Funzione del Pubblico Ministero e limiti di attivazione per la dichiarazione dello stato di insolvenza

06 Luglio 2012

Il Pubblico Ministero è legittimato a proporre richiesta di fallimento nel caso, collegato alla sua funzione tipica, in cui abbia attinto la notitia decoctionis dalle indagini assunte nell'ambito di un procedimento penale pendente o, in alternativa, se l'abbia desunta dalla condotta dell'imprenditore estrinsecatasi nei fatti tipizzati dall'art. 7 l. fall., non necessariamente integranti ipotesi di reato, verificati anche al di fuori ed a prescindere dalla pendenza di un procedimento penale.
Massima

Il Pubblico Ministero è legittimato a proporre richiesta di fallimento nel caso, collegato alla sua funzione tipica, in cui abbia attinto la notitia decoctionis dalle indagini assunte nell'ambito di un procedimento penale pendente o, in alternativa, se l'abbia desunta dalla condotta dell'imprenditore estrinsecatasi nei fatti tipizzati dall'art. 7 l. fall., non necessariamente integranti ipotesi di reato, verificati anche al di fuori ed a prescindere dalla pendenza di un procedimento penale.

Il caso

Il Tribunale di Napoli, su istanza formulata ex art. 7 l. fall. dal Pubblico Ministero - il quale, nell'ambito di un procedimento penale a carico di soggetti a vario titolo “esercenti poteri di ingerenza gestoria” nella società di riferimento, ne ha constatato lo stato di crisi finanziaria - ricorrendo i presupposti soggettivi ed oggettivi di legge ha dichiarato il fallimento della società.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

La sentenza si apprezza per affrontare, tra l'altro, la questione inerente l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento spettante, ex lege, anche al Pubblico Ministero, nonché la sussistenza di limiti che la riguardano.
Poichè, infatti, l'iniziativa del Pubblico Ministero soffre di limiti di attivazione, nel caso in cui gli stessi non vengono rispettati la pronunciata sentenza di fallimento è suscettibile di invalidazione per avere l'istante agito senza potere.
L'art. 7 R.D. n. 267/42, come modificato dal D.Lgs n. 5/2006, individua due ipotesi in cui deve attivarsi il Pubblico Ministero: la prima ricorre se l'insolvenza emerge nel corso di un procedimento penale o risulta da comportamenti, non necessariamente costituenti reato (quali: la fuga, la latitanza, la chiusura dei locali dell'impresa, ecc.), ma caratterizzanti la condotta dell'imprenditore consapevole dello stato di dissesto della sua impresa; la seconda si verifica se l'insolvenza affiora nel corso di un procedimento civile e viene segnalata dal giudice al Pubblico Ministero.
Dunque, laddove il Pubblico Ministero abbia agito al di fuori delle ipotesi legalmente tipizzate, la sentenza è invalida in quanto, come detto, manca la legittimazione all'azione da parte di colui che ha dato impulso al procedimento.
Nella vicenda in esame il Tribunale ritiene sussistente la legittimazione del Pubblico Ministero, avendo quest'ultimo appreso dell'insolvenza dell'impresa nell'ambito di un procedimento penale che coinvolge coloro che partecipano alla gestione della società (soprattutto amministratori di fatto o di diritto della società, membri del collegio sindacale).
Il Tribunale di Napoli, sebbene il caso concreto corrisponda a quello previsto dalla norma, cosicchè non vi era alcuna difficoltà di interpretazione, argomenta in astratto sulla legittimazione del Pubblico Ministero e considera l'iniziativa di tale organo come espressione di un potere di azione in taluni casi obbligatorio ed in altri facoltativo: nelle ipotesi previste dall'art. 7 l. fall. il Pubblico Ministero è vincolato (rectius obbligato) a presentare la richiesta di fallimento, mentre in ipotesi diverse da quelle che lo legittimano è facoltizzato ad attivarsi (e quindi potrebbe anche restare inerte).
Esposta la suddetta argomentazione, il Tribunale richiama espressamente la recente pronuncia della Suprema Corte (sentenza n. 9260/2011) sull'art. 7 l. fall. (come modificato) ove si legge : “In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento da parte del P.M. la doverosità della sua richiesta può fondarsi dalla risultanza dell'insolvenza, alternativamente sia dalle notizie proprie di un procedimento penale pendente, sia dalle condotte, del tutto autonome indicate in tal modo dalla congiunzione “ovvero” di cui alla norma che non sono necessariamente esemplificative né dei fatti costituenti reato né della pendenza di un procedimento penale, che può anche mancare”.
Attraverso il richiamo alla pronuncia del giudice di legittimità il Tribunale trae il principio secondo cui la legittimazione del Pubblico Ministero a formulare istanza di fallimento sussiste nelle due ipotesi previste dal nuovo testo della legge e, più in generale, ove la notizia dell'insolvenza sia attinta nell'esercizio della sua “funzione tipica” ovvero nell'esercizio dell'azione penale.

