Speciale Decreto Sviluppo - Prime riflessioni in tema di concordato preventivo in continuità aziendale

03 Agosto 2012

Nell'ambito dell'intervento legislativo di modifica della legge fallimentare ad opera del “Decreto sviluppo”, viene analizzato l'istituto del concordato in continuità introdotto dal nuovo art. 186-bis. L. fall.Muovendo dalla definizione di concordato in continuità, gli Autori si soffermano sul contenuto del piano e della relazione dell'attestatore, evidenziando come il legislatore abbia preso posizione sul tema, ampiamente dibattuto, della possibilità che la proposta concordataria preveda la dilazione del pagamento anche dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, consentendo una “moratoria” fino ad un anno, ed esaminano poi la delicata questione della sorte dei contratti in corso di esecuzione e la norma di cui all'art. 182-quinquies.

Il nuovo art. 186-bis l. fall. : definizione di concordato preventivo con continuità aziendale - Contenuto del piano e della relazione dell'attestatore – Rinvio

L'art. 186-bis l. fall. reca la definizione di concordato preventivo con continuità aziendale, da riferirsi a tutte quelle ipotesi in cui il piano di concordato “prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”.

Si esprime in primo luogo una riserva sulla scelta del legislatore di collocare la disciplina del concordato con continuità aziendale all'art. 186-bis, e pertanto nel Capo VI, rubricato “Dell'esecuzione, della risoluzione e dell'annullamento del concordato preventivo”, parendo forse maggiormente coerente con il sistema normativo introdurre la previsione quale art.161-bis

o comunque nel Capo I, anche in ragione del fatto che vi sono riferimenti al concordato in continuità in articoli che precedono il 186-bis (ad esempio l'art. 182-quinquies).

La nozione introdotta dal legislatore appare poi più ampia rispetto a quella comunemente invalsa nella prassi; l'esperienza operativa insegna infatti che di concordato in continuità si parlava nella sola ipotesi di prosecuzione dell'attività di impresa in capo al debitore, configurandosi le altre ipotesi in termini di concordati aventi natura liquidatoria.

Se ci si attiene rigorosamente alla lettera dell'art. 186-bis, comma 1, pertanto, il piano concordatario e la relazione del professionista dovranno avere lo specifico contenuto di cui al comma 2, lett. a) e b) (analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, delle risorse finanziarie e delle relative modalità di copertura; attestazione che la prosecuzione dell'attività di impresa è funzionale al miglior soddisfacimento del ceto creditorio) anche nel caso in cui la proposta di concordato preveda la cessione dell'azienda ad un soggetto terzo.

Il primo interrogativo che ci si pone è pertanto se tale previsione, che implica un'analisi approfondita di dati economico-patrimoniali in capo ad un soggetto terzo, sia strettamente necessaria (se si ammette che l'istituto concordatario abbia la funzione primaria di assicurare il migliore soddisfacimento dei creditori, e non di assicurare necessariamente la prosecuzione dell'attività di impresa), quantomeno nell'ipotesi in cui il pagamento del prezzo della cessione (e quindi le risorse per il soddisfacimento dei creditori) sia adeguatamente garantito.

Più coerente appare invece la previsione dello specifico contenuto del piano e dell'attestazione nel caso del conferimento dell'azienda, in considerazione del fatto che in tale ipotesi il debitore conferente è destinato a divenire socio della conferitaria e il valore della partecipazione, così come le concrete possibilità di realizzo della stessa, sono necessariamente strettamente correlate all'andamento dell'azienda conferita.

Rinviando a separata indagine l'esame delle lettere a) e b) del comma 2 dell'art. 186-bis, merita qui un cenno la previsione della lettera c), secondo la quale “il piano può prevedere una moratoria fino a un anno dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.

La norma va letta in correlazione con la disposizione, contenuta al comma 1 del medesimo articolo, secondo cui “il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa” e con la disposizione, contenuta al quarto comma del medesimo articolo, secondo cui “il giudice delegato, all'atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni”.

