Nuovi sviluppi della legittimazione dell’Agenzia delle Entrate ad insinuarsi al passivo fallimentare

24 Maggio 2012

La domanda di ammissione al passivo di un fallimento avente ad oggetto un credito di natura tributaria non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l'allegazione all'istanza di documentazione comprovante l'avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su titolo di diverso tenore.
Massima

La domanda di ammissione al passivo di un fallimento avente ad oggetto un credito di natura tributaria non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l'allegazione all'istanza di documentazione comprovante l'avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su titolo di diverso tenore.

Il caso

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affrontano il tema della legittimazione dell'Agenzia delle Entrate a partecipare a procedure concorsuali per ottenere la soddisfazione di crediti di natura fiscale. La questione muove dall'istanza di ammissione al passivo del fallimento di una società, presentata dall'Agenzia delle Entrate allegando, a sostegno della richiesta, copia dei fogli di prenotazione, quali titoli definitivi dei crediti vantati.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Nel dettaglio era stato chiesto ai Giudici di legittimità di stabilire “se, nel quadro normativo vigente al momento della presentazione dell'istanza di ammissione, questa dovesse essere o meno preceduta dalla iscrizione a ruolo dei crediti erariali azionati e dalla notifica della cartella di pagamento … e se analogamente fosse ammissibile un'azione esecutiva intrapresa senza l'intervento del concessionario, a ciò deputato per legge”.
Relativamente alla prima questione viene affermato che la legittimazione dell'agente della riscossione a far valere il credito tributario nell'ambito della procedura fallimentare non esclude la legittimazione dell'Agenzia delle Entrate in quanto quest'ultima mantiene la titolarità del credito azionato.
Relativamente alla seconda questione si chiarisce che la domanda di ammissione al passivo di un fallimento di un credito tributario non presuppone, necessariamente, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento, nonché l'allegazione all'istanza di documentazione comprovante l'avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo la domanda essere basata anche su un titolo diverso.
La prima questione è risolta in senso coerente a quella giurisprudenza, estranea alla materia fallimentare (ex multis Cass. 26 aprile 2005, n. 14668), che ha chiarito i confini della legittimazione processuale dei concessionari della riscossione prima, e degli agenti della riscossione poi.
Questi ultimi soggetti sono legittimati passivi nei giudizi in cui si controverta in merito a vizi relativi alla formazione della cartella, come ad esempio errori di individuazione del contribuente, vizi di notifica, mancanza della sottoscrizione o del responsabile del procedimento di emissione o di notificazione della cartella di pagamento. Gli incaricati della riscossione sono, in altri termini, legittimati processualmente in relazione alle attività da essi poste in essere.
L'Agenzia delle Entrate è, invece, l'unico legittimato passivo in tutti i casi in cui venga contestata la mancata notifica degli atti presupposti o, soprattutto, la legittimità della pretesa tributaria.
La Cassazione, nella sentenza in esame, muove da tale ripartizione e si sofferma sull'osservazione secondo cui anche l'Agenzia delle Entrate deve potersi costituire creditore nei confronti del contribuente, sicché la sua legittimazione ad intervenire in procedure concorsuali non può essere esclusa. Dette procedure non appaiono “finalizzat[e] alla diretta realizzazione dell'adempimento dell'obbligazione di pagamento, ma risulta[no] piuttosto volt[e] ad assicurare il conseguimento della "par condicio creditorum" nel rispetto della disciplina specificamente indicata a tal fine (L. Fall., art. 92 e segg.)” e, pertanto non può essere esclusa la partecipazione alla procedura stessa dell'effettivo creditore.
Da tale assetto deriva per la Cassazione la soluzione della seconda questione e, quindi, la necessità di non ritenere più il ruolo quale unico atto necessario da allegare alla domanda di ammissione al passivo del fallimento, potendo essere sufficiente per l'Agenzia delle Entrate fornire altra documentazione dalla quale evincere l'esistenza della posizione creditoria. Una simile conclusione non è peraltro isolata nella giurisprudenza della Cassazione e delle stesse Sezioni Unite.
Per la Cassazione, limitando l'insinuazione dei debiti tributari all'emissione del ruolo, si porrebbe l'ente impositore in una posizione deteriore (e, quindi, non tollerabile) rispetto agli altri creditori. Anzi, “la corretta lettura ed interpretazione della normativa vigente esclud[e] che possa essere affermata la necessità dell'allegazione del ruolo, a sostegno della domanda di riconoscimento del credito erariale direttamente formulata dall'Amministrazione creditrice”.

