Esame della proposta di concordato fallimentare e poteri di arresto del procedimento da parte del Giudice delegato

09 Novembre 2012

Nel concordato fallimentare, una volta acquisito il parere del curatore, il giudice delegato conserva il potere di arrestare il procedimento, nell'ipotesi in cui rilevi profili di illegittimità della domanda, senza dover dar corso alla comunicazione della proposta ai creditori.
Massima

Nel concordato fallimentare, una volta acquisito il parere del curatore, il giudice delegato conserva il potere di arrestare il procedimento, nell'ipotesi in cui rilevi profili di illegittimità della domanda, senza dover dar corso alla comunicazione della proposta ai creditori.

Il caso

Nell'ambito di procedimento per concordato fallimentare, il Giudice delegato del Tribunale di Milano rileva ragioni di inammissibilità della relativa proposta sia con riguardo alla tecnica di formazione delle classi, sia alla previsione di soddisfazione dei creditori assistiti da prelazione ipotecaria. Sulla scorta di tali rilievi il Giudice, dopo aver acquisito il parere favorevole del curatore, ravvisa l'inutilità di proseguire negli ulteriori adempimenti prescritti dall'art. 125 l. fall., che precedono la comunicazione della proposta ai creditori ai fini del voto; in particolare, non ritenendo necessaria l'acquisizione del parere del comitato dei creditori per aver constatato la sussistenza di ragioni di inammissibilità della proposta, emette decreto in tal senso, così arrestando il procedimento in itinere.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il decreto in commento offre un'interessante occasione di interpretazione logico-sistematica dell'art. 125 l. fall., nella versione modificata a seguito del D.lgs. n. 241/2007 e della l. n. 69/2009, e di riflessione sui poteri del giudice delegato e del Tribunale con riguardo alla procedura di concordato fallimentare.
In particolare, il primo comma dell'articolo citato prevede che il Giudice delegato richieda al curatore parere in ordine ai presumibili risultati della liquidazione ed alle garanzie offerte; il secondo comma concerne il momento successivo a tale “adempimento preliminare” (come testualmente definito dalla legge) in cui “il giudice delegato acquisito il parere favorevole del comitato dei creditori, valutata la ritualità della proposta, ordina che la stessa, unitamente al parere del curatore e del comitato dei creditori venga comunicata ai creditori (…)”.
Secondo il dettato normativo i passaggi del procedimento di concordato fallimentare, nella fase che va dal deposito della proposta alla comunicazione della stessa ai creditori, sono dunque scanditi dall'acquisizione dei pareri del curatore e del comitato dei creditori nonchè dall'esame del Giudice delegato sulla conformità della proposta alla legge.
Nel caso che si esamina il Giudice delegato constata, sotto più profili, l'irritualità della proposta:
a) la tecnica di formazione delle classi non tiene conto del principio consolidato secondo cui di esse fanno parte i creditori chirografari ab origine o quelli privilegiati che, non trovando soddisfazione nella liquidazione dei beni gravati da privilegio, declassano, per l'intero od in parte, in chirografo;
b) l'offerta di soddisfacimento in percentuale a creditori assistiti da prelazione ipotecaria e privilegio generale in misura inferiore a quanto spetterebbe loro in caso di liquidazione fallimentare dei beni su cui gravano le garanzie.
Il rilievo delle suddette inammissibilità impone al Giudice una innovativa “inversione” dei passaggi procedimentali previsti dall'art. 125 l. fall. ed un arresto del procedimento, rendendosi superflua la sua prosecuzione.
Il Giudice delegato chiarisce nel decreto il ruolo degli organi della procedura fallimentare nella valutazione della proposta di concordato: al comitato dei creditori spetta il giudizio sulla convenienza della proposta, invece al giudice, in successione temporale, compete quello di ritualità.
Tuttavia, l'anteposizione della verifica giudiziale di ritualità rispetto alla valutazione della proposta nel merito risponde a logica di sistema; infatti, l'inammissibilità della domanda azzera la proficuità del giudizio del comitato dei creditori ed in ogni caso evita la prosecuzione del procedimento.
La soluzione giuridica adottata dal Giudice delegato è improntata ad un'interpretazione logico-sistematica dell'art. 125 l. fall., anche alla luce del potere di vigilanza e di garanzia sulla regolarità della procedura riconosciuto al giudice dall'art. 25 l. fall.; ed è dichiaratamente conforme a finalità di economia processuale dettate dalla irrazionalità dell'attesa che l'inammissibilità della proposta venga sollevata dal Tribunale.
Infatti a tale organo compete, ai sensi dell'art. 125, comma 3, l. fall., verificare l'osservanza dei criteri di formazione delle classi; invece, nel caso in esame, l'inammissibilità è relativa ad un profilo tecnico giuridico non attinente alla formazione delle classi bensì alla costruzione della proposta nell'osservanza dei principi di diritto fallimentare.

