Trasferimento della sede all’estero: sussiste la giurisdizione italiana fino all’iscrizione nel Registro delle imprese straniero

05 Luglio 2012

Agli effetti dell'art. 9, comma 5, l. fall., in forza del cui disposto il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana se è avvenuto dopo il deposito dell'istanza di fallimento, è necessario che il trasferimento della sede legale dell'impresa debitrice sia stato perfezionato con l'iscrizione dell'impresa nel registro delle imprese del Paese straniero, permanendo sino a tale iscrizione lo status giuridico di impresa italiana, e non essendo sufficiente la mera delibera di trasferimento, ancorché depositata presso il Registro delle imprese italiano in epoca anteriore al deposito dell'istanza di fallimento.
Massima

Agli effetti dell'art. 9, comma 5, l. fall., in forza del cui disposto il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana se è avvenuto dopo il deposito dell'istanza di fallimento, è necessario che il trasferimento della sede legale dell'impresa debitrice sia stato perfezionato con l'iscrizione dell'impresa nel registro delle imprese del Paese straniero, permanendo sino a tale iscrizione lo status giuridico di impresa italiana, e non essendo sufficiente la mera delibera di trasferimento, ancorché depositata presso il Registro delle imprese italiano in epoca anteriore al deposito dell'istanza di fallimento.

Il caso

La società debitrice, nei cui confronti viene aperta su istanza di un creditore, avanti al Tribunale di Torino, la procedura per la dichiarazione di fallimento ai sensi dell'art. 6 l. fall., risulta aver depositato presso il Registro delle imprese una prima delibera societaria di trasferimento della sede legale in Moldavia risalente al 2008, e pertanto ad epoca anteriore al deposito dell'istanza di fallimento, nonché una seconda delibera di trasferimento della sede in Romania, depositata presso il Registro delle imprese in epoca successiva al deposito dell'istanza di fallimento.

Il Tribunale di Torino ritiene sussistente la giurisdizione del giudice italiano e dichiara il fallimento della Società, affermando i principi di cui alla massima.

La questione giuridica e la soluzione

In mancanza della costituzione della debitrice nella procedura prefallimentare, ed a fronte delle risultanze del Registro delle imprese descritte al paragrafo che precede, il Tribunale di Torino si è posto la questione della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano (in ragione della rilevabilità d'ufficio del difetto di giurisdizione in caso di contumacia del convenuto ai sensi dell'art. 11 della legge n. 218/1995).
Il Tribunale ha concluso nel senso della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano osservando:
- quanto alla delibera di trasferimento della sede legale della società debitrice in Romania, che essa è stata depositata nel Registro delle imprese successivamente al deposito dell'istanza di fallimento. Trova quindi applicazione de plano il disposto dell'art. 9, ultimo comma, l. fall., secondo il quale “…il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana se avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all'art. 6 o la presentazione della richiesta di cui all'art. 7”;
- quanto alla delibera di trasferimento della sede legale della società debitrice in Moldavia (ma il ragionamento è dichiarato applicabile anche al trasferimento in Romania), che essa è stata sì depositata in epoca anteriore al deposito dell'istanza di fallimento, ma non è idonea ad escludere la giurisdizione del giudice italiano in mancanza della prova dell'iscrizione dell'impresa nel Registro delle imprese dello stato estero. La sentenza in esame afferma infatti che “…permane lo status giuridico di impresa italiana fino a che non vi sia iscrizione della stessa nel registro delle imprese dello stato estero prescelto per il trasferimento. Ed infatti la Camera di Commercio provvede alla cancellazione solo dopo avere avuto comunicazione dell'iscrizione nel registro dello stato estero. L'impresa italiana non può infatti perdere il proprio status di impresa italiana fino a che non diventi effettivo il diverso status a seguito di riconoscimento da parte dello stato straniero del diritto di ivi operare attraverso l'iscrizione nel registro delle imprese di quest'ultimo”.

