Problemi applicativi circa il superamento della soglia minima di fallibilità di cui all’art. 15, ultimo comma, l. fall.

Barbara Rovati
03 Luglio 2012

È ben vero che il creditore può rifiutare un pagamento parziale, ma tale suo diritto non può espandersi fino a far dichiarare, a seguito di tale rifiuto, il fallimento del debitore il quale dimostri, seriamente (e il suo deposito banco iudicis di assegni circolari assolve a tale onere), di non versare in stato di insolvenza, ma, semmai, in una temporanea difficoltà di far fronte, per intero, alle sue obbligazioni (nella specie, il rifiuto del pagamento, che ben avrebbe potuto avvenire con riserva di procedere per il residuo, atteneva alla parte più consistente del credito, che era anche quella originaria sulla quale si fondava l'istanza di fallimento, evidenziando un inadempimento per una frazione che andava a collocarsi ampiamente al di sotto del limite ex art. 15 l. fall.).
Massima

È ben vero che il creditore può rifiutare un pagamento parziale, ma tale suo diritto non può espandersi fino a far dichiarare, a seguito di tale rifiuto, il fallimento del debitore il quale dimostri, seriamente (e il suo deposito banco iudicis di assegni circolari assolve a tale onere), di non versare in stato di insolvenza, ma, semmai, in una temporanea difficoltà di far fronte, per intero, alle sue obbligazioni (nella specie, il rifiuto del pagamento, che ben avrebbe potuto avvenire con riserva di procedere per il residuo, atteneva alla parte più consistente del credito, che era anche quella originaria sulla quale si fondava l'istanza di fallimento, evidenziando un inadempimento per una frazione che andava a collocarsi ampiamente al di sotto del limite ex art. 15 l. fall.).

Ai fini del superamento della soglia di cui all'art. 15, ult. comma, l. fall., deve essere considerato non solo l'ammontare del credito vantato dall'istante, ma anche il valore dei vari protesti documentati (nel caso di specie la mancata costituzione ovvero la mancata difesa della debitrice non le aveva permesso di provare e dedurre di avere in tutto o in parte estinto la complessiva situazione debitoria, come era suo onere, per scongiurare la declaratoria di fallimento).

I casi

Innanzi alla Corte d'Appello di Firenze vengono presentati due reclami avverso due provvedimenti emessi, rispettivamente, dal Tribunale di Arezzo e dal Tribunale di Pistoia con i quali erano state respinte due istanze per la dichiarazione di fallimento a causa del mancato superamento delle soglie di cui all'art. 15, ult. comma, l. fall.

In particolare, con il primo decreto, la Corte d'Appello di Firenze respinge il reclamo, ritenendo che la società, per la quale era stata presentata l'istanza per la dichiarazione di fallimento, non versasse in stato di insolvenza, avendo dimostrato di poter far fronte alle proprie obbligazioni, ancorché non nella loro interezza. Ed invero, la Corte afferma che, sebbene sia pacifico che il creditore possa rifiutare un pagamento parziale, tale suo diritto non può espandersi fino a far dichiarare, a seguito di tale rifiuto, il fallimento del debitore che dimostri, seriamente, di non versare in stato di insolvenza, ma, semmai, in una temporanea difficoltà di far fronte per intero alle sue obbligazioni.
Con il secondo decreto, invece, la Corte d'Appello di Firenze accoglie il reclamo proposto dal creditore istante, rilevando che il Tribunale di Pistoia aveva omesso di considerare, ai fini del superamento della soglia di cui all'art. 15, ult. comma, l. fall., che dall'istruttoria prefallimentare risultavano documentati altri protesti, i quali, sommati al valore del credito vantato dall'istante, portavano il totale dei debiti al di sopra della soglia dei 30.000 Euro.
Osservava peraltro la Corte come il fatto che la debitrice non si fosse costituita né difesa non avesse permesso alla stessa di provare e dedurre di avere in tutto o in parte estinto la complessiva situazione debitoria, come era suo onere, per scongiurare la declaratoria di fallimento.

