Responsabilità delle banche per concessione abusiva di credito e risanamento

10 Febbraio 2012

Dopo aver esaminato la natura giuridica della responsabilità civile della banca per le ipotesi di concessione di credito abusiva, l'autore fa una breve ricognizione dei profili critici della legittimazione del curatore fallimentare ad agire nei confronti dell'istituto di credito e delle ricadute, in tema di responsabilità civile della banca, della nuova disciplina dei finanziamenti-ponte introdotta dalla legge n. 122 del 2010.
Natura extracontrattuale della responsabilità della banca

I profili inerenti alla natura extracontrattuale della responsabilità per abusiva concessione del credito delle banche ed alla legittimazione ad agire per il risarcimento danno da parte del curatore fallimentare, oltre che dei creditori dell'imprenditore finanziato (categoria in cui vanno come noto ricompresi sia i creditori con titolo antecedente alla erogazione del credito, sia quelli con titolo successivo), introducono necessariamente le questioni che si pongono, con riguardo al piano di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) ed agli accordi di ristrutturazione introdotti dall'art. 182 bis l. fall., quanto alla possibilità di configurare una responsabilità per concessione abusiva di credito in capo alle banche che hanno preso parte al cd. workout.

Le operazioni di erogazione di credito che vengono generalmente contemplate in un piano di risanamento [quello previsto dalla norma di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. o quello che eventualmente sia sottostante agli accordi ex art. 182 bis l. fall.] si prestano infatti, in caso di successivo fallimento dell'imprenditore, ad essere valutate secondo le categorie della responsabilità per concessione abusiva di credito (DI MARZIO, Abuso nella concessione del credito, Napoli, 2004, 249 ss.).

Com'è noto, tale fattispecie ricorre allorché una banca, conoscendo o dovendo conoscere l'insolvenza dell'imprenditore successivamente dichiarato fallito, abbia nondimeno continuato a finanziarlo, in tal modo danneggiando i creditori.

Gli elementi costituitivi di questa particolare ipotesi di responsabilità, come detto certamente di natura aquilana, sono costituiti:

- dal comportamento abusivo della banca la quale, contravvenendo ai principi che regolano l'esercizio dell'attività bancaria, concede credito ad un soggetto incapace di garantire una normale restituzione delle somme prese a prestito;

- dalla produzione di un danno verso gli altri creditori dell'imprenditore finanziato.

Per i creditori con titolo anteriore alla concessione del credito, il pregiudizio discende direttamente dall'artificioso mantenimento in vita dell'impresa e dai conseguenti ritardato fallimento e aumento del passivo accompagnati, verosimilmente, dalla diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore; per i creditori con titolo posteriore, invece, il pregiudizio deriva dal fatto stesso di aver negoziato con l'imprenditore poi fallito, sulla base dell'apparenza di solvibilità determinata dall'erogazione del credito da parte della banca (NIGRO, La responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, Milano, 1978, I, 343; Tribunale di Foggia 11 dicembre 2000, in Dir. fall., 2001, II, 545).

Del resto, è noto che la concessione, il mantenimento e la revoca del credito bancario sono eventi che producono un effetto diretto sulle valutazioni degli operatori economici che interagiscono con l'impresa interessata dalle scelte della banca erogatrice (BONFATTI, La disciplina dell'azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei fallimenti immobiliari, cit., 203-204).

La responsabilità per concessione abusiva di credito finisce, così, per risultare ascrivibile alla fattispecie nota negli ordinamenti di common law come tort of detrimentalreliance; fattispecie che ricorre, per l'appunto, quando un terzo viene indotto da altri a peggiorare la propria situazione patrimoniale (ROBLES, Erogazione abusiva di credito, responsabilità della banca finanziatrice e (presunta) legittimazione attiva del curatore fallimentare del sovvenuto, in Banca borsa tit. cred., 2002, II, 278; nonché PATINI, Abusiva concessione del credito e poteri del curatore, in Fall., 2004, 430-431).

Il problema della legittimazione ad agire della curatela fallimentare

Posto quindi che non v'è dubbio alcuno quanto alla possibilità di individuare profili di responsabilità extracontrattuale nella condotta della banca che conceda credito “anomalo”, i problemi che si pongono ineriscono alla possibilità di ammettere che l'azione di responsabilità sia esperita dal curatore del fallimento del finanziato, in rappresentanza dell'interesse della massa dei creditori concorsuali.

