Speciale Decreto Sviluppo: il concordato con continuità aziendale

03 Agosto 2012

Il “Decreto Sviluppo” conferma che l'obiettivo primario del legislatore, già a partire dalle riforme della legge fallimentare iniziate nel 2005, è quello di salvaguardare l'attività d'impresa.La finalità conservativa si manifesta con maggiore evidenza nel concordato con continuità aziendale, disciplinato dal nuovo art. 186-bis l. fall.L'Autore analizza, quindi, l'istituto, soffermandosi sul contenuto del piano, sulla relazione del professionista asseveratore, che deve attestare non solo la tenuta del piano ma anche che la prosecuzione dell'attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, e sui contratti pendenti, che proprio nell'ottica della prosecuzione dell'attività trovano una disciplina specifica.Infine, vengono affrontate le problematiche relative al venir meno dei presupposti per l'ammissione al concordato e alla fase di esecuzione.
La continuità aziendale come obiettivo primario nel concordato preventivo

Secondo l'opinione tradizionale, esecuzione “concorsuale” sui beni del debitore significa assoggettamento degli stessi ad una forma di esecuzione collettiva posta in essere da soggetti terzi rispetto al debitore, con l'obiettivo di soddisfare i creditori seguendo l'ordine dei privilegi e, a parità di posizione giuridica, proporzionalmente tra loro.

Da qualche tempo l'obiettivo della par condicio è stato però sopravanzato nel nostro, come in molti altri ordinamenti europei, dalla salvaguardia dell'attività d'impresa.

Un primo “vulnus” alla par condicio è stato introdotto nel 2005 con la riforma della revocatoria, che ha previsto una serie molto significativa di esenzioni da revocatoria volte a tutelare la stabilità di alcuni pagamenti avvenuti in condizione di normale operatività (art. 67, comma 3). Sempre nel 2005 la prima riforma del concordato preventivo ha consentito di differenziare la soddisfazione dei creditori a parità di posizione giuridica sulla base di una loro suddivisione in classi; successivamente, nel 2007 la nuova disciplina fallimentare dei contratti pendenti ad esecuzione continuata o periodica (

art.

74 l

.

fall.

), ha introdotto il principio per cui, in caso di subentro del curatore nel contratto, va pagato integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati.

E nell'attuale riforma del concordato preventivo la finalità conservativa dell'impresa ha comportato nuove importanti deroghe al principio della par condicio:

  1. è ora possibile pagare creditori concorsuali al di fuori di ogni riparto anche in violazione della par condicio se ciò consentirà la miglior soddisfazione di creditori” (nel senso che attraverso tali pagamenti si valorizza al meglio l'attività dell'impresa). Addirittura, se i creditori concorsuali vengono pagati con risorse provenienti da terzi non sono richieste particolari formalità (art. 182-quinquies, comma 4);

  2. è ora possibile contrarre debiti finalizzati alla conservazione dell'attività di impresa ai quali è riconosciuta la prededuzione sia nel successivo fallimento, sia, se sono stati concessi in occasione di un accordo ex art. 182-bis, nell'eventuale successivo concordato, sia, infine, all'interno della stessa procedura in occasione della quale sono stati concessi (art. 182-quinquies);

  3. è ora possibile fornire garanzie reali a favore dei titolari di crediti prededucibili (art. 182-quinquies, comma 3).

Questa constatazione deve portare alla conclusione che la conservazione dell'impresa e la migliore liquidazione dell'attivo (auspicatamente consentita dalla conservazione dell'impresa) rappresentano il primario obiettivo del legislatore, anche se il loro perseguimento può pregiudicare o, quanto meno, allungare le prospettive di recupero dei creditori concorsuali.

Si tratta di obiettivi largamente condivisibili, soprattutto nell'attuale congiuntura economica, che forse meriterebbero due ulteriori integrazioni:

  1. l'estensione al concordato preventivo della previsione contenuta nell'art. 63, comma 3, Prodi bis relativa alla scelta dell'acquirente dell'azienda, che dovrebbe essere effettuata non solo sulla base del piano industriale degli offerenti, ma anche del mantenimento/sviluppo dei livelli occupazionali;

  2. l'estensione alla Prodi bis della possibilità di pagamenti extraconcorsuali a favore di creditori concorsuali così come previsto nel concordato preventivo dall'art. 182-quinquies, comma 4.

