Speciale Decreto Sviluppo-bis - Introduzione alle procedure concorsuali in rimedio del sovraindebitamento

21 Dicembre 2012

Viene analizzata la nuova disciplina introdotta dal c.d. “Decreto sviluppo-bis”, compiendo una breve ricostruzione del sistema desumibile dalla legge.Dopo essersi soffermato sui concetti di “sovraindebitamento”, di “debitore” e di debitore “consumatore”, l'Autore esamina le tre procedure dell'accordo, inteso non come “accordo di ristrutturazione” ma come “procedura deliberativa concorsuale”, del piano e della procedura concorsuale di liquidazione.
Figure del diritto positivo: “accordo”, “piano”, “procedura”

Dopo un travagliato corso parlamentare la

L. 27 gennaio 2012, n.

3

ha disciplinato la materia del sovraindebitamento secondo il progetto dal Governo Monti contenuto nel d.l.

22 gennaio 2012, non convertito.

Il capo II della legge, intitolato alle “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, è oggi dedicato ai “procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”.

La prima norma dichiara le finalità: per porre rimedio alle situazioni di (crisi da) sovraindebitamento, è attribuita al “debitore” non assoggettabile a procedura concorsuale diversa da quelle disciplinate nella legge medesima la facoltà di concludere un “accordo” con i creditori secondo una procedura di composizione della crisi disciplinata di seguito; al debitore che possegga lo status di “consumatore” è inoltre consentito di proporre, in alternativa, un “piano” di ristrutturazione (cfr. art. 6, comma 1).

Accordo” e “piano” integrano l'oggetto di una “procedura”: la “procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento”.

Nei casi stabiliti dalla legge (annullamento o risoluzione dell'accordo, cessazione degli effetti del piano omologato per causa imputabile al consumatore) questa procedura può essere convertita, su istanza del debitore o dei creditori, in una “procedura di liquidazione del patrimonio” (cfr. art. 14-quater).

La legge discorre di “accordo di ristrutturazione dei debiti” (cfr., per es., art. 7, comma 1); la formula corrisponde a quella adoperata nell'

art. 182-

bis

l.

f

all

. per descrivere il contratto compositivo della crisi d'impresa, concluso tra debitore fallibile e creditori e assoggettabile ad omologazione. Discorre, inoltre, di “piano del consumatore”, con formula assimilabile a quella adoperata nell'

art. 67, comma 3, lett. d), l.

f

all

. per alludere all'atto o al contratto compositivo della crisi d'impresa, concluso tra debitore fallibile e creditori e non assoggettato ad omologazione.

La suggestione terminologica potrebbe indurre l'idea che si tratti effettivamente di contratti. Senonché tali contratti sono inseriti, come accennato, in procedure. Questo inserimento determina un rilevante aumento di complessità di entrambe le figure: le contenute (accordo, piano) e la contenente (procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento).

Le riflessioni che seguono sono conseguentemente dedicate a una breve ricostruzione del sistema desumibile dalla legge.

Il concetto di “sovraindebitamento”

L'espressione “Disposizioni in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento” equivale all'altra, più semplice, di “Disposizioni per la composizione delle situazioni di sovraindebitamento”. Se infatti il riferimento alle “crisi” si limita agli aspetti economici escludendo quelli emozionali, la conclusione è difficilmente contestabile. Sotto il profilo economico, i termini di “crisi” e di “sovraindebitamento” tendono ad occupare un'area comune, ricoperta nel mondo giuridico dal termine maggiormente preciso di “insolvenza”. A tal proposito, può essere utile ricordare che nella letteratura germanica (alle prese con una

legge fallimentare

estesa al debitore civile) si ha cura di precisare che il termine ‘insolvenza' può assumere due significati: indicando l'incapacità di pagare (Zahlungsunfähigkeit) se riferito alla persona del debitore; e il sovraindebitamento (überschuldung) se riferito al patrimonio (cfr. Häsemeyer

, Insolvenzrecht, Köln, München, 2007, 5).

Il “debitore” e il debitore “consumatore”

Circa il soggetto, esso è identificato dalla legge con due termini: quello generalissimo di “debitore” e quello, più contenuto, di “(debitore) consumatore”.

Oggetto di disciplina si mostrano essere pertanto tutte le situazioni di insolvenza sottratte alle procedure concorsuali tradizionali: in primo luogo, e indubbiamente, l'insolvenza del consumatore e più in generale del debitore civile; ma, e immediatamente dopo, l'insolvenza dell'imprenditore non fallibile (del resto, l'art. 8, comma 4, prende testualmente in considerazione la proposta di accordo che abbia ad oggetto la “continuazione dell' attività d'impresa” da parte del debitore).