In proposito va detto che ormai da tempo esistono due diversi orientamenti.

Secondo una prima tesi, diffusa soprattutto tra i tribunali di merito, la legittimazione del curatore a far valere la responsabilità della banca per concessione abusiva di credito non sarebbe ammissibile, per la semplice ragione che non sarebbe configurabile, in questi casi, alcun “danno di massa”, dovendosi valutare, caso per caso, il pregiudizio sofferto dai singoli creditori a causa del comportamento “anomalo” della banca (Cass. 9 ottobre 2001, n. 12368).

Tale pregiudizio, infatti, non solo può essere diverso per ciascun creditore (si pensi alla differenza tra creditori con titolo anteriore e quelli con titolo posteriore all'erogazione del credito), ma in alcune ipotesi può anche mancare.

Si pensi, a titolo di esempio, al caso dei creditori “anteriori” che negoziato conoscendo perfettamente lo stato di insolvenza del loro contraente (NIGRO, Note minime in tema di responsabilità per concessione abusiva di credito, cit., 300-301).

Affermare la legittimazione attiva del curatore fallimentare implicherebbe poi l'inammissibile risultato di far beneficiare del relativo risarcimento anche la stessa banca cui viene imputato il comportamento lesivo.

Sulla scorta di tali argomenti, si sostiene che la legittimazione ad agire spetti ai singoli creditori, ai quali quindi incomberà l'onere di dimostrare l'esistenza del danno, la sua effettiva entità, il nesso causale tra tale danno e il comportamento abusivo della banca, secondo i principi generali che regolano l'onere probatorio connesso alla responsabilità ex art. 2043 c.c.

Secondo la tesi opposta a quella in discorso, la legittimazione del curatore all'esercizio dell'azione di responsabilità sarebbe invece sempre ammessa (VISCUSI, Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di responsabilità, in Banca borsa tit. cred., 2004, II, 648 ss.; nonché FERRARI, Legittimazione del curatore per abusiva concessione di credito: plurioffensività dell'illecito al patrimonio e alla garanzia patrimoniale, in Fall., 2006, 419 ss. In giurisprudenza vedi invece Trib. Foggia 11 dicembre 2000; Trib. Foggia 7 maggio 2002).

In base a tale opinione, infatti, il danno prodottosi a seguito della concessione abusiva di credito da parte della banca consisterebbe, non tanto nella menomazione della libertà contrattuale di coloro che abbiano concesso o rinnovato fiducia all'imprenditore, quanto piuttosto nella lesione all'integrità patrimoniale dell'imprenditore conseguente all'artificiosa protrazione dell'attività d'impresa.

Detto in altri termini, la banca sarebbe chiamata a rispondere verso i danneggiati non per averli ingannati, creando un'apparenza di solvibilità non rispondente al vero, ma per aver leso l'integrità della garanzia patrimoniale del debitore.

Il danno sarebbe pertanto “di massa” in quanto subito, indistintamente, da tutti i creditori, con conseguente legittimazione ad agire del curatore fallimentare.

La legittimazione del curatore fallimentare è stata ricondotta, inoltre, alla diretta causazione di un danno all'imprenditore poi fallito, donde la legittimazione degli organi del fallimento a sostituirsi a quest'ultimo per reintegrare, attraverso un'azione risarcitoria, la garanzia patrimoniale lesa dal comportamento scorretto della banca.

Sul tema, come è noto, sono intervenute le Sezione Unite della Corte di Cassazione, con una pronuncia che ha negato la legittimazione attiva del curatore fallimentare e che recepisce in toto le motivazioni della prima corrente di pensiero (Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7029).

Il problema della legittimazione del curatore fallimentare è tuttavia stato ripreso dalla Suprema Corte, di recente, sulla base di una diversa prospettazione della fattispecie.

La Corte, senza sconfessare espressamente le Sezioni Unite, ha stabilito che il curatore ha la possibilità di convenire in giudizio l'ente creditizio, in rappresentanza della società fallita, ricorrendo all'azione di responsabilità per danni prevista dall'art. 146 l. fall., configurando un atto di cattiva gestione integrato proprio dal ricorso al credito da parte dell'amministratore e considerando il concorso dell'ente creditizio erogatore nel fatto illecito posto in essere dagli organi amministrativi della società fallita; di qui la possibilità di convenire in giudizio la banca per il concorso nella lesione del patrimonio discendente dalla concessione abusiva del credito.