Con la previsione di cui alla sopra trascritta lett. c), il legislatore ha preso posizione sul tema, ampiamente dibattuto, della possibilità che la proposta concordataria preveda la dilazione del pagamento anche dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, consentendo una “moratoria” fino ad un anno dall'omologazione a condizione che non sia prevista la liquidazione dei beni o dei diritti su cui sussiste la causa di prelazione.

La norma ponealcuni dubbi interpretativi.

In primo luogo, occorrerà chiarire che cosa s'intenda per “moratoria”, non trattandosi di un concetto che trovi una definizione in norme di legge, ma di un istituto invalso nella prassi contrattuale, soprattutto nei rapporti con gli istituti di credito che variamente lo disciplinano, ad esempio in punto decorrenza degli interessi durante il periodo in cui è convenuta la sospensione dei pagamenti.

In mancanza di diversa previsione contenuta nel piano, pare difficilmente sostenibile la tesi che nel periodo di moratoria consentito dalla nuova disciplina il credito munito di privilegio, ipoteca o pegno non produca interessi in deroga all'art. 55, comma 1, l. fall. come richiamato dall'art. 169, senza espressa previsione normativa in tal senso.

Ci si chiede inoltre se la previsione in esame possa condizionare la posizione della giurisprudenza sul tema, invero al momento assai dibattuto, dell'ammissibilità della previsione della dilazione di pagamento dei creditori privilegiati nell'ambito di un concordato che non preveda la continuità aziendale, facendo propendere per la tesi della non ammissibilità di tale previsione proprio in quanto non espressamente prevista (in forza del principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit e quindi applicando un criterio di interpretazione logica della norma attraverso l'argomento a contrario).

Quanto alla facoltà di liquidare i beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, la norma contiene una precisazione certamente opportuna, in mancanza della quale la questione avrebbe potuto porre dubbi interpretativi.

Ci si domanda peraltro se il requisito della funzionalità debba essere verificato in relazione all'attività di impresa così come esercitata dal debitore al momento della presentazione della domanda di concordato o non piuttosto in relazione alle prospettive di esercizio dell'impresa così come esplicitate nel piano.

Si pensi, a titolo esemplificativo, all'immobile in cui è svolta l'attività d'impresa; applicando la prima interpretazione, è evidente che tale immobile dovrebbe ritenersi funzionale tout court e non liquidabile; applicando invece la seconda opzione interpretativa, il piano potrebbe prevedere la liquidazione dell'immobile nel caso in cui la cessionaria dell'azienda, ovvero la medesima società debitrice in caso di continuità diretta o la conferitaria optino per l'esercizio dell'attività in altro immobile.

La seconda interpretazione pare preferibile, in quanto consente una maggiore elasticità nelle scelte gestionali e nelle conseguenti implicazioni economiche e, non vincolando l'impresa debitrice, la cessionaria o la conferitaria a scelte precedentemente compiute, appare coerente con l'obiettivo della riforma, che è quello di favorire la continuità aziendale (obiettivo che, viceversa, potrebbe essere frustrato ove si imponesse al terzo cessionario di ricomprendere l'immobile nel compendio aziendale); una diversa interpretazione condurrebbe, inoltre, ad una soluzione più restrittiva rispetto alla prassi invalsa in mancanza di una norma espressa.

Con riferimento alle trascrizioni ed iscrizioni, la nuova normativa attribuisce espressamente al giudice delegato il potere di disporne la cancellazione, senza condizionare la stessa né all'intervenuto soddisfacimento dei creditori garantiti e al loro consenso, nè, come invece previsto dall'art. 108, comma 2, l. fall., richiamato dall'art. 182 per il concordato con cessione di beni, alla riscossione integrale del prezzo (Lamanna, Il c.d. Decreto Sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in ilfallimentarista.it).

Mentre nel caso di continuità dell'azienda in capo al debitore difficilmente il concordato avrà la natura di cessio bonorum nel senso di cui all'art. 182 l. fall., viceversa tale configurazione della proposta concordataria potrebbe ricorrere nel caso di cessione dell'azienda in esercizio a terzi ovvero di conferimento della stessa in altra società. In tal caso, pare preferibile ritenere che l'art. 186-bis, comma 4, abbia natura di norma speciale e prevalga sulla diversa previsione dell'art. 108, comma 2, consentendo al giudice delegato di ordinare la cancellazione delle iscrizioni e delle trascrizioni anche in mancanza di pagamento integrale del prezzo.

