Illegittimità della domanda di concordato fallimentare: il potere del giudice e l’eterogenesi dei fini

09 Novembre 2012

Nel concordato fallimentare, una volta acquisito il parere del curatore, il giudice delegato conserva il potere di arrestare il procedimento, nell'ipotesi in cui rilevi profili di illegittimità della domanda, senza dover dar corso alla comunicazione della proposta ai creditori.
Massima

Nel concordato fallimentare, una volta acquisito il parere del curatore, il giudice delegato conserva il potere di arrestare il procedimento, nell'ipotesi in cui rilevi profili di illegittimità della domanda, senza dover dar corso alla comunicazione della proposta ai creditori.

Il caso

Innanzi al Tribunale di Milano viene proposta una domanda di concordato fallimentare che, una volta ottenuto il parere positivo del curatore, viene rimessa al Giudice Delegato per dar corso alla comunicazione della proposta ai creditori. Il Giudice Delegato, rilevati profili di illegittimità della domanda, in relazione alle modalità di formazione delle classi dei creditori, ritiene di arrestare la procedura, senza dar corso alle successive comunicazioni ai creditori.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Il caso esaminato nel decreto riguarda un profilo di non secondario interesse nella procedura di concordato fallimentare ovvero la possibilità che viene riconosciuta al Giudice delegato, dopo il parere positivo reso dal curatore, di arrestare la procedura concordataria, non dando luogo, così, alle comunicazioni ai creditori. Nella fattispecie in commento, il Giudice Delegato aveva rilevato profili di illegittimità della proposta in relazione alla tecnica di formazione delle classi, le quali erano state enucleate senza tener conto del principio consolidato secondo cui esse possono comprendere soltanto i creditori originariamente chirografari ovvero quelli privilegiati che, non trovando soddisfazione, totale o parziale, nella liquidazione dei beni sui quali il privilegio insiste, degradano completamente o in parte al chirografo. Inoltre, il Giudice Delegato rileva che il soddisfacimento offerto in percentuale in favore di alcuni dei creditori assistiti dalla causa di prelazione ipotecaria e da un privilegio generale risulta inferiore a quanto ai medesimi creditori spetterebbe all'esito della liquidazione concorsuale. La soluzione prospettata si fonda su una considerazione di “economia del processo”, in particolare il Giudice delegato ritiene che risulterebbe incongruo attribuire il giudizio sulla legittimità della domanda alla successiva verifica della regolarità della procedura cui il tribunale è chiamato in sede di omologazione (art. 129, comma 4, l. fall.), specie allorquando già dal contenuto della domanda possano trarsi sicuri indici di illegittimità della stessa. Si rammenta che risulta diffusa l'opposta tesi secondo la quale il giudice delegato, anche in presenza di violazioni di legge, sarebbe comunque tenuto a dar corso alla procedura, con la necessaria comunicazione della proposta ai creditori concorsuali, ai quali sarebbe attribuito il potere di decidere se aderire o meno alla domanda. Tale argomento è contrastato nel decreto in commento anche con ragioni logico-sistematiche, le quali escluderebbero che il controllo di legittimità possa spettare al curatore e al comitato dei creditori, anziché al giudice delegato, il quale nell'ordito della disciplina del fallimento resta prettamente organo di vigilanza e di controllo della procedura.

Osservazioni

La soluzione prospettata nel decreto non pare da condividersi completamente nei suoi passaggi argomentativi, e ciò per ragioni sistematiche relative alla particolare conformazione che il procedimento del concordato fallimentare assume nel diritto concorsuale riformato, in relazione al quale non può richiamarsi quella funzione generale attribuita dall'art. 25 l. fall. al giudice delegato, posto che norme specifiche disciplinano nella fase l'intervento dell'autorità giudiziaria. Ciò, del resto, è confermato dallo stesso decreto in oggetto che, ma solo formalmente, riconosce come la valutazione di convenienza spetti esclusivamente al comitato dei creditori e al curatore, che hanno il compito di valutare la preferibilità della soluzione concordataria rispetto alla liquidazione fallimentare. L'art. 125, comma 2, l. fall. prevede che, una volta ottenuto il parere del curatore con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione ed alle garanzie offerte, il giudice delegato, valutata la ritualità della proposta, ordina che la stessa, unitamente al parere del curatore e del comitato dei creditori, venga comunicata ai creditori. Il termine di riferimento del giudizio resta “la ritualità” della proposta, con la conseguenza che il giudice delegato può dichiarare inammissibile una proposta di concordato priva dei requisiti formali previsti dalla legge, con riferimento alla regolarità o conformità della stessa con le norme del procedimento nel suo complesso. Molto più controverso resta il profilo connesso al controllo sulla verifica preliminare in ordine alla legittimità della proposta, intesa come sussistenza degli elementi indispensabili, caratterizzanti la stessa. Invero, però, non pare che “il corretto utilizzo dei criteri per la formazione delle classi” (art. 125, comma 3, l. fall.) possa farsi rientrare nelle attribuzioni del giudice delegato, posto che esso appartiene al tribunale, cui la proposta deve essere inviata con il parere del curatore e del comitato dei creditori. In questa prospettiva, il rilievo compiuto dal Giudice delegato sulla tecnica di formazione delle classi risulta assegnato al tribunale, anche se nel decreto viene posta implicitamente una differenza tra “tecnica di formazione” e “corretto utilizzo della formazione delle classi”, che, però, non pare emergere dalla lettera della norma. Invero, dal contenuto del decreto non emergono quegli aspetti, pure evocati, che riguardano profili tecnico-giuridici che andrebbero ovviamente rispettati nella costruzione della proposta; se così fosse resterebbe evidente un aspetto di illegittimità che finirebbe per attingere la domanda concordataria in quanto tale. Sembra, invece, che il profilo relativo alla circostanza che alcuni creditori assistiti da privilegio risultino nell'ipotesi concordataria ottenere meno di quanto potrebbero ricevere in seguito alla liquidazione concorsuale, resti connesso “alla convenienza” della proposta, aspetto indubbiamente attribuito ai creditori.
Deve, in questa prospettiva, confermarsi l'opinione secondo la quale l'art. 125 l. fall. sembra diretto ad escludere un esame che scenda nella sostanza della proposta concordataria e ad incanalare l'intervento del giudice nell'alveo della legittimità, ovvero della verifica della sussistenza degli elementi indispensabili caratterizzanti la proposta concordataria, come connesso a verificare la completezza delle informazioni fornite dal curatore per consentire ai creditori una corretta espressione del voto. Naturalmente, il termine “legittimità” potrà essere interpretato nel modo più elastico possibile, come sembra fare il decreto in commento, ma a tal punto è altrettanto lecito porsi la domanda se questo sia il risultato voluto dal legislatore quando assegna ai (soli) creditori la valutazione sulla convenienza economica della proposta, e ciò rileva proprio in relazione a quanto ritenuto nella seconda parte del decreto in commento.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per la dottrina si vedano: S. Pacchi, Il concordato fallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, vol. II, Torino, 2009, 1427; M. Vitiello, Sub art. 125, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, vol. II, Bologna, 2007, 1992; S. Ambrosini, Il concordato fallimentare, in IlFallimento, a cura di Ambrosini, Cavalli e Jorio, Padova, 2009, 714; G.B. Nardecchia, La ripartizione fisiologica e patologica dei poteri degli organi della procedura nell'esame della proposta di concordato fallimentare, in Fall., 2008, 1715.

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