Nella stessa pronuncia la Cassazione ha escluso che si tratti di un'ipotesi di liticonsorzio necessario, con conseguente possibilità di citare per danni la banca a prescindere dall'esperimento della stessa azione nei confronti dell'amministratore (Cass. civ., Sez. I, 1 giugno 2010, n. 13413).

La concessione abusiva di credito e i finanziamenti erogati in funzione o in esecuzione di un piano di risanamento

Venendo ora al problema relativo all'eventuale responsabilità delle banche per concessione abusiva di credito quand'anche l'erogazione del finanziamento sia avvenuto nell'ambito di un tentativo di salvataggio, sia esso in esecuzione di un piano avente le caratteristiche richieste dall'art. 67, comma 3, lett. d), sia esso funzionale agli accordi di cui all'art. 182 bis l. fall., va rilevato quanto segue.

Il legislatore della riforma delle procedure concorsuali, nel 2006, nulla aveva disposto al riguardo, ragione per cui la dottrina aveva evidenziato la mancanza di significativi elementi che potessero comportare una variazione della situazione (DI MARZIO, Contratto e crisi d'impresa. Piano di risanamento, accordo di ristrutturazione e responsabilità per concessione abusiva di credito, in AA.VV. Il concordato preventivo e la ristrutturazione del debito d'impresa, Torino, 2006, 148).

La circostanza che il finanziamento sia stato concesso in esecuzione di un piano attestato di risanamento, o di un piano di risanamento sottostante agli accordi di ristrutturazione non varrà, di per sé, in via di principio ad escludere ogni responsabilità civile in capo alla banca che ha partecipato al turnaround.

Tuttavia, anche prima della riforma, gran parte della dottrina tendeva ad escludere la responsabilità della banca per concessione abusiva di credito laddove il finanziamento fosse stato concesso sulla base di una fondata strategia finalizzata al risanamento dell'impresa.

Si evidenziava infatti come al finanziatore non potessero essere imputate le sopravvenute vicende che avessero determinato il fallimento del piano di salvataggio.

Oggi, a maggior ragione, considerato il nuovo quadro normativo, caratterizzato dall'introduzione di strumenti di soluzione concordata della crisi alternativi alle procedure concorsuali, deve ritenersi che la banca che si muove in un contesto negoziale caratterizzato dalla funzione di soluzione della crisi non possa essere considerata responsabile per concessione di credito abusiva.

Soprattutto gli effetti assicurati dal procedimento previsto dall'art. 182 bis l. fall., ma anche il riconoscimento degli esoneri conseguenti all'attestazione di ragionevolezza del piano di risanamento, inducono a ritenere che il momento negoziale che accompagna il piano di risanamento siacaratterizzato da una causa atipica meritevole di tutela.

In altri termini, può dirsi che nella funzione economica dei contratti conclusi con i creditori entri la soluzione della crisi.

In un contesto così caratterizzato, la mancanza di responsabilità per colui che eroghi credito all'imprenditore con lo scopo di consentirgli il superamento della crisi deve considerarsi immanente.

Ne consegue che in presenza di un piano di risanamento in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge (la ragionevolezza e l'idoneità a consentire il risanamento, quanto all'istituto previsto dalla lett. d) dell'art. 67 l. fall.; l'accessorietà ad accordi che siano stati omologati, quanto all'istituto di cui all'art. 182 bis l. fall), nessuna responsabilità potrà essere ravvisata in capo alle banche che, partecipando al tentativo di salvataggio, abbiano erogato nuova finanza all'impresa in crisi.

Tale conclusione risulta ancor più vera ove si consideri la ratio dell'introduzione dei nuovi istituti ed i contenuti dei recenti interventi modificativi degli stessi, quelli riconducibili al d.l. n. 178 del 2010, convertito in legge dalla legge n. 122 del 2010.

Inutile dire, peraltro, che minore sarà il rischio di incorrere in responsabilità, sia civili sia penali, maggiore sarà la propensione degli operatori economici a partecipare al tentativo di risanamento e a sopportarne i relativi sacrifici in vista dell'auspicata conservazione dell'attività d'impresa.

Resta peraltro evidente che le considerazioni testé svolte non valgano per le ipotesi in cui la banca dovesse erogare il credito con la piena consapevolezza che il piano di risanamento sia stato elaborato e attestato con finalità fraudolente.

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