La legge si preoccupa, in primo luogo, di un attore sociale già indagato dalla letteratura economica, sociologica e giuridica: il debitore civile (ossia il privato non esercente attività economica) “sovraindebitato”. Accanto al consumatore, sono poi ricomprese determinate categorie di operatori economici, individuate con il riferimento al requisito negativo della sottrazione alle procedure concorsuali diverse da quelle da essa disciplinate (cfr. ancora art. 6, comma 1).

In tal modo da un lato arricchisce il generale panorama del diritto dell'insolvenza regolamentando la situazione del debitore civile; dall'altro colma una lacuna interna al tradizionale diritto della crisi d'impresa ampliando il novero dei soggetti economici che possono esservi assoggettati.

Sotto il primo aspetto, dietro una condivisibile preoccupazione per fenomeni resi drammatici dalla crisi economica, la legge colma un vuoto storico accusato dal diritto italiano dell'insolvenza rispetto a Paesi di civiltà giuridica affine (valga per tutti l'esempio della Germania), e chiude il dibattito che a fine Ottocento si accese sulla estensione della disciplina del fallimento al debitore civile, e che culminò nel saggio di Vivante in cui si difende il fallimento civile, poi inserito in appendice (e quale unico contributo in cui si dice del fallimento) nel Trattato di diritto commerciale (cfr., nella seconda edizione dell'opera, il vol. I, Torino, 1902, 341). Benché la proposta si alimentasse dalla fiducia sulla vocazione espansiva del diritto commerciale, secondo un moto d'opinione che premeva per la unificazione del diritto privato, non convinse il legislatore, che pure realizzò per il resto l'epocale “commercializzazione del diritto privato” nel codice civile in vigore. La riforma fallimentare ha confermato la differenza di trattamento legale tra insolvenza civile e insolvenza commerciale, ribadendo la tradizionale limitazione della disciplina concorsuale agli imprenditori oggi superata dalla

legge n. 3 del 2012

.

La quale, per altro verso, colma un vuoto storico nel panorama interno delle discipline sulla crisi d'impresa, nel quale si rinvengono procedure di insolvenza soltanto per una precisa categoria di operatori economici: gli imprenditori alla guida di imprese commerciali di dimensioni non piccole.

Infatti, il diritto della crisi d'impresa era finora riservato agli imprenditori di imprese contrassegnate da limiti dimensionali minimi (

art.

1 l

.

f

all

.), permanendo peraltro in vigore l'esenzione dal fallimento dei piccoli imprenditori stabilita nell'

art. 2221 c.c.

(quale esclusione fondata non su di un criterio quantitativo, quale quello concernente le soglie dimensionali, ma sul criterio qualitativo stabilito nell'

art. 2083 c.c.

).

Per la nuova procedura anche gli imprenditori commerciali di modeste dimensioni, gli imprenditori non commerciali e gli operatori economici non imprenditoriali (come i professionisti) possono fruire di una procedura di insolvenza.

Un termine fuorviante: l'“accordo”

Un primo rimedio è dato dall'“accordo di ristrutturazione dei debiti” intercorrente tra il sovraindebitato e i suoi creditori; funzione di detto accordo è infatti la risoluzione del problema costituito dal sovraindebitamento.

Fin qui, la novità potrebbe apparire modesta, soprattutto riflettendo che contratti del genere sono ampiamente ammissibili e anche copiosamente praticati sin dal diritto classico. Nella disciplina generale dei contratti, mentre gli

artt.

1321

e

1322 c.c.

non pongono limiti all'esercizio dell'autonomia privata svolto nella preoccupazione di gestire situazioni di insolvenza, quest'ultima trova considerazione quale fattore di rischio debitamente considerato dalle norme dedicate, ma non determinante in nessun caso la invalidità del contratto (cfr., per es.,

artt. 1186,

1274,

1299,

1313,

1461,

1626,

1715,

1764,

1833,

1868,

1910,

1943,

1947,

1953,

1959 c.c.

).

La disciplina in esame, però, si spinge ben oltre: offrendo un rimedio molto più complesso di un semplice accordo, e di cui l'accordo appare essere soltanto una componente. Questo rimedio è nella procedura di composizione della crisi, che è la procedura secondo la quale l'accordo deve essere concluso.

