita. L'appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell'intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest'ultimo nel pagamento del debito”, esse non soggiacciono per ovvi motivi al limite minimo quantitativo di segnalazione in Centrale Rischi (€ 30.000,00=).
La nozione di “insolvenza” utilizzata in questo caso dalla Banca d'Italia, è stato ripetutamente precisato, coincide pressoché integralmente con quella fatta propria dall'art. 5 l. fall.; pertanto, la comparsa di “sofferenze” nella Centrale Rischi costituisce elemento di tale pregnanza da poter fondare un giudizio di scientia decoctionis in capo a tutti gli Istituti, diversi da quello segnalante, al momento stesso in cui il “flusso di ritorno” viene loro restituito dalla Banca centrale.
Possono peraltro ricorrere altri casi in cui determinate dinamiche, riscontrabili dalle schede Centrale Rischi, consentono al lettore di percepire la crisi di un cliente e le reazioni “immunitarie” che il sistema creditizio attua per cautelarsi contro quest'ultima. Si tratta di scenari in cui l'interpretazione della C.R. non è in grado, da sola, di accreditare in modo completo e definitivo la conoscenza del dissesto nei soggetti fruitori del “flusso di ritorno”, ma può affiancarsi con sicura persuasività ad altri elementi del medesimo segno (ad esempio, ancora una volta, l'andamento del conto corrente).
Vediamone brevemente alcuni:
- la sistematica presenza, magari per mesi, di un utilizzo dei fidi (cod. 33) superiore rispetto a quello accordato (cod. 31) o “operativamente accordato” (cod. 32), seguita poi da una progressiva e sistematica diminuzione degli importi in tutte e tre le categorie: significa, normalmente, che il sistema ha percepito la criticità di un sovrautilizzo degli affidamenti ed ha posto il cliente a sostanziale rientro di questi ultimi, senza peraltro revocarli formalmente;
- l'azzeramento dell'accordato pur in presenza di un persistente utilizzato: in questo caso, invece, i fidi sono stati revocati in modo espresso, in una situazione che prelude all'apparizione di “sofferenze”;
- alla voce “stato del rapporto”, comparsa di codici quali 42 (“crediti scaduti”), 62 (“garanzia attivata con esito negativo”), 81 (“crediti scaduti o sconfinanti da più di 90 giorni e non oltre 180”), 82 (“crediti scaduti o sconfinanti da più di 180 giorni”), 93 (“crediti impagati”);
- “richieste di prima informazione” provenienti da Banche che ancora non intrattengono rapporti con il nominativo segnalato, ma stanno conducendo un'istruttoria per eventualmente affidarlo: è un segnale di per sé non connotabile negativamente a priori, ma quantomeno interpretabile nel senso che il cliente sta cercando nuovo credito, perché ad esempio i rapporti con i suoi attuali finanziatori stanno divenendo problematici.

Questioni aperte

Meriterebbe approfondimento un altro dei temi toccati dal Tribunale di Latina, ossia la valenza da attribuire, in chiave di scientia decoctionis, alla circostanza per cui il saldo passivo del c/c cresce, anziché diminuire, e ciò non per motivi meramente tecnici (ad esempio il ritorno di insoluti relativi a precedenti anticipi s.b.f.), ma proprio perché la Banca continua a concedere credito al correntista (ad esempio a pagare assegni), pur in presenza di elementi denotanti grave crisi a carico di quest'ultimo. In questi casi, non poche sentenze (tra cui quella in commento) escludono un collegamento tra inscientia e mantenimento in essere del rapporto/del credito, precisando che la prosecuzione dell'operatività ben può conciliarsi con la scientia del creditore (il quale, ad esempio, continua ad eseguire le proprie prestazioni per ottenere pagamenti parziali, per acquisire garanzie o per sostenere la ripresa del debitore insolvente, nei cui confronti è già considerevolmente esposto). Le Banche oppongono, tuttavia, il c.d. “postulato di razionalità” dell'operatore finanziario, in base al quale un soggetto economico ispirato a criteri di ragionevolezza non concede ulteriore credito a chi già è impossibilitato a ripagare quello pregresso. L'obiezione degli Istituti non è di poco conto, poiché l'inesistenza di una tendenza al rientro del c/c (anzi, la presenza del fenomeno esattamente contrario) mal si concilia con la percezione del dissesto. Per superarla, a mio avviso, non è sufficiente menzionare un po' genericamente le eventuali motivazioni che possono indurre una Banca a non revocare il fido ad un correntista insolvente, ma occorre individuare, nei limiti del possibile, il concreto intento che ha animato l'intermediario: in questi casi, anche la prova testimoniale (riferita a colloqui riservati, incontri plenari, circostanze in cui si è esplicitata una precisa strategia di supporto) può significativamente concorrere a fondare una decisione aderente alla realtà dei fatti.