Le questione giuridiche sottese

Come noto, l'ultimo comma dell'art. 15 l. fall. stabilisce che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati, risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare, sia complessivamente inferiore ad Euro 30.000.
La norma introduce, quindi, un ulteriore criterio di delimitazione dell'area di fallibilità che si affianca ai presupposti oggettivi e soggettivi disciplinati dall'art. 1 e 5 l. fall., ossia lo stato di insolvenza, il superamento di una delle tre soglie dimensionali e l'esercizio di un'attività commerciale.
Tale previsione in parola è, dunque, finalizzata ad evitare che si acceda a procedure concorsuali di scarso rilievo economico, i cui costi sarebbero superiori ai presumibili ricavi da distribuirsi ai creditori concorsuali.
In questa prospettiva può comprendersi la ragione per la quale il legislatore della riforma abbia deciso di conservare in capo all'Organo Giudicante un ampio potere ufficioso d'indagine in sede prefallimentare, sebbene - sempre con la riforma - vi sia stata l'abolizione dell'iniziativa d'ufficio per la dichiarazione di fallimento.
Ed invero, è proprio la ratio dell'introduzione di un'ulteriore soglia di fallibilità che giustifica il ruolo di supplenza assegnato al Giudice, al quale, a garanzia della credibilità del sistema, è consegnato, attraverso tutti gli strumenti offerti dall'art. 15 l. fall. (informazioni urgenti e mezzi istruttori disposti d'ufficio), il vaglio accertativo giudiziale circa la sussistenza dello stato d'insolvenza.
Gli ampi poteri sopra richiamati permettono, quindi, al Giudice di comprendere - sempre in un'ottica di valutazione circa la sussistenza dello stato di insolvenza - se con l'intero patrimonio di cui l'imprenditore dispone al momento della presentazione dell'istanza di fallimento sia in grado di far fronte alle obbligazioni dallo stesso assunte (il richiamo è qui al concetto della cd. insolvenza progressiva).
Ciò nondimeno, dalla lettura della norma emergono diversi problemi interpretativi ed applicativi, a cominciare dalla nozione di debito scaduto e non pagato che la legge esige ai fini dell'applicazione dell'esenzione dal fallimento, per passare poi alla natura giudica di tale soglia e giungere, infine, alle sue modalità di accertamento.
Con riferimento alla nozione di debiti scaduti e non pagati, appare opportuno che il computo quantitativo venga effettuato in modo più restrittivo rispetto alle consuete indicazioni di debito che connotano la motivazione dello stato di insolvenza, in quanto, ai fini della sussistenza dello stesso, si prendono in considerazione anche ipotesi di debiti non ancora scaduti e non pagati (come quelli risultanti dai dati di bilancio).
Quanto alla natura giuridica e al meccanismo operativo di tale soglia, la maggioranza dei commentatori ritiene si tratti di una condizione di procedibilità della dichiarazione di insolvenza, piuttosto che di un autonomo presupposto di fallibilità, il quale andrebbe ad aggiungersi a quelli di cui agli artt. 1 e 5 l. fall.
Infine, per ciò che concerne le modalità di accertamento di tale soglia, si riscontrano opinioni difformi, sia in dottrina che in giurisprudenza, in ordine a su chi gravi l'onere della prova dell'ammontare dei debiti scaduti e non pagati.
A tale proposito, preme evidenziare come, stante la finalità della norma in commento - ossia quella di evitare la dichiarazione di fallimenti ingiustificati - appare difficile attribuire l'onere probatorio al solo creditore ovvero al solo debitore in base al principio della vicinanza alla prova.
Tanto è vero che lo stesso art. 15 l. fall., da un lato, rinvia all'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall'istruttoria prefallimentare e, dall'altro, attribuisce ampi e forti poteri istruttori officiosi al Tribunale proprio al fine di compiere tale accertamento.
Ed invero, a livello di prassi applicativa, molti Tribunali, tra cui il Tribunale di Milano, fanno ricorso secondo i casi anche a decreti di convocazione delle parti che già contengono la richiesta di informazioni urgenti su alcuni presupposti del fallimento (in particolare, ad enti previdenziali e tributari, in ordine all'esposizione debitoria del fallendo, o alle Cancellerie esecutive in ordine a procedimenti esecutivi pendenti a carico del debitore), in quanto ritenuti di difficile acquisizione da parte dei privati e, comunque, a prescindere dall'iniziativa di questi ultimi.
Ne discende che, ai fini dell'accertamento circa la soglia d'indebitamento, difficilmente sarà possibile individuare un onere probatorio a carico dell'una o dell'altra parte, con conseguente piena officiosità del relativo accertamento.
I casi trattati dalle due pronunce qui in commento costituiscono un vero e proprio esempio pratico dei problemi applicativi e interpretativi riguardanti la soglia minima di fallibilità appena tratteggiati.