Cosicché l'accordo del sovraindebitato con i suoi creditori, ragionevolmente finalizzato al superamento della situazione da sovraindebitamento, conferma questa finalità dovendo essere condotto secondo una procedura stabilita, appunto, per la composizione della “crisi”. Ma quanto veramente conta non è la finalità, bensì lo strumento. L'accordo per superare il sovraindebitamento deve essere condotto secondo una precisa procedura legale.

Per apprezzare la portata della novità dobbiamo riflettere che la regola costitutiva del contratto si esaurisce, essenzialmente, nel consenso. Per aversi un contratto occorre – è necessario, ma anche sufficiente - raggiungere un accordo; ed è tale la forza concettuale del consenso da riassorbire in sé l'idea stessa del suo prodotto, e cioè il contratto (cfr., per es., G. B. Ferri

, La nozione di contratto, in Trattato Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, Torino, 20082, I, 14, nota 56).

La legge può attardarsi sulle condizioni, sulle circostanze e sulle modalità del consenso; può disporre forme particolari, e attribuire significato a fatti altrimenti equivoci, tirando fuori il consenso anche da un silenzio sufficientemente eloquente. Ma, oltre a tutto questo, non si va. In particolare, la legge non si preoccupa di proceduralizzare la fase di formazione dell'accordo e tantomeno di assoggettare questo delicato momento a controllo giudiziario.

E invece, proprio così sembra accadere nel nostro caso: dove debitore con eccesso di debiti e creditori si accorderebbero (ossia concluderebbero contratti) per superare il sovraindebitamento secondo una procedura di “raggiungimento” dell'accordo (cfr. la rubrica dell'articolo 11, dove il termine spurio di “”raggiungimento” chiaramente allude alla procedimentalizzazione della “conclusione” dell'accordo); procedura affidata al controllo giudiziario e fondata anche sull'apporto di organismi di sostegno.

Al cosiddetto “organismo di composizione della crisi”, è infatti attribuito il generale e pervasivo compito di assumere “ogni opportuna iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e alla buona riuscita dello stesso” (art. 15, comma 5).

Ecco allora la grande novità foriera, inevitabilmente, del dubbio. Contempliamo regole su un esercizio dell'autonomia privata assistito da pubblici poteri: amministrativo e giudiziario.

Ciò, tuttavia, è quanto in qualche misura avviene in determinate procedure concorsuali (i concordati: cfr. Gentili

, Autonomia assistita ed effetti ultra vires nell'accettazione del concordato, in Giur. comm., 2007, II, 350); ma non anche nei contratti sulla crisi di impresa, pur disciplinati in quanto tali e pur suscettibili di un qualche controllo giudiziario (come accade per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, assoggettati una volta raggiunti a omologazione del tribunale).

E difficili da superare sarebbero le perplessità innescate da un contratto che, con una terminologia ottocentesca, potrebbe appropriatamente definirsi come “giudiziale”: in quanto concluso nel processo e davanti al giudice (come accade per la conciliazione giudiziale, nella quale l'esercizio dell'autonomia privata deve svolgersi secondo regole processuali e porta alla estinzione del processo; di modo che questa figura si declina concettualmente come procedimento: cfr. Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 1201). Infatti la inedita figura, pur espressamente qualificata come “accordo”, si trova calata in un procedimento in cui i creditori manifestano la propria volontà.

Sarà allora importante chiarirsi bene le idee sulla portata effettiva della novità, data da un istituto che sembrerebbe trovarsi in bilico tra contratto e procedura di insolvenza: senza nasconderci che il permanere di zone oscure pregiudicherebbe sul nascere una esperienza che potrebbe riservare interessanti sorprese, fornendo ragioni inattese alla riflessione sui concetti fondamentali richiamati dall'esercizio dell'autonomia privata ai fini del superamento dell'insolvenza (basti considerare, soltanto, il rilevante ruolo ricoperto dall'organismo di composizione della crisi, e la sua efficienza a stimolare una profonda rimeditazione, con rilevanti effetti applicativi, su alcune attuali modalità dell'esercizio dell'autonomia negoziale).

Non “accordo di ristrutturazione” ma “procedura deliberativa concorsuale”

Con la recente novellazione la legge sul sovraindebitamento si emancipa alquanto dalle esposte difficoltà. Mentre nella versione iniziale il termine “accordo” possedeva una elevata approssimazione al suo oggetto, invece nella versione attuale esso testimonia una svista (ancorché non semplicemente redazionale, ma concettuale).