Osservazioni

La pronuncia del Tribunale riveste un duplice profilo di interesse.
Il primo profilo attiene alla verifica, svolta dal Giudice - seppure incidentalmente -, della compatibilità del disposto dell'art. 9, ultimo comma, l. fall. con il diritto comunitario.
Il Tribunale si è infatti fatto carico di esplicitare che il principio posto dalla norma di diritto interno, che attribuisce rilevanza, per l'individuazione del momento determinante ai fini della giurisdizione, al deposito dell'istanza di fallimento (rispetto al quale il trasferimento della sede deve essere anteriore), è coerente con il diritto comunitario.
La compatibilità è affermata in base al richiamo della sentenza 17 gennaio 2006 della Corte di Giustizia Europea nella causa Staubitz, nella quale la Corte, chiamata ad interpretare l'art. 3 n. 1 del Regolamento CE 29 maggio 2000 n. 1346, ha deciso che la disposizione in questione deve essere interpretata nel senso della irrilevanza, ai fini della competenza (rectius, della giurisdizione), del trasferimento del centro dei propri interessi principali nel territorio di un altro Stato membro avvenuto in epoca successiva alla proposizione della domanda di apertura della procedura di insolvenza.
Il richiamo riveste interesse in quanto espressione, senza che il Tribunale abbia preso posizione sulla questione, invero controversa, dell'applicabilità del Regolamento CE 20 maggio 2000, n. 1346 a tutte le procedure di insolvenza aperte nell'Unione, ovvero esclusivamente a quelle aventi carattere “transfrontaliero”, della sempre maggiore attenzione dedicata dal Giudice nazionale al diritto comunitario ed alla interpretazione che ne viene data dalla Corte di Giustizia in funzione dell'interpretazione e dell'applicazione del diritto interno.
Il secondo profilo d'interesse della sentenza in esame risiede nell'affermazione della giurisdizione del giudice italiano per non essersi perfezionato il trasferimento all'estero della sede legale della società debitrice né in Moldavia, né in Romania, non risultando la comunicazione di iscrizione della società nel registro delle imprese dello Stato estero né, conseguentemente, la cancellazione della società dal registro delle imprese italiano.
La conclusione raggiunta nella sentenza pare condivisibile, anche alla luce del disposto dell'art. 25, comma 3, legge 31 maggio 1995, n. 218, che subordina l'efficacia del mutamento della sede statutaria di una società alla conformità di tale mutamento alle leggi degli Stati interessati. In questi termini si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità, che ha concluso nel senso dell'inefficacia dell'asserito trasferimento (nel caso di specie si trattava di un trasferimento in Romania) “non risultando in alcun modo che il mutamento di sede sia stato posto in essere conformemente alle leggi di entrambi gli Stati interessati” (Cass. 9 settembre 2005 n. 17983; analogamente anche Cass. Sez. Un. 28 luglio 2004 n. 14348).
Occorre peraltro domandarsi se, nel caso in cui il trasferimento della sede legale all'estero si fosse perfezionato con l'iscrizione della società nel Registro delle imprese dello Stato estero, per questo solo fatto la giurisdizione del giudice italiano avrebbe dovuto comunque essere esclusa.
In merito, si osserva che la giurisdizione del giudice italiano in materia concorsuale non è correlata alla presenza in Italia della sede legale dell'impresa, bensì alla presenza in Italia della sede principale dell'impresa, dovendosi ritenere l'art. 9, primo comma, l. fall. operante anche come norma sulla giurisdizione, oltre che sulla competenza (ai sensi dell'art. 3, ultimo comma, della legge 31 maggio 1995, n. 218).
In quest'ottica, solo il trasferimento all'estero della sede principale - purché avvenuto prima del deposito dell'istanza per la declaratoria di fallimento ai sensi dell'art. 9, ultimo comma, l. fall. - sarebbe idoneo a far venire meno la giurisdizione del giudice italiano, come confermato, del resto, dalla formulazione letterale dell'art. 9, ultimo comma, medesimo, che parla di sede e non di sede statutaria, e dalla sua lettura combinata con il primo comma, che parla espressamente di sede principale.
La soluzione di diritto interno (affermata ripetutamente dalle giurisprudenza di legittimità: Cass. Sez. Un. 13 ottobre 2008, n. 25038; Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2008, n. 3368; Cass Sez. Un. 20 maggio 2005, n. 10606; Cass. Sez. Un. 23 gennaio 2004, n. 1244) è del resto coerente con il criterio di giurisdizione (o di competenza internazionale, secondo la terminologia adottata a livello di diritto comunitario) posto dal citato Regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346, che attribuisce rilevanza, ai fini dell'individuazione dello Stato di apertura della procedura di insolvenza principale e della legge applicabile, non al luogo in cui si trova la sede legale, bensì al luogo in cui si trova il COMI (ossia il Center of Main Interests) dell'impresa.
Ai sensi dell'art. 3, comma 1, del Regolamento citato si presume, per le società e le persone giuridiche, che il COMI sia il luogo in cui si trova la sede statutaria, ma la presunzione è una presunzione iuris tantum, che ammette quindi la prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede.
Merita una breve considerazione finale il diverso tema degli effetti sulla giurisdizione del giudice italiano della cancellazione della società dal Registro delle imprese italiano, che la sentenza in esame sembra far discendere automaticamente dall'iscrizione della società nel Registro delle imprese dello Stato estero.
Invero, l'ordinamento italiano ammette il trasferimento all'estero della sede legale di una società soggetta alla legge italiana, come risulta dal disposto degli artt. 2369, comma 4, e 2437, comma 1, c.c. e dell'art. 25, comma 3, della legge 31 maggio 1995, n. 218, senza che ciò comporti necessariamente il mutamento della lex societatis e faccia venir meno la continuità giuridica della società trasferita.
Perché ciò avvenga occorre peraltro che il sistema giuridico nel quale la società trasferisce la sede statutaria lo consenta. In caso contrario, si verificherà l'estinzione del soggetto giuridico nel Paese di provenienza e la costituzione di un soggetto giuridico nuovo nel Paese di destinazione, ma il giudice italiano conserverà la giurisdizione, in applicazione dell'art. 25, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218, sull'istanza di fallimento proposta nei confronti della società costituita in Italia ed ivi operante sino alla sua cancellazione (in questo senso le già citate: Cass. Sez. Un. 23 gennaio 2004, n. 1244 e Cass. Sez. Un. 28 luglio 2004, n. 14348; e, sebbene in obiter, Corte di Giustizia ).

Minimi riferimenti bibliografici

Per la dottrina cfr.: Benedettelli, Sul trasferimento della sede sciale all'estero, in Riv. Soc., 2010, 1251 e ss.; De Cesari–Montella, Insolvenza transfrontaliera e giurisdizione italiana, Milano, 2009; Proto, Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza e il sistema giurisprudenziale, in Fall., 2009, 7 e ss.; Genoviva, Regolamento preventivo di giurisdizione e procedura prefallimentare, in Dir. fall. 2007, II, 19; Mucciarelli, Spostamento della sede statutaria in un Paese membro della UE e giurisdizione fallimentare, in Giur. Comm., 2006, II, 616; Patriarca, Effetti del trasferimento della sede sociale all'estero sullo statuto personale della società e fallimento, in Banca, borsa, 2006, II, 549.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.