Il concordato con continuità aziendale nel nuovo art. 186-bis

Venendo all'esame specifico del concordato con continuità aziendale introdotto dal nuovo art. 186-bis, va detto preliminarmente che si tratta di una forma di concordato che già prima di quest'ultima riforma era comunque prevista nell'amplissimo contenuto del piano di concordato ai sensi dell'

art.

160 l

.

fall

.

Secondo tale norma, il piano di concordato deve infatti prevedere la ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti in qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie.

E nella prassi si erano definiti come “concordati di ristrutturazione” o “di risanamento” quelli in cui l'attività proseguiva, dopo la ristrutturazione, in capo alla stessa impresa, senza cessione a terzi dell'attività. Era, cioè, la stessa impresa che, grazie alla ristrutturazione del proprio indebitamento, ritornava in bonis e proseguiva l'attività.

L'altra grande categoria di concordati era quella dei “concordati con cessione” a terzi dei beni, in cui la cessione avveniva per lo più in forma aggregata attraverso il trasferimento dell'azienda a terzi.

Con il nuovo art. 186-bis entrambe le fattispecie appena esaminate (“concordato di ristrutturazione” e “concordato con cessione”) rientrano nella categoria del “concordato con continuità aziendale” che, a questo punto, comprende tutti i concordati in cui l'attività prosegua in qualunque modo, o in capo allo stesso imprenditore o in capo a terzi. E' una forma di concordato in cui è prevista una sorta di “esercizio provvisorio dell'impresa” (per usare la terminologia fallimentare dell'

art.

104 l

.

fall

.) in vista del ritorno in bonis della stessa impresa oppure del trasferimento a terzi dell'attività/azienda “in esercizio”.

Dalla classificazione introdotta dall'art. 186-bis si conferma che è possibile prevedere anche un piano di concordato meramente liquidatorio dei singoli beni senza prosecuzione dell'attività di impresa. In tali casi, le principali differenze di tale forma di concordato rispetto alla liquidazione fallimentare dei beniin modo atomistico potranno consistere nei tempi necessari per la liquidazione (auspicabilmente minori nel concordato) e nella inapplicabilità al concordato della disciplina della revocatoria fallimentare.

Pur ribadendo il principio della massima autonomia nella determinazione del contenuto della proposta di concordato, è evidente che sarà molto scarsa l'appetibilità (sotto il profilo della convenienza per i creditori) di una proposta di concordato che preveda la liquidazione atomistica dei beni in quanto una simile proposta non si differenzia da una procedura fallimentare salvo che per l'inapplicabilità della disciplina della revocatoria.

Il nuovo art. 186-bis fa rientrare nella categoria dei concordati con continuità aziendale anche quelli “misti” (e nella prassi sono molti), nei quali l'attività prosegue mediante l'utilizzazione (ovvero, il mantenimento “in esercizio”) di una parte soltanto dell'attivo (un ramo d'azienda, per esempio) mentre altra parte dell'attivo (“non funzionale all'esercizio dell'impresa”) viene liquidata atomisticamente (ad es. viene chiuso un ramo d'azienda con vendita del capannone e dei macchinari, mentre altro ramo prosegue in capo allo stesso imprenditore o a terzi).

Il contenuto del piano concordatario

In caso di prosecuzione dell'attività, secondo l'art. 186-bis, comma 2:

a) il piano deve indicare analiticamente costi e ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, le risorse finanziarie necessarie e le modalità di loro reperimento (lett. a). La norma non dice per quanto tempo deve essere protratta tale analisi. Appare ragionevole ritenere che, in caso di cessione dell'attività a terzi, il piano debba individuare costi e ricavi fino alla cessione dell'attività a terzi oppure fino a quando la gestione dell'impresa resti in capo alla società in concordato (si pensi, ad es., all'affitto dell'azienda propedeutico alla sua cessione a terzi).

