Gli effetti sui rapporti pendenti del concordato preventivo, dell'esercizio provvisorio e dell'affitto di azienda del fallito

26 Gennaio 2012

L'Autore constata come la disciplina generale prevista per i contratti pendenti al momento dell'apertura del concorso dei creditori non sia applicabile alle ipotesi in cui il fallimento sia accompagnato dall'esercizio provvisorio dell'impresa o dall'affitto dell'azienda; esamina quindi le norme applicabili di questi ultimi casi e affronta i possibili, conseguenti problemi pratici. Muovendo dalla stessa premessa dell'inapplicabilità della normativa di cui agli artt.72 e segg. l. fall., esamina il rapporto tra contratti pendenti e concordato preventivo, evidenziando i profili problematici derivanti dalla mancanza di alcuna previsione normativa.

Premessa: l'inapplicabilità della disciplina di cui all'art. 72, comma 1, l. fall.

Il principio generale dettato dall'art. 72, comma 1, l. fall., implicante la sospensione dell'esecuzione del contratto pendente in attesa che il curatore opti tra l'ipotesi dello scioglimento e quella del subentro, ha un'applicazione limitata alla procedura concorsuale del fallimento accompagnato dalla cessazione dell'attività d'impresa.

Analogo discorso deve essere fatto per le norme che vanno dall'art. 72-bis all'art.83 l. fall., le quali tutte sono il portato della cessazione dell'attività d'impresa che di regola precede o accompagna la dichiarazione di fallimento, con la conseguente inevitabile disgregazione dell'azienda.

Nelle diverse ipotesi in cui la vitalità del complesso aziendale possa essere preservato, con l'esercizio provvisorio o con la conclusione di un contratto di affitto d'azienda, o nel caso in cui il debitore in crisi chieda ed ottenga l'apertura della procedura concorsuale del concordato preventivo, il problema della sorte dei contratti pendenti al momento dell'apertura del concorso dei creditori trova soluzioni diverse, ma in ogni caso disancorate dalla disciplina dettata dagliartt. 72 e segg. l. fall

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L'esercizio provvisorio, l'affitto d'azienda e i rapporti pendenti

L'impresa del fallito mantiene vitalità in primo luogo con lo strumento giuridico dell'esercizio provvisorio, che può essere autorizzato dal tribunale con la sentenza di fallimento, dal giudice delegato nel periodo compreso tra il fallimento e la predisposizione del programma di liquidazione, infine dal comitato dei creditori con l'approvazione del programma previsto dall'art. 104 ter l. fall.

L'altra modalità idonea conservare l'impresa del fallito è la conclusione da parte del curatore, a ciò autorizzato dal giudice delegato, di uncontratto di affitto d'azienda (art. 104-bis l. fall.).

La disciplina di cui all'art. 104, comma 7, l. fall., dettata per l'ipotesi di esercizio provvisorio dell'impresa del fallito, secondo cui “i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l'esecuzione o scioglierli”, integra un'inversione concettuale della regola dettata per l'ipotesi in cui il fallimento sia accompagnato dalla cessazione dell'attività d'impresa.

La prosecuzione del contratto pendente diviene la regola e lo scioglimento l'eccezione, fermo restando che è sempre il curatore a decidere quali siano i rapporti pendenti la cui prosecuzione possa essere funzionale ad una proficua prosecuzione del ciclo produttivo e commerciale, e quindi all'interesse della massa dei creditori.

Il principio per cui la prosecuzione dell'attività d'impresa si accompagna, di regola, alla prosecuzione dei contratti in corso di esecuzione, salva decisione contraria dell'organo gestorio, è previsto anche dalla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (F. FIMMANÒ, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in Fallimento, 2006, 1052)

e risponde, oltre che al principio della inscindibilità dall'azienda dei contratti conclusi nell'esercizio dell'impresa, ad un'esigenza che nasce dall'applicazione di regole di pura logica imprenditoriale.

Quando vi sia uno iato tra il fallimento e la ripresa dell'operatività del complesso aziendale, il che si verifica nell'ipotesi dell'esercizio provvisorio disposto in un momento successivo al deposito della sentenza di fallimento, nonché nel caso del contratto di affitto d'azienda concluso dal curatore, si pone il problema del rapporto tra la disciplina di cui all'art. 72, comma 1, certamente applicabile sino al momento in cui si ripristina l'operatività dell'azienda, e quella di cui all'art. 104, comma 7, dettata per l'esercizio provvisorio e di cui agli artt. 2558 2112 c.c. applicabile per il caso di affitto.