Le questioni aperte

La fondamentale questione sollevata dal provvedimento, e sulla quale lo stesso si incentra, concerne la possibilità che il Giudice Delegato renda il proprio giudizio sulla ritualità della proposta ancor prima che il comitato dei creditori si pronunci sulla convenienza della stessa.
A tale questione potrebbe affiancarsene un'altra in qualche misura subordinata, e cioè in che cosa consista detto controllo di ritualità.
L'opportunità espositiva consiglia l'inversione degli argomenti.
Dovrebbe, infatti, preliminarmente decidersi se il termine ritualità debba intendersi in senso stretto oppure in senso lato; la distinzione non è irrilevante, dipendendo da essa un esercizio più o meno ampio della funzione del giudice delegato nella procedura di concordato fallimentare.
Nel primo caso il controllo del giudice dovrebbe concernere la conformità della proposta alle regole procedurali del concordato, nel secondo, invece, dovrebbe allargarsi anche all'esame di questioni sostanziali di legittimità della formulata proposta (sulle quali il provvedimento si è in sostanza pronunciato).
In effetti, potrebbe apparire illogico, in una visione di sistema, ritenere che il giudice delegato debba limitare la propria cognizione a quei soli aspetti di legittimità della domanda che abbiano natura strettamente processuale; lo sforzo concettuale sembra evidente, dato che occorrerebbe fornire convincente argomentazione sulla razionalità dello sdoppiamento di detto controllo di legittimità tra giudice e tribunale oltre ai casi stabiliti dalla legge, come nel caso del controllo del tribunale sui criteri di formazione delle classi.
Pertanto dovrebbe convenirsi sull'opportunità di una lettura della norma nel senso che il controllo di legittimità del giudice delegato sia tale da involgere non soltanto questioni pregiudiziali di rito, ma anche quelle che integrano il giudizio sulla ammissibilità della proposta concordataria come costruita dal proponente e che, ad esempio, afferiscono trasversalmente alla composizione delle classi ovvero non concernono i criteri di aggregazione delle stesse bensì i principi operativi della loro formazione, la cui osservanza è imposta dalla legge.
Se questo è lo spazio di delibazione riconosciuto al giudice delegato, si apprezza maggiormente la novità normativa caratterizzata dalla differenza contenutistica tra tale valutazione e quella rimessa al comitato dei creditori: mentre il giudice esprime una valutazione complessiva sulla legittimità della proposta con esclusione dell'esame delle specifiche questioni espressamente riservate al vaglio del tribunale, il comitato dei creditori esprime una complessiva valutazione di convenienza delle proposta concordataria sotto il profilo di opportunità economica.
In una logica di sistema può certamente ammettersi che il comitato dei creditori solleciti la verifica giudiziale anche su aspetti di legittimità della proposta, giacchè tali questioni possono essere sollevate da qualsiasi interessato e non stridono concettualmente con il ruolo di controllo assegnato al comitato dei creditori.
Proprio l'autonomia di questi due giudizi (di legittimità e di convenienza) dovrebbe far concludere per la possibilità che il loro ordine di presentazione nella legge non sia cogente; in altri termini, trattandosi di giudizi vertenti su tematiche diverse, potrebbero essere resi autonomamente l'uno dall'altro.
Se tuttavia si volesse indagare la possibilità di stabilire un ordine logico, allora sarebbe difficile negare che il giudizio di legittimità si mostri precedente al giudizio di convenienza, non essendo razionale interrogarsi sulla convenienza economica di una proposta di cui non si è ancora stabilita la legalità.
Priorità logica vuole pure che il Giudice delegato, allorquando accerti la violazione di regole sostanziali su cui il proponente non ha libertà di scelta nel concepimento della proposta - quale è ad esempio l'offerta di denaro ai creditori prelatizi per importo non inferiore a quello del valore di realizzo del bene ai sensi dell'art. 124, comma 3 l. fall. - si pronunci nel senso della inammissibilità ed arresti il procedimento, senza che ciò implichi una invasione del campo di competenza del Tribunale, la cui indagine è appunto limitata alla verifica di correttezza dei criteri di aggregazione delle classi.

Conclusioni

Deve quindi condividersi la soluzione adottata dal Tribunale di Milano, su una questione astrattamente pacifica, ma resa discutibile soltanto da una infelice formulazione della norma di riferimento.
Il decreto in commento afferma il ruolo del giudice delegato nel procedimento per concordato fallimentare; ruolo che si delinea anche attraverso un'applicazione sistematica della legge.
Invero, l'interprete dovrebbe essere ormai avvertito, da un lato, della non decisività del tenore letterale delle leggi, avendo quotidiana dimostrazione della approssimazione con cui le stesse vengono formulate e continuamente modificate; dall'altro dell'importanza di non riconoscere alla norma valore di monade, bensì di unità elementare nell'ambito di un sistema precettivo più ampio che la ricomprende.
E se dunque la tecnica redazionale del legislatore è tale da determinare il tramonto dell'immediato canone ermeneutico, qual è l'interpretazione letterale della legge, la scelta metodologica seguita dal Tribunale di Milano (di interpretare sistematicamente la disposizione evitandone una lettura isolata dal generale contesto di riferimento) si rivela non soltanto opportuna, ma addirittura necessitata.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In generale sul concordato fallimentare: cfr. artt. 124 e 125 l. fall. in La legge fallimentare, Commentario teorico-pratico, a cura di Massimo Ferro, 2011; Amedeo Bassi, Il Concordato fallimentare, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Vincenzo Buonocore - Matteo Bassi, vol. III, 2011, 573 e ss.; Fabrizio Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, Milano, 2011, 236 e ss..

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