In caso di prosecuzione dell'attività in capo alla stessa impresa, l'indicazione analitica di costi e ricavi si deve estendere fino a quando l'impresa non torni in bonis, e cioè fino a quando i creditori concorsuali non siano stati “soddisfatti” (come si esprime l'

art. 160, co

mma

1, lett. a), l.fall

. con definizione che, come è noto, non comprende soltanto il pagamento, ma anche altre forme di soddisfazione, come la conversione a capitale del credito o la sua estinzione mediante una datio in solutum, ecc.). Solo a quel momento il concordato sarà stato eseguito.

Le risorse finanziarie necessarie per consentire la prosecuzione dell'attività possono derivare da finanziamenti prededucibili assunti in corso di procedura ex art. 182-quinquies, commi 1 e 2. Anche in tal caso il piano deve considerare tra i “costi” gli oneri finanziari e l'eventuale rimborso del capitale fino alla cessione a terzi dell'azienda, oppure, se l'azienda non viene ceduta a terzi, fino a quando i creditori concorsuali non siano stati soddisfatti. Verosimilmente a tale data i finanziamenti prededucibili non saranno stati estinti tutti (si pensi ad es. a un mutuo ipotecario a lungo termine), ma l'impresa è tornata in bonis e sarà obbligata a pagare integralmente tutti i debiti che all'epoca saranno esistenti.

Sotto questo profilo occorre chiarire la portata della prededuzione prevista dall'art. 182-quinquies. I crediti per finanziamenti prededucibili vanno pagati prima dei creditori concorsuali (e cioè quelli sorti prima dell'apertura della procedura) e la prededuzione opera sia all'interno del concordato sia in caso di successivo fallimento.

Qualora il concordato preveda la continuazione dell'attività in capo alla stessa impresa i debiti prededucibili scaduti dovranno essere pagati prima dei debiti concorsuali. I debiti sorti dopo l'apertura della procedura (prima o dopo l'omologa) verranno pagati secondo le cause legittime di prelazione, e viene meno ogni riferimento alla prededuzione.

Lo stesso dicasi per un finanziamento prededucibile contratto dall'impresa in concordato che viene poi accollato (con accollo liberatorio) all'acquirente dell'azienda. Tale debito dovrà essere rimborsato esclusivamente dall'acquirente dell'azienda insieme a tutti gli altri debiti contratti da tale soggetto: non vi sarà cioè alcuno spazio per la prededuzione.

b) La relazione dell'asseveratore [art. 186-bis, comma 2, lett. b)] deve attestare non solo la “tenuta” del piano di continuazione dell'attività, ma anche che la prosecuzione dell'attività “è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori”. L'asseveratore deve cioè chiarire che la prosecuzione dell'attività, con tutti i rischi che questa comporta, consente di soddisfare i creditori meglio rispetto alla cessione dell'attività o alla liquidazione atomistica dei beni. Sotto questo profilo, qualora la prosecuzione dell'attività sia favorita anche grazie a linee di credito assistite dalla prededuzione, l'asseveratore dovrà preoccuparsi di verificare - sulla base del piano redatto dall'imprenditore - che il pagamento dei debiti prededucibili sia assicurato e non pregiudichi le prospettive di recupero dei creditori concorsuali. Tenuto conto dell'introduzione dello specifico reato di “falso in attestazioni e relazioni” (art. 236-bis), è ragionevole prevedere che gli asseveratori pretenderanno (opportunamente) un innalzamento della soglia di probabilità nella realizzazione del piano: e quindi, se si prevede la cessione dell'azienda a terzi, sarà quanto mai opportuno avere già individuato l'acquirente dell'azienda; se si prevede la prosecuzione dell'attività in capo allo stesso imprenditore, occorre avere la ragionevole certezza del pagamento dei creditori concorsuali, certezza che con ogni probabilità non potrà prescindere dall'inserimento in società di nuovi mezzi propri (a titolo di aumento di capitale o di finanziamento soci che, verosimilmente, per essere considerato alla stregua di capitale proprio dell'impresa, dovrà essere integralmente postergato e non dovrà essere considerato prededucibile nella misura dell'80% come consentito dall'art. 182- quater).

c) Il piano può prevedere una moratoria fino a un anno dall'omologa per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, a meno che il piano stesso non preveda la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione [v. art. 186-bis, co. 2, lett. c)]. Tale previsione appare quanto mai opportuna soprattutto per il concordato cd. di ristrutturazione, e cioè quello in cui l'attività prosegue in capo allo stesso imprenditore, sotto due profili: da un lato per fare chiarezza circa i tempi massimi ex lege di pagamento dei creditori privilegiati; dall'altro lato perché introduce finalmente la possibilità di pagare con dilazioni anche i creditori privilegiati, possibilità ammessa nella prassi, ma che ora trova una conferma a livello normativo.

In tal caso ci si deve chiedere se i creditori privilegiati che siano soddisfatti dopo la moratoria sino ad un anno dall'omologa introdotta dall'art. 186-bis, debbano essere inseriti in una apposita classe e come tali essere ammessi al voto.

L'ammissione al voto potrebbe essere affermata sulla base della considerazione che il sacrificio del diritto di voto è giustificato solo dall'indifferenza rispetto al concordato, indifferenza che esiste solo se il pagamento è integrale all'omologa ovvero, secondo alcuni, se dilazionato con riconoscimento degli interessi.

Tuttavia, una simile soluzione comporterebbe un'interpretazione sostanzialmente abrogativa (o comunque fortemente riduttiva della portata innovatrice) della norma. Infatti, è pacifico (e lo era già prima dell'attuale riforma) che il soddisfacimento dei creditori privilegiati potesse avvenire in via dilazionata e senza interessi, ove questi ultimi fossero stati inseriti in un'apposita classe e avessero approvato la proposta concordataria con il proprio voto favorevole. In tali casi, nulla vieta(va) che la “moratoria”, ovvero la dilazione, avesse una durata anche superiore ad un anno.

A fronte dell'introduzione di una specifica norma che consente che il piano preveda “una moratoriafino a un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione” appare giustificato (pur con tutte le incertezze del caso e con l'auspicio che il dubbio sia chiarito in sede di conversione) ritenere che in tal caso la dilazione sia senza interessi e non sia necessaria l'ammissione al voto (e, se del caso, l'inserimento in una specifica classe) dei creditori privilegiati di cui il piano preveda la soddisfazione entro un anno dall'omologa. Si tratta, infatti, dell'utilizzo di una facoltà prevista dalla legge. Nella misura in cui la moratoria senza interessi per il soddisfacimento dei creditori privilegiati ecceda il termine di un anno dall'omologa, previsto dalla nuova norma, tali creditori privilegiati - come in passato - saranno chiamati ad approvare la proposta di concordato (se del caso, previo inserimento in un'apposita classe).

In tutti i casi in cui la moratoria (annuale o ultrannuale) prevedesse il riconoscimento di interessi, non dovrebbe essere riconosciuto alcun diritto di voto al creditore.

Nulla vieta che la proposta - nei limiti e alle condizioni di cui all'

art. 160, comma 2, l.

fall

. - preveda la mancata integrale soddisfazione di creditori privilegiati qualora il bene su cui grava il privilegio sia incapiente.

Infine, si sottolinea la diversa terminologia dell'art. 186-bis, comma 2, lett. c), che parla di “pagamento” dei creditori privilegiati, rispetto all'art. 160, commi 1 e 2, che parla di “soddisfazione” dei creditori (comma 1) ivi compresi i privilegiati (comma 2). Come è noto, il termine “soddisfazione” dei creditori è più ampio di “pagamento”, perché la “soddisfazione” può avvenire in forme diverse rispetto al “pagamento” (ad es. conversione o datio in solutum). Al fine di chiarezza sistematica delle norme appare opportuno che in sede di conversione del decreto legge il termine “pagamento” sia sostituito con “soddisfazione” e ciò proprio al fine di ribadire il principio per cui tutti i creditori possono essere soddisfatti con forme diverse rispetto al pagamento. In caso contrario, si creerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori privilegiati di un concordato liquidatorio, che possono essere soddisfatti con una datio in solutum, rispetto ai creditori privilegiati di un concordato con continuità aziendale, che invece debbono essere obbligatoriamente pagati.

Ovviamente, qualora la “soddisfazione” del creditore privilegiato non avvenisse con un pagamento, a tale creditore dovrebbe essere riconosciuto il diritto di voto.

Un'ultima considerazione circa i tempi massimi di pagamento dei creditori privilegiati. Accade frequentemente, soprattutto nei concordati con cessione a terzi dell'azienda, che l'acquirente si accolli dei debiti privilegiati (il più delle volte quale modalità di pagamento del prezzo). La prassi è assolutamente legittima (v.

art. 105, ult.

co

mma

, l.

fall

.), ma il limite temporale ora previsto dall'art. 186-bis, comma 2, lett. c), va correttamente inteso, e si riferisce aisoli crediti scaduti (o perché già scaduti prima dell'apertura della procedura o perché scaduti in forza della procedura: v.

art. 55, co

mma

2, l.

fall

. richiamato dall'art. 169); ciò significa, però, che in caso di accollo del TFR il pagamento avverrà al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Viceversa, se l'acquirente dell'azienda si accolla un debito ipotecario, deve sapere che lo stesso dovrà essere pagato al massimo entro un anno dall'omologa (che normalmente coincide con l'acquisto dell'azienda). Un eventuale termine di pagamento più lungo dovrà essere specificamente pattuito direttamente tra l'acquirente dell'azienda e il creditore ipotecario, ovvero contenuto nel piano di concordato su cui il creditore privilegiato sarà chiamato ad esprimere il proprio voto.

Se invece il piano prevede che il bene sul quale grava il privilegio debba essere liquidato, il pagamento del creditore privilegiato avverrà in concomitanza con l'alienazione del bene, alienazione che dovrà avvenire entro il termine di esecuzione del concordato indicato nella proposta, ma non necessariamente entro un anno dall'omologa.

Ancorché la norma non lo dica espressamente, appare preferibile ritenere che il pagamento al momento della liquidazione del bene si riferisca solo ai creditori muniti di privilegio speciale.

La cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni

L'ultima frase del comma 3 dell'art. 186-bis dispone che: “il giudice delegato, all'atto della cessione (dell'azienda - ndr) o del suo conferimento (a terzi - ndr.), dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni”. Occorre coordinare tale previsione con l'

art. 182, ult.

co

mma

, l.

fall

., che, sempre nel concordato preventivo, a sua volta rinvia anche all'

art. 108 l.

fall

., “in quanto compatibile. L'

art. 108 l.

fall

. prevede la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni ad opera del giudice delegato una volta riscosso interamente il prezzo”.

Non c'è dubbio che ora l'art. 186-bis dispone espressamente la cancellazione delle ipoteche, dei pignoramenti e dei sequestri ad opera del G.D., per cui non è più necessario il rinvio all'

art. 108 l.

fall

. Ma non c'è altrettanto dubbio che il “nuovo” art. 186-bis consente anche nel concordato preventivo, analogamente all'

art. 64 del

d.l

gs 8 luglio 1999, n. 270

nell'amministrazione straordinaria, la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli indipendentemente dall'avvenuto integrale pagamento del prezzo di cessione dell'azienda (“integrale pagamento” che, del resto, è incompatibile con il conferimento d'azienda - che pure prevede le cancellazioni delle iscrizioni e trascrizioni - ove nessun prezzo viene pagato, ma vengono emesse azioni a favore del conferente) (

Cfr. Lamanna, Il c.d. decreto sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in Ilfallimentarista.it.)

. Ciò significa che il rinvio operato dall'art. 182 agli artt. da 105 a 108-ter in quanto compatibilinon costituisce più il (solo) parametro in base al quale procedere alla cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli gravanti sul bene ceduto nell'ambito del concordato preventivo, posto che è stata introdotta una norma specifica (l'

art. 186-

bis,

co

mma

3, l.

f

all

.).