Se la nuova operatività dell'azienda consegue all'esercizio provvisorio disposto a distanza di un significativo lasso di tempo dalla sentenza di fallimento, la norma generale sulla sospensione dell'esecuzione dovrà applicarsi sino al momento in cui verrà disposto l'esercizio provvisorio, momento in cui la sospensione verrà a cessare.

Sarà quindi cura del curatore non esercitare l'opzione prevista dall'art. 72, comma 1, l. fall., in attesa dell'esercizio provvisorio, da cui deriverà l'automatica prosecuzione dei contratti.

Tale automatica prosecuzione, peraltro, non potrà che retroagire, con efficacia ex tunc, garantendo quindi il diritto della controparte ad aver l'integrale adempimento delle obbligazioni della massa, per tutto il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento.

Naturalmente nulla impedisce che la valutazione di inutilità della prosecuzione del contratto possa venire anticipata dal curatore, rispetto al momento in cui l'esercizio verrà disposto, così come nulla osta a che il curatore subentri immediatamente, e quindi senza attendere l'esercizio provvisorio, in quei contratti funzionali all'interesse della massa.

Può comunque affermarsi che il rapporto tra la sospensione prevista dall'art. 72, comma 1, l. fall. e la disciplina dettata per le ipotesi di esercizio provvisoriosia in concreto poco problematico, posto che il legislatore ha conciliato il principio generale della sospensione con le esigenze connesse alla prosecuzione dell'impresa, attenuando il principio giurisprudenziale che, prima della riforma della disciplina delle procedure concorsuali, escludeva che il curatore potesse sciogliersi da alcun contratto, quanto fosse stato autorizzato l'esercizio provvisorio (F. FIMMANÒ, Commento all'art. 104 l. fall., in A. Jorio-M. Fabiani (a cura di) Il nuovo diritto fallimentare, Bologna,2007, 1612).

Il curatore ha oggi, quindi, potere decisionale pieno in ordine al subentro o meno nei contratti, divergendo soltanto la regola generale sulla quale si innesta la sua scelta: sospensione della esecuzione nel caso di fallimento senza esercizio provvisorio; prosecuzione dell'esecuzione nel caso di fallimento accompagnato dall'esercizio provvisorio.

Piuttosto, può esservi il caso in cui la scelta del curatore di subentrare nell'esecuzione di alcuni contratti ponga il concreto problema di unesercizio provvisorio implicito, derivante dal sol fatto che contratto è proseguito.

Sotto questo profilo va considerata emblematical'ipotesi del contratto di appalto, per cui l'art. 81 l. fall. prevede lo scioglimento automatico, salva la possibilità della curatela di subentrare nel rapporto.

Coerentemente con l'impostazione che subordina l'operatività della disciplina generale di cui agli artt. 72 e segg. al fallimento accompagnato dalla cessazione dell'attività d'impresa, l'art. 104, ultimo comma, prevede che sia al momento di cessazione dell'esercizio provvisorio che i rapporti pendenti vengano sospesi, in attesa che la curatela opti per scioglimento o prosecuzione.

Con tale norma il legislatore disciplina la sorte dei contratti che non siano ancora stati adempiuti al momento della cessazione dell'esercizio provvisorio, peraltro trascurando, o forse ritenendo

irrilevante, il problema derivante dal fatto che in quei contratti si è realizzato il subentro del curatore nella posizione contrattuale del fallito.

Qualora l'operatività dell'azienda del fallito dipenda invece dalla conclusione di un contratto d'affitto, ai rapporti contrattuali pendenti andranno applicate le norme generali dettate dagli artt. 2558, comma 3, e 2212 c.c.(ci si riferisce ovviamente all'affitto cd. endofallimentare e non a quello preesistente alla dichiarazione di fallimento, espressamente disciplinato dall'art. 79 l. fall.).

L'affittuario subentrerà pertanto nei contratti conclusi nell'esercizio dell'azienda, purché si tratti di contratti di natura non personale e non completamente eseguiti da entrambe le parti.

I rapporti di lavoro continuano con l'affittuario e i lavoratori conservano tutti i loro diritti, nei confronti dell'affittante come dell'affittuario.

Il principio, anch'esso derivante dal già visto principio dell'inscindibilità dall'azienda dei contratti pendentiad essa inerenti, comporta che l'affittuario non assuma, al momento della conclusione del contratto d'affitto, alcun potere di scioglimento o proseguimento nei rapporti pendenti, potere che il invece il curatore-locatore aveva prima di concludere il contratto d'affitto.

Anche in tali casi, peraltro, sarà nelle prerogative del curatore, oltre che nel suo interesse, sciogliersi dai contratti pendenti non inerenti al ramo oggetto del futuro affitto o non utili ai fini del funzionamento dell'azienda, e le trattative finalizzate alla conclusione del contratto potranno, ed in una certa misura dovranno, necessariamente, tener conto anche di ciò.

Dopo la conclusione del contratto d'affitto, il curatore mantiene un potere di controllo sulla gestione dell'azienda affittata, secondo quanto previsto dall'art. 1619 c.c., oltre ad un potere di risoluzione del contratto per le ragioni indicate dall'art. 1618 c.c., tra le quali ragioni rientra certamente anche una corretta gestione, da parte dell'affittuario, dei rapporti giuridici pendenti al momento della conclusione dell'affitto (F. CENSONI, La sorte dei rapporti pendenti nel fallimento nel caso di affitto d'azienda, in Giur. Comm., I, 2003, 342).

Il concordato preventivo e i rapporti pendenti

La più importante delle ipotesi in discorso, tutte caratterizzate dall'impossibilità di applicare la disciplina generale di cui agli artt. 72 e segg. l. fall., è certamente quella del concordato preventivo.

In termini strettamente giuridici, l'ammissione dell'imprenditore al concordato preventivo è evento del tutto irrilevante per i contratti già conclusi dal debitore che siano pendenti nel momento di apertura della procedura.

Non è un caso che nella disciplina del concordato manchi riferimento alcuno alla normativa in parola, di cui ovviamente non è ipotizzabile alcuna forma di applicazione analogica, proprio per la radicale diversità degli effetti dell'apertura del fallimento e del concordato preventivo sul patrimonio del debitore (A. IORIO, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo, Padova 1973; F. CENSONI, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici preesistenti, Milano, 1988).

Manca, nel concordato, quell'effetto di spossessamento che caratterizza invece il fallimento: l'imprenditore mantiene la disponibilità e l'amministrazione del proprio patrimonio e l'esercizio dell'impresa, sia pure con i limiti di cui all'art. 167 l. fall.

Tali limiti non comportano affatto una sostituzione soggettiva, da parte degli organi della procedura, dell'imprenditore in crisi (A. DE MARTINI, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, Milano, 1956, 69 e segg.); e ciò a maggior ragione oggi, che è venuto meno il potere direttivo del giudice delegato e l'amministrazione del patrimonio da parte del debitore risulta quindi subordinata esclusivamente al controllo del commissario giudiziale (Contra, nel senso cioè di ritenere possibile l'applicazione analogica: R. PROVINCIALI, Effetto del concordato preventivo sui rapporti giuridici pendenti e in tema di compensazione, in Dir. Fall., II, 934 e segg.; C. PAOLILLO, L'amministrazione controllata e i rapporti giuridici pendenti, in Banca, borsa e titoli di credito, II, 321).

E' certamente più problematico stabilire se sia possibile un'applicazione in via analogica delle norme in esame nell'ipotesi in cui il concordato maggiormente si avvicina alla procedura del fallimento, quella del concordato caratterizzato dalla cessione di tutti i beni del debitore ai creditori, ipotesi che certamente determina, al momento dell'omologazione, un effetto di spossessamento (F. FIMMANÒ, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in Fallimento, 2006, 1053).

Valorizzando il fatto che l'art. 182 l. fall., nella versione da ultimo scaturita dal decreto cd. correttivo n. 169 del 2007, enumera le norme del fallimento applicabili alla liquidazione, ma non comprende in esse gli

artt. 72 e segg. l. fall., si giungerebbe alla conclusione secondo cui dopo l'omologazione il liquidatore non avrebbe la facoltà di sciogliere o proseguire i rapporti giuridici pendenti.

Tuttavia la valutazione degli effetti di spossessamento che conseguono all'omologazione sembra lasciare aperto uno spiraglio per la tesi contraria.

Neppure sembra potersi ritenere applicabile, sempre in via analogica, la norma di cui all'art. 104, comma 7, l. fall ., dettata per il caso del fallimento con esercizio provvisorio, che ammette lo scioglimento dei contratti pendenti quale eccezione alla regola del proseguimento.

Tale norma è un'eccezione alla regola generale della prosecuzione dei rapporti per il caso di prosecuzione dell'attività d'impresa, e potrebbe sostenersene l'applicazione nei concordati di natura conservativa, a loro volta caratterizzati dalla prosecuzione dell'impresa.

Tuttavia essa trova giustificazione nell'imputazione dei risultati dell'esercizio provvisorio alla massa dei creditori (F. FIMMANÒ, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in Fallimento, 2006, 1052), imputazione alla massa che nel concordato non c'è.

Va inoltre evidenziato come l'inapplicabilità al concordato delle norme in parola sia generalizzata, inerendo non solo alla regola di cui al primo comma dell'art. 72 l. fall., ma a tutte le norme dettate per la sorte dei singoli contratti, naturalmente ove tali norme integrino una deroga ai principi generali del diritto delle obbligazioni contrattuali (S. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Padova, 2008, 100).

Per esempio, il credito del somministranteper le prestazioniante-concordato può essere assoggettato alla falcidia concordataria e non pagato integralmente, come invece obbligatoriamente previsto, per il caso di prosecuzione del rapporto nell'ambito del fallimento, dall'art. 74, comma 2, l. fall.

Parimenti, i crediti per il pagamento dei premi assicurativi maturati prima dell'apertura del concordato possono essere pagati in percentuale, quando invece nel fallimento, se il curatore subentra, devono essere pagati interamente, secondo quanto previsto dall'art. 82, comma 2, l. fall.

In generale, infatti, è sostenibile che le obbligazioni scaturite da un contratto in corso di esecuzione al momento dell'apertura del concordato siano scindibili, con conseguente assoggettabilità alle regole del concorso di quelle precedenti all'ammissione ex art. 160 e adempimento integrale di quelle maturate successivamente (B. PAGAMICI, Riflessi del concordato preventivo sui rapporti contrattuali pendenti, in Fallimento & Crisi d'impresa, 2008, III, 262)

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Pur muovendo dalla premessa secondo cui l'apertura del concordato non comporta lo scioglimento automatico di alcun contratto, né tanto meno alcuna sospensione della sua esecuzione, né infine una prosecuzione generalizzata che ammette in via eccezionale lo scioglimento, sulla base delle determinazioni degli organi della procedura, va tuttavia evidenziato che l'apertura del concordatonon può essere affatto considerato un momento privo di rilievo, con riguardo ai rapporti pendenti.

Sotto il profilo civilistico, se consideriamo che il presupposto della procedura è la crisi, che nella maggior parte dei casi coincide con l'insolvenza ma che comunque sempre porta con sé il pericolo che la controprestazione contrattuale non sia conseguibile dalla controparte in bonis, non v'è dubbio che quest'ultima possa sospendere l'esecuzione della sua prestazione e che quindi dal decreto di apertura discenda la possibilità di applicare il disposto di cui all'art. 1461 c.c.

Ma a parte ciò, spostando il discorso su un piano più squisitamente pratico, la procedura concordataria può, in una certa misura deve, determinare l'improseguibilitàdel rapporto nei casi in cui essa non sia considerata funzionale agli interessi della massa dei creditori.

Sotto questo aspetto, va rilevato che il piano concordatario, negli svariati contenuti che può assumere, deve necessariamente determinare quali siano i contratti ancora pendenti coerenti con la realizzazione della proposta concordataria, e per il caso in cui da alcuni di essi sia necessario recedere unilateralmente, definire le modalità del recesso.

Nell'ipotesi in cui non venga raggiunto un accordo con il contraente in bonis, diretto ad ottenere una risoluzione consensuale, si potrebbe comunque optare per un inadempimento foriero di responsabilità ove gli svantaggi, in termini di obbligazioni risarcitorie, siano inferiori rispetto agli svantaggi derivanti dalla prosecuzione del rapporto.

Va naturalmente tenuto in conto che anche i debiti da inadempimento, ove maturati prima del deposito della domanda, sono assoggettabili alla falcidia, in misura e secondo le modalità stabilite nel piano.

Il recesso dal contratto pendente può altresì dipendere dall'autorizzazione,ex art. 167 l. fall., da parte del giudice delegato, previa qualificazione del recesso quale atto di amministrazione straordinaria.

In tal caso dall'inadempimento derivano tuttavia tutte le conseguenze di legge, con conseguente nascita di obblighi risarcitori del debitore in concordato, opponibili alla massa dei creditori concorsuali per l'esistenza dell'autorizzazione del giudice delegato, obblighi cui corrispondono diritti di credito prededucibili, e ciò anche per il caso in cui al concordato dovesse conseguire il fallimento.

Naturalmente, in attesa che il giudice autorizzi l'inadempimento o che l'inadempimento venga posto in essere dal debitore in applicazione del piano concordatario, non è in alcun modo ipotizzabile che vi sia una sospensione degli effetti del contratto, dal momento che la sospensione è una categoria del tutto incompatibile con la logica ed i principi generali del concordato (F. FIMMANÒ, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in Fallimento, 2006, 1055).

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