Un’ipotesi di responsabilità dell’amministratore per abuso di direzione e coordinamento

05 Novembre 2012

Nella valutazione sull'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento all'interno di gruppi societari occorre applicare il criterio fondato sulla compensazione tra vantaggi e svantaggi ottenuti dalla controllata, valutandosi ex ante la ragionevole probabilità di ristoro, anche futuro, del pregiudizio, tenendo presente che il trasferimento di capitali da una società all'altra è sempre illegittimo, ove non sia rigorosamente giustificato da un corretto rapporto obbligatorio assistito da contropartita.
Massima

Nella valutazione sull'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento all'interno di gruppi societari occorre applicare il criterio fondato sulla compensazione tra vantaggi e svantaggi ottenuti dalla controllata, valutandosi ex ante la ragionevole probabilità di ristoro, anche futuro, del pregiudizio, tenendo presente che il trasferimento di capitali da una società all'altra è sempre illegittimo, ove non sia rigorosamente giustificato da un corretto rapporto obbligatorio assistito da contropartita.

Il caso

Al Tribunale di Bologna veniva presentata dalla Curatela Fallimentare un'istanza volta ad ottenere l'emissione di un sequestro conservativo ante causam ex art. 671 c.p.c. nei confronti degli ex amministratori e degli ex componenti del collegio sindacale di una s.p.a. fallita, prospettandosi nel merito l'intenzione di proporre un'azione sociale di responsabilità nei loro confronti ex art. 146 l. fall.. Nella fattispecie, si contestava agli amministratori della controllante di avere sistematicamente alimentato le controllate sottocapitalizzate mediante prestiti che, alla luce di un criterio di corretta gestione, erano ingiustificati.

Il Giudice, ponendosi nell'ottica dei gruppi societari, verificata la violazione dei doveri da parte degli amministratori in relazione alla mancanza di compensazione tra vantaggi e svantaggi e la ricorrenza di operazioni in spregio del divieto ex art. 2486, comma 1, c.c., conclude per la sussistenza degli addebiti sotto il profilo del fumus boni juris, autorizzando il curatore al sequestro conservativo nei soli confronti degli ex amministratori; nel contempo, respinge la richiesta avanzata nei confronti dei sindaci per assenza del periculum in mora, pur ravvisando la sussistenza del fumus nella violazione da parte di questi del dovere di controllo.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il provvedimento in rassegna si segnala per avere affrontato il tema dei “vantaggi compensativi” in materia di gruppi di società, utilizzandolo come criterio per l'addebito della mala gestio a carico degli amministratori.
Il provvedimento in commento è chiaro nell'affermare che il sindacato giurisdizionale su forme di responsabilità gestoria endogruppo non può prescindere dal riscontro del corretto svolgimento del procedimento formativo della volontà.
Pertanto, il giudice deve esaminare quali fossero i fattori che avrebbero potuto influenzare il procedimento di formazione, portando ad una decisione di segno opposto rispetto a quella realizzata, e se l'amministratore abbia preso in considerazione anche tali elementi.
La mancata considerazione di tali circostanze, ovvero una loro valutazione non diligente, concretizza responsabilità gestoria.
In materia di gruppi di società, secondo il provvedimento in commento, la teoria dei “vantaggi compensativi” costituisce il criterio per verificare se l'amministratore abbia diligentemente previsto - ex ante - i fattori incidenti la formazione della sua volontà decisionale, l'omissione dei quali abbia comportato decisioni inopportune o comportanti rischi d'impresa sproporzionati o manifestamente irragionevoli. In particolare, è alla luce di questo criterio che viene valutata una serie di condotte rilevanti anche secondo l'art. 2486 c.c. (oltre che sul piano della correttezza degli adempimenti contabili), in forma di ingiustificati drenaggi di risorse dalla holding in stato di crisi in favore di controllate.
Il provvedimento in rassegna, pur senza richiamare espressamente il dettato normativo introdotto dalla novella, applica di fatto la previsione di cui all'art. 2497 c.c..
Il Tribunale di Bologna, infatti, assume, come premessa della propria indagine, la necessità che l'applicazione del criterio compensativo sia “da proiettarsi sull'esistenza ex ante di una ragionevole probabilità di un ristoro anche futuro del pregiudizio”.
Il principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società del gruppo, infatti, si sostanzia nel fatto che nella valutazione di quel che potenzialmente giova o invece pregiudica l'interesse della società non si possa prescindere da una visione generale: visione in cui si abbia riguardo non soltanto all'effetto patrimoniale immediatamente negativo di un determinato atto di gestione, ma altresì agli eventuali riflessi positivi che ne siano eventualmente derivati in conseguenza della partecipazione della singola società ai vantaggi che quell'atto abbia arrecato al gruppo di appartenenza. Fermo restando che il rapporto causale tra vantaggio e svantaggio deve - come sopra anticipato - essere connotato dalla specificità, immediatezza e prevedibilità.
In tal modo il Giudice giunge ad avere evidenzia di una condotta unitaria protratta nel tempo, dalla quale non emerge alcuna possibilità di ritorno in favore della società controllata pregiudicata dall'operazione.
Le società controllate, infatti, sono state patologicamente gestite ed utilizzate per la realizzazione degli interessi della controllante e degli interessi personali degli amministratori.

Osservazioni

La teoria dei “vantaggi compensativi” trae origine dall'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale anteriore alla riforma societaria del 2003. Preso atto della subordinazione economica della società controllata alla controllante, era stato infatti enucleato un principio in grado di contemperare, nell'esecuzione delle operazioni di gruppo, l'interesse della società, atomisticamente considerata, e l'interesse del gruppo, nel quale la stessa è inserita.
La tutela della società controllata si traduce nella tutela risarcitoria dell'interesse sia dei suoi soci che dei diritti dei suoi creditori, quale elemento caratterizzante il principio di buona amministrazione della società.
Il rischio che la società assoggettata al controllo possa subire atti di per sé pregiudizievoli, seppure nell'interesse del gruppo, trova il suo necessario limite nel riconoscimento della (necessaria) distinta soggettività/personalità giuridica di tale società rispetto alle altre società del gruppo.
Con tale approccio interpretativo si è riconosciuto che gli amministratori della società controllata possano dar corso a operazioni sfavorevoli per tale società solo se tali atti siano giustificati (“compensati”) da vantaggi concreti e specifici, collegati causalmente - al pari del danno - al medesimo atto di gestione.
L'immediato specifico rapporto di causalità che lega l'operazione al danno, dunque, costituisce allo stesso tempo il criterio per individuare la consequenzialità e la ricorrenza del vantaggio, da un lato, ed il rispetto del principio di buona e diligente amministrazione, dall'altro.
Ne deriva che il vantaggio previsto a livello di mera ipotesi o quale effetto di una distinta serie causale viola il principio della buona amministrazione, attivando la responsabilità risarcitoria dei soggetti individuabili come autori dell'atto dannoso.
Tale teoria interessa altresì la valutazione di conformità di un atto di gestione all'oggetto sociale. In quanto destinato a soddisfare un interesse di natura economica, è da ritenersi atto inerente l'oggetto sociale l'atto i cui benefici anche indiretti, valutato pure il vantaggio complessivo del gruppo, sono idonei a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta.
E' consequenziale che soggetto onerato della relativa prova, da risolversi secondo i criteri della immediatezza e prevedibilità, sia il soggetto responsabile: la società controllante ed i suoi amministratori.
Si afferma che con la novella del 2003 il legislatore abbia recepito tale tesi dei “vantaggi compensativi”, normandola all'ultimo periodo dell'art. 2497, comma 1, c.c.: questa disposizione prescrive la responsabilità gestoria della controllante (e di tutti i soggetti che hanno comunque preso parte all'atto lesivo) nei confronti dei soci esterni e dei creditori delle controllate, laddove l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento sia avvenuto - nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui - in violazione dei principio di corretta gestione societaria e imprenditoriale, fermo restando che non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”.
La previsione introdotta dalla novella lega strettamente la mancanza del danno al corretto esercizio dell'attività di direzione e coordinamento, la quale ultima costituisce il cuore, l'oggetto dell'intera disciplina dei gruppi di società.
Dalla lettura dell'art. 2497, comma 1, c.c. pare doversi dedurre un maggior onere di diligenza a carico degli amministratori, al fine di beneficiare - non solo in proprio, ma anche nell'interesse della holding - della scriminante prevista da tale articolo. Essenziale per l'esenzione della responsabilità è l'assenza del danno sin dall'origine, ovvero l'eliminazione dello stesso a mezzo di apposito idoneo intervento ad hoc.
E' quindi evidente che la diligenza richiesta all'amministratore nell'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento non resta limitata esclusivamente al prevedere ex ante che l'operazione pregiudizievole per la società sia causalmente collegata - secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza - al “risultato complessivo” dell'esercizio di tale attività; all'amministratore si impone anche di verificare e di attuare ex post attività specifiche volte ad eliminare il danno.
Al fine dell'addebito della responsabilità gestoria in capo agli amministratori, quindi, l'esame dell'operazione non può limitarsi al momento genetico, ma va anche esteso anche al momento in cui la stessa si è già realizzata.
Laddove, infatti, a dispetto delle previsioni iniziali, si sia verificato un danno, l'amministratore ha l'obbligo di intervenire per eliminare il pregiudizio e, al fine di beneficiare della scriminante, dovrà dar prova di esser prontamente intervenuto per l'eliminazione integrale dello stesso.
L'utilizzo della locuzione “integralmente eliminato” induce a ritenere che la presenza di un danno residuo, pur a fronte di un ravvedimento operoso, identifichi responsabilità gestoria. Trattasi di un'interpretazione restrittiva, fondata sulla lettera della norma, la quale tuttavia mal si addice alle dinamiche del gruppo, a meno che tale previsione non presupponga una violazione grave ai principi di gestione.
La ricostruzione testè proposta non è peregrina, perché strettamente collegata ai limiti del sindacato del giudice sulle decisioni assunte dagli amministratori; non a caso il Tribunale di Bologna l'ha elevata a presupposto logico ed essenziale dell'intero provvedimento in rassegna.
Nel dare effettiva applicazione all'intervento di contestualizzazione delle operazioni realizzate infragruppo, persiste l'intrinseca difficoltà di individuare l'arco temporale rilevante ai fini della valutazione circa la sussistenza, ovvero la mancanza di quel ragionevole ritorno economico che è idoneo ad elidere la responsabilità per un atto di per sé dannoso. In proposito pare giocoforza ragionare nel senso che è al momento nel quale i soggetti legittimati fanno valere la responsabilità risarcitoria prevista dall'art. 2497 c.c. che occorre operare la misurazione dei vantaggi e degli svantaggi realizzati o immediatamente realizzabili nell'orizzonte di gruppo.

Conclusioni

Il provvedimento in rassegna ha l'indubbio merito di applicare efficacemente i principi dettati dal legislatore in materia di responsabilità gestoria nei gruppi di impresa.
L'indagine condotta dal Tribunale di Bologna, seppur tesa alla verifica della sussistenza del fumus boni iuris per l'emissione di un provvedimento cautelare, ha ad oggetto la lettura di ciascuna singola operazione nell'ottica del gruppo d'impresa e la verifica del nesso di causalità tra pregiudizio patito e vantaggio (o la prevedibilità di un vantaggio) in ragione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di causalità.
Il mancato espresso riferimento all'art. 2497 c.c. non priva il percorso logico giuridico sviluppato dal Tribunale di Bologna dei presupposti richiesti da tale norma. Tuttavia un richiamo esplicito a tale norma avrebbe consentito al Giudice Bolognese di concludere per l'inapplicabilità della scriminante anche in ragione del fatto che, nel caso in esame, gli amministratori non avevano fornito prova di essersi attivati in modo alcuno per eliminare il danno.
La totale mancanza di attività da parte degli amministratori volta ad un “ravvedimento operoso”, a sommesso parere dello scrivente, va considerata parte integrante dell'indagine e non elemento meramente accessorio.
Quantunque il legislatore usi la locuzione “ovvero” per introdurre la previsione legata alla mancanza integrale del danno, è da ritenere che in realtà integri il principio di diligenza dell'amministratore, in materia di gruppi di impresa, il verificare se, dalle operazioni disegnate all'interno del gruppo e pregiudizievoli per l'una società, sia effettivamente mancato il danno alla luce del risultato complessivo dell'attività di gruppo.
La diligenza richiesta all'amministratore in ragione dell'art. 2497 c.c. non va limitata solo al momento genetico dell'attività di direzione e coordinamento, ma va verificata nella dinamica delle operazioni e delle variabili che possono aver luogo in fase di esecuzione ed anche successivamente alla stessa. Ovviamente, ponendosi sempre nel momento del compimento dell'atto e/o dell'esecuzione dell'operazione.
All'amministratore, quindi, viene imposto non solo di considerare ex ante tutti i fattori prevedibili che possano influenzare il risultato del gruppo, ma viene altresì richiesto in fase di esecuzione di riscontrare l'eventuale presenza di fattori inizialmente non previsti, tali da minare il risultato finale o comunque da rendere inutile il pregiudizio patito dalla società.
Inoltre, la lettura dell'art. 2497 c.c. pare introdurre l'ulteriore obbligo dell'amministratore, integrante il principio di diligenza de quo, di intervenire anche successivamente all'operazione pregiudizievole, al fine di eliminare “integralmente” il danno. Obbligo apparentemente privo di limiti di tempo, in quanto non previsti nella norma.
Tale ravvedimento operoso è funzionalmente collegato alla verifica ex post da parte dell'amministratore del risultato dell'attività di direzione e coordinamento.
Ne consegue che sarà obbligo dell'amministratore, al fine di sottrarsi all'azione sociale di responsabilità, provare, in ragione dei principi di causalità immediata e specifica sopra delineati, non solo di aver correttamente valutato i fattori che avrebbero potuto influenzare il risultato finale, ma anche di aver seguito diligentemente l'operazione messa in atto al fine di verificare se in fase di esecuzione vi fossero correttivi da apportare per contenere il più possibile il pregiudizio. Non solo. Sarà altresì onere dell'amministratore, in caso di violazione del criterio di diligenza, provare di aver eliminato integralmente il danno, fermo resto che, dalla lettura dell'art. 2497 c.c. pare non esclusa dal principio di buona gestione anche la prova a carico dell'amministratore diligente di dover eliminare il danno laddove ciò sia possibile.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per la giurisprudenza si segnalano: Cass. 7 dicembre 2011, n. 26362; Cass. 11 dicembre 2006, n. 26325; Cass. 24 agosto 2004, n. 16707; Cass. penale, 18 novembre 2004, n. 10688; Cass. 21 gennaio 1999, n. 521; App. Milano, 25 settembre 2008, in DeJure; Trib. Pescara, 2 febbraio 2009, in Foro it. 2009, 10, 2829; Trib. Palermo, 15 giugno 2011, in Foro it., 2011, 11, 3184; Trib. Roma, 5 febbraio 2008, in DeJure.
Per la dottrina: Abriani, Gruppi di società e criterio dei vantaggi compensativi nella riforma del diritto societario, in Giur comm., 2002, I, 616; Blandini, art. 2497 c.c. in Codice Commentato delle Società diretto da Abriani e Stella Richter, Milano, 2010, 2180-2190; Bosi, Il capitalismo italiano in evoluzione: i gruppi societari tra conflitti di interesse e sviluppo, in Dir. e Proc. Civ., 2011, 9; Cariello, Direzione e coordinamento di società e responsabilità: spunti interpretativi per una riflessione generale, in Riv. soc., 2003, 1245; Dal Soglio, art.2497 c.c. in Commentario Breve al Diritto delle Società diretto da Maffei Alberti, Padova, 2011, 737-742; Figà Talamanca-Genvese, Riforma del diritto societario e gruppi di società, in Vita not., 2004, 1206; Gaeta, Atti estranei all'oggetto sociale e vantaggi compensativi delle società collegate, in Le Società, 2007, 1364; Galgano, Trattato di Diritto Civile, Vol. IV, Seconda Ed., Padova, 2010, 709-839; Meoli, Garanzie infragruppo, vantaggi compensativi e onere della prova, in Fall., 2007, 1305; Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società corporate governance, in Studi in tema di società per Azioni, Padova, 1999, 79 ss.; Montalenti, Conflitto di interessi nei gruppi e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, I, 710; Scarpa, Controllo Ssocietario nel fenomeno dei gruppi tra contrattualismo e interesse sociale, in Contratto e Impresa, 2011, 356; V. Scognamiglio, Vantaggi compensativi nel gruppo di società, in Le Società, 2009, 498 ss..

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