Occorre, infine, chiedersi se tale norma possa applicarsi anche al caso del concordato di ristrutturazione, e cioè quello in cui l'attività prosegue in capo alla stessa impresa senza trasferimento dell'azienda. Dovrebbe rispondersi in senso affermativo in applicazione di un principio di interpretazione sistematica. Certamente sarebbe preferibile esplicitare tale concetto in sede di conversione della norma.

D'altronde, l'interpretazione opposta - della non applicabilità dell'art. 186-bis, comma 3, al concordato di ristrutturazione - condurrebbe a conseguenze aberranti: il debitore esegue il concordato, ma non riesce a cancellare l'iscrizione o la trascrizione pregiudizievole in assenza del consenso del creditore che, qualora in base alla proposta di concordato (e nei limiti ed alle condizioni di cui all'

art. 160, comma 2, l.

fall

.) avesse ricevuto una “soddisfazione” parziale del proprio credito, potrebbe porre in essere pretestuose manovre di disturbo.

La disciplina dei contratti pendenti nell'ottica della prosecuzione dell'attività

Il comma 3 dell'art. 186-bis amplia opportunamente la disciplina sui contratti pendenti contenuta nell'art. 169-bis proprio allo scopo di favorire la prosecuzione dell'attività nell'interesse preminente della debitrice (anche in contrasto con l'interesse dei creditori). Ed infatti, da un lato l'imprenditore in concordato con continuità può sciogliersi dai contratti e può sospenderne gli effetti (v. art. 169-bis, comma 1) e, dall'altro lato, il terzo contraente è obbligato ad attendere le decisioni del debitore non potendosi sciogliere dal contratto in quanto non solo la procedura non è causa di risoluzione del contratto, ma sono inefficaci eventuali clausole contrattuali contrarie. La norma ha un contenuto analogo al comma 6 dell'

art. 72 l.

fall

. in materia di rapporti pendenti nel fallimento e, come quella, deve ritenersi applicabile anche alle clausole che consentono il recesso del contraente in bonis in caso di concordato.

Ovviamente la previsione dell'art. 186-bis, comma 3, non si applica qualora prima del concordato il contraente in bonis abbia promosso azione di risoluzione del contratto per inadempimenti già verificatisi all'epoca, in quanto la risoluzione retroagisce alla data della domanda e prescinde dall'assoggettamento alla procedura concorsuale (v. analogamente l'

art. 72, co

mma

5, l.

fall

.).

L'art. 186-bis prevede che della continuazione dei contratti beneficerà anche l'acquirente dell'azienda. Si tratta di una previsione normativa che vale a superare per legge eventuali clausole di incedibilità inserite pattiziamente.

La partecipazione dell'impresa in concordato a procedure di assegnazione di contratti pubblici

Infine, con previsione quanto mai opportuna, i commi 3 e 4 dell'art. 186-bis contengono norme che non solo impongono la prosecuzione dei contratti stipulati dall'impresa in concordato con pubbliche amministrazioni, ma ammettono, a determinate condizioni, la partecipazione dell'impresa in concordato a procedure di assegnazione di contratti pubblici (v. comma 4) e a raggruppamenti temporanei di imprese per l'assegnazione di contratti pubblici purché l'impresa in concordato non rivesta il ruolo di mandataria (v. comma 5). Si tratta di previsioni opportunamente inserite che derogano alla normale disciplina dei contratti pubblici e che favoriscono la conservazione dell'azienda ai fini di una sua migliore alienazione.

La materia era già stata in precedenza oggetto di alcune pronunce dell'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, che avevano rilevato la discrasia esistente tra la normativa dettata dal

D.Lgs. n. 163/2006

(

Codice dei contratti pubblici

) in tema di requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, e il concordato preventivo con continuità aziendale.