Osservazioni

Con il primo decreto, la Corte d'Appello di Firenze respinge il reclamo presentato avverso il provvedimento del Tribunale di Arezzo del 12 maggio 2011 con il quale veniva rigettata un'istanza per dichiarazione di fallimento sul presupposto dell'inesistenza dello stato di insolvenza essendo l'istanza basata su un solo credito (quello vantato dall'istante) e non risultando protesti a carico dell'imprenditore-debitore.
Rileva la Corte che in udienza la parte debitrice aveva offerto il pagamento dell'intera sorte capitale a mezzo di assegni circolari e giudica che, sebbene il creditore possa rifiutare in via generale un pagamento parziale, tale suo diritto non possa comunque espandersi fino a far dichiarare il fallimento del debitore, il quale dimostri di non versare in stato di insolvenza, ma, semmai, in una temporanea difficoltà di far fronte per intero alle sue obbligazioni.
Al riguardo, preme evidenziare come, nel caso di specie, il rigetto dell'istanza di fallimento sia fondato sulla ritenuta assenza dello stato di insolvenza del debitore e non sul mancato superamento della soglia dimensionale di cui all'art. 15, ult. comma, l. fall. avendo quest'ultimo dimostrato di poter far fronte alle proprie obbligazioni, seppure in modo parziale.
In ogni caso, la Corte d'Appello di Firenze considera che, anche nell'ipotesi in cui si fosse ritenuto sussistente lo stato di insolvenza, “il rifiuto al pagamento attiene alla parte più consistente del credito, che è anche quella originaria sulla quale si fondava l'istanza di fallimento e, semmai, evidenzia una inadempienza che va a collocarsi ampiamente al di sotto del limite ex art. 15 l. fall.”.
Alla luce di tale affermazione, sorge spontaneo chiedersi se, al fine del superamento della soglia minima di fallibilità, si debba tener conto dell'ammontare del credito vantato dall'istante - indipendentemente dal fatto che per una parte dello stesso il debitore abbia offerto il pagamento - ovvero dell'ammontare del credito decurtato della somma offerta a parziale adempimento dell'obbligazione vantata dal creditore.
Come si è avuto occasione di indicare, la Corte d'Appello predilige questa seconda impostazione, probabilmente sulla base del fatto che il credito deve ritenersi scaduto e non pagato, a fronte della locuzione utilizzata dall'art. 15, comma 9, l. fall., solo per quella parte per la quale non è stato offerto il pagamento.
Il caso in questione costituisce, dunque, un esempio pratico della difficoltà di individuare con esattezza la nozione di debito scaduto e non pagato, al fine di ritenere superata la soglia dei 30.000 Euro posta dall'art. 15 l. fall..
Quanto al secondo provvedimento in commento, questo accoglie il reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia del 5 luglio 2011 con la quale era stata rigettata l'istanza di fallimento, rilevando l'esistenza di protesti documentati per Euro 29.816,22 i quali, sommati all'importo vantato dal creditore istante, portavano il totale dei crediti al di sopra della soglia in commento.
Prosegue, inoltre, la Corte ritenendo che la mancata costituzione e difesa della debitrice non abbia permesso di provare ovvero dedurre di avere in tutto o in parte estinto la complessiva situazione debitoria, come era suo onere, per scongiurare la dichiarazione di fallimento.
Sembra potersi desumere che la Corte fiorentina aderisca a quell'orientamento in virtù del quale, ai fini dell'accertamento circa il superamento della soglia di cui all'art. 15 l. fall., sia possibile ricorrere a tutti gli elementi sui quali si fonda il relativo giudizio, sebbene risulti difficile avere la certezza che si tratti effettivamente di debiti scaduti e non pagati.
Ed invero, la presenza di protesti attesta sì l'esistenza di una situazione debitoria, ma difficilmente il creditore sarà in grado di dimostrare che si è di fronte, realmente, a debiti non pagati.
Proprio a fronte di tale possibile obiezione, la Corte aggiunge che la costituzione, ovvero la presenza del convenuto, avrebbero permesso di provare di avere in tutto o in parte estinto la complessiva situazione debitoria risultante dai documentati protesti, come era suo onere fare.
Sembra, quindi, che con l'inciso di cui sopra, la Corte d'Appello di Firenze ritenga che l'onere probatorio ai fini del mancato superamento della soglia di cui all'art. 15, ult. comma, l. fall. resti in capo al debitore, come se si trattasse di un ulteriore autonomo presupposto di fallibilità che va ad aggiungersi a quelli previsti dall'art. 1 e 5 l. fall., facendo così riemergere nella prassi la questione circa la natura giuridica di detta soglia.