Le questioni aperte

La sentenza in commento offre uno spunto di riflessione sulla natura del potere d'iniziativa del Pubblico Ministero e, più precisamente, sulla esistenza di limiti ad esso sottesi.
La questione è correlata all'intervenuta modifica dell'art. 7 l. fall., ove sono elencate le ipotesi in cui detto potere di impulso al procedimento prefallimentare si esplica.
Al fine di comprendere l'effettiva portata innovativa di detta norma, la stessa deve essere letta in combinato disposto con l'art. 6 l. fall., anch'esso modificato, nonché tenendo conto dell'abrogazione dell'art. 8 l. fall. In particolare: la nuova formulazione dell'art. 6 l. fall., secondo cui l'iniziativa per la dichiarazione di fallimento spetta (esclusivamente) al debitore, ad uno o più creditori ed al Pubblico Ministero, ha determinato la spoliazione di ogni potere, in merito, del tribunale fallimentare. L'abrogazione dell'art. 8 l. fall., norma questa che consentiva al giudice civile di riferire sull'insolvenza dell'imprenditore (come risultante dal processo) al tribunale, per la conseguente dichiarazione di fallimento, è confermativa del venir meno dell'iniziativa officiosa, in parte colmata da quella del Pubblico Ministero (destinatario, ex art. 7 l. fall., della segnalazione del giudice civile).
La scelta del fallimento dell'impresa sembra essere strutturata in base ad un nuovo assetto normativo rispondente allo spirito che ha animato la riforma e che può, efficacemente, così sintetizzarsi: “il governo della crisi d'impresa non è più affare del pubblico potere, ma decisione responsabile del mercato”.
E' in questa prospettiva - orientata a valorizzare, da un lato, la privatizzazione e, dall'altro, i principi del giusto processo, dell'imparzialità e della terzietà del giudice - che al tribunale è preclusa ogni iniziativa per la dichiarazione di fallimento; nella stessa prospettiva, inoltre, al Pubblico Ministero, anch'esso organo dello stato cui compete l'esercizio dell'azione penale e che sta in giudizio a tutela del pubblico interesse, sono imposti limiti per la rilevazione dell'insolvenza ovvero sono individuate le ipotesi in cui detto organo è, in tal senso, legittimato.
Invero, il potere di iniziativa del Pubblico Ministero, pur essendo regolamentato dall'art. 7 l. fall., ha posto alcuni problemi di interpretazione e per conseguenza di applicazione concreta della norma: la riflessione giurisprudenziale (mi riferisco alle sentenze della Suprema Corte n. 4632/2009 e n. 9260/2011, cit.) ha fatto luce sui confini del potere di iniziativa del Pubblico Ministero.
In particolare, per poter individuare il campo operativo in cui il Pubblico Ministero agisce occorre tenere presente che la sua iniziativa è legittima ogni qualvolta la notizia decoctionis venga acquisita nell'esercizio delle sue funzioni; per tale motivo, da un lato la segnalazione dell'insolvenza proveniente dal tribunale fallimentare (e successiva alla desistenza del creditore istante) non rende ammissibile l'attivazione del Pubblico Ministero, avendo la legge di riforma eliminato l'iniziativa officiosa del tribunale e non potendosi parificare il giudice civile di cui al comma 2, art. 7 l. fall., con quello fallimentare; dall'altro, l'impulso del Pubblico Ministero rientra nell'alveo dell'art. 7 l. fall. allorquando la notizia sia stata attinta, ad esempio, attraverso la trasmissione dell'istanza di fallimento desistita, su richiesta dal Pubblico Ministero nell'espletamento di attività investigativa in itinere ovvero nell'ambito dell'esercizio della sua funzione.
Con riguardo a tale ultimo aspetto del problema, sembra non doversi escludere l'iniziativa del Pubblico Ministero allorquando l'acquisizione della notizia decoctionis si abbia al di fuori dell'indagine penale nei confronti dell'imprenditore.