In particolare, l'

art. 38, comma 1, lett. “a”, del Codice dei contratti

include, tra i requisiti generali che devono essere posseduti, a pena di esclusione dai concorrenti anche quello di non trovarsi in “stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui confronti sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”, senza operare dunque alcuna distinzione tra le varie ipotesi di concordato preventivo (già precedentemente previste dall'

art. 160 l.

fall

., e cioè con finalità liquidatoria o di risanamento dell'impresa).

Inoltre, con specifico riferimento al settore dei lavori pubblici, ai sensi dell'

art. 40 del Codice dei contratti

il venir meno di tali requisiti potrebbe essere interpretato nel senso di determinare la decadenza dell'attestazione di qualificazione rilasciata da una SOA (Società Organismo di Attestazione), il cui possesso è necessario per poter eseguire a qualsiasi titolo un contratto di appalto di lavori pubblici.

Infine, ai sensi dell'

art. 140, comma 1, del Codice dei contratti

(come recentemente modificato dall'

art. 44 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201

) in caso di fallimento dell'appaltatore, di liquidazione coatta, di concordato preventivo o di risoluzione del contratto per inadempimento, la stazione appaltante può interpellare progressivamente i soggetti seguenti in graduatoria per la stipulazione di un nuovo contratto per il completamento dei lavori (

Cons. Stato, Comm. Spec., Ad. 22 gennaio 2008, n. 4575)

.

In generale, la giurisprudenza aveva osservato in proposito che i requisiti in questione devono essere posseduti non solo al momento della partecipazione alla procedura di evidenza pubblica, ma altresì per tutta la durata dell'appalto, senza soluzione di continuità (

Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4

)

.

Con specifico riferimento al concordato preventivo (nell'ambito del quale, come si è visto, il

Codice dei contratti pubblici

non opera alcuna distinzione), l'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici aveva anzitutto affermato che, sebbene alla luce dell'espresso riferimento all'istituto contenuto nell'articolo 38 “le imprese sottoposte a concordato preventivo non possono partecipare alle gare”, tuttavia, “de jure condendo, si rileva l'opportunità di un ulteriore approfondimento della problematica, anche alla luce della rivisitazione dell'istituto operata dal citato

d.lgs. n. 5/2006

, che sembra tesa a valorizzare l'obiettivo della riattivazione dell'attività imprenditoriale, in linea con quanto già avviene nel caso dell'amministrazione straordinaria” (det. n. 1 del 12 gennaio 2010).

Successivamente, la stessa Autorità era tornata sull'argomento osservando che la procedura di concordato preventivo con continuità aziendale (pur non essendo tout court assimilabile all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese, e pur non consentendo la partecipazione a nuove gare), è comunque tesa al risanamento dell'attività imprenditoriale, e imponeva quindi un'interpretazione della normativa pubblicistica volta a salvaguardare la continuazione dell'impresa, evitando di incidere sui rapporti contrattuali in essere o sul mantenimento (necessario per l'esecuzione degli appalti di lavori pubblici: cfr.

art. 40 del Codice dei contratti

) dell'attestazione di qualificazione rilasciata ante procedura in regime di solidità aziendale (com. n. 68 del 29 novembre 2011).

Il nuovo art. 186-bis ha dunque recepito e sviluppato le considerazioni svolte (de jure condendo) dall'Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, e ha disciplinato gli effetti del concordato preventivo con continuità aziendale sia in ordine alla possibilità di continuare ad eseguire i contratti pubblici già stipulati (previa attestazione del professionista designato dal debitore di cui all'articolo 67, circa la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento), sia in ordine alla possibilità di partecipare a nuove procedure di affidamento, anche in raggruppamento temporaneo con altre imprese, mediante una peculiare ipotesi di avvalimento sui generis che prevede (contrariamente a quanto previsto dall'

art. 49, comma 10, del Codice dei contratti

) la possibilità che l'impresa ausiliaria si sostituisca totalmente all'originario contraente nel caso in cui questi fallisca o non sia comunque più in grado di dare regolare esecuzione al contratto.