Questioni aperte

I provvedimenti in esame non si sono pronunciati espressamente sul rapporto sussistente tra i presupposti oggettivi e soggettivi per la dichiarazione di fallimento e la soglia minima di fallibilità di cui all'art. 15, ult. comma, l. fall., ossia se detta soglia debba operare, ai fini della dichiarazione di fallimento, come un ulteriore presupposto di fallibilità ovvero come una mera condizione dell'azione, ma si sono, al contrario, concentrati più che altro sulla nozione di debito scaduto e non pagato, probabilmente poiché ritenuta questione più pregnante a livello pratico.
Anche le ultime pronunce della giurisprudenza di legittimità non hanno affrontato direttamente il problema, ma hanno preferito soffermarsi solo sulla questione degli oneri probatori a carico delle parti e dei poteri istruttori dell'Organo Giudicante.
In particolar modo è stato stabilito, riguardo alla soglia fissata dall'art. 15 l. fall., che non sussiste alcun onere probatorio in capo al debitore di dimostrare che l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati sia inferiore alla soglia fissata dall'art. 15 l fall., né alcun obbligo per il Tribunale di procedere ad accertamenti d'ufficio su tale circostanza, la quale va verificata sulla base degli atti ritualmente acquisiti.
Alla stregua delle considerazioni della Corte di Cassazione, appare, dunque, possibile affermare che il differente regime probatorio disposto per la prova dei requisiti di cui agli artt. 1 e 5 l. fall. si giustificherebbe proprio alla luce della diversa natura giuridica della soglia minima rispetto a quella dei requisiti di fallibilità.

Conclusioni

I problemi applicativi ed interpretativi di cui all'art. 15, comma 9, l. fall., cui si è fatto breve cenno nei paragrafi che precedono - anche con esempi pratici forniti dai casi sottesi ai provvedimenti in commento - possono essere facilmente “superati” tenendo sempre presente quella che è la ragione per la quale si è deciso di introdurre la soglia di fallibilità dei 30.000 Euro, ossia la necessità di evitare la dichiarazione di fallimenti antieconomici.
Solo tenendo sempre come punto di riferimento la ratio della norma in questione, unitamente all'esperienza maturata dai vari Tribunali, i quali, sulla base della stessa, riterranno più o meno opportuno ricorrere ai poteri officiosi di indagine affidati loro dal legislatore, sarà possibile dirimere i casi concreti per i quali si ritiene più conveniente l'esecuzione concorsuale del patrimonio del debitore.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Sull'argomento, si riportano alcune decisioni giurisprudenziali: Cass. civ., 23 luglio 2010, n. 17281; Cass. civ., 21 luglio 2010, n. 17116; App. Aquila, 14 febbraio 2012, in Ilcaso.it; App. Reggio Emilia, 8 marzo 2011, in Ilcaso.it; Trib. Terni, 1 luglio 2009; App. Napoli, 2 dicembre 2008; Trib. Firenze, 12 novembre 2008; Trib. Pescara, 11 aprile 2008; Trib. Pescara, 20 dicembre 2006; Trib. Sassari, 18 dicembre 2006; Trib. Varese, 15 dicembre 2006, il quale ritiene che il Tribunale avrebbe dovuto respingere la domanda di fallimento se l'ammontare dei debiti risultanti dagli atti fosse stato inferiore alla soglia anche nell'ipotesi in cui il debitore non fosse comparso e non avesse fornito alcuna situazione patrimoniale tale da consentire di individuare la complessiva esposizione dell'impresa.
In dottrina, si segnala: P. Vella, Oneri probatori e poteri officiosi nel nuovo procedimento di dichiarazione di fallimento, in Fall., 2011, IV, 447 ss.; F. De Santis, Istruttoria prefallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario diretto da Alberto Jorio, 2010, 332 ss.; M. Ferro, La nuova disciplina del giudizio di apertura del fallimento: questione aperte in tema di istruzione e giudizio di fatto, in Fall., 2007, V, 561 ss.; A. B. Confalonieri, La prova dei debiti scaduti: una barriera alla «microinsolvenza» o alle «microistanze»?, in Fall., 2009, X, 1206 ss.; G. Capo, I presupposti e il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, 2009, 68; P. Pajardi, Codice del fallimento, a cura di M. Bocchiola e A. Paluchowski, 2009, 229 ss.; C. Cavallini, Commentario alla legge fallimentare, 2010, Vol. 1, 334 ss.

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