E infatti, il nuovo testo dell'art. 11, pur intitolandosi al “raggiungimento dell'accordo” e pur discorrendo di “consenso dei creditori”, stabilisce che ai fini dell'omologazione dell'accordo questo “consenso” – che peraltro può essere prestato anche per silenzio-assenso (come previsto nella

legge fallimentare

per il voto nei concordati) - deve essere raggiunto tra il debitore e i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dell'ammontare dei crediti; precisando significativamente che ai fini del raggiungimento di tale maggioranza non sono computati i creditori garantiti per i quali la proposta prevede l'integrale pagamento, a meno che essi non rinuncino in tutto o in parte alla prelazione.

Inoltre, l'art. 12, comma 3, stabilisce che l'accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori già tali al momento della pubblicazione della proposta ai sensi dell'art. 10, comma 2.

Infine, l'art. 12, comma 2, dispone che i creditori che non hanno aderito all'accordo - e per i quali, come detto, lo stesso è nondimeno vincolante - oltre ai creditori esclusi e a qualunque interessato possono in sede di omologa contestare la convenienza dell'accordo.

Non dovrebbe pertanto occorrere una sforzo di natura anche esegetica (e volto a rinvenire qua e là nell'articolato tracce distoniche con il concetto di accordo: come la possibile suddivisione dei creditori in classi: cfr. art. 7, comma 1) per argomentare l'ovvia conclusione che la legge definisce come “accordo” (contrattuale) una deliberazione (concordataria).

Qualora i creditori esprimessero un consenso in senso proprio, non avrebbe senso distinguere tra creditori chirografari e creditori garantiti. La distinzione vale infatti a porre limiti al trattamento del credito nelle procedure concorsuali deliberative (nel chiaro senso che, risiedendo la garanzia del pagamento nella conversione in denaro dell'oggetto su cui grava la causa di prelazione, il creditore è escluso dalla deliberazione concordataria, la quale conseguentemente non può conformare la sua posizione creditoria). Invece, il problema non si pone nei contratti, essendo rimessa la ristrutturazione del credito non ad una deliberazione maggioritaria, ma al consenso tra debitore e singolo creditore.

La distinzione tra creditori garantiti e creditori chirografari nell'“accordo di ristrutturazione” del sovraindebitato si spiega agevolmente con il fatto che l' “accordo” approvato a maggioranza è efficace non soltanto rispetto ai creditori che lo hanno approvato, ma anche rispetto ai creditori in disaccordo ( i quali possono contestare la convenienza di un “accordo” intercorso tra il debitore e altri creditori); creditori questi ultimi che non sono affatto parti dell'“accordo”, ma che nondimeno ne restano vincolati. Il che è incompatibile con il concetto di contratto (che non produce di norma effetti nei confronti dei terzi se non quando è concluso a beneficio degli stessi: cfr.

art. 1372,

1411 c.c.

) ed è invece tipico della deliberazione maggioritaria, la quale vale non solo per i creditori consenzienti ma anche per i creditori dissenzienti.

“Accordo di ristrutturazione” quale concordato deliberativo e par condicio creditorum

Per quanto esposto, l'esatta qualificazione della fattispecie “accordo di ristrutturazione” del sovraindebitato come procedura concorsuale anziché (e sulla scorta della assimilazione alla figura disciplinata dall'

art. 182-

bis

l.

f

all

.) come contratto sulla crisi d'impresa serve a chiarire che anche in detta procedura - di natura appunto concorsuale - vige la regola della parità di trattamento dei creditori, fatte salve le cause legittime di prelazione (cfr.

art. 2741 c.c.

).

L'applicazione della regola della parità di trattamento è determinata dalle condizioni di legittimazione della deliberazione maggioritaria: che in tanto può vincolare anche i dissenzienti in quanto concerne una proposta di soddisfacimento uguale per tutti (o per tutti i creditori racchiusi in una classe omogenea).

Questa appare essere la ragione decisiva per affermare la natura di procedura concorsuale deliberativa dell'istituto; ma non mancano nemmeno riferimenti testuali in tal senso: come l'art. 9, comma 3-ter sulla sospensione del decorso degli interessi sui crediti “ai soli effetti del concorso”.

In tal senso deve pure accennarsi che la normativa espone episodi di rilevante criticità: come la possibilità, che la legge sembrerebbe concedere, di approvazione della proposta a condizioni diverse da quella in essa prospettate (cfr. art. 11, comma 1).