Osservazioni

La sentenza in esame, ad una prima lettura, si segnala per aver ampliato definitivamente il novero degli atti che possono legittimare l'insinuazione al passivo da parte dell'Amministrazione Finanziaria, in quanto viene escluso che il ruolo possa avere valore di prova legale ed esclusiva a fondare la pretesa tributaria.
Tuttavia, la sua portata può essere, almeno parzialmente, ridimensionata e valutata in termini più coerenti con quelli suggeriti dalla dottrina. Essa appare, infatti, fortemente condizionata dalle particolarità del caso concreto in quanto, come afferma la Cassazione, “nella specie è circostanza assolutamente certa che la Commissione Tributaria adita, con sentenza passata in giudicato, ha rigettato il ricorso proposto dal debitore, riconoscendo per l'effetto legittimi sia gli accertamenti fiscali effettuati, che le violazioni contestate”, sicché “la situazione processuale che si è venuta a determinare è dunque identica a quella che si sarebbe determinata ove l'istanza di ammissione dell'Amministrazione fosse stata accompagnata dal ruolo”. Ad una seconda lettura, allora, il principio di diritto affermato dalla Cassazione sembrerebbe essere quello per cui è possibile l'insinuazione al passivo da parte dell'Amministrazione Finanziaria al di fuori dei casi in cui è stato emesso il ruolo, purché, però, il rapporto giuridico sottostante risulti definitivamente accertato. In questa accezione si garantirebbe la partecipazione alla procedura di tutti i creditori che vantano crediti anteriori all'apertura della procedura, senza aggravare l'Amministrazione Finanziaria di ulteriori oneri e procedure.

Conclusioni

La sentenza in esame si presta ad un ulteriore campo di indagine. Il principio di diritto affermato merita, infatti, di essere analizzato alla luce delle modifiche apportate all'avviso di accertamento dal D.L. n. 78 del 2010.
L'art. 29, comma 1, lett. a), ha integrato il contenuto (e conseguentemente la natura) dell'avviso di accertamento prevedendo che tale atto debba contenere anche l'intimazione ad adempiere. È stata eliminata la fase dell'iscrizione a ruolo, per cui l'agente della riscossione, sulla base dell'avviso di accertamento e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, può ora procedere ad espropriazione forzata.
È stata così eliminata la necessità di procedere all'emissione del ruolo, con la conseguente necessità di procedere ad un ripensamento della normativa fallimentare. La sentenza n. 4126 del 2012 anticipa, involontariamente, il legislatore. Il riconoscimento della legittimazione dell'Agenzia delle Entrate a procedere all'insinuazione al passivo di procedure concorsuali appare una soluzione coerente rispetto alla natura ed alle funzioni dell'atto c.d. impoesattivo che reca, similmente all'avviso di accertamento, la quantificazione del debito tributario e, similmente al ruolo, l'intimazione ad adempiere ed efficacia esecutiva.
In questo rinnovato contesto non appare scorretto prevedere un maggior coinvolgimento della stessa Agenzia delle Entrate in quanto autrice dell'atto che meglio assicura il diritto del creditore pubblico. Vengono così anche superate le criticità della sentenza in esame relative alla parte in cui consente l'utilizzo di atti diversi dal ruolo ai fini di cui all'art. 87 D.P.R. n. 602 del 1973.
In definitiva, la sentenza in commento appare più rilevante per le controversie future che per quelle esistenti: l'estensione della legittimazione processuale all'Agenzia delle Entrate, mentre presenta profili di criticità per le seconde, anticipa una possibile soluzione per le prime.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per la giurisprudenza cfr. Cass. 18 novembre 2010, n. 23388; Cass. 26 aprile 2005, n. 14668, cit.; Cass. Sez. Un., 4 marzo 2009, n. 5165; Cass. 20 luglio 2007, n. 16120; Cass. 22 febbraio 2008, n. 4633; Cass. 19 maggio 2006, n. 12777.
Sulla più generale tematica dell'ammissione al passivo dei crediti erariali si segnala - sul piano della prassi operativa - una specifica e ampia circolare emessa dal Presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Milano, reperibile sul sito Tribunale.milano.it, nell'area Procedure concorsuali/circolari.
Per la dottrina v. M. BASILAVECCHIA, Ruolo d'imposta, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 182; L. DEL FEDERICO, Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella verifica fallimentare dei crediti tributari, in Il Fall., 2009, 1376; M. PIERRO, L'insinuazione dei crediti da sanzioni tributarie e la rilevanza del ruolo, in Corr. trib., 2010, 2371; S. LA ROSA, Riparto delle competenze e “concentrazione” degli atti nella disciplina della riscossione, in Riv. dir. trib., 2011, 577; A. CARINCI, Prime considerazioni sull'avviso di accertamento "esecutivo" ex DL n. 78/2010, in Riv. dir. trib., 2011, 15.

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