Conclusioni

Secondo una lettura sistematica dell'art. 7 l. fall. l'iniziativa del Pubblico Ministero non appare ex se soggetta a limiti, ma lo è nella misura in cui la modalità con cui detto organo acquisisce la notizia decoctionis attenga all'esercizio della sua funzione.
Ciò significa che l'impulso ad avviare il procedimento per la dichiarazione di fallimento è legittimo anche nei casi non ricompresi nell'art. 7 l. fall., ma riconducibili all'esercizio dell'azione penale.
In tali ipotesi l'iniziativa non è solo legittima, ma è doverosa, stante la funzione di garanzia del sistema conferita dalla legge al Pubblico Ministero.
Il Tribunale di Napoli nella sentenza in commento prende in considerazione sia un potere di iniziativa obbligatorio sia un potere facoltativo, così trascurando l'accezione del ruolo del Pubblico Ministero nel sistema normativo penale.
Accanto alla privatizzazione delle procedure concorsuali e della crisi d'impresa, si pone infatti l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale e, per conseguenza, la doverosità - e non già facoltà - dell'iniziativa, quando la notizia dell'insolvenza sia stata appresa nell'esercizio di tale azione e comunque nello svolgimento delle relative indagini.
La logica del sistema dovrebbe rendere doverosa la richiesta di fallimento da parte del Pubblico Ministero che si trova di fronte a sintomi inequivocabili della crisi di impresa (quali, a titolo esemplificativo, le ipotesi di cui all'art. 7, comma 2, l. fall.), anche se risultanti da indagini non direttamente coinvolgenti l'imprenditore.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In giurisprudenza, sull'iniziativa del Pubblico Ministero, cfr., oltre alle già citate Cass. Civ., sez. I, 21 aprile 2011, n. 9260 e Cass. Civ., sez. I, 26 febbraio 2009, n. 4632: App. Torino, in Giur. merito 2011, 5, 1313, nel senso che “l'attribuzione del potere di azione civile al P.M. non istituisce un principio di obbligatorietà, essendo piuttosto riservato al medesimo un margine di discrezionalità, in ordine all'attivazione del proprio potere, normalmente in esito ad un'attività di indagine e di approfondimento”. In dottrina, cfr.: Punzi, La dichiarazione di fallimento, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Lucio Ghia - Carlo Piccininni - Fausto Severini, vol. I, 2010, pag. 2 e ss.; Donzi, L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento: artt. 6 e 7 l. fall., in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, vol. I, 2009, 102 e ss.; Di Marzio, nella Introduzione a Il correttivo della riforma fallimentare, a cura dello Stesso, 2008, ove è tratta la frase “il governo della crisi d'impresa non è più affare del pubblico potere ma decisione responsabile del mercato”; Russo, L'iniziativa del pubblico ministero in Il procedimento per la dichiarazione di fallimento (la fase c.d. prefallimentare), in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto e coordinato da Umberto Apice, Vol. I, 2010, 96 e ss..

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario