Speciale Decreto Sviluppo-Bis - La nuova disciplina del sovraindebitamento dopo il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179

Luciano Panzani
12 Dicembre 2012

La disciplina del sovraindebitamento del debitore c.d. civile pone rimedio ad una rilevante lacuna della legislazione dell'insolvenza e colma il ritardo dell'Italia in questo campo rispetto ai principali Paesi. Sono previste procedure a carattere concordatario fondate sull'accordo tra debitore e creditori, omologato dal Tribunale, ovvero riservate al consumatore persona fisica, all'esito di un giudizio di meritevolezza e fattibilità. Alternativa a tali soluzioni è la liquidazione dei beni, che si apre di regola a domanda del debitore, e che è modellata sulla disciplina del fallimento. Essa costituisce condizione per accedere all'esdebitazione. Non mancano peraltro le criticità, cui forse porrà parziale rimedio l'emananda legge di conversione del d.l. 179/2012.
Il nuovo istituto del sovraindebitamento

Nell'arco di meno di due anni il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del sovraindebitamento del debitore non soggetto a fallimento (

d.l.

22.1

2

. 2011, n. 212

), l'ha profondamente modificato con la legge Centaro (

legge 3/2012

) ed è nuovamente intervenuto sulla materia, mutandone l'assetto con il

d.l.

179/2012

(c.d. Decreto Sviluppo-bis), le cui disposizioni peraltro entreranno il vigore il giorno della conversione in legge.

Ve n'è abbastanza per lasciare l'interprete sgomento. Eppure si tratta di una riforma della cui necessità non si può dubitare, posto che la maggior parte dei Paesi si è dotata di una legislazione di questo tipo, che le raccomandazioni della Banca Mondiale erano in questo senso e che in Europa anche la Grecia, in genere fanalino di coda, aveva provveduto. Del resto si trattava di porre rimedio ad una lacuna del nostro sistema legislativo derivante dalla riforma delle procedure concorsuali intervenuta tra il 2005 ed il 2006, le cui successive modifiche non hanno inciso sui tratti fondamentali della disciplina del fallimento.

La riforma ha eliminato gli aspetti sanzionatori nei confronti del fallito che erano previsti dalla

legge fallimentare

del 1942, ed ha contestualmente previsto a favore del fallito persona fisica l'esdebitazione (

art. 142 e ss. l.

fall

.). Si riconosce al fallito persona fisica, a seguito della conclusione della procedura di fallimento, il diritto a veder cancellati i debiti non soddisfatti attraverso la liquidazione dell'attivo attuata nell'ambito della procedura concorsuale, nella consapevolezza che è ben difficile che questi, chiuso il fallimento e soddisfatti i creditori nei limiti possibili attraverso la liquidazione fallimentare, possa altrimenti liberarsi dei debiti residui. Si consente così al fallito il fresh start, la possibilità cioè di ripartire da zero, iniziando una nuova attività commerciale, operazione altrimenti impossibile proprio per il peso dei debiti pregressi (Panzani, L.,

Della Esdebitazione, in Il nuovo diritto fallimentare a cura di A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2007, 2096 e ss). La riforma non ha previsto l'estensione del fallimento, sia pure a domanda, all'insolvente civile. Il legislatore ha legato l'esdebitazione al fallimento. L'esclusione delle società non determina conseguenze particolarmente rilevanti perché da un lato per le società di capitali, per la loro stessa natura, è escluso ogni effetto dell'insolvenza sul patrimonio dei soci. Dall'altro le società di persone non sono ammesse all'esdebitazione, ma è possibile ritenere che del beneficio possano godere i soci illimitatamente responsabili dichiarati falliti, quando siano persone fisiche.Oltre alle società sono sottratti al beneficio non soltanto l'insolvente civile, ma anche tutti coloro che, pur essendo imprenditori, sono esclusi dal fallimento perché imprenditori agricoli o piccoli imprenditori (

Guiotto, A.,

La nuova procedura per l'insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fall., 2012, 21 e ss.;

De Gioia Carabellese, P.,

Le insolvenze civili e commerciali nel Regno Unito in un'analisi comparata con la legislazione italiana, in Dir.fall., 2011, I, 529 e ss). Il legislatore ha sensibilmente innalzato la soglia minima per accedere al fallimento, escludendone un ampio novero di imprese (cfr. il nuovo

art. 1 l.

fall

.). Ne deriva che una larga parte di debitori non può beneficiare dell'esdebitazione, pur avendo interesse a mettere a disposizione dei creditori l'intero patrimonio per liberarsi dei debiti accumulati. Questi debitori rimangono soggetti all'esecuzione individuale, che, nonostante le recenti riforme, è inefficiente in termini di realizzo e di soddisfacimento dei creditori. Prima dell'introduzione della disciplina del sovraindebitamento mancava una procedura che consentisse al debitore di raggiungere un accordo con i propri creditori deflazionando il numero delle procedure esecutive, mobiliari ed immobiliari, che ingolfano i nostri tribunali, spesso senza reali vantaggi in termini di recupero del credito da parte dei creditori.

Il

D.L. 22 dicembre 2011, n. 212

, aveva previsto soltanto un accordo tra il debitore civile, che poteva essere anche l'imprenditore commerciale sotto soglia o l'imprenditore agricolo, ed i creditori, sul modello dell'accordo di ristrutturazione

ex art. 182-

bis

l.fall

., omologato dal tribunale che decideva sulle opposizioni dei creditori e poteva adottare provvedimenti sospensivi delle azioni esecutive. Poiché l'accordo non era obbligatorio per tutti i creditori, ma soltanto per quelli che aderivano, i creditori estranei dovevano essere pagati integralmente ed alle scadenze precedentemente pattuite. Per il debitore consumatore era stabilita una percentuale più favorevole e costi minori. Il motore dell'intera procedura era l'organismo di composizione della crisi (O.C.C.), che doveva assistere il debitore, investire i creditori della proposta, raccoglierne i consensi, riferire al giudice sull'esito della votazione, vigilare sull'esecuzione dell'accordo. Si stabiliva anche che tale organismo fosse un soggetto pubblico.

I dubbi sull'effettiva capacità di funzionare della nuova disciplina avevano spinto il Governo a predisporre, in sede di conversione del d.l

., un corposo emendamento che introduceva anche una procedura liquidatoria e prevedeva, all'esito della stessa, l'esdebitazione. Tuttavia il Parlamento aveva preferito rimuovere dal testo della legge di conversione tutte le norme che riguardavano la materia del sovraindebitamento, non dando così corso all'emendamento, per approvare invece la

legge 27 gennaio 2012, n. 3

(la c.d. legge Centaro dal nome del suo principale proponente), che conteneva anche norme in materia di usura ed estorsione. La mancata approvazione dell'emendamento e la cassazione di tutte le norme sul sovraindebitamento contenute nel

d.l

. 212/2011

non sono dipese da un giudizio negativo sul contenuto delle stesse. Il Parlamento ha in sostanza ritenuto che l'iniziativa del Governo di varare un decreto legge su materia sulla quale stava per essere approvato un testo nato in Parlamento, quello appunto sfociato nella legge ora citata, fosse inopportuna e, nel convertire il decreto, ne ha espunto tutte le norme che si riferivano alla materia del sovraindebitamento, travolgendo anche quelle che riguardavano la procedura di liquidazione e l'esdebitazione, temi sui quali la

legge 3/2012

taceva.

Il

d.l.

18.10.

2012, n. 179

, ancora in fase di conversione al momento in cui sono state redatte queste note, ha in gran parte ripristinato il contenuto dell'emendamento governativo, confermando l'istituto dell'accordo previsto dalla

legge 3/2012

, prevedendo peraltro per l'approvazione una maggioranza inferiore (60%) ed introducendo in sede di votazione la regola del silenzio-assenso. Soprattutto al di là del nomen iuris, è cambiata la natura dell'istituto che ha oggi i tratti del concordato, obbligatorio per tutti i creditori, sì che non vi sono più creditori estranei.

Il d.l.

ha inoltre stabilito regole parzialmente diverse per il caso in cui la proposta di accordo sia presentata da un consumatore, escludendo per tale ipotesi la necessità di un voto dei creditori e legando invece l'omologazione alla valutazione del tribunale in ordine alla fattibilità della proposta ed alla meritevolezza della condotta d'indebitamento del consumatore, così rafforzando il ruolo del giudice. Ha poi introdotto, come era stato da molti richiesto, l'autonoma procedura liquidatoria alternativa all'accordo, all'esito della quale può essere richiesta l'esdebitazione.

Nelle pagine che seguono si cercherà di dare conto della disciplina dei vari istituti ora previsti dal legislatore. Anticipando una valutazione complessiva va osservato anzitutto che è stata profondamente alterata la natura degli organismi di composizione della crisi. Non soltanto tali soggetti, che continuano a svolgere il ruolo fondamentale cui si è accennato, possono essere anche soggetti privati, ma si è previsto che anche tutti coloro che hanno i requisiti per svolgere le funzioni di curatore fallimentare, le società tra gli stessi ed i notai possano operare come organismi di composizione della crisi. Quella che nella legge Centaro era un'eccezione introdotta in via transitoria sino al momento in cui fossero stati pienamente efficienti gli O.C.C., diviene la regola generale, perché, come si vedrà meglio in seguito, gli O.C.C. hanno un vizio genetico. I molteplici ruoli che sono chiamati a svolgere rendono inevitabile il conflitto d'interessi, che ora non sarà neppure attenuato dalla possibilità di affidare i vari ruoli all'interno di un ente a persone diverse, intervenendo per mezzo di un regolamento interno sui possibili conflitti.

Va poi detto che l'accordo del debitore non consumatore ha ora finalmente possibilità di funzionare. La disciplina introdotta dalla

legge 3/2012

non aveva infatti trovato applicazione concreta in ragione della percentuale eccessiva di adesioni che era richiesta (70%) e della necessità di pagare integralmente i creditori estranei. Oggi l'obbligatorietà dell'accordo per tutti i creditori e la riduzione della percentuale al 60%, unita al silenzio-assenso fa ritenere che si possano ottenere migliori risultati, anche se la stessa Relazione Governativa al progetto di legge di conversione avverte che tutti i Paesi che si sono dotati di una disciplina analoga a quella in esame (e sono la maggioranza) hanno optato per uno strumento concorsuale con effetti esdebitatori e non di carattere negoziale-transattivo, quale l'accordo.

La previsione di regole speciali per il debitore consumatore, che a differenza del debitore civile in genere non può che essere persona fisica, si fonda sulla necessità di prescindere dal consenso dei creditori. In sede di omologazione del piano proposto dal consumatore il giudice deve soltanto verificarne la fattibilità, decidendo sulle eventuali contestazioni dei creditori, mirate essenzialmente a contestare la convenienza del piano rispetto all'ipotesi liquidatoria, contestazione che nella pratica non sarà frequente tenuto conto che in genere il patrimonio liquidabile sarà modesto. Però poi il legislatore richiede che il giudice in sede di omologazione verifichi l'assenza di colpa del consumatore nella determinazione della situazione di sovraindebitamento, introducendo così un giudizio di meritevolezza il cui esito negativo lascia spazio soltanto alla procedura di liquidazione.

La liquidazione si apre a domanda del debitore, sia esso consumatore o meno, purchè non soggetto ad altre procedure concorsuali. Tuttavia, in una logica sanzionatoria, essa si apre d'ufficio in caso di annullamento o risoluzione delle altre procedure. La disciplina ricalca quella del fallimento. Si svolge davanti al giudice con un liquidatore nominato dal Tribunale, che può essere anche lo stesso O.C.C.; prevede la formazione dello stato passivo che rimane atto del giudice e un programma di liquidazione che è atto del liquidatore; procedure di vendita competitive, previa stima. Comprende tutto il patrimonio del debitore, eccetto quanto necessario per il mantenimento suo e della famiglia, e si estende ai beni sopravvenuti. Deve, incomprensibilmente, avere una durata minima di quattro anni. Il legislatore ha probabilmente voluto assicurare che anche i beni sopravvenuti fossero oggetto di liquidazione e nel contempo evitare un accesso troppo rapido all'esdebitazione.

Vi sono dunque tutte le premesse per l'apertura di un numero eccessivo di procedure aventi ad oggetto patrimoni di nessuna o di modesta capienza, che ingolferanno i tribunali. Sarebbe stato necessario, così come si è disposto per il fallimento, prevedere che non si facesse luogo alla liquidazione, ma direttamente all'esdebitazione, salva la valutazione della meritevolezza, nel caso in cui la liquidazione si prospettasse di nessuno o scarso vantaggio per i creditori. E sarebbe stato opportuno prevedere che essa si svolgesse, come per l'accordo, prevalentemente fuori dal tribunale, chiamato soltanto a dirimere gli eventuali conflitti. In questo modo, invece, c'è da guardare con preoccupazione all'imponente numero di procedimenti che si abbatteranno sulle già provate sezioni fallimentari dei tribunali, senza un immediato vantaggio in termini di riduzione delle procedure esecutive individuali, mobiliari ed immobiliari, che rimangono l'unico strumento a disposizione dei creditori e che, aperta la procedura di liquidazione, rimangono sospese, ma non si estinguono.

L'esdebitazione è ammessa soltanto per il debitore persona fisica. Il legislatore ha continuato a ragionare in una logica premiale, accentuando peraltro il rigore già previsto per l'esdebitazione del fallito. Siamo quindi molto lontani dalla più liberale concezione americana che vede il discharge come un passaggio necessario per assicurare il fresh start, la possibilità di ricominciare daccapo, senza condizionamenti dovuti al passato. Di conseguenza l'accesso è condizionato alla sussistenza di molte condizioni tra cui il parziale pagamento dei creditori; la pregressa cooperazione del debitore con gli organi della procedura; non aver beneficiato dell'esdebitazione negli otto anni precedenti; aver svolto, nei quattro anni di durata della liquidazione, un'attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, aver cercato un'occupazione e non aver rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego; il mancato accesso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle capacità patrimoniali.

Non può essere tralasciata un'ultima osservazione di carattere generale sulla sciatteria della tecnica legislativa adoperata dai compilatori del

d.l.

179/2012

. Abbondano i difetti di coordinamento ed i rinvii a commi inesistenti di articoli che sono stati evidentemente rimaneggiati rispetto ad una stesura precedente. In passato a questi difetti si rimediava prima di licenziare il testo definitivo destinato a diventare legge. Ci si augura che la legge di conversione ponga rimedio.

I requisiti per accedere alle procedure

Le nuove procedure sono riservate all'insolvente civile non fallibile. Per accedere il debitore deve essere o un imprenditore commerciale sotto-soglia ovvero un imprenditore non commerciale o un soggetto che non sia imprenditore (Dimundo, F., A

mmessi allo speciale accordo i soggetti non fallibili, in G.dir.

, 2012, 3

, 31)

. Non vi sono ostacoli anche per l'imprenditore non più fallibile per decorso dell'anno

ex art.

10. l

.

fall

..

Va ricordato che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l'accordo del debitore non consumatore. Nella vigenza del

d.l.

212/2011

avevo osservato (L. Panzani, Composizione della crisi da sovraindebitamento, in Nuovo Dir. Società, 2012, 1, 9 e ss.

) che l'art. 23, comma 43, del

d.l.

6.7.2011,

n. 98

, convertito in

l

. 15.7.2011, n.

111

, ha esteso gli accordi di ristrutturazione e la transazione fiscale agli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza. Tale estensione, a mio avviso, non comportava che tali soggetti non potessero avvalersi della nuova procedura posto che la dottrina pressoché unanime ritiene che gli accordi di ristrutturazione non siano una procedura concorsuale, mentre certamente la transazione fiscale non è una procedura concorsuale di per se stessa. Tale conclusione è ancor valida con la nuova disciplina dettata dalla

l

. 3/2012

, come modificata dal

d.l.

179/2012, perché l'art. 7,

comma 2, richiede ai fini dell'ammissibilità che il debitore non sia soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge sul sovraindebitamento e dunque valgono le considerazioni testé svolte. Va poi aggiunto che la questione è espressamente risolta dal comma 2 bis dell'art. 7 che prevede che l'imprenditore agricolo in stato di sovraindebitamento possa proporre ai creditori l'accordo di composizione della crisi.

Quanto alla qualità di consumatore l'

art. 1,

comma 2

, lett.

b

), del

d.l

. 212/2011

offriva una definizione di «sovraindebitamento del consumatore», che rilevava principalmente per abbassare la percentuale di creditori necessaria per l'omologazione dell'accordo dal 70% dei crediti al 50%. L'originaria disciplina dettata dalla

l.

3/2012

non faceva più menzione del consumatore, rivolgendosi a tutti i soggetti non fallibili, indipendentemente dalla loro qualità di consumatori. Il

d.l.

179/2012

ha invece reintrodotto la specifica procedura del piano del consumatore riservata al consumatore persona fisica per i soli crediti sorti per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In caso di attività mista dovrà dunque farsi ricorso alla procedura di accordo prevista per il debitore non consumatore. La definizione di consumatore utilizzata dalla norma è ripresa dall'

art. 3 cod.cons.

. Va sottolineato che diventa rilevante lo scopo in base al quale è stata contratta l'obbligazione fonte del credito. In caso di attività promiscua, vale a dire di crediti derivanti da obbligazioni contratte tanto in relazione ad un'attività d'impresa che personale, non si può far ricorso al piano del consumatore. Poiché rispetto alla disciplina dettata dal

codice del consumo

qui non viene in esame il momento genetico dell'obbligazione, ma il risultato, vale a dire la massa debitoria, potrà non essere sempre agevole ricostruire lo scopo per il quale sono stati stipulati determinati negozi fonte di una parte della massa stessa. Va invece sottolineato che la nozione legislativa è pienamente compatibile con l'esistenza di un debito derivante da finanziamento concesso per l'acquisto di un immobile non destinato ad attività imprenditoriale, anche nel caso in cui si tratti di immobile in costruzione.

Come chiarisce l'incipit dell'art. 7 della legge, il debitore deve trovarsi in stato di sovraindebitamento. La nozione è offerta dall'art. 6 che stabilisce che il sovraindebitamento sussiste quando vi sia:

  1. la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni;

  2. una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte ed il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte.

La prima delle due definizioni corrisponde alla definizione canonica dello stato d'insolvenza secondo l'

art.

5 l

. fall

. La seconda invece è nuova, ma non troppo, perché la giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di società inattiva, in liquidazione, in tanto si abbia insolvenza in quanto l'attivo liquidabile non sia sufficiente a far fronte alle obbligazioni assunte (

Cass. 14 ottobre 2009, n. 21834

;

App. L'Aquila, 15.11.2011

). Si tratta di una specifica ipotesi di insolvenza, ben nota alla dottrina ed alla giurisprudenza, vale a dire il caso di illiquidità, in cui il debitore non è in grado di far fronte ai debiti scaduti ancorché in astratto il patrimonio abbia un valore superiore, perché tale patrimonio non è liquidabile in tempi brevi né è possibile ottenere credito da terzi concedendo garanzie sul patrimonio illiquido. La Relazione governativa precisa che si è voluto con le due definizioni dipingere le distinte ipotesi di crisi statica e dinamica…, anche al fine di promuovere il risanamento aziendale o l'exit del consumatore dalla crisi in stato non irreversibile qual è quello dell'insolvenza.

Nel valutare lo squilibrio non dovrà farsi riferimento ai redditi futuri perché la necessità che il patrimonio sia prontamente liquidabile comporta che esso sia facilmente monetizzabile e che non si possa tener conto di redditi non ancora percepiti, salvo che l'incasso possa avvenire in tempi brevi. Va sottolineato che questo requisito si riferisce soltanto alla situazione di sovraindebitamento, perché l'art. 7 precisa che l'accordo prevede le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni. Nulla impedisce pertanto di formulare proposte ai creditori che si fondino sulla liquidazione di cespiti facenti parte del patrimonio del debitore, come ad esempio di beni immobili, anche quando non vi sia già un'offerta di acquisto.

Il contenuto dell'accordo di composizione della crisi: profili sostanziali

Iniziamo ad esporre il contenuto della disciplina dall'accordo di composizione della crisi, partendo dai profili sostanziali per trattare in un secondo momento del procedimento propriamente detto. Il legislatore nell'art. 7 della legge prevede che il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano. Come accennato, la norma, diversamente da quanto è previsto per il consumatore, non richiede che il debitore sia una persona fisica.

Il 1° comma dell'art. 8 precisa che la proposta di accordo prevede “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri”. Ne deriva che la proposta di accordo può avere qualunque contenuto a carattere dilatorio o esdebitatorio o può cumulare entrambe queste soluzioni. A tale proposito va ricordato che deve essere assicurato il regolare pagamento dei crediti impignorabili, vale a dire alla scadenza contrattualmente prevista ed in misura integrale. La disciplina introdotta dal

d.l.

179

/2012

ha reso l'accordo obbligatorio per tutti i creditori (art. 12, comma 3), sulla falsariga del concordato, con la conseguenza che non si prevede più l'integrale pagamento dei creditori estranei, non aderenti o non partecipanti all'accordo. L'art. 7, comma 1, ammette ora che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato dei beni oggetto della prelazione, attestato dagli organismi di composizione della crisi. Anche in questo caso il legislatore si è ispirato alla disciplina del concordato. Va aggiunto che la proposta di accordo in cui sia contemplata la prosecuzione dell'attività d'impresa (evidentemente impresa non soggetta a fallimento) può prevedere la moratoria fino ad un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art. 8, comma 4).

Analogamente a quanto previsto per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, per i crediti relativi ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può avere esclusivamente carattere dilatorio. L'art. 11, comma 5, prevede che in caso di mancato rispetto del termine di novanta giorni dalle scadenze previste per questi crediti, l'accordo cessi di diritto di produrre effetti.

Il piano può prevedere l'affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti per la nomina a curatore

ex art.

28 l

.

fall

. Il gestore può anche essere l'organismo di composizione della crisi (d'ora in poi O.C.C.). Altrimenti se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall'accordo, il giudice, su proposta dell'O.C.C., nomina un liquidatore (art. 13, comma 1) che dispone in via esclusiva dei beni stessi e delle somme incassate. Anche il liquidatore deve avere i requisiti per la nomina a curatore e può essere lo stesso O.C.C.

Il piano deve anzitutto assicurare l'integrale pagamento dei titolari di crediti impignorabili e dei crediti tributari per cui è ammessa soltanto la dilazione. I creditori privilegiati hanno diritto al pagamento integrale e non votano, salvo il caso che essi rinuncino alla prelazione (art. 11, comma 2), con la conseguenza che il credito dovrà essere considerato chirografario.

Il piano deve prevedere i termini e le modalità di pagamento dei creditori, che possono essere suddivisi in classi, le eventuali garanzie rilasciate per l'adempimento dei debiti, le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni (art. 7, comma 1). Non è previsto, come del resto nell'accordo di ristrutturazione disciplinato dall'art. 182-bis, che i creditori debbano essere soddisfatti secondo la regola del concorso. Il piano può dunque stabilire condizioni differenziate per ciascun creditore, fermo restando il principio che i titolari di crediti impignorabili, i crediti tributari ed i creditori privilegiati capienti debbono essere soddisfatti integralmente. Il legislatore ha previsto la possibilità che i creditori siano suddivisi in classi, ma non ha previsto che esse raggruppino crediti con natura giuridica ed interessi economici omogenei (arg.

art. 160, co

mma

1, lett. c., l.fall

.), anche se ovviamente sarà previsto un trattamento economico uguale, sì da favorire il consenso dei creditori. Anche le modalità di liquidazione dei beni debbono essere indicate nel piano.

La nomina obbligatoria del liquidatore riguarda soltanto il caso in cui vi siano beni sottoposti a pignoramento. In tale ipotesi il liquidatore dispone in via esclusiva dei beni pignorati e delle somme incassate dalla loro alienazione. Non pare, almeno ad un'interpretazione letterale, che il liquidatore abbia ulteriori poteri. Egli quindi non potrà disporre dei beni che non siano oggetto di pignoramento o dei crediti non pignorati né potrà procedere alla distribuzione del ricavato ai creditori. Ovviamente la nomina del liquidatore nell'ipotesi che esso sia previsto nel piano potrà comportare l'attribuzione a quest'ultimo di maggiori poteri, in conformità al contenuto del piano stesso.

I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell'accordo e del piano sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui la proposta del debitore ed il decreto di fissazione dell'udienza di comparizione dei creditori sono state oggetto della pubblicità prevista dall'art. 10, comma 2 (art. 13, comma 4). Ne deriva che per effetto della presentazione della proposta o comunque a seguito dell'omologazione dell'accordo il debitore perde la disponibilità del proprio patrimonio, almeno della parte di esso considerata nel piano.

Diversamente da quanto prevedeva la

legge 3/2012

la sanzione dell'atto di disposizione non è più la nullità, ma l'inefficacia, come per il fallimento. Il legislatore si è dunque adeguato alla regola per cui non ogni atto di disposizione deve essere sanzionato, ma soltanto quello che lede gli interessi dei creditori e soltanto nella misura in cui costoro si dolgano dell'atto illegittimo posto in essere.

Il giudice (art. 13, comma 3), sentito il liquidatore e verificata la conformità dell'atto dispositivo all'accordo, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti tributari che debbono essere soddisfatti integralmente, autorizza lo svincolo delle somme e ordina la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e di ogni altro vincolo, ivi compresa la pubblicità della proposta e del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione dei creditori. Ad un'interpretazione letterale non compete al giudice autorizzare il liquidatore a procedere agli atti di alienazione, ma soltanto a svincolare le somme ricavate dalla liquidazione nel momento in cui debbono essere effettuati i pagamenti ai creditori in attuazione del piano. È ragionevole ritenere che i poteri autorizzativi spettino al giudice soltanto nei casi in cui vi è un liquidatore o per previsione obbligatoria di legge o perché indicato nella proposta. Ove invece si sia prevista la nomina di un gestore, come consente l'art. 7, tali poteri non spetteranno al giudice, precisando tale norma che al gestore compete anche la distribuzione del ricavato.

Il contenuto del piano può anche prevedere, come già si è detto, la moratoria sino ad un anno per il pagamento dei creditori privilegiati in caso di prosecuzione dell'impresa, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione (art. 8, comma 4).

La proposta deve contenere, oltre al piano, la sottoscrizione oltre che del debitore anche dei terzi che consentano il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l'attuabilità dell'accordo, nei casi in cui i redditi del debitore non garantiscano da soli la fattibilità del piano. La proposta deve anche indicare le eventuali limitazioni all'accesso al mercato del credito al consumo di cui soffra il debitore, ovvero all'utilizzo di strumenti di pagamento elettronico a credito ed alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari.

Va ricordato che la proposta ed il piano sono redatti con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi con sede nel circondario del tribunale competente.

La proposta non è ammissibile quando il debitore è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle previste dalla disciplina del sovraindebitamento, ha fatto ricorso ai procedimenti di sovraindebitamento nei cinque anni anteriori, ha subito per causa a lui imputabile la risoluzione o l'annullamento dell'accordo o la revoca o la cessazione degli effetti del piano del consumatore, ha fornito documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale (art. 7, comma 2).

La disciplina del procedimento dell'accordo. La presentazione della proposta

Venendo ora alla disciplina del procedimento dell'accordo, possiamo distinguere una prima fase diretta ad investire il giudice della proposta e ad instaurare il contraddittorio con i creditori, nella quale possono essere adottati provvedimenti a carattere cautelare; una seconda fase in cui ha luogo la votazione dei creditori, che è stragiudiziale, e si svolge il giudizio di omologazione propriamente detto; una terza fase di esecuzione dell'accordo, cui può eventualmente seguire il giudizio di risoluzione e/o annullamento. In tutte queste fasi interviene ed ha un ruolo attivo l'O.C.C.

La prima fase del procedimento è regolata dall'art. 10 della legge. La proposta di accordo deve essere depositata presso il tribunale del luogo in cui si trova la residenza o la sede principale del debitore. Insieme alla proposta debbono essere depositati (art. 9):

  1. l'elenco di tutti i creditori, con l'indicazione delle somme dovute;

  2. l'elenco dei beni e degli eventuali atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;

  3. l'attestazione sulla fattibilità del piano;

  4. l'elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento del debitore e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia. Se il debitore svolge attività d'impresa debbono essere depositate anche le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, cui deve essere allegata una dichiarazione che ne attesti la conformità all'originale.

La proposta, contestualmente al deposito presso il tribunale, e comunque non oltre tre giorni, deve essere presentata, a cura dell'organismo di composizione della crisi, all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale del proponente e contenere la ricostruzione della sua posizione fiscale e l'indicazione di eventuali contenziosi pendenti (art. 9, comma 1).

Il giudice può concedere un termine perentorio non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni alla proposta e produrre nuovi documenti (art. 9, comma 3 ter).

Il deposito della proposta di accordo sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, c.c. (art. 9, comma 3 quater).

La presentazione della proposta determina l'apertura di un procedimento affidato al giudice monocratico, regolato dagli

artt. 737 ss. c.p.c.

Contro i provvedimenti del giudice monocratico è ammesso reclamo, di competenza dello stesso tribunale in composizione collegiale, di cui non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9 in ordine ai presupposti di ammissibilità ed ai presupposti soggettivi ed oggettivi, fissa con decreto udienza avanti a sé, disponendo la comunicazione ai creditori del decreto e della proposta. La comunicazione può essere effettuata presso la residenza o la sede legale dei creditori e può essere effettuata anche per telegramma, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, per telefax o per posta elettronica certificata. La comunicazione della proposta e del decreto deve essere effettuata almeno trenta giorni prima del termine di dieci giorni prima dell'udienza stabilito dall'art. 11, comma 1, per il pervenimento delle dichiarazioni di voto dei creditori. Tra il giorno del deposito della documentazione che deve essere allegata alla proposta ai sensi dell'art. 9 e l'udienza non devono decorrere più di sessanta giorni.

Con il decreto il giudice dispone idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto. Nel caso in cui il proponente svolga attività d'impresa dovrà inoltre essere disposta la pubblicazione su apposita sezione del registro delle imprese. Ancora il giudice ordina, ove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura dell'organismo di composizione della crisi, presso gli uffici competenti. Infine dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali ne' disposti sequestri conservativi ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. La sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili, ma è da ritenere che la norma si applichi anche alle azioni promosse in pendenza del divieto. Per tutto il periodo di sospensione le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano (art. 10, comma 4). Il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive riguarda soltanto quelle individuali, con la conseguenza che è pur sempre possibile proporre istanza di fallimento. Il divieto impedisce anche di richiedere sequestri conservativi e di acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. Il legislatore non ha richiamato l'eccezione al divieto prevista in tema di accordi di ristrutturazione nel caso in cui il titolo di prelazione sia concordato. Il divieto, peraltro, riguarda i crediti per titolo o causa anteriore, sì che sarà legittima la concessione di titoli di prelazione a fronte di futuri finanziamenti destinati a fornire la provvista per l'esecuzione del piano.

Va poi osservato che il legislatore, diversamente da quanto previsto dall'art. 182-bis, ha anche opportunamente precisato che il divieto è sancito a pena di nullità. Ne deriva che anche nel caso in cui la proposta non vada a buon fine e non venga omologata, gli atti di esecuzione, i sequestri ed i titoli di prelazione acquisiti nonostante il divieto rimarranno improduttivi di effetti. La sospensione opera una volta sola anche nel caso di successive proposte di accordo.

A decorrere dalla data del decreto e sino alla data di omologazione dell'accordo gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui e' stata eseguita la pubblicità. Il decreto è equiparato all'atto di pignoramento.

Il legislatore ha dunque profondamente modificato e migliorato la disciplina originariamente prevista dalla

legge 3/2012

prevedendo una più articolata e completa disciplina degli effetti per il debitore e per i creditori dell'apertura della procedura e facendo discendere tali effetti non dal provvedimento dato in udienza, come era originariamente previsto, ma dallo stesso decreto di fissazione della stessa.

Il legislatore non dice se il giudice, in sede di valutazione della sussistenza dei requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della legge, in ordine ai presupposti di ammissibilità della proposta ed alla sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l'ammissione alla procedura, possa sindacare nel merito la fattibilità del piano ed il contenuto dell'attestazione rilasciata dall'organismo di composizione della crisi. È noto il dibattito in tema di concordato preventivo in ordine alla sussistenza di un potere di sindacato nel merito della fattibilità del piano, che parte della giurisprudenza di merito ammette e sul quale la giurisprudenza di legittimità ha reso pronunce contrastanti. Sembra ragionevole ritenere che il giudice possa sindacare se la dichiarazione di fattibilità e di veridicità dei dati rilasciata dall'organismo di composizione della crisi ai sensi dell'art. 15, comma 6, sia completa ed adeguata, mentre il sindacato nel merito della fattibilità da parte del giudice pare riservato al giudizio di omologa su contestazione dei creditori.

All'udienza il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto e ordina la cancellazione della trascrizione dello stesso, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta (è evidente il richiamo alla fattispecie in tema di concordato preventivo regolata dall'

art.

173 l

. fall

., ma va anche ricordata la disciplina dell'annullamento dell'accordo regolata dall'art. 14, comma 1, della legge).

La disciplina originariamente dettata dalla

legge 3/2012

prevedeva che dall'omologazione seguissero effetti sospensivi ed inibitori delle azioni esecutive, dei sequestri e dell'acquisizione di titoli di prelazione efficaci sino ad un anno dalla data di omologazione (art. 12, comma 3, della legge). Questo meccanismo protettivo non è ora più necessario dal momento che il legislatore ha previsto che l'accordo omologato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità della proposta e del decreto di fissazione dell'udienza ex art. 10, comma 2 (art. 12, comma 3). I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano, il che comporta che il piano descriva tali beni con sufficiente precisione.

La fase della votazione dei creditori

Veniamo ora alla seconda fase della procedura di accordo. Come s'è detto, la votazione dei creditori avviene fuori dal tribunale. Il legislatore demanda la raccolta delle dichiarazioni di voto dei creditori all'organismo di composizione della crisi, cui compete all'esito della votazione trasmettere ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale necessaria per l'approvazione, che il

d.l

. 179/2012

ha ridotto al 60%, allegando il testo dell'accordo (art. 12, comma 1, della legge) e, alla scadenza del termine di dieci giorni dal ricevimento della relazione, inviarne il testo unitamente alle contestazioni ed alla dichiarazione definitiva sulla fattibilità del piano, al tribunale.

I creditori dovranno far pervenire le dichiarazioni di consenso all'organismo di composizione della crisi per telegramma, lettera raccomandata con avviso di ricevimento, telefax, posta elettronica certificata. La dichiarazione deve essere sottoscritta e dunque occorrerà la firma autografa del creditore ovvero la firma digitale. L'adesione deve corrispondere al contenuto della proposta come eventualmente modificata dal debitore in corso di procedimento. La modifica della proposta comporta una nuova manifestazione di consenso dei creditori, salvo che la modifica possa ritenersi ininfluente sulla loro posizione.

Non sono legittimati a votare i creditori privilegiati di cui è previsto il pagamento integrale, salvo il caso di rinuncia al privilegio. Non hanno diritto di esprimersi sulla proposta e non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta. Il legislatore non dice se hanno diritto di voto i titolari di crediti impignorabili che pure debbono essere soddisfatti integralmente (art. 12, comma 2). La ratio legis porta a ritenere che tali creditori non possano essere ammessi al voto, essendo comunque garantita la loro soddisfazione.

L'accordo è approvato se raggiunge la maggioranza del 60% dei crediti. Come s'è detto, il

d.l.

179/2012

ha ridotto la percentuale del 70% prevista dalla

l.

3/2012

troppo elevata, che rendeva di fatto impossibile il ricorso alla nuova procedura.

Come si è accennato, per effetto delle modifiche introdotte dal

d.l.

179/2012

è ora previsto il meccanismo del silenzio-assenso. L'art. 11, comma 1, prevede che i creditori debbano far pervenire entro il termine di dieci giorni prima dell'udienza le dichiarazioni di consenso. In difetto si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta nei termini in cui e' stata loro comunicata (così testualmente la norma). E' pertanto evidente che la dichiarazione sottoscritta del proprio consenso di cui parla l'art. 11, comma 1, non ha necessariamente contenuto favorevole alla proposta, perché altrimenti i creditori sarebbero espropriati della possibilità di far valere il voto contrario e che la formula usata dal legislatore è il frutto di un difetto di coordinamento. Nel termine di dieci giorni dovranno pertanto pervenire le dichiarazioni di voto, dovendosi anzi osservare che questa è l'unica sede in cui il creditore può far valere il proprio voto contrario.

Il legislatore ha opportunamente precisato che l'accordo non determina la novazione delle obbligazioni, salvo che sia diversamente stabilito (art. 11, comma 4., della legge). A differenza dell'accordo di ristrutturazione di cui agli artt. 182-bis ss. e similmente al concordato preventivo e fallimentare, esso non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore ed obbligati in via di regresso, sì che costoro non si avvantaggiano della riduzione del credito nei confronti dell'obbligato principale come è invece previsto in caso di remissione del debito dall'

art. 1239 c.c.

Quando l'accordo è raggiunto l'organismo di composizione della crisi trasmette ai creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale richiesta per l'approvazione, allegando il testo dell'accordo. Nei dieci giorni dal pervenimento della relazione i creditori possono sollevare contestazioni. Decorso il termine l'organismo di composizione della crisi trasmette al giudice la relazione già inviata ai creditori, allegando le contestazioni ricevute e l'attestazione definitiva sulla fattibilità del piano.

Il giudice deve verificare il raggiungimento dell'accordo con la percentuale di legge e l'idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti tributari e deve risolvere ogni altra contestazione mossa dai creditori. In particolare quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell'accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito può essere soddisfatto in misura non inferiore a quanto il creditore riceverebbe nel caso in cui si facesse luogo alla liquidazione. Il legislatore ha dunque mutuato dalle procedure maggiori la disciplina del c.d. cram down.

Non è previsto che le parti abbiano diritto a comparire e ad essere sentite dal giudice né che sia garantito il diritto al contraddittorio. Con le modifiche introdotte dal

d.l.

179/2012

il legislatore non ha dunque tenuto conto delle critiche che erano state formulate alla disciplina prevista dalla

legge 3/2012

, vale a dire che sulla relazione presentata dall'O.C.C. al giudice e prima della decisione di quest'ultimo non è previsto contraddittorio, con possibile lesione del diritto di difesa dei creditori. E' da ritenere, tuttavia, che il rispetto di tale principio comporti che il giudice debba provvedere in tal senso. Non pare, peraltro, che i creditori possano far valere le loro contestazioni all'udienza fissata dal giudice con il decreto ex art. 10, comma 1. L'art. 11, comma 1, prevede in effetti che le dichiarazioni di voto debbano pervenire all'O.C.C. almeno dieci giorni prima dell'udienza, ma l'art. 12, comma 1, stabilisce che l'O.C.C. debba inviare ai creditori la relazione sui consensi espressi e che nei dieci giorni successivi al ricevimento i creditori possano sollevare le contestazioni. Ne deriva che le contestazioni non possono pervenire prima dell'udienza. L'udienza avrà dunque soltanto la funzione di consentire la revoca degli effetti sospensivi e della pubblicità collegati all'ammissione alla procedura, non essendo in quel momento il giudice in grado di provvedere all'omologazione.

L'omologazione deve avvenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta (art. 12, comma 3 bis). E' da escludere che il superamento del termine renda improcedibile la domanda.

In caso di omologazione il giudice disporrà la pubblicazione dell'accordo in tutte le forme previste dall'art. 10, comma 2, che richiede idonea forma di pubblicità. Se il proponente svolge attività d'impresa è inoltre richiesta la pubblicazione su apposita sezione del registro delle imprese. L'esecuzione della pubblicità è demandata all'organismo di composizione della crisi (art. 15, comma 7).

Il provvedimento di omologazione è di competenza del tribunale in composizione monocratica. E' ammesso reclamo nelle forme previste dal rito camerale, avanti al collegio, di cui non potrà far parte il giudice che ha emanato il provvedimento impugnato (art. 12, comma 2). Il provvedimento che pronuncia sul reclamo é impugnabile per cassazione perché dall'omologazione discende l'obbligatorietà dell'accordo per tutti i creditori (art. 12, comma 3), si che il provvedimento ha carattere decisorio. Anche il provvedimento di rigetto è reclamabile (art. 12, comma 2). Ove si affermi che non è stata raggiunta la maggioranza di legge, non sarà ricorribile per cassazione perché la reiterabilità della proposta di accordo esclude il carattere decisorio del provvedimento. Tale conclusione, a mio avviso, non vale nel caso in cui il rigetto avvenga per altri motivi.

Venendo ora all'esecuzione dell'accordo, va detto che essa è rimessa ad un liquidatore, nominato dal giudice, su proposta dell'O.C.C. e che può essere lo stesso O.C.C., quando per la soddisfazione dei crediti siano utilizzati beni sottoposti a pignoramento, o quando la nomina del liquidatore sia prevista dall'accordo. In questo caso il liquidatore dispone in via esclusiva dei beni sottoposti a pignoramento e delle somme incassate, è da ritenere, dalla liquidazione dei beni pignorati (art. 13, comma 1). Si è già detto che, ove la nomina del liquidatore non sia obbligatoria (art. 7, comma 1), il patrimonio del debitore può essere affidato ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori. Anche il gestore può essere lo stesso O.C.C. Fuori dai casi di nomina obbligatoria del liquidatore, l'esecuzione dell'accordo può essere affidata allo stesso debitore, che non subisce spossessamento alcuno per effetto dell'apertura della procedura.

L'organismo di composizione della crisi ha la vigilanza sull'esatto adempimento dell'accordo e deve comunicare ai creditori ogni irregolarità (art. 13). All'organismo di composizione della crisi è inoltre attribuito un generico potere di risoluzione delle difficoltà insorte nell'esecuzione dell'accordo, che dovrebbe comportare, al di là dell'espressione atecnica usata dal legislatore, anche il potere di tentare l'amichevole composizione delle controversie eventualmente insorte. L'art. 13, comma 2, prevede anche un procedimento, affidato al giudice della procedura, per la decisione delle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti, oltre che sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi. Il legislatore non precisa in quali forme debba svolgersi il procedimento, ma è da ritenere che si debba applicare il rito camerale richiamato dall'art. 12 per il giudizio di omologazione.

Compete al giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità dell'atto dispositivo all'accordo (evidente in questo caso la discendenza della norma dall'

art. 104, ult. co., l. fall

.) anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei titolari di crediti impignorabili e dei crediti tributari, autorizzare lo svincolo delle somme ed ordinare la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione nonché di ogni altro vincolo, ivi compresa la trascrizione del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione dei creditori, oltre che la cessazione di ogni altra forma di pubblicità (art. 13, comma 3). Il riferimento al parere del liquidatore e la previsione del potere di ordinare la cancellazione del pignoramento e delle altre formalità iscritte, farebbe ritenere che l'autorizzazione del giudice sia necessaria soltanto con riferimento ai beni pignorati. L'ordine di cancellazione delle formalità iscritte dovrà peraltro essere pronunciato dal giudice, anche quando non si sia fatto luogo alla nomina del liquidatore, perché in difetto mancherebbe nella legge l'indicazione di un organo che possa emettere tale provvedimento, con conseguente appesantimento della procedura.

Va poi ricordato che ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 13, i pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell'accordo e del piano sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto, sì che si è giustamente detto che il patrimonio oggetto dell'accordo e del piano è sottoposto ad un vincolo di destinazione. Per contro gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo omologato non sono soggetti all'azione revocatoria

ex art.

67 l

.fall

.

L'art. 13, comma 4 bis, stabilisce, riprendendo il disposto dell'

art.

111 l

.fall

. che i crediti sorti in occasione o in funzione del procedimento in esame (oltre che del piano del consumatore) sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. La formula utilizzata dal legislatore rischia di essere troppo ampia per le modeste finalità della procedura in esame. In via di prima approssimazione si può ritenere che la prededuzione riguardi le spese di procedura, il compenso del liquidatore o del gestore e gli eventuali crediti dell'O.C.C. connessi all'istruttoria relativa alla presentazione della proposta.

L'esecuzione dell'accordo e le impugnazioni

Come si è già ricordato, il legislatore ha mutuato dalla disciplina delle procedure concordatarie maggiori gli istituti dell'annullamento e della risoluzione. L'accordo può essere impugnato con le azioni di risoluzione ed annullamento, con la conseguente conversione di diritto ex art. 14-quater nella procedura di liquidazione di tutti i beni, esclusa peraltro ove la risoluzione dipenda da causa non imputabile al debitore. L'annullamento può essere pronunciato soltanto quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento (art. 14).

Il ricorso per l'annullamento deve proporsi nel termine di sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto. L'annullamento dell'accordo non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede, con la conseguenza che rimangono fermi gli atti di disposizione dei beni che siano stati compiuti in esecuzione dell'accordo, salvo che si provi la mala fede del terzo acquirente. L'azione spetta ad ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, nelle forme del procedimento camerale disciplinato dagli

artt. 737 ss. c.p.c.

La competenza è del Tribunale in composizione monocratica. Il reclamo si propone al tribunale in composizione collegiale, di cui non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Anche la risoluzione può essere chiesta soltanto dai creditori, nelle ipotesi tassative previste dall'art. 14, cioè se il proponente non adempie regolarmente alle obbligazioni derivanti dall'accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore. L'azione va proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla scoperta e, in ogni caso, entro il termine di un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dall'accordo. Il legislatore ha qui ripreso la disciplina della risoluzione dettata dall'

art.

137 l

. fall

. per il concordato fallimentare. Non è stata tuttavia ripetuta la norma, dettata dall'

art.

186 l

. fall

. in tema di concordato preventivo, che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione quando l'inadempimento ha scarsa importanza. Di conseguenza nella procedura in esame come nel concordato fallimentare è sufficiente che il debitore non adempia regolarmente le obbligazioni derivanti dall'accordo. Quindi sia la mancanza, sia l'inesattezza dell'adempimento, e dunque una qualunque violazione delle condizioni previste per il pagamento dei creditori, potrà determinare la risoluzione. È invece nuova, rispetto alla disciplina del concordato, la risoluzione quando l'esecuzione dell'accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, mutuata da un consolidato orientamento giurisprudenziale, maturato soprattutto con riferimento al concordato con cessione dei beni (

Cass. 20 giugno 2011, n. 13446

). Anche la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede. Il procedimento segue il rito camerale (art. 14, comma 5) ed il tribunale giudica in composizione monocratica. Il reclamo si propone al collegio come in caso di annullamento.

Ai sensi dell'art. 11, comma 5, l'accordo è revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Amministrazioni pubbliche e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. L'accordo e' altresì revocato se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. Il giudice provvede d'ufficio con decreto reclamabile, ai sensi dell'

articolo 739 c.p.c.

, innanzi al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che lo ha pronunciato. La legge non prevede che il provvedimento sia pronunciato previo contraddittorio con il debitore, ma è da ritenere che anche in questo caso debbano valere i principi generali in tema di diritto di difesa. Alla revoca segue l'apertura d'ufficio della procedura di liquidazione.

Un'ulteriore ipotesi di risoluzione di diritto è prevista dall'art. 12, ult. co., che stabilisce che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore, a qualunque titolo egli sia stato dichiarato fallito, risolve l'accordo.

Il piano del consumatore

Come si è già accennato, il piano del consumatore è una procedura specificamente prevista per il debitore consumatore. Per quanto concerne la nozione di consumatore rinviamo alle considerazioni già svolte in precedenza, così come per la possibilità per il consumatore di avvalersi anche dell'accordo di composizione della crisi, che rimane l'unica procedura ammissibile per chi abbia svolto attività soltanto in parte riferibile a scopi estranei all'attività imprenditoriale.

Si è già detto che il procedimento non differisce sostanzialmente da quello previsto per l'accordo di composizione della crisi se non per il fatto che non è prevista alcuna votazione dei creditori e che il piano è omologato dal tribunale all'esito di un giudizio di omologazione fondato sulla fattibilità del piano e sulla meritevolezza del debitore valutata con riguardo alle cause del sovraindebitamento.

Per il resto le condizioni di ammissibilità sono in gran parte le medesime, il contenuto della proposta del debitore è analogo dovendosi guardare anche in questo caso, nell'ipotesi di contestazione da parte dei creditori, alla maggior convenienza della soluzione liquidatoria, oltre che alla fattibilità del piano; i crediti che debbono essere soddisfatti integralmente sono i medesimi (i crediti impignorabili e i crediti tributari); la disciplina dei crediti privilegiati è la medesima anche per quanto concerne la moratoria sino ad un anno che il debitore può proporre; l'iter processuale si articola nella presentazione della proposta con l'assistenza dell'O.C.C. e nella pronuncia da parte del giudice del decreto di fissazione dell'udienza che va comunicato ai creditori da parte dell'organismo di composizione della crisi al fine di assicurare il contraddittorio.

La proposta deve essere accompagnata da una relazione particolareggiata dell'organismo di composizione della crisi che deve contenere: a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell'assumere volontariamente le obbligazioni; b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni; d) l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonché sulla probabile convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria.

La relazione dell'O.C.C. è necessaria al giudice che ai fini dell'omologazione dell'accordo deve verificare non soltanto che il piano sia fattibile e sia idoneo ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, ma soprattutto deve poter escludere che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

Quanto al procedimento la principale differenza rispetto all'accordo di composizione della crisi è rappresentata dal fatto che il giudice, presentata la proposta, fissa con decreto l'udienza di comparizione dei creditori, ma non adotta i provvedimenti relativi alla sospensione delle azioni esecutive e cautelari ed alla pubblicità del decreto. Questa differenza di disciplina rispetto all'accordo previsto per il debitore non consumatore è spiegata dalla Relazione governativa con la maggior semplicità del procedimento e con il fatto che in questo caso non vi sono esigenze di conservazione dell'unità produttiva.

Come nel sistema previsto dalla

legge 3/2012

prima delle modifiche introdotte dal

d.l.

179/2012

, il giudice verifica l'assenza di atti di frode dei creditori prima di fissare l'udienza, oltre che la sussistenza dei requisiti di ammissibilità previsti dagli artt. 7, 8 e 9. Con il decreto il giudice può disporre la sospensione di specifici procedimenti di esecuzione forzata che possano pregiudicare la fattibilità del piano (art. 12 bis, comma 2) sino alla definitività del provvedimento di omologazione. Il termine per la comunicazione della proposta e del decreto ai creditori a cura dell'O.C.C. è di trenta giorni e tra il deposito della documentazione da parte del debitore della documentazione allegata alla proposta e l'udienza non debbono decorrere più di sessanta giorni. Per le contestazioni dei creditori il legislatore non detta una disciplina specifica, ma in virtù del richiamo contenuto nell'art. 12-bis, comma 5, all'art. 12, comma 2, dovrà applicarsi il procedimento in camera di consiglio disciplinato dagli

artt.737 e ss. c.p.c.

anche per quanto concerne il reclamo, di competenza del tribunale in composizione collegiale, di cui non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Come già accennato, ai sensi dell'art. 12-bis, comma 4, quando uno dei creditori o qualunque altro interessato contesta la convenienza del piano, il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria. Per il resto il giudizio di omologazione riguarda la fattibilità del piano, che sarà attestata dall'O.C.C., e l'assenza di colpa del consumatore nella determinazione della situazione di sovraindebitamento. L'omologazione deve avvenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta. Ad essa il giudice provvede con decreto disponendo idonee forme di pubblicità da eseguirsi da parte dell'O.C.C. Il decreto è equiparato all'atto di pignoramento.

Il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità. I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano (art. 12-ter). Dalla data dell'omologazione i creditori anteriori non possono compiere atti esecutivi od azioni cautelari né acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del consumatore. Gli effetti dell'omologazione sono dunque analoghi a quelli previsti per l'omologazione dell'accordo del debitore non consumatore. Il divieto di azioni esecutive e cautelari e di acquisto di titoli di prelazione viene meno nel caso di mancato pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti tributari. All'accertamento si provvede nelle stesse forme già viste per l'accordo del debitore non consumatore la cui disciplina è espressamente richiamata (art. 12-ter, comma 4).

Come per la procedura di accordo del debitore non consumatore, l'omologazione del piano non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso ( art. 12-ter, comma 3).

La disciplina dell'esecuzione del piano è regolata dall'art. 13 negli stessi termini previsti per l'accordo del debitore non consumatore. Come per quest'ultima procedura anche il piano del consumatore può essere oggetto di revoca o cessazione di diritto. L'art. 14-bis richiama l'art. 11, comma 5, che considera le ipotesi di mancato pagamento entro 90 giorni dalla scadenza dei crediti delle Amministrazioni pubbliche, id est tributari, e previdenziali (cessazione di diritto) e di emersione durante la procedura di atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. Si applica il rito camerale.

Oltre a tali casi l'art. 14-bis considera ipotesi di cessazione: a) l'aumento o diminuzione del passivo con dolo o colpa grave, ovvero la sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell'attivo ovvero la dolosa simulazione di attività inesistenti; b) il mancato adempimento da parte del proponente degli obblighi derivanti dal piano, la mancata costituzione delle garanzie promesse, la sopravvenuta impossibilità di esecuzione del piano anche per ragioni non imputabili al debitore. La legittimazione è attribuita al creditore in contraddittorio con il debitore-consumatore nel termine di decadenza di sei mesi dalla scoperta ed in ogni caso di un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto nelle ipotesi di cui alla lettera a) e di due anni nelle ipotesi di cui alla lettera b). La dichiarazione di cessazione degli effetti dell'omologazione non pregiudica i diritti dei terzi di buona fede. La disciplina pertanto cumula le ipotesi di annullamento e risoluzione previste per l'accordo del debitore non consumatore, unificandone gli effetti. L'art. 14-bis richiama un inesistente comma 4 bis dell'art. 14, che probabilmente è in realtà il quinto comma, che prevede l'applicazione del rito camerale, anche per quanto concerne il reclamo al collegio.

Va sottolineato che la cessazione del piano e la revoca comportano, ai sensi dell'art. 14-quater, la conversione della procedura in quella di liquidazione di tutti i beni, salvo che la cessazione del piano nelle ipotesi ricordate sub b) sia avvenuta per cause non imputabili al debitore.

La procedura di liquidazione dei beni

Resta a dire della liquidazione dei beni. Ne trattiamo qui sotto il profilo tecnico, rinviando per il resto alle considerazioni critiche che abbiamo anticipato all'inizio della trattazione.

La procedura si apre a domanda del solo debitore e riguarda l'intero patrimonio di quest'ultimo, salvo i beni espressamente esclusi. Nei casi di revoca, cessazione di diritto, annullamento e risoluzione dell'accordo e di revoca e cessazione del piano del consumatore, si apre d'ufficio. E' escluso il caso di risoluzione dell'accordo o di cessazione degli effetti del piano per causa non imputabile al debitore, sì che risulta evidente la logica sanzionatoria che ha ispirato il legislatore, in contrasto con la filosofia della riforma delle procedure concorsuali del 2005-2006 che ha tolto al fallimento ogni carattere afflittivo per ridurlo ad una semplice tecnica di liquidazione dell'insolvenza.

Alla liquidazione segue l'esdebitazione. La liquidazione, aperta con decreto, deve avere ad oggetto tutti i beni del debitore ed è attuata da un liquidatore nominato dal giudice, le cui funzioni possono essere svolte dallo stesso O.C.C. Nella liquidazione è prevista necessariamente l'apertura di una parentesi cognitoria di accertamento del passivo. La Relazione governativa osserva che, al fine di evitare l'abusivo accesso alla procedura con conseguente beneficio esdebitatorio, é prevista, in linea con i modelli di altri Paesi, una durata minima di quattro anni, con acquisizione al patrimonio di liquidazione dei beni sopravvenuti in tale arco temporale. Già si è detto di quanto opinabile appaia tale scelta.

La liquidazione a domanda si apre ad istanza del debitore in stato di sovraindebitamento che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali ordinarie e non abbia fatto ricorso nei precedenti cinque anni alle procedure di sovraindebitamento. Competente è il tribunale della residenza o della sede principale del debitore. Alla domanda deve essere allegata la documentazione prevista dall'art. 9, commi 2 e 3, per la domanda di accordo e quindi, nel caso di svolgimento di attività d'impresa, anche le scritture contabili. Alla domanda va allegato anche l'inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili, vale a dire sul titolo in virtù del quale tali beni sono detenuti. Va inoltre allegata una relazione dell'O.C.C. che deve contenere:

  1. l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell'assumere volontariamente le obbligazioni;

  2. l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte;

  3. il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni;

  4. l'indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;

  5. il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.

Va sottolineato che al momento della presentazione della domanda l'O.C.C. ne avrà già dato notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante, atteso che tale obbligo va adempiuto entro tre giorni dalla richiesta di relazione rivolta dal debitore allo stesso O.C.C.

La domanda è inammissibile in tutti i casi in cui la documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore (art. 14 ter, comma 5). Ne deriva che il debitore privo di adeguata preparazione economica, che non abbia conservato la documentazione relativa ai debiti contratti, o assistito in misura non adeguata dall'O.C.C., rimarrà pregiudicato, anche se è da ritenere che la domanda possa essere riproposta.

Non sono compresi nella liquidazione:

  1. i crediti impignorabili ai sensi dell'

    articolo 545 del codice di procedura civile

    ;

  2. i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicato dal giudice;
  3. i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall'

    articolo 170 c.c.

    ;

  4. le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge (art. 14-ter, comma 6). Al deposito della domanda segue la sospensione degli interessi ai fini del concorso, salva la disciplina prevista per i crediti privilegiati (art. 14-ter. comma 7).

Il provvedimento di apertura della procedura è pronunciato dal tribunale con decreto. L'art. 14-quinquies prevede che si applichi l'art. 10, comma 6, che non esiste. E questo uno dei numerosi esempi di mancato coordinamento delle nuove disposizioni. Il decreto è equiparato all'atto di pignoramento (art. 14-quinquies, comma 3).

Con il decreto il giudice:

  1. nomina un liquidatore, da individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti di cui all'

    articolo

    28 l

    .fall

    . La nomina non è necessaria, dice la norma, quando il liquidatore è già stato nominato nella procedura di accordo del debitore non consumatore o di piano del consumatore, a mio giudizio nei soli casi di apertura d'ufficio della liquidazione. In tal caso il liquidatore rimane in carica;

  2. dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive ne' acquistati diritti di prelazione sul patrimonio oggetto di liquidazione da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. Va osservato che nella procedura di liquidazione non vi è alcun provvedimento di omologazione e che verosimilmente il legislatore intendeva riferirsi al provvedimento di chiusura della liquidazione previsto dall'art. 14-novies;

  3. stabilisce idonea forma di pubblicità della domanda e del decreto, nonché, nel caso in cui il debitore svolga attività d'impresa, l'annotazione nel registro delle imprese;

  4. ordina, quando il patrimonio comprende beni immobili o beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura del liquidatore;

  5. ordina la consegna o il rilascio dei beni facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore ad utilizzare alcuni di essi. Il provvedimento e' titolo esecutivo ed e' posto in esecuzione a cura del liquidatore;

  6. fissa i limiti entro i quali il debitore può trattenere per il mantenimento suo e della famiglia i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che guadagna con la sua attività, ex art. 14-ter, comma 5, lett. b).

Si determina quindi una forma di spossessamento attenuato del debitore, ridotta rispetto a quella stabilita in caso di fallimento, oltre che l'individuazione del gestore delle attività nella persona del liquidatore, che sarà di regola lo stesso O.C.C. od il professionista che ne può svolgere le funzioni. La disciplina è integrata da un regime di pubblicità analogo a quello previsto nelle procedure di accordo e di piano del consumatore.

L'art. 14-novies stabilisce che il liquidatore ha l'amministrazione dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione. Va aggiunto che ai sensi dell'art. 14-decies il liquidatore esercita ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare e comunque correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione. Egli esercita inoltre le azioni volte al recupero dei crediti compresi nella liquidazione. Non è prevista invece una specifica disciplina delle azioni revocatorie, ed è dubbio che il liquidatore possa esperire l'azione revocatoria ordinaria.

Va poi aggiunto che, ai fini della determinazione della massa attiva oggetto della liquidazione, l'art. 14-undecies precisa che i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione costituiscono oggetto della stessa, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione. Il debitore deve pertanto integrare l'inventario presentato con la domanda con i beni sopravvenuti.

Il passivo della procedura viene determinato attraverso un vero e proprio sub-procedimento di accertamento del passivo, modellato sulla disciplina prevista per il fallimento, ma affidato al liquidatore, cui compete la formazione dello stato passivo definitivo, riservato al giudice soltanto in caso di contestazioni dei creditori. In tale ipotesi il giudice decide sulle contestazioni e forma lo stato passivo definitivo.

L'art. 14-sexies prevede che il liquidatore forma l'inventario dei beni da liquidare dando comunicazione ai creditori ed ai titolari di diritti reali o personali su mobili ed immobili nel possesso o anche soltanto nella disponibilità del debitore che possono partecipare alla liquidazione, la data entro la quale possono presentare le domande e la data entro la quale sarà comunicato ai creditori lo stato passivo ed ogni altra utile informazione. Le domande di partecipazione dei creditori alla liquidazione ovvero di restituzione o rivendicazione di beni sono proposte con ricorso che deve contenere le generalità del creditore, la determinazione della somma oggetto del credito o la descrizione del bene oggetto di domanda di restituzione o rivendica, la succinta esposizione degli elementi di fatto e diritto che costituiscono fondamento della domanda, l'indicazione dell'eventuale titolo di prelazione, l'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC), del numero di telefax ovvero l'elezione di domicilio in un comune del circondario del tribunale competente. Al ricorso vanno allegati i documenti dimostrativi del diritto avanzato. Non è ripetuto il disposto dell'

art.

94 l

.

fall

. secondo il quale la domanda d'insinuazione produce gli effetti della domanda giudiziale.

Il liquidatore forma il progetto di stato passivo e lo comunica ai creditori, assegnando un termine di quindici giorni per le eventuali osservazioni da formularsi con le stesse modalità previste nella domanda d'insinuazione. In assenza di contestazioni, il liquidatore approva lo stato passivo dandone comunicazione alle parti. Il liquidatore se ritiene le osservazioni fondate, redige un nuovo progetto di stato passivo e lo comunica con le stesse modalità. Diversamente il liquidatore rimette gli atti al giudice che lo ha nominato, il quale provvede alla definitiva formazione dello stato passivo.

Il liquidatore formula un programma di liquidazione entro trenta giorni dalla formazione dell'inventario e lo comunica al debitore ed ai creditori. Il legislatore non dice, diversamente da quanto previsto in caso di fallimento, quale debba essere il contenuto del programma, limitandosi a precisare che il programma deve assicurare la ragionevole durata della procedura. Neppure è previsto che il programma di liquidazione debba essere approvato dal giudice o dai creditori.

L'art. 14-novies ult. comma, precisa che la liquidazione si chiude con decreto del giudice dopo la completa esecuzione del programma, ma comunque non prima di quattro anni dal deposito della domanda, all'evidente fine di non consentire un troppo sollecito accesso all'esdebitazione. Come si è detto, il risultato poteva essere raggiunto anche senza mantenere la procedura pendente.

Nello svolgimento dell'attività di liquidazione il liquidatore può avvalersi per le operazioni di vendita di soggetti specializzati e di operatori esperti per le stime. I requisiti di onorabilità e professionalità di questi soggetti sono stabiliti con il D.M. previsto dall'

art.

107 l

.fall

., ad oggi ancora non emanato.

L'art. 14-novies, comma 2, detta le regole essenziali della liquidazione. Fanno parte del patrimonio di liquidazione gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni del debitore. E' fatto obbligo al liquidatore di cedere i crediti, anche se oggetto di contestazione, dei quali non e' probabile l'incasso nei quattro anni successivi al deposito della domanda. Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate (salvo il caso di beni di modesto valore), da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati. Prima del completamento delle operazioni di vendita, il liquidatore informa degli esiti delle procedure il debitore, i creditori e il giudice, in modo da consentire il loro intervento. In ogni caso, quando ricorrono gravi e giustificati motivi, il giudice può sospendere con decreto motivato gli atti di esecuzione del programma di liquidazione. Se alla data di apertura della procedura di liquidazione sono pendenti procedure esecutive il liquidatore può subentrarvi. Va sottolineato che manca un sistema di controlli sull'operato del liquidatore, salvo il caso che i creditori o il debitore si attivino provocando l'intervento del giudice, che comunque, come s'è detto, non approva il programma di liquidazione.

Eseguite le vendite, il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione, autorizza lo svincolo delle somme, ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo, ivi compresa la trascrizione del decreto di apertura della liquidazione, e dichiara la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta.

Come già si è accennato, concorrono sul patrimonio da liquidare i soli creditori anteriori. I creditori posteriori per causa o titolo alla pubblicità della domanda e del decreto di apertura della liquidazione o alla trascrizione del decreto stesso, non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto di liquidazione. E' prevista la prededuzione dei crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione o dei procedimenti di accordo del debitore non consumatore e di piano del consumatore. Tali crediti sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.

L'esdebitazione

La disciplina dell'esdebitazione è in parte ricalcata sull'analogo istituto previsto per il fallito, da cui si distacca per una più incisiva valutazione della meritevolezza del debitore.

Essa è ammessa soltanto per il debitore persona fisica nei soli casi in cui si sia proceduto alla liquidazione, perché, come spiega la Relazione governativa, in caso di accordo del debitore non consumatore o di piano del consumatore l'effetto esdebitatorio è già assicurato dal consenso prestato dalla maggioranza dei creditori e dall'efficacia generale della procedura nei confronti di tutti i creditori.

Il primo comma dell'art. 14-terdecies precisa, com'è ovvio, che l'esdebitazione riguarda soltanto i creditori concorsuali per la parte non soddisfatta dei loro crediti.

Occorre peraltro che il debitore:

  1. abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utili, nonché adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;

  2. non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;

  3. non abbia beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti la domanda;

  4. non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno degli specifici reati previsti dall'art. 16 della legge che riecheggiano la disciplina della bancarotta;

  5. abbia svolto, nei quattro anni di durata della liquidazione, un'attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, abbia cercato un'occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego;

  6. siano stati soddisfatti, almeno in parte, i creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione.

Con qualche ridondanza il legislatore aggiunge ancora che l'esdebitazione è esclusa quando:

  1. il sovraindebitamento del debitore e' imputabile ad un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle sue capacità patrimoniali;

  2. il debitore, nei cinque anni precedenti l'apertura della liquidazione o nel corso della stessa, ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri.

In quest'ultima ipotesi il provvedimento di concessione dell'esdebitazione è revocabile in ogni momento, ad istanza dei creditori, così come quando risulti che e' stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo ovvero simulate attività inesistenti. Si applica il rito camerale, anche per quanto concerne il reclamo.

L'esdebitazione non opera:

  1. per i debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari;

  2. per i debiti da risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché per le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti;

  3. per i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di sovraindebitamento, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Le prime due ipotesi sono analoghe a quelle previste dall'

art. 142, comma

3, l

.fall

., mentre l'ultima concede un trattamento di favore del tutto ingiustificato per i crediti tributari successivamente accertati dopo l'apertura della procedura di liquidazione, posto che si prescinde totalmente dalla verifica dell'esistenza di un effettivo pregiudizio per il Fisco e quindi dalla capienza dell'attivo della liquidazione oltre che dell'esistenza di un apporto causale del debitore al tardivo accertamento. Tali circostanze porterebbero, forse, ad ipotizzare l'illegittimità costituzionale della norma per ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per i crediti tributari tempestivamente accertati.

Quanto al rito l'art. 14-terdecies, comma 4, prevede che competente sia il tribunale in composizione monocratica nelle forme del rito camerale e che il reclamo si proponga al collegio, di cui non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato. Per il resto la disciplina ricalca quella prevista per l'esdebitazione in sede fallimentare. Il giudice, con decreto adottato su ricorso del debitore interessato, presentato entro l'anno successivo alla chiusura della liquidazione, sentiti i creditori non integralmente soddisfatti e verificate le condizioni di ammissibilità della domanda, dichiara inesigibili nei confronti del debitore i crediti non soddisfatti integralmente.

Il ruolo dell'organismo di composizione della crisi

Quanto sin qui osservato non sarebbe completo se non ci si soffermasse sull'organo motore di tutte le procedure di sovraindebitamento, costituito dall'organismo di composizione della crisi.

L'art. 15 della legge stabilisce che gli enti pubblici e privati (questi ultimi non erano contemplati dal testo originario della

legge 3/2012

) possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento (O.C.C.) con adeguate garanzie di indipendenza, professionalità ed adeguatezza patrimoniale, che dovranno essere meglio precisati in apposito regolamento da emanarsi entro novanta giorni. Tutti questi organismi sono iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. Con il regolamento il Ministro della Giustizia, di concerto con i Ministri dello Sviluppo Economico e dell'Economia, stabilisce i requisiti, i criteri e le modalità di iscrizione nel registro e disciplina la formazione dell'elenco e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi, a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura.

Dalla costituzione degli O.C.C. non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e le loro attività vanno svolte nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Tale previsione non lascia molto sperare in termini di professionalità ed efficienza.

L'

art. 16 della legge 3/2012

prevedeva che gli O.C.C., insieme alla domanda di iscrizione nel registro, depositassero presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunicassero successivamente le eventuali variazioni. Tale norma non è stata riprodotta nel testo vigente. E' da augurarsi che essa sia ripresa nell'emanando regolamento, anche se la disciplina di legge non sembra prevederlo.

L'

art. 20 della legge 3/2012

con norma transitoria stabiliva che i compiti e le funzioni attribuiti agli O.C.C. potevano essere svolti anche da un professionista in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare previsti dall'

art.

28 l

. fall

., ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. L'attuale testo dell'art. 15, co. 9, attribuisce ora questa competenza ai professionisti (ed alle società tra professionisti) e notai in via permanente. In via transitoria i compensi sono quelli previsti per i commissari giudiziali in caso di accordo di composizione della crisi o di piano del consumatore, per i curatori in caso di procedura liquidatoria, ridotti del 40%. Provvederà poi il regolamento ministeriale.

Va sottolineato che si prevede, in via generale al di là delle specifiche disposizioni contenute nelle norme che regolano le diverse procedure, che gli O.C.C. e dunque anche i professionisti legittimati a svolgere i loro compiti:

  1. assumano ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all'esecuzione dello stesso. E' da ritenere che tale regola valga anche per l'assistenza al debitore che intende presentare domanda per l'apertura della procedura di liquidazione;

  2. verifichino la veridicità dei dati contenuti nella proposta del debitore e nei documenti allegati, ed attestino la fattibilità del piano. Anche in questo caso l'accertamento riguarda sia la procedura di accordo del debitore non consumatore che il piano del consumatore;

  3. eseguano le pubblicità e le comunicazioni disposte dal giudice nell'ambito dei tre procedimenti in esame. Le comunicazioni sono effettuate a mezzo posta elettronica certificata se l'indirizzo del destinatario risulta dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti e, in ogni altro caso, a mezzo telefax o lettera raccomandata;

  4. su disposizione del giudice, svolgano le funzioni di liquidatore e, su designazione del debitore, di gestore del patrimonio oggetto del piano.

Gli O.C.C. provvedono a moltissime attività, durante l'intero arco della procedura. Operano in funzione di ausilio del debitore in sede di predisposizione del piano e della proposta di accordo di ristrutturazione del debitore non consumatore; ad essi spetta il ruolo, fondamentale, di verificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta e di attestare la fattibilità del piano. Depositato l'accordo, agli O.C.C. è affidato il compito di effettuare la pubblicità e di ricevere le dichiarazioni di consenso dei creditori, presentando successivamente una relazione ai creditori sull'esito della votazione, di raccogliere le contestazioni e riferire al giudice concludendo definitivamente in ordine alla fattibilità. Ancora sono gli O.C.C. che debbono effettuare le comunicazioni disposte dal giudice nell'ambito del procedimento (art. 15, comma 7). Dopo l'omologazione, spetta agli O.C.C. vigilare sull'adempimento dell'accordo e risolvere le difficoltà insorte nell'esecuzione. Ancora l'O.C.C. assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione, al raggiungimento dell'accordo, ed alla buona riuscita dello stesso.

Nonostante il testo dell'art. 15 risenta di esser stato inizialmente concepito con riferimento al solo accordo di composizione della crisi del debitore non consumatore, che nel testo originario della

legge 3/2012

era l'unica procedura prevista, è da ritenere che questi compiti debbano essere assolti dagli O.C.C. anche nel caso del piano del consumatore e della procedura di liquidazione, ovviamente con l'avvertenza che nel piano del consumatore non vi è una votazione dei creditori e che le contestazioni dei creditori pervengono direttamente al giudice nelle forme del rito camerale (art. 12-bis, commi 4 e 5, in relazione all'art. 12, comma 2, terzo e quarto periodo). Per contro l'O.C.C. assume di regola le funzioni di liquidatore sia in caso di accordo del debitore non consumatore che di piano del consumatore (art. 13, comma 1). E svolge le funzioni di liquidatore anche nella procedura di liquidazione (art. 15, comma 8).

Il legislatore ha così mescolato compiti di supporto al debitore, compiti di fidefacenza verso i creditori, compiti di ausilio del giudice e di controllore nell'interesse dei creditori. È evidente che in tal modo si apre la strada al conflitto d'interessi. L'organismo di composizione della crisi è al tempo stesso il consulente del debitore, l'attestatore della veridicità dei dati e della fattibilità del piano, organo pubblico che procede all'accertamento dell'esito della votazione e ne riferisce al giudice nei cui confronti opera come ausiliario, controllore dell'adempimento nell'interesse dei creditori. Il conflitto d'interessi può trovare soluzione se le varie funzioni non sono svolte dai medesimi soggetti, anche se nell'ambito dello stesso organismo di composizione della crisi. Ha quindi senso suggerire che l'Organismo adotti un regolamento nel quale i diversi compiti vengano attribuiti a differenti professionisti, con una vera e propria delega di funzioni. In questo senso non è positivo che l'attuale testo dell'art. 15 della legge non preveda più tra i doveri dell'O.C.C. quello di munirsi di un regolamento, sì che ogni previsione in tal senso potrà eventualmente emergere soltanto dal futuro emanando regolamento ministeriale che disciplinerà in dettaglio le attività degli O.C.C. o dall'iniziativa autonomamente assunta da questi ultimi.

Va aggiunto che, come si è detto, le funzioni di O.C.C. possono essere svolte, e non più in via transitoria, da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all'

art.

28 l

.fall

., ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. Tale innovazione non è positiva perché, a prescindere dalle capacità professionali dei professionisti che saranno nominati, che saranno verosimilmente equivalenti a quelle degli attuali curatori fallimentari (ma è da immaginare che i migliori ricuseranno la nomina in questi procedimenti, di regola modesti), accentua il problema del conflitto d'interessi concentrando tutte le attività proprie degli O.C.C. in una singola persona.

Merita soffermarsi ancora su un punto. La legge prevede che il giudice e, previa autorizzazione di quest'ultimo, gli O.C.C., possono accedere ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al

d.l

gs. 30.6.2003, n. 196

, e del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, di cui alla deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 16.11.2004, n. 8 (art. 15, comma 10). Si tratta di poteri molto vasti, che richiederanno un'attenta sorveglianza da parte del giudice in sede autorizzativa, tanto più quando l'accesso alle banche dati sia finalizzato alla presentazione della domanda, in una situazione quindi in cui la procedura non è ancora pendente ed il controllo giudiziario appare problematico.

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