Accordo di ristrutturazione, piano del consumatore e offerta ai creditori

Prima di discorrere del piano del consumatore, e per scongiurare ogni equivoco in tema di accordi di ristrutturazione, è a tal punto necessaria una precisazione terminologica (e concettuale).

L'istituto “accordo di ristrutturazione”, come ogni istituto contrattuale o deliberativo sulla soluzione della crisi d'impresa (per limitare i riferimenti alla

legge fallimentare

, si considerino i piani attestati, gli accordi di ristrutturazione e i concordati), si compone di due momenti concettuali: l'offerta ai creditori (che può articolari come offerta contrattuale o proposta concordataria) e il piano aziendale su cui tale offerta si basa, e che pure disegna il percorso economico e finanziario progettato per l'adempimento dell'obbligazione scaturente dall'offerta condivisa dai creditori.

Così è anche per il piano del consumatore. Benché la lettera della legge dica del “piano” del consumatore da sottoporre all'esame del tribunale che, in caso di esito positivo, provvede alla omologazione (cfr., per es., artt. 6, 8, 12-bis, 12-ter), in realtà oggetto di omologazione non è il piano ma la proposta di soddisfacimento dei creditori che su quello si basa.

In generale, non deve sfuggire che il piano, quale atto di programmazione finanziaria, ripete una natura non giuridica, ma aziendale: la pianificazione null'altro è che la formalizzazione di una determinata strategia (solitamente, d'impresa). In particolare, nel diritto della crisi d'impresa rileva il piano di superamento della crisi: la strategia di composizione della crisi mediante accordo con alcuni creditori e fatto salvo il regolare pagamento degli estranei è formalizzata nel piano sottostante all'accordo di ristrutturazione; la strategia di composizione della crisi mediante deliberazione della proposta è formalizzata nel piano sottostante al concordato (che non si preoccupa degli estranei e dei dissenzienti per essere cogente per tutti i creditori concorsuali).

Nel caso del consumatore il piano conferma evidentemente la sua natura, pur mostrando una notevole semplificazione contenutistica, non cadendo in questione l'esercizio di un'attività economica professionalmente organizzata.

In ogni caso, attraverso il piano si formalizza pur sempre il percorso adempitivo della offerta che il debitore rivolge ai creditori. Dunque, l'istituto “accordo di ristrutturazione dei debiti” deve intendersi come “accordo fondato su di un piano aziendale”; l'istituto denominato “piano del consumatore” deve intendersi come “offerta del consumatore assoggettabile ad omologazione fondata su un piano adempitivo”.

Il piano del consumatore come concordato coattivo. Il rilievo della regola della par condicio creditorum

Il piano del consumatore è parzialmente accomunato nella disciplina all'accordo di ristrutturazione (cfr. artt. 6, comma 1; 8; 9); se ne discosta tuttavia per non essere ribadita a tal riguardo la regola sul consenso (da intendersi come deliberazione) dei creditori. Per l'omologazione del piano del consumatore è sufficiente la positiva delibazione del tribunale sulla fattibilità dello stesso, mentre i creditori possono soltanto contestare la convenienza del piano omologato (cfr. art. 12-bis).

Come l'“accordo”, anche il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori già tali al momento della pubblicazione della proposta ai sensi dell'art. 12-bis, comma 3 (cfr. art. 12-ter, comma 2).

Questa configurazione normativa corrisponde ad una particolare figura di concordato rinvenibile nel diritto amministrativo della crisi d'impresa: il c.d.concordato coattivo.

Circa la liquidazione coatta amministrativa, le regole generali contenute nella

legge fallimentare

prevedono un particolare schema concordatario, parzialmente costruito sulle regole procedurali del concordato fallimentare (cfr.

art. 214 ss. l.

f

all

.), secondo cui i soggetti legittimati alla presentazione della proposta concordataria devono essere autorizzati al deposito della stessa in tribunale dalla autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione (e che provvede su parere del commissario liquidatore e sentito il comitato di sorveglianza); la proposta è quindi comunicata ai creditori, che non la votano ma possono opporsi alla omologazione del concordato.

Il

d.l

gs. 8 luglio 1999, n. 270

sulla amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi c.d. ‘comune' prevede una soluzione concordataria assimilabile alla precedente (cfr. artt. 78 ss.). Il proponente deve essere autorizzato al deposito della proposta concordataria in tribunale dal Ministero dello s

viluppo

e

conomico (che provvede su parere del commissario straordinario e sentito il comitato di sorveglianza); la proposta è comunicata ai creditori che possono opporsi alla omologazione del concordato secondo lo schema precedentemente illustrato.