Un ultimo cenno merita la previsione dell'art. 186-bis, ultimo comma, secondo cui “se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l'esercizio dell'attività di impresa cessa o risulta manifestamente dannosa per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell'art. 173. Resta salva la facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato”.

La norma pare opportuna in quanto, in sua assenza, avrebbe potuto porsi il dubbio se la cessazione dell'attività d'impresa o la natura pregiudizievole della sua prosecuzione integrasse la fattispecie di cui all'art. 173, ultimo comma, seconda parte (mancanza, in qualunque momento, delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato).

Il richiamo dell'art. 173 comporta l'applicazione alla fattispecie di nuova previsione normativa delle conclusioni interpretative raggiunte in dottrina e giurisprudenza in relazione a tale norma, ed in particolare in merito alla natura officiosa della procedura di revoca dell'ammissione al concordato e ai limiti temporali di applicazione.

Con riferimento alla salvezza della facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato (in una logica, si può immaginare, meramente liquidatoria) occorre coordinare la previsione normativa con il disposto di cui all'art. 175, comma 2, secondo cui “la proposta di concordato non può più essere modificata dopo l'inizio delle operazioni di voto”; trattandosi di norma generale, ed in considerazione della clausola di salvezza, si può ritenere che l'inizio delle operazioni di voto integri il termine ultimo per la modifica della proposta anche nella specifica fattispecie di concordato in continuità.

Segue. I contratti in corso di esecuzione

Il comma 2 dell'art. 186-bis prevede:

  • che i contratti in corso di esecuzione alla data del deposito del ricorso “non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura”, essendo “inefficaci eventuali patti contrari”;

  • che in caso di contratti pubblici la regola generale della prosecuzione del contratto è sottoposta alla condizione di specifica attestazione della conformità al piano e della ragionevole capacità di adempimento da parte dell'esperto attestatore;

  • che è fatto salvo il disposto dell'art. 169-bis, anch'esso introdotto dalla riforma in commento, secondo cui il debitore può essere autorizzato a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data di presentazione del ricorso ovvero a sospenderne l'esecuzione (per non più di sessanta giorni prorogabili una sola volta), fatto salvo il diritto della controparte ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento da soddisfarsi come credito anteriore al concordato.

Dalla lettura combinata delle disposizioni di cui all'art. 186-bis, secondo comma, e 169-bis si evince il chiaro intento del legislatore di affrontare e risolvere la delicata questione della sorte dei contratti in corso di esecuzione (destinati, in forza della normativa previgente, a proseguire, con conseguente aggravio del passivo prededucibile) in modo tale da attribuire all'impresa che accede alla procedura di concordato un certo margine di scelta (la cui ampiezza andrà peraltro individuata in relazione alla natura e alla portata del potere autorizzativo attribuito al tribunale o al giudice delegato) circa la prosecuzione ovvero lo scioglimento ovvero la sospensione dei contratti.

Nel caso specifico del concordato in continuità, dalla previsione normativa consegue che, ove il debitore non opti per lo scioglimento del contratto, la controparte contrattuale non potrà invocare la risoluzione del contratto medesimo in forza di clausole eventualmente contenute nello stesso che ne prevedano la cessazione in caso di sottoposizione della controparte a procedura concorsuale ovvero di trasferimento dell'azienda a terzi. Tali clausole sono infatti inefficaci in forza della specifica disposizione normativa, opportunamente introdotta secondo una tecnica legislativa già utilizzata dal legislatore della riforma della legge fallimentare all'art. 72, comma 6.

In mancanza di specifica deroga, continuerà invece a trovare applicazione l'art. 2558, comma 2, c.c., che consente al terzo contraente di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento dell'azienda se sussiste una giusta causa.

Si rinvia a separata indagine la trattazione dell'art. 186-bis, comma 4, nella parte attinente ai contratti pubblici, e comma 5.