Sarebbe, infine, auspicabile che in sede di conversione il legislatore si preoccupasse di armonizzare il

Codice dei Contratti

con la nuova disciplina fallimentare, perché altrimenti vi è il rischio di divergenti interpretazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

La revoca dell'ammissione al concordato

Qualora nel corso dell'esecuzione di un concordato con continuità aziendale risulti che la continuazione dell'impresa sia dannosa per i creditori o non possa più essere proseguita, viene meno proprio quello che era stato un elemento fondante del piano. In questo caso, ai sensi dell'art. 186-bis, comma 6, il debitore può modificare la proposta di concordato (evidentemente prima dell'adunanza dei creditori), oppure il tribunale prevede ai sensi dell'art. 173”, e cioè dispone la revoca dell'ammissione al concordato, evidentemente perché il legislatore ritiene che in tal caso “mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato(

art. 173, co

mma

3, l.

fall

.).

La fase esecutiva

L'art. 186-bisnon contiene alcuna disciplina specifica relativa all'esecuzione del concordato di ristrutturazione (e cioè quello in cui l'attività prosegue in capo alla stessa impresa debitrice). In esso non verrà nominato un liquidatore giudiziale, perché l'attività prosegue ad opera degli stessi amministratori sotto il controllo del Commissario Giudiziale e del Giudice Delegato (v.

art. 185 l.

fall

.). Non ci sono norme che disciplinano la fase esecutiva del concordato di ristrutturazione e, a causa di tale lacuna, è opportuno che il decreto di omologa indichi le modalità di esecuzione del concordato.

E' evidente che gli amministratori dovranno tornare ad essere liberi di gestire l'impresa, ma dovranno anche curare il pagamento dei creditori concorsuali, per cui è ragionevole ritenere che, fino all'integrale pagamento dei creditori concorsuali, non possano compiere operazioni straordinarie/contrarre indebitamenti non previsti nel piano di concordato.

E che cosa avviene in caso di eventuali scostamenti esecutivi rispetto al piano di concordato omologato, allorché i creditori concorsuali non sono stati ancora pagati? Le norme sono del tutto silenti (e sarebbe invece quanto mai opportuno che la legge di conversione si facesse carico del problema) analogamente a quanto avviene per il caso di modifiche dell'accordo ex 182-bis post omologa.

Come nell'accordo di 182-bis anche nel caso di concordato l'esenzione da revocatoria ex art. 67, comma 3, lett. e), e l'esimente da reati fallimentari

ex art. 217-

bis

l.

fall

. valgono per i soli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo”. Una diversa esecuzione del concordato di ristrutturazione rispetto al piano omologato correrebbe quindi il rischio di vanificare l'esenzione da revocatoria e l'esimente appena ricordati. Si pensi, ad esempio, al caso non infrequente della necessità di nuovi affidamenti rispetto a quelli previsti nel piano. Il loro ottenimento potrebbe pregiudicare o rallentare il pagamento dei creditori concorsuali che nel frattempo non fossero stati pagati.

In assenza di norme specifiche (si potrebbe pensare ad una “manutenzione” del concordato con un supplemento di asseverazione e con una nuova omologa anche senza voto dei creditori) appare difficile ritenere che modifiche sostanziali nell'esecuzione del piano di concordato di ristrutturazione omologato non richiedano la presentazione di una nuova domanda di concordato con tutta l'ordinaria procedura prevista (nuova asseverazione - anche ai sensi del nuovo art. 161, che prevede che una nuova asseverazione “deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano” -, nuova ammissione, nuovo voto e nuova omologa) e con una nuova platea di creditori che comprende anche quelli sorti dopo la prima domanda di concordato.

In assenza di una norma ad hoc appare quindi prudente redigere piani di concordato di ristrutturazione “flessibili”, anche con previsioni esecutive alternative, e soprattutto, visto che il nuovo 182-quinquies, comma 2, lo consente, con la previsione di finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entità, e non ancora oggetto di trattative. Se del caso, nell'ambito del finanziamento massimo previsto dal piano (e non ancora integralmente utilizzato), si potrà attingere ad ulteriori fondi per far fronte ad eventuali imprevisti. Tutto ciò senza dover presentare una nuova domanda di concordato con tutti i rischi, tempi e costi che tale procedura comporta.

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