Conclusioni

Il patrimonio di esperienze e risultati, formatosi in materia di revocatoria fallimentare delle rimesse in c/c sotto la disciplina anteriore al D.L. 35/2005, va considerato ormai pura archeologia, inutile sotto il profilo pratico? La sentenza del Tribunale di Latina ci dimostra che così non è, o almeno solo in parte. L'intera elaborazione giurisprudenziale relativa all'elemento della scientia decoctionis, anzitutto, mantiene una sua persistente attualità, non essendo intervenuta al riguardo alcuna modifica normativa; quindi, buona parte delle tematiche abbozzate in precedenza può ancora costituire materia per decisioni giudiziarie anche sotto la vigenza dell'art. 67, comma 3, lett. b), l. fall..
Il settore che rischia di avvertire un maggior calo di attenzione, a seguito della riforma del 2005, è invece quello più strettamente attinente alla tecnica giuridico-bancaria, o quantomeno ad aspetti molto significativi di questa. Si consideri, ad esempio, la notevole quantità e complessità di quesiti interpretativi che aveva generato la distinzione tra “conto passivo” e “conto scoperto”, in particolare con riferimento alla natura, alla forma ed ai requisiti che determinate facilitazioni creditizie dovevano possedere per venire classificate come veri e propri affidamenti: l'attuale disciplina della lettera b) - terzo comma - art. 67 l. fall. viene perlopiù ritenuta applicabile tanto al conto passivo, quanto a quello scoperto, prefigurando quindi una sostanziale archiviazione di tutte le questioni sviscerate in subiecta materia negli anni passati. Non sembra difficile prevedere, quindi, che le già poche azioni revocatorie bancarie post-D.L. 35/2005 si soffermeranno soprattutto sulla nozione di “consistenza” e “durevolezza” delle rimesse, senza più entrare (salve rare eccezioni) nel vivo della concreta articolazione del rapporto negoziale bancario regolato in c/c, se non per limitati fini (giroconti, compensazioni, operazioni bilanciate).

Minimi riferimenti normativi e giurisprudenziali

Tra le più recenti riaffermazioni giurisprudenziali della validità di un petitum privo dell'indicazione dei singoli versamenti solutori, ma recante la specificazione del conto corrente, del periodo temporale di riferimento e dell'ammontare complessivo delle rimesse, si vedano Cass. 28 novembre 2008, n. 28445 e Cass. 12 novembre 2003, n. 17023, entrambe reiettive dell'eccezione di nullità per indeterminatezza di cui all'art. 164, comma 4, c.p.c..
Sula natura distributiva, e non più indennitaria, della revocatoria fallimentare si sono infine pronunciate le Sezioni Unite con sentenza 28 marzo 2006, n. 7028, cui si sono successivamente conformate, tra le altre, Cass. 10 novembre 2006, n. 24046 e Cass. 8 marzo 2010, n. 5505.
Il diritto del Curatore ad ottenere la documentazione bancaria ex art. 119 D. Lgs. 385/1993 (soprattutto estratti conto) attraverso il ricorso all'art. 700 c.p.c. è stato riconosciuto da Trib. Bari 19 dicembre 2006, in De Jure, Trib. Salerno 21 novembre 2006, Trib. Bergamo 20 gennaio 2006 (in senso contrario, perché il provvedimento cautelare risulterebbe già definitivamente ed irrevocabilmente satisfattivo della richiesta, Trib. Roma 22 novembre 2000 e Trib. Monza 21 maggio 1997). Lo strumento del decreto ingiuntivo per consegna di cosa mobile è stato invece legittimato da Trib. Napoli 5 aprile 2004.
Per un'applicazione alla materia della revocatoria fallimentare del principio della “vicinanza della prova” si veda Trib. Udine 24 febbraio 2011 (Trib. Novara 6 dicembre 2011, invece, ne tratta con riferimento alla sentenza dichiarativa di fallimento).
Cass. 3 maggio 2007, n. 10208, Trib. Milano 10 gennaio 2007 e Trib. Milano 31 gennaio 2000 sottolineano l'importanza del bilancio nel giudizio di conoscenza del dissesto, purché quest'ultimo risulti chiaramente (sul punto anche Trib. Milano 23 maggio 2007 e Trib. Milano 9 maggio 2007), senza necessità di riclassificazione delle poste (così in particolare Trib. Milano 24 giugno 2003).
Il servizio centralizzato dei rischi denominato “Centrale Rischi” è disciplinato dalla delibera del C.I.C.R. del 29 marzo 1994, assunta ai sensi degli artt. 53, primo comma, lett. b), 67, primo comma, lett. b) e 107, secondo comma, D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, nonché dalle norme attuative della Banca d'Italia prese in conformità della delibera stessa. Il c.d. “Foglio Informativo”, nelle sue due versioni “analitica” e “sintetica”, può essere reperito, insieme alla disciplina di dettaglio, nella circolare dell'Istituto di emissione n. 139/91 “Centrale dei Rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi”, disponibile nel sito Internet bancaditalia.it.
Le segnalazioni della Centrale Rischi (giudizialmente ottenibili, secondo Cass. 9 luglio 2004, n. 12670, anche attraverso l'attivazione del meccanismo di richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c.) possono assumere rilievo ai fini della prova della scientia, ma solo nei confronti degli istituti affidanti/segnalanti, per Trib. Milano 23 maggio 2007, Trib. Milano 8 febbraio 2007 e Trib. Milano 17 febbraio 2003. Analisi più dettagliata dello strumento in Cass. 13 ottobre 2005, n. 19894, Trib. Novara 16 maggio 2008 ed in Trib. Milano 23 maggio 2007 (che sottolinea la quotidianità della consultazione ad opera delle banche). Per Trib. Bari 14 febbraio 2008, anche un semplice sconfinamento in C.R., congiuntamente ad altri indici, può ritenersi rivelatore della scientia decoctionis.
Secondo Cass. 3 agosto 2007, n. 17049, Cass. 3 aprile 2002, n. 4759 e Cass. 8 gennaio 1987, n. 18, la concessione di ulteriore credito al debitore non è circostanza di per sé inconciliabile con la scientia decoctionis. Trib. Milano 7 giugno 2003 e Trib. Milano 26 settembre 2006 hanno invece ritenuto indizi contrari alla conoscenza dello stato d'insolvenza la concessione di ulteriore credito e l'assenza di una tendenza al rientro nell'andamento del c/c.

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