In entrambi i casi, poiché non è prevista la fase di approvazione della proposta per deliberazione dei creditori, il concordato ha natura coattiva: se costituisce espressione di autonomia privata del proponente, non costituisce espressione di autonomia dei creditori. Quest'ultimo carattere è decisivo per la ricostruzione sistematica degli istituti, i quali appaiono ontologicamente diversi dai concordati assoggettati a deliberazione. Mentre questi sono approvati dai creditori, invece quelli sono in effetti approvati, per omologazione, dal tribunale.

La giustificazione di questa peculiare configurazione, già presente nelle vecchie discipline della liquidazione coatta, è stata agevolmente individuata nella tutela dell'interesse pubblico a cui presiede la disciplina legale; e dunque nell'esigenza di evitare che la deliberazione negativa dei creditori vanifichi una proposta autorizzata dal potere amministrativo e perciò ritenuta conforme all'interesse pubblico.

Questa giustificazione, assolutamente ragionevole sotto il profilo teleologico, non favorendo in nessun modo l'inquadramento della figura nello schema generale e conosciuto del concordato, schema imperniato sulla deliberazione dei creditori, induce l'idea che il concordato coattivo non sia altro che una procedura avviata da un'istanza esecutiva e definita da un provvedimento giudiziario pur esso esecutivo.

Tali conclusioni sono riferibili anche alla procedura imperniata sul piano del consumatore, imperativamente costruita in vista della realizzazione dell'interesse, di ordine pubblico economico, alla definizione ragionevole della situazione di sovraindebitamento di coloro che non svolgono un'attività economica.

La qualificazione del piano del consumatore come concordato coattivo implica la natura concorsuale della procedura e dunque il rilievo della regola generale della par condicio creditorum, secondo quanto già esposto in tema di “accordi”.

Procedura concorsuale di liquidazione

Sia l'accordo di ristrutturazione che il piano del consumatore possono articolarsi non solo nel senso della ristrutturazione del debito intesa in senso proprio e stretto, ma anche nel senso della liquidazione del patrimonio del debitore (cfr. art. 6). In tali casi la modalità liquidatoria è oggetto di esercizio dell'autonomia negoziale (di debitore e creditori nell'accordo; del solo consumatore proponente nel piano, infatti non deliberato dai creditori).

Nella diversa fattispecie della procedura (concorsuale) di liquidazione, invece, questa modalità di composizione della crisi da sovraindebitamento prescinde dall'esercizio dell'autonomia negoziale.

Una prima ipotesi è disciplinata dall'art. 14-ter, e concerne la procedura di liquidazione aperta su domanda del debitore.

Una seconda ipotesi è disciplinata dall'art. 14-

quater

, e concerne la procedura di liquidazione aperta d'ufficio in seguito alla conversione della procedura di composizione (della crisi da sovraindebitamento) nei casi tassativi dell'annullamento dell'accordo o di cessazione degli effetti dell'omologazione per inadempimento nei confronti delle amministrazioni pubbliche; o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore per compimento di atti in frode ai creditori; o di risoluzione dell'accordo per fatto imputabile al debitore; o infine di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore per inadempimento imputabile degli obblighi derivanti dal piano (più correttamente: dall'offerta adempitiva veicolata dal piano).

La procedura è strutturata sullo schema del fallimento: svolgendosi nelle fasi dell'apertura (con nomina del liquidatore da parte del tribunale: cfr. art. 14-

quinquies

); dell'inventario dei beni (art. 14-sexies); della formazione dello stato passivo (artt. 14-septies; 14-octies); della liquidazione (art. 14-novies ss.); e prevedendosi anche un subprocedimento sulla esdebitazione del debitore meritevole del beneficio (art. 14-terdecies).

Singolarmente manca una regolamentazione del riparto, che evidentemente costituisce comunque atto necessario e (quando redatto nella forma del riparto finale) anche sostanzialmente conclusivo della procedura (comunque destinata a rimanere aperta in ogni caso ai sensi dell'art. 14-quinquies, comma 4).

Infine, circa la (evidente) natura concorsuale della liquidazione - quale procedura esecutiva nell'interesse dei creditori, il cui decreto di apertura è equiparato all'atto di pignoramento (cfr. art. 14-quinquies, comma 3) - può essere interessante ricordare anche il riferimento testuale in tal senso contenuto nell'art. 14-ter, comma 7, sulla sospensione del decorso degli interessi sui crediti “ai soli effetti del concorso”.

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