Il nuovo art. 182-quinquies - In particolare, il quarto comma

Rinviando ad altra indagine il commento dell'art. 182-quinquies, primo-terzo comma (il cui ambito di applicazione non è espressamente circoscritto ai casi di concordato in continuità, ma che pare avere il suo terreno privilegiato di applicazione in tale ipotesi), ci si sofferma qui sul disposto del comma 2 dell'articolo in esame.

Ai sensi di tale disposizione “il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell'art. 161 sesto comma, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi” a condizione che l'esperto attesti che si tratta di prestazioni “essenziali per la prosecuzione dell'attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”.

Tale attestazione non è richiesta nel caso in cui i pagamenti vengano effettuati fino alla concorrenza dell'ammontare di nuove risorse finanziarie apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori.

Con la previsione in esame il legislatore intende favorire il mantenimento in vita dell'impresa spesso pregiudicato dall'impossibilità per la stessa di acquisire i beni ed i servizi indispensabili per la prosecuzione dell'attività aziendale in quanto fornitori strategici e talora insostituibili rifiutano la prosecuzione del rapporto commerciale in mancanza del pagamento del debito pregresso.

Si evidenzia come, ai sensi della disposizione in esame, la richiesta di autorizzazione ad effettuare il pagamento dei crediti anteriori possa essere presentata anche nel caso in cui il debitore abbia depositato la domanda di ammissione al concordato preventivo ai sensi dell'art. 161, comma 6, e, pertanto, nell'ipotesi, di nuova introduzione legislativa, di deposito della domanda con riserva di presentazione della proposta, del piano e della documentazione di cui all'art. 161, commi 2 e 3, entro successivo termine fissando dal giudice.

Pur essendo la facoltà riconosciuta dalla legge, ci si chiede peraltro quali possibilità di successo possa avere un'istanza di autorizzazione all'effettuazione di pagamenti di debiti anteriori (e il problema si pone anche per l'istanza di autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 182-quinquies, comma 1) in mancanza di qualsivoglia elemento di qualificazione della natura del concordato per il quale il debitore intende optare e di documentazione a supporto.

Pertanto, il debitore che voglia ottenere tale autorizzazione del tribunale - e, prima ancora, l'attestazione dell'esperto - dovrà necessariamente anticipare, almeno nelle linee generali, il contenuto del futuro piano, e ciò certamente con riferimento alla natura di concordato con continuità (che è presupposto essenziale per l'applicazione della norma), ma altresì con il dettaglio necessario e sufficiente a consentire all'esperto di attestare la sussistenza dell'ulteriore presupposto rappresentato dalla essenzialità delle prestazioni per la prosecuzione dell'attività di impresa e la funzionalità dei pagamenti alla migliore soddisfazione del ceto creditorio.

Quanto al soggetto titolare del potere autorizzativo, la norma indica il tribunale. Anche in ragione del fatto che, ove il legislatore abbia inteso attribuire un potere autorizzativo al giudice delegato lo ha espressamente previsto (si richiama a titolo esemplificativo l'art. 169-bis di nuova introduzione), deve ritenersi che l'autorizzazione sia di esclusiva competenza, appunto, del tribunale, che potrà pronunciarsi sull'istanza dal momento del deposito della domanda di concordato sino al decreto di apertura della procedura di cui all'art. 163.

Nulla dice la norma circa la natura del vaglio che il tribunale è chiamato a svolgere sull'istanza. La previsione del potere, in capo al tribunale, di assumere sommarie informazioni può indurre a ritenere che al tribunale non sia riservato un mero compito di verifica dell'esistenza dell'attestazione dell'esperto, ma che gli competa un potere più incisivo di valutazione dell'esistenza dei presupposti previsti dalla norma (essenzialità delle prestazioni per la prosecuzione dell'attività di impresa e funzionalità dei pagamenti alla migliore soddisfazione del ceto creditorio), richiedendo ad esempio, senza particolari vincoli di formalità (così come nelle altre fattispecie in cui il legislatore consente il ricorso allo strumento delle “sommarie informazioni” - a titolo esemplificativo, artt. 669-sexies -695 c.p.c.), approfondimenti documentali al debitore ovvero l'audizione a chiarimenti del debitore o del professionista attestatore.

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